Influenza da Covid-19 e impatto sui pazienti con nefropatia: l’esperienza del Centro di Piacenza

Abstract

Roberto Scarpioni e colleghi riportano qui in breve l’esperienza del Centro di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale “Guglielmo da Saliceto” di Piacenza in questo difficile momento, che vede tutti ancora impegnati nella prevenzione e nel fronteggiare una situazione clinica correlata all’infezione da Covid-19, difficile da sostenere. A causa del forte afflusso di pazienti dalla zona rossa del basso lodigiano, a soli 15 Km di distanza, l’Ospedale di Piacenza si è trovato a fronteggiare un’escalation di pazienti con diagnosi di Covid-19. Gli autori descrivono la riorganizzazione del reparto di Nefrologia e i presidi utilizzati per contenere l’infezione tra i pazienti in emodialisi, soprattutto. Riportano anche le informazioni disponibili al 25/03/2020 sui pazienti positivi al virus, e sul tasso di mortalità, purtroppo molto elevato. Lo fanno sperando che sia di utilità per chi non è stato per fortuna ancora travolto dall’infezione come è accaduto in Emilia, Lombardia, Veneto, Marche ed altre zone.

Parole chiave: Covid-19, coronavirus, malattia renale, dialisi, nefrologia, Piacenza, Emilia Romagna

Il 31 dicembre 2019 è stato segnalato un focolaio di episodi di polmonite ad eziologia sconosciuta presso la città cinese di Wuhan; successivamente è stato identificato da ricercatori cinesi (China CDC) l’agente eziologico di questa infezione, un nuovo coronavirus denominato SARS-CoV-2 o Covid-19 [1]. Un mese dopo, il 31 gennaio, sono stati individuati e trattati in Italia i primi pazienti con infezione da Covid-19, due turisti Cinesi dalla città di Wuhan in vacanza a Roma. Il 21 febbraio primo paziente italiano con malattia da Covid-19 è stato ricoverato l’Ospedale di Codogno (Lodi), a soli 15 km di distanza da Piacenza [2]. Nelle settimane successive si è assistito a una crescita esponenziale dei casi di infezione da Covid-19 nel nostro Paese. L’Italia è, in queste ore, il Paese più colpito a livello globale dalla pandemia dopo la Repubblica Popolare Cinese, con 57.521 casi accertati; di questi, più di 8.256 nella sola Emilia Romagna, ove 1.077 pazienti sono deceduti e 721 sono stati dichiarati guariti [3].

Riportiamo qui in breve l’esperienza del Centro di Nefrologia e Dialisi in questo difficile momento, che vede tutti ancora impegnati tanto nella prevenzione che nel fronteggiare una situazione clinica difficile da sostenere. Speriamo che possa essere di utilità in chi, per fortuna, non è ancora stato travolto dall’onda dell’infezione come è accaduto in Emilia e in Lombardia. A causa del forte afflusso di pazienti dalla zona rossa del basso lodigiano, a soli 15 Km da Piacenza, nei giorni seguenti la chiusura dell’Ospedale di Codogno, l’Ospedale di Piacenza si è trovato a fronteggiare un’escalation di pazienti afferenti in pronto soccorso con diagnosi di Covid-19 (vedi Fig. 1).

 

Fig. 1: Accesso al pronto soccorso per polmonite-Covid-19

 

Nei giorni successivi abbiamo assistito a un esponenziale incremento del numero di pazienti nefropatici con infezione da Covid-19, che ci ha imposto di adottare rigide misure per contenere l’infezione tra i nostri pazienti ambulatoriali che accedevano direttamente al Centro per eseguire l’emodialisi. A partire dalla 3a e 4a giornata abbiamo autonomamente adottato delle misure di contenimento del virus sia tra i pazienti che tra il personale sanitario. Alla data odierna (25/03/2020), nessun medico è per fortuna stato trovato positivo, mentre tre infermieri positivi per contatto sono attualmente in isolamento al domicilio, per fortuna in buone condizioni.

I pazienti, accolti prima dell’ingresso in reparto con la misurazione della temperatura corporea, venivano invitati a indossare mascherine, lavarsi le mani con amuchina o soluzione alcolica e sostituire gli abiti e le calzature. Il personale indossava maschere sul volto, visiere e guanti, e disinfettava le sale e gli apparecchi prima di ogni turno [4].

Inizialmente i pazienti in emodialisi cronica sono stati trattati presso i reparti di ricovero con metodiche CRRT (Continuous Renal Replacement Therapy) o con emofiltrazione ad alti volumi (6 L/ora), associate a membrane adsorbenti allo scopo di rimuovere endotossine oltre a citokine infiammatorie (IL-6); una sola infermiera ha gestito contemporaneamente due trattamenti, nella stessa stanza e con trasporti dedicati, al fine di isolare il più possibile l’eventuale contagio. Successivamente, visto che l’incremento del numero di pazienti positivi non ci ha più permesso la gestione in reparto, distante dalle sale dialisi, abbiamo ‘sacrificato’ una sala contumaciale dedicata a pazienti con documentata infezione. In attesa dei tamponi, tutti i pazienti sono stati trattati come potenzialmente infetti da un personale bardato con mascherine, occhiali, guanti e sovracamice. Svuotando le sale del materiale non indispensabile, i posti dialisi sono stati distanziati di almeno 1-1,5 m; tutto il personale è stato obbligato ad utilizzare maschere e cuffie e si sono evitate le riunioni al chiuso. Con non poche difficoltà è stato anche organizzato un percorso dedicato specificatamente per i pazienti Covid positivi, con trasporti dedicati, sanificati a fine trasporto.

Alla data in cui scrivo la triste fotografia dimostra come tanti pazienti nefropatici siano stati colpiti da infezione da Covid-19: 41 pazienti, il 16% dei pazienti in dialisi, di età media 73±11 anni e range 52-90 anni, 31M/10F, tutti di razza caucasica. La diagnosi è stata data dal tampone oro-rino-faringeo, quando disponibile, o dal quadro TAC polmonare (infiltrato interstiziale a vetro smerigliato diffuso con eventuali focolai confluenti). Paradossalmente, la quantità di pazienti contagiati a Piacenza è uguale a quella del Renmin Hospital di Wuhan (16%) [5], anche se vi è un bias dovuto al numero selezionato di tamponi, eseguiti nei primi giorni solo ai pazienti sintomatici.

Tutti i pazienti con insufficienza respiratoria e febbre sono stati trattati empiricamente con 5-OH-clorochina e terapia anti-retro virale, quando ritenuto opportuno dell’infettivologo. Purtroppo, il tasso di mortalità è stato assai elevato nei pazienti nefropatici, anziani e fragili per definizione, spesso con comorbidità associate. Al momento in cui scrivo la metà dei pazienti in emodialisi cronica colpiti dal virus sono deceduti, ben 18/41 (41% mortalità grezza a Piacenza) versus circa 10% dei decessi totali in Italia (3), un prezzo assolutamente inaccettabile e di molto maggiore rispetto ai soggetti non-nefropatici [6].

In merito ai pazienti domiciliari trapiantati (118 in totale) ed a quelli in dialisi peritoneale (34), che sono stati invitati a recarsi in ospedale il meno possibile, abbiamo attivato contatti telefonici pressoché quotidiani da parte dei medici ed infermieri dell’ambulatorio. Al momento contiamo 4 pazienti trapiantati affetti da Covid-19: due sono ricoverato presso il Centro trapianti a Bologna e gli altri due si trovano a domicilio, con stretto monitoraggio clinico anche per le interazioni farmacologiche tra la terapia empirica anti-retrovirale e quella immunomodulatrice (dove somministrata). Fortunatamente solo un paziente in dialisi peritoneale domiciliare è risultato positivo e prosegue la terapia domiciliare sotto stretto monitoraggio.

Ad oggi sono solo 5 i casi di insufficienza renale acuta (IRA) che hanno richiesto trattamento in Rianimazione con CRRT, tuttora in corso per 4 pazienti maschi di età media 60 anni e range 39-71, tutti con comorbidità; la nostra esperienza è in linea coi pochi dati in letteratura che indicano una percentuale di IRA Covid-correlate relativamente scarsa (<3%) [7].

La nostra pesante esperienza legata all’infezione da Covid-19 ci dimostra come le rigide misure di vestizione e precauzioni abbiano verosimilmente consentito di limitare i danni dal contagio, anche in considerazione dell’elevatissimo tasso di mortalità nei pazienti nefropatici. Siamo in attesa di verificare i punti ancora controversi, come il ruolo del blocco dell’enzima di conversione dell’angiotensina in pazienti con Covid-19 quale potenziale ipotetico recettore funzionale del virus [8, 9]. Siamo in attesa di sapere se l’utilizzo su ampie casistiche di farmaci immunomodulatori inibenti IL-6 quali il tocilizumab (usato nell’artrite reumatoide) possano ridurre la progressione dell’insufficienza respiratoria, inibendo la cascata infiammatoria; oppure se altri nuovi farmaci anti-virali, o persino un ipotetico vaccino, possano ridurre l’incidenza di infezione e migliorare la prognosi, ad oggi infausta in circa l’8-10%. Per il momento, tuttavia, dobbiamo puntare soprattutto sulla prevenzione dell’infezione da Covid-19; essa è tanto più imperativa per i nostri pazienti fragili con insufficienza renale ed elevatissimo rischio di mortalità, che sono purtroppo esposti al contagio dovendo venire in Centro tre volte la settimana. L’efficacia dell’isolamento è peraltro dimostrata dallo scarso numero di contagiati tra i pazienti a domicilio.

 

Bibliografia

  1. Zhu N, Zhang D, Wang W, et al. A novel Coronavirus from patients with pneumonia in China, 2019. N Eng J Med 2020; 382(8):727-33. https://doi.org/10.1056/NEJMoa2001017
  2. Carinci F. Covid-19: preparedness, decentralisation, and the hunt for patient zero. BMJ 2020; 368:bmj.m799. https://doi.org/10.1136/bmj.m799
  3. Ministero della Salute (ultimo accesso 25/03/2020).
  4. Center for Disease Control and Prevention. Interim Additional Guidance for Infection Prevention and Control Recommendations for Patients with Suspected or Confirmed COVID-19 in Outpatient Hemodialysis Facilities: (ultimo accesso 15/03/2020).
  5. Naicker S, Yang C-W, Hwang S-J, et al. The Novel Coronavirus 2019 Epidemic and Kidneys. Kidney Int 2020; in press. https://doi.org/10.1016/j.kint.2020.03.001
  6. Xianghong Y, Renhua S, Dechang C. Diagnosis and treatment of COVID-19: acute kidney injury cannot be ignored. Natl Med J China 2020; epub ahead of print. https://doi.org/10.3760/cma.j.cn112137-20200229-00520
  7. Guan W, Ni Z, Yu Hu, Liang W, et al for the China Medical Treatment Expert Group for Covid-19. Clinical Characteristics of Coronavirus Disease 2019 in China. New Engl Journ Med 2020; https://doi.org/10.1056/NEJMoa2002032
  8. Zheng YY, Ma YT, Zhang JY, Xie X. COVID-19 and the cardiovascular System. Nat Rev Cardiol 2020; https://doi.org/10.1038/s41569-020-0360-5
  9. Perico L, Benigni A, Remuzzi G. Should COVID-19 Concern Nephrologists? Why and to What Extent? The Emerging Impasse of Angiotensin Blockade. Nephron. 2020 Mar 23:1-9. https://doi.org/10.1159/000507305

 

Il nefrologo di fronte ai cambiamenti climatici

Abstract

I cambiamenti climatici determinati dalle azioni dell’uomo sono oggetto, negli ultimi anni, di crescente preoccupazione. Tra le specializzazioni mediche, la Nefrologia è quella maggiormente interessata nel porre l’attenzione sugli effetti negativi che i cambiamenti climatici possono determinare sulla salute. I reni giocano infatti un ruolo cruciale nella regolazione del volume ematico così come dell’osmolarità intra- ed extracellulare che consentono lo svolgersi dei fisiologici processi metabolici. Inoltre, il processo di concentrazione urinario minimizza la perdita di fluidi assicurando l’escrezione delle scorie azotate. L’esposizione al calore può concorrere all’insorgenza di insufficienza renale sia acuta che cronica, di alterazioni elettrolitiche, nefrolitiasi, infezioni delle vie urinarie. Il surriscaldamento globale richiede dunque maggiore attenzione da parte della comunità mondiale per assicurare una adeguata idratazione ed evitare l’ipertermia, in particolare nelle popolazioni più vulnerabili. Se, con le nostre attività, abbiamo noi stessi una parte di responsabilità in tali cambiamenti climatici, possiamo ugualmente cogliere l’opportunità di avere un ruolo nel cambiare questa situazione, sia come individui che come componenti della comunità scientifica. Questa esortazione vuole promuovere una maggiore consapevolezza del reciproco rapporto salute-ambiente, la partecipazione a comportamenti ecosostenibili e stimolare la nostra comunità nefrologica a partecipare a questo importante dibattito.

Parole chiave: insufficienza renale, malattia renale, nefropatia, cambiamenti climatici, riscaldamento globale

Introduzione

Negli ultimi decenni il nostro pianeta ha subito importanti cambiamenti climatici, in gran parte dovuti alle attività umane che coprono ormai più dell’80% della sua superficie [1]. Gli elevati livelli di gas serra causati dall’uso dei combustibili fossili, il conseguente aumento delle temperature, l’innalzamento del livello dei mari e le condizioni climatiche estreme, stanno avendo un profondo impatto sulla salute dell’uomo [2]. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2012 vi sono stati 12.6 milioni di morti riconducibili a rischi ambientali, molti dei quali influenzati da fattori climatici [3]. I mutamenti climatici globali, unitamente alle alterazioni degli ecosistemi, minacciano intere popolazioni e richiedono da parte della classe medica una nuova etica, che vada ben oltre quella strettamente basata sul rapporto medico, paziente e società [4]. Com’è noto, l’interesse della medicina per l’ambiente risale all’antichità. Già Ippocrate, nel V-IV secolo a.C., invitava i medici nel suo trattato “Arie Acque Luoghi” a considerare tutti i fattori ambientali, come la qualità del suolo, delle acque e dell’aria, che potessero causare l’insorgenza di malattie [4]. Il trattato è forse l’archetipo di quella investigazione medica che guarda l’ammalato nel suo contesto ambientale e ragiona sulle cause della malattia, stabilendo una relazione tra l’ambiente e la salute dell’uomo. Ancora, nel periodo delle grandi esplorazioni, numerosi erano i consigli medici rivolti a chi doveva navigare in climi tropicali caldo-umidi e doveva proteggersi dalle possibili fatali conseguenze di quei climi [5,6]. Dopo i numerosi allarmi lanciati da esperti del clima, l’accumularsi di evidenze e i dibattiti sulle maggiori riviste scientifiche, la classe medica ha finalmente sviluppato una nuova consapevolezza sui temi ambientali, oggi più che mai al centro di un ampio dibattito politico-economico. Nel 1992 la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo ha prodotto un accordo quadro, ulteriormente sviluppato poi nella conferenza di Kyoto e di Parigi, con lo scopo di impegnare i paesi firmatari ad adottare efficaci politiche di tutela ambientale ed evitare le conseguenze dei cambiamenti climatici [7]. Secondo una stima dell’OMS, più di 100 milioni di persone potrebbero ritrovarsi in condizioni di estrema povertà entro il 2030 a causa di questi fenomeni [8]. Se la temperatura globale è aumentata mediamente di 1° Centigrado, uno degli effetti più devastanti dei mutamenti climatici è tuttavia rappresentato dalle cosiddette ondate di calore associate ad aumento dell’umidità. Si definisce ondata di calore una variazione climatica con temperatura superiore di 5° rispetto alla media delle temperature massime in un dato giorno, della durata di almeno cinque giorni [9].

 

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