Protetto: Platelet-To-Lymphocyte Ratio (PLR) e fistola artero-venosa per emodialisi: un indicatore precoce per identificare il malfunzionamento delle FAV per emodialisi

Abstract

Le linee guida KDOQI (Kidney Disease Outcomes Quality Initiative) raccomandano l’allestimento di una fistola artero-venosa su vasi nativi (FAV) come accesso vascolare di scelta nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica in terapia emodialitica sostitutiva in quanto si associa a una migliore qualità di vita e a minor rischio di complicanze rispetto alle fistole artero-venose protesiche o ai cateteri venosi centrali (CVC). Diversi studi hanno valutato diversi biomarcatori infiammatori per identificare l’eventuale associazione tra infiammazione sistemica e disfunzione degli accessi vascolari per emodialisi. Un nuovo biomarcatore infiammatorio, il platelet-to-lymphocyte ratio (PLR), è un parametro di laboratorio utile e semplice che può evidenziare uno stato di flogosi sistemica. Il nostro studio mirava a valutare la relazione tra le modificazioni del PLR ​​nel tempo e la disfunzione delle FAV per emodialisi nei pazienti afferenti al nostro centro. L’impatto del PLR sulle complicanze stenotiche/trombotiche mostrava un trend che si avvicinava alla significatività, ma con un valore dello slope non lineare (OR: 4,9; 95%IC: [0,84-28,5]; p = 0,08). Pertanto, abbiamo eseguito la stessa analisi suddividendo i pazienti in base al valore PLR ​​mediano e abbiamo evidenziato una relazione significativa tra il nostro outcome e il PLR (log trasformato) con valori di PLR ​​inferiori al valore mediano (OR: 9,97; 95%IC: [2,53-39,25], p = 0,001). Inoltre, nei pazienti con PLR superiore al valore mediano, l’interazione visita-PLR ha mostrato un impatto vicino alla significatività statistica (OR: 7,7; 95%IC: [0,81-72,97]; p = 0,07). Il PLR (log trasformato) era correlato positivamente con l’età della FAV (Rho: 0,254, p = 0,002).

Parole chaive: FAV, fistola artero-venosa per emodialisi, danno renale cronico, emodialisi, rapporto piastrine-linfociti, complicanze steno-trombotiche

Il contenuto è protetto da password. Per visualizzarlo inserisci di seguito la password:

Protetto: Assessment of Hemodialysis Adequacy by Online Clearance Monitoring

Abstract

Measuring the uremic solute clearance is an important factor in analyzing the adequacy of maintenance hemodialysis (MHD) therapy. Conventionally hemodialysis (HD) adequacy was measured by urea removal through the Daugirdas single pool kt/V (spKt/V) formula. We aimed in our study to correlate online clearance monitoring (OCM) spKt/V to the Urea Reduction Ratio (URR) and Daugirdas spKt/V in maintenance hemodialysis patients. This single-center cross-sectional study, conducted at the hemodialysis unit in the nephrology department of SRM Medical College Hospital and Research Center, involved 100 participants undergoing maintenance hemodialysis (MHD) therapy for 200 sessions. The OCM with URR and Daugirdas spKt/V values were obtained from each session and the results were analyzed using SPSS software with p <0.05 significance. In the results, we found that the OCM spKt/V, Daugirdas spKt/V, and URR showed positive correlations. These results emphasize that OCM can be an alternative method to assess dialysis adequacy for every session without the need for repeated blood sampling.

Keywords: Hemodialysis, Adequacy, Online clearance monitoring, spKt/V

Il contenuto è protetto da password. Per visualizzarlo inserisci di seguito la password:

I programmi educativi nell’emodialisi domiciliare: scoping review

Abstract

Introduzione. L’emodialisi domiciliare rappresenta una scelta terapeutica efficace nei pazienti con malattia renale cronica. La gestione della stessa, come evidenziato in letteratura, richiede una buona capacità di self-care del paziente e di un adeguato contributo al self-care relativo al caregiver. Pertanto, la strutturazione di programmi educativi riveste un ruolo fondamentale per la presa in carico del paziente.
Scopo. Lo scopo del presente studio è quello di mappare i programmi educativi rivolti al caregiver e al paziente sottoposto a trattamento emodialitico domiciliare, al fine di definire le lacune in letteratura rispetto a tale focus.
Metodi. È stata condotta una Scoping Review, secondo le linee guida della Joanna Briggs Institute. Gli articoli potenzialmente rilevanti sono stati identificati in seguito ad un processo di selezione sui principali database (PubMed, Scopus, CINAHL, EMBASE, Web of Science e Google Scholar), non adottando alcun limite temporale.
Risultati. I programmi educativi presenti in letteratura per il paziente in emodialisi domiciliare si concentrano su focus sia di natura clinica che psicologica; la formazione mediante un approccio “pratico” rappresenta la strategia di più alto impiego.
Discussione e conclusioni. La review sottolinea il ruolo cruciale che un approccio educativo multidisciplinare e multidimensionale può fornire al paziente in emodialisi domiciliare. È necessario ottimizzare le strategie educative nei confronti di questa popolazione al fine di un miglioramento degli esiti sui pazienti.

Parole chiave: infermieristica domiciliare, infermieristica in nefrologia, emodialisi, self-care, dialisi

Introduzione

La malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease – CKD) è una patologia cronica con andamento progressivo definita dalle linee guida “Kidney disease improving global outcome” (KDIGO) come “un’anomalia della struttura o della funzione renale, presenti per 3 mesi, con implicazioni per la salute” (KDIGO 2024) [1]. Nell’ambito della gestione della malattia renale cronica vengono definite diverse strategie terapeutiche partendo dall’approccio conservativo fino ad arrivare al trattamento renale sostitutivo o al trapianto [2]. Il trattamento renale sostitutivo è rappresentato dalla dialisi, un procedimento fisico che mediante la presenza di una membrana semipermeabile e una soluzione di lavaggio, detta dializzato, determina l’eliminazione delle sostanze tossiche dall’organismo [3]. Attualmente sono disponibili due metodiche di svolgimento della dialisi, ovvero l’emodialisi e la dialisi peritoneale domiciliare [4]. Nonostante l’emodialisi in centro comporti diversi vantaggi, tra cui l’assistenza diretta e un gruppo multidisciplinare a completa disposizione che fornisce supporto, l’elevata frequenza delle sedute in ospedale può determinare un impatto notevole sulla qualità di vita del paziente [5]; pertanto l’emodialisi domiciliare rappresenta una valida alternativa. La letteratura definisce che, negli ultimi anni i tassi di ospedalizzazione e mortalità̀ dei pazienti gestiti in emodialisi in struttura risultano elevati rispetto ai dati provenienti dai pazienti gestiti in emodialisi domiciliare [6]. Il trattamento emodialitico domiciliare presenta diversi benefici in quanto mantiene l’autonomia del paziente e diminuisce il rischio di contrarre infezioni ospedaliere [7]; tuttavia, esistono dei fattori ostacolanti l’inizio di tale trattamento che possono essere di varia natura [7]: tecnica, legate alla difficoltà di gestione della fistola; psicosociale, legata a sentimenti di paura del paziente e della famiglia; clinica, legata alle complicanze relative alla malattia e al trattamento. Questi rischi possono essere ridotti da un appropriato processo di preparazione e educazione del paziente e del caregiver [7]. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

La collagenosi perforante reattiva nel paziente emodializzato

Abstract

Il prurito associato alla malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease-associated Pruritus, CKD-aP) nell’emodialisi affligge circa il 38% dei nostri pazienti. Esso non è associato ad alcuna lesione dermatologica se non le comuni lesioni da grattamento, conseguenza dello stesso sintomo. Le cause associate al prurito sono state studiate in diverse trattazioni. Tuttavia, esiste una condizione relativamente rara che coinvolge il 10% dei pazienti emodializzati ovvero la collagenosi perforante reattiva. Questa è una condizione patologica secondaria alla terapia emodialitica cronica, dove si sviluppa un prurito diffuso associato ad una peculiare dermatosi reattiva con perforazione del derma e sviluppo di soluzioni di continuità dermo-epidermiche con estrusione di componenti della matrice dermica. In questo lavoro riporteremo una nostra esperienza con un caso diagnosticato di tale condizione.

Parole chiave: prurito, malattia renale cronica, dermatosi perforante, collagenosi perforante reattiva, emodialisi, emodiafiltrazione con reinfusione endogena

Epidemiologia e patogenesi del CKD-aP

Il prurito associato alla malattia renale cronica (CKD-aP) è definito come una sintomatologia pruriginosa direttamente correlata alla malattia renale cronica, non causato da altre eventuali condizioni patologiche concomitanti. Il CKD-aP possiede un’elevata variabilità clinica, rendendo la sua diagnosi difficoltosa. La severità di questa condizione può essere tale da compromettere notevolmente lo stile di vita dei pazienti affetti. Il sintomo potrà essere intermittente o persistente [1]. Questa è una caratteristica dei pazienti con Malattia renale cronica end-stage (ESRD) e tende a manifestarsi nei pazienti sia in terapia conservativa, indicando la progressiva necessità di ricorrere ad un trattamento sostitutivo, sia in terapia sostitutiva, legata ad una ridotta efficienza dialitica. Tuttavia, la persistenza del sintomo, nonostante il potenziamento della capacità depurativa dei trattamenti sostitutivi in alcuni pazienti, ha dimostrato la presenza di meccanismi patogenetici peculiari, determinati dalle alterazioni fisiopatologiche della malattia renale cronica.

In considerazione della vasta eterogeneità della sintomatologia pruriginosa e del mancato riferimento del sintomo da parte dei pazienti, l’epidemiologia del CKD-aP è in corso di definizione ed in costante aggiornamento.

Nei pazienti in terapia conservativa è stata valutata la prevalenza di tale condizione tramite uno studio osservazionale internazionale, il CKDopps (Chronic Kidney Disease  Outcomes and Practice Patterns Study), con un arruolamento di circa 3780 pazienti con malattia renale cronica (G3-G4-G5),  e successiva valutazione del sintomo tramite questionari multidimensionali autosomministrati per la valutazione della qualità di vita nella CKD, con riscontro di una prevalenza complessiva del 24% per pazienti affetti da prurito ad intensità moderata-severa, maggiormente presente nei pazienti con malattia renale cronica G5 [2-4]. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

La trombosi del catetere venoso centrale tunnellizzato per emodialisi: dalla patogenesi alle strategie terapeutiche

Abstract

La trombosi del catetere venoso centrale (CVC) è una complicanza non infettiva generalmente associata a malfunzionamento e inadeguatezza dialitica. I CVC si suddividono in non tunnellizzati e tunnellizzati, la cui scelta dipende dalle condizioni cliniche del paziente e dall’iter diagnostico-terapeutico intrapreso. Il nefrologo si avvale del CVC tunnellizzato (tCVC) qualora sia controindicato allestire una fistola arterovenosa o come accesso primario nei pazienti con prognosi infausta a breve termine.
La disfunzione del CVC è definita dall’incapacità di mantenere un adeguato flusso ematico nel corso della seduta emodialitica prescritta.
Tra le complicanze non infettive determinanti il malfunzionamento del tCVC, la trombosi è la più frequente e si classifica in forme trombotiche intrinseche (trombosi endoluminale, pericatetere o associata a fibrin sleeve) ed estrinseche (trombosi murale o atriale).
L’iter diagnostico richiede esami strumentali quali radiografia torace/addome, cateterografia, ecocardiografia e tomografia computerizzata. La terapia farmacologica include l’utilizzo di farmaci trombolitici locali, e, in caso di trombosi estrinseca, anticoagulazione sistemica, eventualmente associata alla sostituzione del tCVC.
La prevenzione di complicanze trombotiche si basa sull’appropriato posizionamento ed utilizzo del tCVC, dove l’impiego di locking solution con proprietà anticoagulanti e/o antimicrobiche svolge un ruolo cruciale. In caso di trombosi estrinseca, a seconda delle dimensioni del trombo, è possibile optare per un approccio conservativo con anticoagulazione sistemica, oppure chirurgico mediante trombectomia o tromboaspirazione ed eventuale rimozione del tCVC.
In conclusione, la disfunzione tardiva del tCVC è principalmente causata da trombosi, con diagnosi e terapia che richiedono esami strumentali e farmaci specifici. La prevenzione è fondamentale per limitare le complicanze.

Parole chiave: Catetere venoso centrale, trombosi, accessi vascolari, emodialisi

Introduzione

La trombosi del catetere venoso centrale (CVC), insieme alla stenosi venosa e alla disfunzione meccanica, rientra tra le complicanze non infettive, il più delle volte tardive, del CVC ed è associata a malfunzionamento, bassi flussi ematici e inadeguatezza dialitica [1]. Si tratta di una complicanza tra le più frequenti nella comune pratica clinica di emodialisi. Pertanto, compito essenziale del team degli accessi vascolari è quello di prevenire, riconoscere e trattare tempestivamente le cause del malfunzionamento, in particolare la trombosi del CVC, spesso associata ad eventi fatali. Il nefrologo utilizza due tipologie di CVC: i non tunnellizzati (ntCVC), detti anche cateteri temporanei, non cuffiati, il cui utilizzo è limitato a un massimo di 15 giorni dal posizionamento e i cateteri tunnellizzati (tCVC), cuffiati, adatti a un uso più prolungato in assenza di accessi vascolari alternativi. La scelta del tipo di catetere è determinata dalle condizioni cliniche generali del paziente e dalla valutazione prognostica effettuata in prima istanza. Generalmente, si ricorre al tCVC come accesso vascolare (AV) di scelta qualora non vi sia un patrimonio vascolare adeguato all’allestimento di una fistola arterovenosa (FAV) nativa o protesica, oppure come prima opzione in presenza di controindicazioni al confezionamento di un AV alternativo (e.g. scompenso cardiaco di grado severo) o nei casi in cui l’aspettativa di vita sia inferiore a un anno. Il ntCVC, invece, viene prevalentemente utilizzato nell’ambito del trattamento dell’insufficienza renale acuta, nei pazienti late referral in caso di urgenza all’avvio a terapia dialitica o, per brevi periodi, come bridge in attesa della maturazione dell’AV definitivo. Occorre ricordare che, come suggerito dalle linee guida KDOQI, i ntCVC devono essere tenuti in situ per un periodo di tempo non superiore alle due settimane a causa dell’elevato rischio di infezioni, specialmente se posizionati in vena femorale e in soggetti obesi [2]. In questa Review metteremo a fuoco gli aspetti patogenetici, clinici e terapeutici peculiari della trombosi correlata al tCVC per emodialisi. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Metodiche convettive verso metodiche diffusive: superiorità definita?

Abstract

La tecnica di dialisi ha avuto negli ultimi cinquanta anni delle enormi evoluzioni, passando da una fase iniziale prettamente basata sulla diffusione attraverso una membrana semipermeabile, per arrivare ad ora, dove si preferisce una convezione spinta, con rimozione di diversi litri di ultrafiltrato. La dialisi diffusiva, nella sua relativa semplicità di esecuzione ha permesso di trattare diversi milioni di individui con ESRD, assicurando loro anche un a certa qualità di vita, però non viene vista come ottimale nei riguardi della sopravvivenza ed anche per alcune complicanze proprie dello stato uremico. La convezione, attraverso la rimozione di sostanze tossiche sfruttando il solvent drug, ha aperto alla depurazione non solo di piccole molecole, ma anche di molecole a medio-alto peso molecolare. Come risultato si è avuto con le tecniche di emodiafiltrazione  un riflesso migliorativo nei riguardi sia della mortalità e anche delle complicanze intradialitiche come i crampi e l’ipotensione intradialitica. Questi risultati però passano attraverso uno scambio di liquidi che va decisamente oltre i 20 litri per seduta, e quindi con maggiore complessità tecnica e non applicabilità a tutti i pazienti, in particolare a quelli con problematiche dell’accesso vascolare. La recente scoperta di membrane così dette a medio cut-off (MCO) sembra poter mantenere i vantaggi delle tecniche emodiafiltrative senza la necessità di elevati flussi convettivi. Pertanto la diatriba tra convezione e diffusione sembra tutt’altro che chiusa e ci riserverà ancora sorprese in un prossimo futuro.

Parole chiave: diffusione, convezione, emodialisi, emodiafiltrazione, membrane a medio cut-off

Introduzione

La diatriba sulla superiorità di una tecnica dialitica rispetto ad un’altra nei riguardi della depurazione renale, nasce sin dai primi anni di applicazione della dialisi cronica a pazienti con ESRD. Nel 1965, Beldin Scribner [1] osservò che i pazienti sottoposti a dialisi peritoneale, nonostante avessero livelli più elevati di urea e creatinina rispetto ai pazienti in emodialisi, spesso “si sentivano meglio” ed avevano una neuropatia più sopportabile. Scribner ipotizzò che il peritoneo fosse più permeabile alle molecole di peso molecolare più elevato rispetto all’emodialisi e quindi ne favorisse la rimozione. Nacque allora l’ipotesi che, nell’uremia si accumulavano anche molecole di medio peso molecolare, le così dette “medie molecole” con un impatto sulla fisiopatologia dell’uremia. A causa delle loro dimensioni, queste molecole venivano rimosse più lentamente dell’urea e le membrane cellulosiche, in uso all’epoca, mostravano un’elevata resistenza diffusiva alle medie molecole. Di conseguenza, per purificare l’organismo da queste tossine era necessario un numero minimo di ore di dialisi a settimana, non inferiore alle 30 ore settimanali. Negli anni successivi con l’introduzione di nuove membrane di sintesi, al di là delle cellulosiche, il concetto della sola durata, è stato sostituito da ipotesi meccanicistiche che si basavano sulla dose di dialisi ricavata dall’indice KT/Vurea proposto da Gotch e Sargent [2].

Il Kt/V è un rapporto adimensionale che si basa sulla valutazione della clearance dell’urea, del tempo di trattamento e del volume dell’acqua corporea totale. Per anni questo indice con un valore di cut-off ottimale sull’ordine di 1,2-1,4 è stato considerato espressione di adeguatezza dialitica. In realtà si è sempre trascurato che il Kt/V riguardava solo l’urea e quindi una molecola di basso peso molecolare, dimenticandosi dell’insegnamento di un padre della dialisi come Beldin Scribner che aveva posto l’accento sulla importanza delle medie molecole.

Solo negli anni ’80 con lo sviluppo delle membrane semi-permeabili, la convezione è stata riconosciuta come un processo potenzialmente vantaggioso per la rimozione di soluti di dimensioni maggiori rispetto a quelli che possono essere eliminati attraverso la sola diffusione. La dialisi convettiva, in particolare l’emofiltrazione (HF), venne utilizzata in ambito clinico con sistemi pionieristici che permettevano la rimozione di grandi quantità di acqua corporea e la sua sostituzione con un liquido sterile reinfuso attraverso un circuito addizionale [3].

Negli anni ’90, la tecnologia delle macchine per dialisi progredisce velocemente, permettendo una migliore gestione dei volumi di ultrafiltrazione ed una efficiente diffusione. Nasce l’emodiafiltrazione (HDF), tecnica mista convettivo-diffusiva, che negli anni 2000 si diffonde in tutto il mondo dialitico affiancandosi alla HD tradizionale.

Da allora si continua a discutere se sia preferibile la diffusione o la convezione o anche la combinazione delle due, in termini di depurazione, effetti collaterali e benefici del paziente.

 

Le tecniche di dialisi diffusive

Le tecniche diffusive che comprendono anche la dialisi peritoneale che sfrutta la membrana peritoneale (e quindi non è una tecnica extra-corporea), hanno alcuni vantaggi:

  • Efficienza nella rimozione delle piccole molecole: eccellente per eliminare urea, creatinina e altre piccole tossine. La peritoneale inoltre permette di rimuovere una certa quota di medie molecole
  • A concentrazioni più alte di piccole molecole aumenta il gradiente con il liquido di dialisi e quindi l’efficienza della tecnica
  • Le caratteristiche della membrana, in particolare la porosità, influenzano i trasporti diffusivi
  • Tecnologia ben consolidata ampiamente disponibile e supportata da una vasta esperienza clinica
  • Flessibilità nelle opzioni: possibilità di scegliere tra emodialisi e dialisi peritoneale in base alle esigenze del paziente

Accanto ai vantaggi vi sono anche alcune limitazioni:

  • Tempo e Frequenza: le sessioni di emodialisi richiedono diverse ore e devono essere effettuate più volte alla settimana
  • La peritoneale richiede lunghi scambi e ultrafiltrazione non eccessiva
  • Tolleranza cardio-vascolare in emodialisi: non ottimale, tanto che spesso le sedute, in particolare nei pazienti fragili, sono gravate da episodi ipotensivi
  • Meno efficace per la rimozione di molecole più grandi: la diffusione è meno efficace nel rimuovere tossine di dimensioni maggiori e legate alle proteine.

La dialisi diffusiva, detta anche tradizionale, pur con questi limiti ha permesso, a milioni di persone di vivere con una discreta qualità di vita, anche in assenza di funzione renale. Nell’emodialisi diffusiva (HD), i dati degli studi clinici supportano che il raggiungimento di valori Kt/V dell’urea in single pool (non equilibrato) superiori a 1,2 possono essere sufficienti per una larga schiera di pazienti [4]. Il valore soglia maggiore di 1,2 del Kt/V può essere ottenuto aumentando le dimensioni del dializzatore o la velocità del flusso sangue. Per aumentare la Kurea, si può anche allungare la durata della sessione di dialisi (ovvero, aumento del tempo di trattamento, la t nell’indice Kt/V).

Sulla base di diversi studi clinici, è opinione diffusa che un tempo di trattamento più lungo delle classiche 4 ore per seduta, conferisca benefici clinici che vanno oltre Kt/Vurea, inclusa l’eliminazione delle tossine sostanzialmente più grandi dell’urea (le cosiddette molecole medie) e una adeguata rimozione del volume di fluido target (raggiungimento del peso secco) riducendo al contempo l’instabilità emodinamica.  I dati osservazionali indicano che un tempo di trattamento più lungo è associato a una sopravvivenza più lunga, a una migliore gestione dei liquidi corporei, a un migliore controllo della pressione sanguigna, a un migliore controllo del fosforo e a meno eventi cardiovascolari gravi rispetto a sessioni di dialisi più brevi [5]. In questo contesto, il tempo medio di trattamento dialitico nei pazienti che ricevono dialisi in centro tre volte alla settimana è ora di 4 ore (per un totale di 12 ore settimana) [6]. In alcuni paesi come il Giappone nel 2008 e in Germania nel 2009, le sessioni di dialisi sono tra le più lunghe dei paesi DOPPS [6]. Al contrario negli Stati Uniti le misurazioni delle prestazioni non sono legate alla durata della sessione, ma piuttosto al Kt/Vurea  che viene raggiunto. Per questo sono favorite sessioni dialisi brevi, con flussi sangue elevati e dializzatori di ampia superficie. Sessioni di dialisi più brevi offrono molti vantaggi operativi ed incrementi del flusso di pazienti su tre turni giornalieri, a scapito però di una maggiore incidenza di effetti collaterali come l’ipotensione intradialitica (IDH) ed i crampi. Le linee guida giapponesi [6] sottolineano l’importanza di una dialisi più lunga e più “morbida” (con flussi sangue ed ultrafiltrazioni orarie ridotti), al fine di garantire al meglio la stabilità emodinamica, nonostante una maggiore probabilità di avere valori di Kt/Vurea inferiori a 1,2.

Resta a tutt’oggi l’incertezza sulla durata ottimale della sessione di dialisi e sui parametri di adeguatezza e sulla gestione del volume dei liquidi e dell’ultrafiltrazione oraria. Tematiche che però non si fermano alla dialisi diffusiva e che sono presenti anche nelle tecniche di tipo convettivo.

 

Le tecniche di dialisi convettive

Nonostante gli indubbi vantaggi dell’emodialisi tradizionale, sia la mortalità che la morbilità rimangono inaccettabilmente elevate nei pazienti in emodialisi (HD) [7]. La ritenzione di molecole tossiche di peso molecolare medio (5–40 kDa) e di molecole legate alle proteine è chiamata in causa nella patogenesi della sindrome uremica e nella precoce mortalità in dialisi cronica [8]. Per questo negli anni 2000 vi è stata un grande attenzione verso le dialisi ad alto flusso che potrebbero favorire la rimozione di medie molecole. Tuttavia, nessuno dei due grandi studi, l’HEMO study [9] e l’MPO [10], hanno dimostrato un chiaro vantaggio delle membrane ad alto flusso rispetto a quelle a basso flusso. Entrambi gli studi hanno però suggerito che era preferibile incrementare i flussi convettivi per accrescere la rimozione di molecole di grosse dimensioni (Figura 1). Di qua la maggiore diffusione delle tecniche convettive.

Nelle tecniche convettive:

  • La drive force principale non è il gradiente di concentrazione ma la differenza di pressione trai due lati della membrana
  • Il maggior fattore di impatto nel trasporto lo hanno le dimensioni delle molecole nei riguardi dei pori della membrana
  • Importante è il coefficiente di sieving della membrana che per l’acqua è pari a 1
  • Il coefficiente di sieving influenza sia il passaggio di acqua che quello dei soluti

La tecnologia delle membrane insieme all’evoluzione delle macchine da dialisi ed accanto ad una buona dose di inventiva dei nefrologi, in particolare degli italiani, ha permesso lo sviluppo negli ultimi anni di numerose tecniche di tipo misto convettivo-diffusivo (Figura 2).

Tra le tante tecniche di tipo misto, quella che più si è affermata e diffusa è la HDF. In HDF la diffusione, che è il principale meccanismo di rimozione in emodialisi a basso flusso, è combinata con la convezione. Considerando che la quantità stimata di trasporto convettivo durante l’HD ad alto flusso è <10 litri/sessione, nell’HDF in post-diluizione, possono essere 25 litri o più, i litri scambiati. Accanto alla HDF, per un certo periodo, ha preso piede una tecnica convettiva pura e cioè l’HF proposta da Lee Henderson [3] e che si basa esclusivamente sui trasporti convettivi senza diffusione. L’HF ha uno scarso impatto depurativo per le piccole molecole come l’urea, mentre privilegia le medie e le grandi molecole. Utilizzando questa tecnica, in pre-diluzione con scambi del 120% del peso corporeo e per sfatare il mito del KT/Vurea riguardo alla mortalità nei pazienti in dialisi cronica, noi abbiamo realizzato uno studio policentrico randomizzato a due bracci tra HD tradizionale ed HF in pre-diluizione [11]. Partecipavano allo studio pazienti con alto grado di mortalità (indice di Charlson > 6) e veniva valutata la mortalità a tre anni come obiettivo primario. A fine studio si è riscontrato un miglioramento significativo della sopravvivenza con HF rispetto a HD (78%, HF contro 57%, HD). Il Kt/V di fine trattamento era significativamente più alto con HD (1,42 ± 0,06 contro 1,07 ± 0,06 con HF), mentre i livelli di beta(2)-microglobulina sono rimasti costanti nei pazienti HD (33,90 ± 2,94 mg/dL al basale e 36,90 ± 5,06 mg/dL a 3 anni), ma sono diminuiti significativamente nei pazienti in HF (30,02 ± 3,54 mg/dL al basale contro 23,9 ± 1,77 mg/dL; p < 0,05). In pratica lo studio dimostrava che nell’influenzare la mortalità era meno rilevante il KT/Vurea rispetto alla riduzione di medie molecole rappresentate dalla beta2-microglobilina. Quindi una ulteriore prova del minor valore prognostico nel rischio di morte, della rimozione dell’urea rispetto a quella delle medie molecole.

L’HF però è più complicata della HDF e, alla lunga, penalizza molto la rimozione delle piccole molecole, che un certo impatto lo hanno sulla sindrome uremica.  Negli ultimi anni due studi randomizzati controllati con disegno molto simile, lo studio CONTRAST [12] e lo studio turco OL-HDF [13], non hanno trovato una differenza significativa tra HDF post-diluizione e HD. Tuttavia, le analisi post hoc di entrambi gli studi, hanno evidenziato rischi di mortalità più bassi nei pazienti con i volumi di convezione più elevati per sessione (in media >22,0 litri nel CONTRAST e >19,7 litri nello studio turco.

Un terzo grande studio randomizzato e controllato ESHOL [14] ha dimostrato che il rischio di mortalità complessivo nei pazienti con HDF era inferiore del 30% rispetto ai pazienti con HD. In questo studio, il volume medio di convezione era di 23,7 litri. Una sotto-analisi dello studio ESHOL ha confermato la relazione tra convezione (volume) e rischio di mortalità. Nel complesso, questi risultati supportano il concetto di una relazione dose-risposta tra volume di convezione e sopravvivenza.  In realtà il volume convettivo non va visto come una grandezza assoluta (con un cut-off di 23 litri), ma andrebbe messo in relazione con la superficie corporea del paziente e con il suo peso corporeo [15].

Nel 2023 viene pubblicato sul New England Journal Medicine lo studio CONVINCE [16], studio multinazionale, randomizzato e controllato che ha coinvolto pazienti con insufficienza renale sottoposti a emodialisi ad alto flusso da almeno 3 mesi. Tutti i pazienti sono stati considerati candidati per un volume di convezione di almeno 23 litri per sessione e hanno mantenuto questi volumi di scambio per tutta la durata dello studio. Ogni paziente veniva assegnato a ricevere HDF ad alte dosi o continuare la terapia HD convenzionale ad alto flusso. L’outcome primario era la morte per qualsiasi causa. Un totale di 1.360 pazienti è stato sottoposto a randomizzazione: 683 a ricevere HDF ad alte dosi e 677 per ricevere emodialisi ad alto flusso. Il follow-up mediano è stato di 30 mesi.  La morte per qualsiasi causa si è verificata in 118 pazienti (17,3%) nel gruppo HDF e in 148 pazienti (21,9%) nel gruppo HD (rapporto di rischio: 0,77; confidenza al 95%, intervallo, da 0,65 a 0,93.

Le conclusioni dello studio sono state molto laconiche: nei pazienti con insufficienza renale, che richiedono terapia sostitutiva renale, l’uso di HDF ad alte dosi ha comportato un rischio inferiore di morte per qualsiasi causa rispetto alla HD convenzionale ad alto flusso.

Tuttavia, andando a guardare nelle pieghe dello studio si scopre che tra i pazienti del gruppo HDF, il vantaggio assoluto di sopravvivenza sembrerebbe riguardare i pazienti più giovani, che non avevano il diabete o problemi cardiovascolari rilevanti. Quindi la superiorità della HDF in termini di mortalità andrebbe circostanziata a determinate categorie di pazienti.

L’HDF a parte un vantaggio diretto sulla mortalità ha anche una superiorità nei riguardi della HD su uno degli effetti collaterali della dialisi extracorporea, la ipotensione intradialitica (IHD), che, a sua volta è un importante determinante della sopravvivenza in dialisi. Diversi studi, tra cui il FRENCHIE study, confrontando la tolleranza cardio-vascolare in HDF ed in HD, hanno dimostrato una significativa ridotta incidenza di IDH e di crampi in 11.981 sessioni di HDF [17]. Quindi migliore tolleranza cardiovascolare in HDF e di conseguenza ci sarebbe da aspettarsi una ridotta mortalità nel lungo periodo per il forte legame che esiste tra IDH e mortalità.

Mettendo insieme tutti questi dati sarebbe lecito affermare che la partita tra diffusione e convezione, la ha largamente vinta la convezione associata alla diffusione.

In realtà, negli ultimi anni sono state sviluppate membrane permeabili alle medie molecole, le così dette membrane a medio cut-off, che hanno riproposto il tema della diffusione semplice in HD.

 

La diffusione con le membrane a medio cut-off (MCO)

Recentemente, grazie ai processi ottimizzati di formazione delle membrane e all’uso simultaneo di additivi particolari, sono state generate membrane di dialisi con nuove caratteristiche di profilo diffusivo e proprietà di separazione. Le nuove membrane per dialisi hanno un’eccellente selettività e gradualità nella separazione delle molecole, rispetto a quelle polimeriche classiche. Ora si è giunti ad una classe di membrane, le così dette MCO, che hanno capacità di rimozione di molecole di larghe dimensioni comparabili a quelle della HDF, però con il vantaggio di una rimozione ridotta e controllata di albumina [18]. Si è quindi configurata una tecnica di dialisi definita Expanded Hemodialysis (HDx) che dovrebbe esporre a minori rischi i pazienti con denutrizione proteico-calorica, che possono soffrire elevate perdite di albumina. Inoltre, le membrane MCO possono essere utilizzate anche con flussi di sangue non così elevati come richiesto dalle tecniche convettive.

Quindi la diatriba tra convezione e diffusione si è recentemente riaperta e non possiamo dare per certo la superiorità della convezione come sembrava sino a qualche anno fa.

Va però detto che la HDF, sia pure con qualche distinguo, ha dimostrato, in studi randomizzati e controllati di vaste dimensioni, un certo grado di superiorità, almeno per quel che riguarda il rischio di morte e di IDH, rispetto alla HD [16, 17]. Le membrane MCO pur avendo mostrato eccellenti capacità di rimozione delle medie molecole, devono ancora validare, in studi RCT, una loro superiorità riguardo gli hard endpoint clinici come la mortalità. Molto recentemente in Spagna è stato iniziato lo studio MOTHER [19], che confronta l’HDF con una membrana MCO nei riguardi della mortalità e morbilità in un ampio gruppo (700) di pazienti in dialisi cronica.

I risultati preliminari di questo studio supportano il dato che l’HDx non è inferiore a OL-HDF nel ridurre l’esito di mortalità per tutte le cause. Naturalmente dovremo attendere i risultati definitivi di questo studio [19], come anche di altri studi RCT, che affrontino lo stesso tema, per capire il reale valore di queste nuove metodiche nel panorama delle tecniche dialitiche, che vedono come protagonisti, la diffusione e la convezione.

Figura 1. Rimozione di molecole a diverso peso molecolare a seconda della tecnica dialitica ( membrana) e della entità del flusso convettivo.
Figura 1. Rimozione di molecole a diverso peso molecolare a seconda della tecnica dialitica ( membrana) e della entità del flusso convettivo.
Figura 2. Evoluzione nel tempo delle tecniche emodiafiltrative , partendo dalla biofiltrazione ad arrivando alla emodiafiltrazione on-line con almeno 23 litri di liquido di scambio.
Figura 2. Evoluzione nel tempo delle tecniche emodiafiltrative , partendo dalla biofiltrazione ad arrivando alla emodiafiltrazione on-line con almeno 23 litri di liquido di scambio.
Curve di sopravvivenza riguardanti pazienti con alto grado di co-morbidità
Figura 3. Curve di sopravvivenza riguardanti pazienti con alto grado di co-morbidità e trattati per 36 mesi o con emodialisi classica low-flux o con emofiltrazione in pre-diluizione ( con scambio di liquido di sostituzione del 120% del peso corporeo). Significativa differenza in mortalità, nonostante in emodialisi sia stato mantenuto un alto KT/V di circa 1,42 contro un basso Kt/V di 1,07 in emofiltrazione. I livelli di beta2 microglobulina sono però significativamente ridotti in emofiltrazione, mentre restano elevati e non si modificano in emodialisi. ( voce bibliografica n.11)

 

Bibliografia

  1. Oxford Academic – “Belding Scribner and the Development of Hemodialysis”URL: Oxford Academic (Oxford Academic) 1965.
  2. Gotch FA, Sargent JA.A mechanistic analysis of the National Cooperative Dialysis Study (NCDS).Kidney Int. 1985 Sep;28(3):526-34.
  3. Henderson LW. The beginning of clinical hemofiltration: a personal account.ASAIO J. 2003 Sep-Oct;49(5):513-7
  4. Clinical practice guidelines for hemodialysis adequacy 2006
  5. Nauman Q.Mortality and Duration of Hemodialysis Treatment. JAMA. 1991;265(22):2958
  6. Robinson et al. Factors affecting outcomes in patients reaching end-stage kidney disease worldwide: differences in access to renal replacement therapy, modality use, and haemodialysis practices. Lancet. 2016 July 16; 388(10041): 294–306.
  7. Bello AK et al. Epidemiology of haemodialysis outcomes. Nat Rev Nephrol. 2022; 18(6): 378–395.
  8. Mitchell H et al. Classification of Uremic Toxins and Their Role in Kidney Diseases. CJASN 2021;16:1918-1928
  9. Eknoyan A. et al. Effect of Dialysis Dose and Membrane Flux in Maintenance Hemodialysis. N Engl J Med 2002;347:2010-2019.
  10. Locatelli F. et al. Effect of membrane permeability on survival in dialysis patients. J Am Soc Nephrol. Marzo 2009; 20(3): 645–654
  11. Santoro A. et al. The effect of on-line high-flux hemofiltration versus low-flux hemodialysis on mortality in chronic kidney failure: a small randomized controlled trial. Am J Kidney Dis 2008 Sep;52(3):507-18
  12. Grooteman MP et al. Effect of online hemodiafiltration on all-cause mortality and cardiovascular outcomes. J Am Soc Nephrol 2012; 23: 1087–1096.
  13. Ok E et al. Mortality and cardiovascular events in online haemodiafiltration (OL-HDF) compared with highflux dialysis: results from the Turkish OLHDF Study. Nephrol Dial Transplant 2013;28: 192–202.
  14. Maduell F et al. High efficiency postdilution online hemodiafiltration reduces all-cause mortality in hemodialysis patients. J Am Soc Nephrol 2013; 24: 487–497.
  15. Davenport A. et al. Dialysis and Patient Factors Which Determine Convective Volume Exchange in Patients Treated by Postdilution Online Hemodiafiltration. Artif Organs 2016 Dec;40(12):1121-1127.
  16. Blankestijn PJ et al. Effect of Hemodiafiltration or Hemodialysis on Mortality in Kidney Failure. N Engl J Med 2023;389:700-709
  17. Marion M. et al . Treatment tolerance and patient-reported outcomes favor online hemodiafiltration compared to high-flux hemodialysis in the elderly. Kidney International 2017; 91, 1495–150.
  18. Boschetti A.et al. Membrane Innovation in Dialysis.Contrib Nephrol. Basel, Karger, 2017, vol 191, pp 100–114.
  19. De Sequera Ortiz p. et al.Study to Explore Morbimortality in Patients Dialyzed With the Theranova HDx in Comparison to On-Line-Hemodiafiltration. NDT vol. 38, suppl. 1, 3472,2023.

La FAV stenotica: successo della collaborazione tra SPOKE e HUB

Abstract

La fistola artero-venosa costituisce l’accesso vascolare di prima scelta in emodialisi. Presentiamo tre casi clinici che evidenziano la risoluzione in radiologia interventistica della stenosi venosa, una delle maggiori complicanze.
Il monitoraggio clinico e la diagnostica strumentale con l’ecocolordoppler hanno prevenuto il fallimento della FAV per alto rischio di trombosi.
Gli interventi angiografici, grazie alla collaborazione tra Spoke e Hub, sono stati portati a termine senza complicanze.

Parole chiave: emodialisi, stenosi, FAV, radiologia interventistica, ecocolordoppler, PTA

Introduzione

La fistola artero-venosa (FAV) per il paziente in dialisi costituisce l’accesso vascolare di prima scelta, in quanto meno gravato da complicanze a medio-lungo termine e per la maggiore sopravvivenza rispetto alla protesi e al catetere venoso centrale permanente [1]. L’Ecocolordoppler (ECD) ormai da anni rappresenta l’esame diagnostico meno invasivo per il mapping dei vasi pre-confezionamento FAV e per il monitoraggio delle complicanze (stenosi, trombosi, ematomi, aneurismi e pseudoaneurismi) venose e arteriose [26]. Sono più frequenti le stenosi venose che le stenosi arteriose [7, 8]; si distingue poi ulteriormente tra stenosi dell’inflow (vaso afferente) e stenosi dell’outflow (vaso efferente). Tra le stenosi venose, le stenosi iuxta-anastomotiche (entro i 2 cm dall’anastomosi) sono più frequenti rispetto alle stenosi distali [7, 8].

Il primum movens della stenosi venosa è l’iperplasia neointimale. Costituiscono fattori concomitanti lo stress chirurgico, lo stato pro-infiammatorio legato alla malattia renale cronica, la predisposizione genetica, le venipunture ripetute. Il processo che si determina è un’anomala proliferazione e migrazione delle cellule muscolari lisce, con espressione di citochine, chemochine, e mediatori come l’endotelina, il TGFβ, l’ossido nitrico, l’osteopontina e l’apolipoproteina. Spiegherebbe la riduzione del lume vascolare anche la migrazione di fibroblasti dall’avventizia all’intima [911]. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Lattobacillemia: una entità rara nei pazienti immunocompromessi. Descrizione di un caso clinico e revisione della letteratura

Abstract

La batteriemia causata da lactobacilli è rara, i dati sul suo significato clinico si basano solo su pochi casi clinici e su un numero limitato di studi, spesso di non facile interpretazione.
La specie Lactobacillus è un comune commensale del cavo orale, del tratto gastrointestinale e genito-urinario e la sua importanza come agente patogeno viene spesso trascurata. La diagnosi di infezione da Lactobacillus richiede un’attenta valutazione e collaborazione tra medico e microbiologo per escludere il rischio di contaminazione.
La maggior parte dei pazienti affetti da batteriemia da Lactobacilli sono immunodepressi, con plurime comorbidità. Fattori di rischio sono terapie prolungate con antibiotici ad ampio spettro e inefficaci verso i lactobacilli, presenza di cateteri venosi a permanenza, interventi chirurgici.
Descriviamo il caso insolito di una donna, in trattamento emodialitico cronico, con sepsi dovuta a Lactobacillus casei con revisione della letteratura.

Parole chiave: Lactobacillus, batteriemia, emodialisi, pazienti immunodepressi

Introduzione

Il Lactobacillus è un batterio gram-positivo, anaerobico facoltativo, a forma di bastoncello. È un comune commensale dei tessuti della mucosa umana (cavità orale, tratto gastrointestinale e tratto genitale femminile) e non fa parte della flora cutanea. È ampiamente distribuito anche nell’acqua, nelle acque reflue e negli alimenti quali latticini, carne, pesce e cereali. La sua presenza, come commensale del tratto gastrointestinale, è associata alla protezione contro gli agenti patogeni e alla stimolazione del sistema immunitario. Per questo è utilizzato in tutto il mondo come probiotico [1, 2].

La batteriemia causata da lattobacilli è rara e i dati sul suo significato clinico si basano solo su casi clinici e su un numero limitato di studi [3, 4].

Essendo i lattobacilli comuni commensali è verosimile che l’incidenza reale possa essere sottostimata e, talora, può essere difficile interpretarne la presenza in sedi abitualmente sterili. Pertanto, il significato clinico è ancora argomento di discussione. Infatti alcuni Autori [5] ritengono che questo batterio non dovrebbe mai essere considerato un contaminante, mentre altri Autori [6] lo considerano un contaminante occasionale. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Prevalence and Risk Factors of Heart Failure with Preserved Ejection Fraction in Middle-Aged Maintenance Haemodialysis Patients on a Twice-Weekly Schedule: Experience from a Single Indian Centre

Abstract

Background. Data on the prevalence of cardiac failure with preserved ejection in the haemodialysis population, which impacts treatment strategy, mortality, and morbidity, are scarce.
Aims and Objectives. 

  • Estimate the prevalence of heart failure with preserved ejection fraction (HFpEF) in haemodialysis patients
  • Classify cardiac failure and ascertain the risk factors influencing HFpEF in haemodialysis patients.

Methods. All consenting individuals on haemodialysis over 18 years of age were included. Lung ultrasound was performed as per the LUST study protocol, and the labs were documented. Echocardiographic parameters were measured using two-dimensional (2D ECHO).
Results. A total of 102 patients consented to participate in the study, which included 63 males (61.8%) and 39 females (38.2%). The mean patient age was 53 ± 13.1 years. The dialysis vintage of the participants was 38.92 ± 6.947 months. 47 (46.1%) patients had diabetes and 88 (80.4%) had hypertension. ECG findings included sinus rhythm (51/102, 50%), sinus tachycardia (22/102, 21.6%), ST-T wave abnormalities (18/102, 17.6%), and atrial fibrillation (11/102, 10.8%). Heart failure with preserved ejection fraction (HFpEF) was present in 44/102 (43.14%), heart failure with mid-range EF in 14/102 (13.72%), and heart failure with reduced EF in 13/102 (12.7%) patients. The ejection fraction was positively associated with haemoglobin (r = 0.23; p = 0.044), and calcium levels (r = 0.25; p =0 .03). E/lateral e′ ratio was positively correlated with NT pro-BNP (r = 0.63; p < 0.001), systolic blood pressure (r = 0.44; p = 0.003) and age (r = 0.353; p = 0.003) and negatively correlated with transferrin saturation (r = -0.353; p = 0.027) and diastolic blood pressure (r = -0.31; p = 0.040). Binary logistic regression analysis revealed that the odds of diastolic dysfunction increased by 2.3 times with each unit increase of creatinine, and diabetics have 7.66 times higher risk for diastolic dysfunction. Binary logistic regression involving ejection fraction (EF) and all laboratory and clinical parameters revealed odds of HFpEF increased by 1.93 times with each unit increase in age, odds of HFpEF increases by 1.53 times with each unit increase in phosphorous and odds of HFpEF increased by 1.1 times with a unit increase of systolic blood pressure. Conclusion. HFpEF is the predominant form of heart failure in haemodialysis patients. Haemoglobin and calcium were positively associated with ejection fraction. Advancing age, elevated creatinine and diabetes mellitus levels are independent predictors of diastolic dysfunction in haemodialysis patients.

Keywords. HFpEF, E/ Lateral e, E/A ratio, 2D ECHO, hemodialysis, cardiac failure

Ci spiace, ma questo articolo è disponibile soltanto in inglese.

Introduction and Background

Cardiac failure is a predominant cardiovascular complication in the chronic kidney disease (CKD) population and it increases in prevalence with advancing renal failure [1]. The presence of cardiac failure in the dialysis population is predictive of short and long-term mortality in haemodialysis [2, 3]. The most prominent cause of mortality among haemodialysis patients is cardiovascular disease, which accounts for nearly 44% of the overall mortality [4].

Heart failure is classified into three major types: heart failure with reduced ejection fraction (HFrEF), mid-range ejection fraction (HFmrEF), and preserved ejection fraction (HFpEF). HFpEF is a clinical syndrome characterized by symptoms and signs of cardiac failure, presence of diastolic dysfunction (DD), and near-normal or normal left ventricular (LV) systolic function (EF≥50%) [5]. Diastolic dysfunction can manifest as impaired left ventricle relaxation or increased filling pressure. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Emodialisi “green”: il concentrato acido centralizzato del centro dialisi del policlinico di Modena

Abstract

Introduzione e scopo dello studio. Il sistema di preparazione e distribuzione centralizzato del concentrato acido rappresenta una vera e propria innovazione in ambito emodialitico, se confrontato con le sacche acide, in termini di praticità ed ecosostenibilità. L’obiettivo dello studio è quello di confrontare l’utilizzo delle sacche acide tradizionali con il sistema di distribuzione centralizzato del concentrato acido con particolare attenzione alle differenze in termini di ecosostenibilità e praticità.
Metodi. Presso la SC di Nefrologia Dialisi e Trapianto renale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena è stato installato il sistema Granumix® (Fresenius Medical Care, Bad Homburg, Germania). I dati raccolti prima dell’introduzione del sistema Granumix® (comprendenti le sacche acide impiegate, le scatole e i bancali utilizzati per l’imballaggio di queste ultime, i litri di soluzione acida utilizzati e i chilogrammi di rifiuti generati tra legno, plastica, cartone e soluzione acida residua) sono stati confrontati con quelli raccolti dopo l’avvio dell’impiego del sistema Granumix®, analizzando in particolare fattori quali il consumo di materiali, il volume di rifiuti generati, i prodotti inutilizzati e quindi sprecati, il tempo necessario per la preparazione della seduta dialitica e la soddisfazione degli infermieri per documentare quale sistema fosse più sostenibile dal punto di vista ambientale.
Risultati. I dati raccolti nel 2019 presso il nostro Centro Dialisi mostrano un consumo pari a 30˙000 sacche acide che hanno generato più di 20˙000 kg di rifiuti tra legno, plastica e cartone e circa 12˙000 litri di soluzione acida residua da smaltire, con una movimentazione dei pesi da parte degli operatori che ha raggiunto quasi i 160˙000 kg. L’impiego del sistema di distribuzione centralizzato del concentrato acido ha prodotto un’importante riduzione dei rifiuti generati (2˙642 kg vs 13˙617 kg), della soluzione acida residua da smaltire (2˙351 litri vs 12˙100 litri) e dei pesi movimentati dagli operatori (71˙522 kg vs 158˙117 kg).
Conclusioni. Il concentrato acido sembra quindi essere più adatto alla sfida della sostenibilità che la dialisi deve affrontare oggi e che risiede soprattutto nel significativo aumento del numero di pazienti, che porta a un maggior numero di trattamenti e quindi a una crescente domanda di prodotti eco-sostenibili.

Parole chiave: emodialisi, innovazione, sostenibilità, concentrato acido, distribuzione centralizzata

Introduzione

Dopo circa 80 anni dal primo trattamento emodialitico, sono tante le sfide che la dialisi deve ancora affrontare. Tra le più importanti va menzionato il significativo trend dell’aumento del numero di pazienti in dialisi che di conseguenza porterà a un aumento nell’utilizzo di risorse naturali e nella produzione di rifiuti [1].  La consapevolezza che la maggior parte dei rifiuti della dialisi viene smaltita senza entrare nel processo del riciclaggio (materiale contaminato da sangue o fluidi biologici, prodotti assimilabili a farmaci) è uno stimolo a una crescente necessità di sviluppare e adottare soluzioni ecosostenibili che riducano l’impatto ambientale e l’inquinamento. Inoltre, l’adozione di soluzioni eco-friendly rappresenta un investimento per le aziende del settore sanitario poiché può generare vantaggi economici nel lungo periodo. Una recente innovazione tecnologica in ambito emodialitico è l’implementazione di un sistema automatizzato per la produzione e distribuzione del concentrato acido.  

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.