La nuova frontiera nel trattamento endovascolare della stenosi della fistola artero-venosa: ruolo dell’angioplastica percutanea transluminale eco-guidata

Abstract

La fistola artero-venosa allestita con vasi nativi è considerata l’accesso vascolare di prima scelta in quanto porta con sé un prolungamento della sopravvivenza, un minor tasso di infezioni e una riduzione dei costi legati all’ospedalizzazione, rispetto alle fistole protesiche ed ai cateteri venosi centrali. La stenosi rappresenta una delle più frequenti complicanze, sia precoci che tardive, della fistola artero-venosa per emodialisi. La presenza concomitante di molteplici fattori causativi (turbolenze di flusso, venipuntura, trauma chirurgico, stato uremico) provoca un danno a carico dell’endotelio e delle cellule muscolari lisce della parete vasale. La risposta infiammatoria a tali insulti conduce all’iperplasia neo-intimale, la quale costituisce il substrato isto-patologico della stenosi. L’angioplastica percutanea transluminale rappresenta il gold standard per il trattamento delle stenosi emodinamicamente significative delle fistole artero-venose per emodialisi. Rispetto alla chirurgia, essa consente la visualizzazione dell’intero circuito vascolare e permette l’utilizzo immediato dell’accesso vascolare per le sedute emodialitiche successive. L’angioplastica percutanea transluminale eco-guidata rappresenta un’alternativa valida e sicura alla metodica fluoroscopica convenzionale, poiché garantisce pari efficacia nel ristabilire la pervietà dell’accesso vascolare, ma con il vantaggio di non utilizzare radiazioni ionizzanti né mezzo di contrasto. Obiettivo di questa review è quello di esaminare gli ultimi dati sui meccanismi cellulari e molecolari che concorrono allo sviluppo dell’iperplasia neo-intimale, le prospettive terapeutiche attuali e future (con particolare riguardo all’utilizzo dei farmaci anti-proliferativi) e l’efficacia dell’angioplastica percutanea eco-guidata nel ristabilire e mantenere nel tempo la pervietà della FAV.

Parole Chiave: Angioplastica percutanea, ecografia B-mode, fistola artero-venosa, emodialisi, stenosi

Introduzione

La prevalenza della malattia renale cronica terminale aumenta di anno in anno. Nel 2010, il numero dei pazienti sottoposti a terapia emodialitica in tutto il mondo era pari a 2,618 milioni e, secondo alcune recenti stime, è destinato a crescere fino a 5,439 milioni entro il 2030 [1]. A livello nazionale, i dati estrapolati dal Report 2015 del Registro Italiano di Dialisi e Trapianto evidenziano un’incidenza e una prevalenza di 154 pazienti/pmp e di 770/pmp rispettivamente [2]. Indipendentemente dalla metodica utilizzata, il buon funzionamento dell’accesso vascolare (AV) rappresenta un requisito irrinunciabile per una ottimale adeguatezza dialitica. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Emorragia renale retroperitoneale: esperienza del nostro centro dialisi

Abstract

L’invecchiamento della popolazione uremica, l’uso sempre più comune di farmaci antiaggreganti piastrinici ed anticoagulanti, l’utilizzo di eparina durante il trattamento dialitico può esporre i pazienti in trattamento sostitutivo ad un aumentato rischio emorragico. Gli ematomi retroperitoneali spontanei sono una patologia abbastanza rara e potenzialmente fatale.

Descriviamo 5 casi clinici di emorragia retroperitoneale osservati in 10 anni nella nostra Unità Operativa focalizzando l’attenzione su modalità di esordio della sintomatologia, quadro clinico-laboratoristico e modalità di trattamento.

Parole chiave: emorragia retroperitoneale, emodialisi

INTRODUZIONE

Gli ematomi retroperitoneali e in particolare quelli spontanei (in assenza di trauma o danno iatrogeno) sono una patologia abbastanza rara e potenzialmente fatale.

 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Qualità microbiologica delle acque per emodialisi: quali i fattori di rischio?

Abstract

Introduzione Un paziente in dialisi entra in contatto settimanalmente con un’ingente quantità d’acqua tramite il bagno di dialisi, in media 350 litri. È pertanto essenziale che questa soluzione abbia un’elevata qualità e purezza. Scopo del nostro studio è stato monitorare nel tempo la qualità microbiologica delle acque dell’emodialisi, al fine di individuare eventuali fattori che possano influenzarla.

Metodi Abbiamo effettuato da Gennaio 2015 a Ottobre 2017 uno studio cross-sectional raccogliendo le acque delle apparecchiature dialitiche presso l’AOU Careggi. I campioni raccolti in maniera asettica e da tecnici specializzati, sono stati trasportati sotto ghiaccio a 4°C al Laboratorio di Rischio Biologico dell’Azienda USL Toscana Centro per le analisi di laboratorio.

Risultati Sono stati raccolti 126 campioni di acqua. Coliformi, E. coli, Staphylococcus aureus, enterococchi sono risultati negativi in tutti i campioni. Pseudomonas aeruginosa è risultata positiva in un solo campione. Sia per le CFU a 37°C che a 22°C la tipologia di macchinario rappresenta l’unico fattore di rischio statisticamente significativo (OR 15.21 e OR 10.25 rispettivamente): i macchinari SDS hanno un rischio decisamente più alto di risultare positivi per le CFU a 37°C e 22°C.

Conclusioni È necessario monitorare costantemente il sistema di trattamento delle acque di dialisi e questo ancor più nel caso di dispositivi con sistema SDS che, a causa del loro utilizzo discontinuo, possono essere soggetti più frequentemente, come dimostrato nel nostro studio, a maggiore contaminazione.

Parole chiave: sorveglianza, emodialisi, infezioni

INTRODUZIONE

L’emodialisi è uno dei trattamenti per pazienti con insufficienza renale acuta e cronica e, alla fine del 2010, quasi un milione di persone erano in trattamento dialitico, il 60% delle quali in 5 paesi: USA, Giappone, Germania, Brasile, Italia (1).

Un paziente in dialisi entra in contatto settimanalmente con un’ingente quantità d’acqua tramite il bagno di dialisi, in media 350 litri. È pertanto essenziale che questa soluzione abbia un’elevata qualità e purezza in termini di corretta composizione elettrolitica, bassa concentrazione o assenza di inquinanti chimici organici e inorganici, bassa concentrazione o assenza di batteri, lieviti, funghi ed endotossine. Va ricordato che il circuito idraulico delle macchine dialitiche può promuovere la crescita batterica e la formazione di biofilm. Questi ultimi possono andare incontro a colonizzazioni batteriche che possono essere rilasciate o produrre endotossine capaci di penetrare le membrane dialitiche (2, 3) .

 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Caso di scialoadenite da mezzo di contrasto in paziente emodializzata

Abstract

Razionale
La scialoadenite da mezzo di contrasto iodato (m.d.c.) o iodine mumps (IM) è una rara e tardiva manifestazione benigna che si verifica indipendentemente dalla via di somministrazione endovenosa od endoarteriosa del m.d.c.. Quando la funzione renale è normale, il mezzo di contrasto non raggiunge concentrazioni nelle ghiandole salivari tali da causare scialoadenite. Tuttavia, una riduzione critica del filtrato glomerulare può associarsi ad edema dei dotti salivari con rigonfiamento ghiandolare dopo iniezione di m.d.c. Di seguito riportiamo un raro caso clinico di IM in una paziente in emodialisi cronica.
Casistica e metodi
Una donna di 72 anni affetta da insufficienza renale cronica in trattamento emodialitico trisettimanale veniva sottoposta ad asportazione endoscopica di cancro del retto. Per la stadiazione della malattia veniva eseguita una TC total body con m.d.c. iodato. Al mattino seguente la paziente mostrava una tumefazione bilaterale molle e dolente delle parotidi. L’ecografia delle ghiandole salivari ha consentito la diagnosi definitiva di IM. Veniva tempestivamente avviato un trattamento di emodiafiltrazione online in post-diluizione della durata di 240 min e somministrato betametasone.
Risultati
Entro le successive 24h, seguiva una completa remissione della IM.
Conclusioni
Un ruolo fondamentale, nell’eziopatogenesi della IM nella nostra paziente, potrebbe essere stato svolto dall’esaltata attività del simporto sodio/iodio (NIS) sulle cellule delle ghiandole salivari in compenso alla ridotta escrezione renale del m.d.c. Si conferma l’utilità di effettuare il trattamento emodialitico entro poche ore dalla somministrazione di m.d.c. nel paziente in trattamento sostitutivo anche per prevenire la scialoadenite che rappresenta un epifenomeno dell’accumulo del m.d.c.

Parole chiave: Iodine mumps, insufficienza renale cronica, emodialisi, mezzo di contrasto iodato, cortisonici.

INTRODUZIONE

L’incidenza di complicanze renali ed extrarenali da mezzo di contrasto (m.d.c.) si è ridotta da qualche anno grazie all’impiego sempre più diffuso di mezzi contrastografici a bassa osmolarità (1). Tuttavia, le reazioni anafilattoidi e le reazioni nefrotossiche rappresentano a tuttora le più frequenti complicanze da impiego di m.d.c e sono gravate da elevata comorbidità e mortalità. Nettamente più ridotta è invece oggi l’incidenza di reazioni idiosincrasiche al m.d.c., quali le eruzioni acneiformi, lo iododerma e la scialoadenite o iodine mumps (IM) (2) che, sebbene benigne, sono gravate da segni e sintomi tali da creare disagio e infermità nel paziente. La prevenzione delle complicanze derivanti dall’impiego del m.d.c., pertanto, resta tuttora un obiettivo fondamentale. L’insufficienza renale cronica (IRC) è una patologia in costante crescita, gravata da un notevole impatto socio-economico (35) e caratterizzata da una significativa riduzione della qualità della vita (6). E’ paradossale notare come i pazienti affetti da IRC siano contemporaneamente quelli più a rischio sia di sviluppare complicanze da m.d.c., che particolarmente esposti alla necessità di sottoporsi a procedure contrastografiche, sia a scopo diagnostico che, talora, terapeutico. Tale associazione sfavorevole che grava i pazienti con IRC dipende dalla loro spiccata tendenza a sviluppare complicanze sia cardiovascolari che multi-sistemiche (79). 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Pratica clinica per la diagnostica delle aritmie cardiache in pazienti in terapia renale sostitutiva: dati di una survey lombarda

Abstract

Tra i pazienti in dialisi il 40% dei decessi è dovuto a cause cardiovascolari e, delle morti ad eziologia cardiaca, il 60% è su base aritmica. Scopo di questa survey, eseguita con il supporto organizzativo della sezione lombarda della Società Italiana di Nefrologia, è di valutare la frequenza e la modalità di utilizzo dei comuni strumenti non invasivi per la diagnosi di aritmia cardiaca nei centri dialisi della Lombardia. Sono anche state richieste informazioni relative alla prevalenza e tipologia dei devices cardiaci in questa popolazione, al 1 dicembre 2016. Sono stati raccolti i dati di 18 centri, per un totale di 3395 pazienti in terapia renale sostitutiva, di cui 2907 (85.6%) in emodialisi e 488 (14.4%) in dialisi peritoneale. Tutti i centri utilizzano l’ECG a 12 derivazioni in caso di insorgenza di sintomi suggestivi di un evento aritmico e i 2/3 eseguono l’esame con cadenza programmata (in genere una volta l’anno). Non viene utilizzato l’ECG Holter 24 ore come strumento diagnostico di routine. La percentuale di devices cardiaci è relativamente elevata, rispetto ai dati riportati in letteratura: n=259, pari al 7.6% della popolazione. I pazienti portatori di pacemaker sono 166 (4.9%), quelli con defibrillatore intracardiaco 52 (1.5%), con terapia di risincronizzazione 18 (0.5%) e con terapia di risincronizzazione e defibrillatore 23 (0.7%). La survey fornisce interessanti informazioni e può costituire un importante punto di partenza per cercare di ottimizzare la pratica clinica e la collaborazione tra nefrologi e cardiologi davanti a un problema importante come quello della patologia aritmica nei pazienti in terapia renale sostitutiva.

PAROLE CHIAVE: Aritmie, emodialisi, dialisi peritoneale, elettrocardiogramma, ecocardiogramma, devices cardiaci

Introduzione e background

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di mortalità e morbilità nei pazienti con insufficienza renale terminale. Tra i pazienti in dialisi il 40% dei decessi è dovuto a cause cardiovascolari e, delle morti ad eziologia cardiaca, il 60% è su base aritmica (1, 2).

Le aritmie più frequenti tra i dializzati sono la fibrillazione atriale (FA), le aritmie ventricolari complesse e le bradiaritmie.

La prevalenza riportata di FA tra i dializzati è elevata ed è pari al 12% (3), anche se l’aritmia è probabilmente sottodiagnosticata. Nella popolazione generale una delle possibili cause di ictus criptogenetico, ossia un evento ischemico cerebrale in assenza di un’eziologia ben definitiva, sono gli episodi subclinici di FA parossistica asintomatica, che vengono documentati solo in seguito a specifiche indagini di monitoraggio (tramite ECG Holter o loop recorder). Dallo studio ASSERT (4) emerge che i pazienti che presentavano tachiaritmie atriali subcliniche avevano un aumentato rischio di sviluppare sia FA clinica, sia ictus ischemico o trombo-embolia periferica. Vista l’elevata prevalenza e incidenza di ictus nei pazienti dializzati (5) è possibile che anche in questa popolazione una parte degli episodi cerebrovascolari possa essere attribuibile a episodi di FA non diagnosticati. Come nella popolazione generale la presenza di FA anche nei pazienti con insufficienza renale terminale è associata ad un aumento di mortalità totale e cardiovascolare (6). 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Tossine uremiche: come migliorarne la rimozione oggi

Abstract

Lo stato uremico deriva da una ridotta funzione renale con accumulo di composti che, in condizioni normali, sono escrete o metabolizzate dai reni. Se poi queste sostanze sono anche biologicamente attive, vengono allora chiamate “tossine uremiche”; ed hanno una tossicità anche a livello del sistema cardio-vascolare.
Una utile classificazione ci viene dall’European Uremic Toxin Work Group (EUTox): 1) piccoli composti solubili in acqua; 2) composti legati alle proteine 3) “medie molecole” grandi.
Le membrane High-flux e tecniche più efficienti (HDF) migliorano la rimozione di tossici uremici in particolare rispetto alle membrane low-flux e gli studi recenti suggeriscono un miglioramento di morbilità e mortalità.
Oggi abbiamo a disposizione anche nuove membrane a Medio Cut-Off (MCO), con un aumento delle dimensioni dei pori con distribuzione regolare, che permettono rimozioni di tossici ad altissimo peso molecolare, come le catene leggere e i mediatori dell’infiammazione.
Per tossine nell’ambito dei 15-45 KD dimostrano rimozioni migliori rispetto all’High Flux HD e anche rispetto all’HDF. Questo tipo di membrana può semplificare il trattamento dei nostri pazienti in dialisi, ottenendo nel contempo rimozioni non attualmente possibili con altre valide metodiche depurative.

Parole chiave: Tossine Uremiche, Medie molecole, Membrane High-flux, Membrane a Medio cut-off, Emodialisi, Emodiafiltrazione

INTRODUZIONE

Nel paziente affetto da Malattia Renale Cronica le tossine cosiddette “uremiche” raggiungono concentrazioni elevate per la perdita progressiva della funzione renale; i composti proteici tossici di conseguenza si accumulano nell’organismo e si associano ad un più alto rischio di mortalità in questi pazienti. L’accumulo di “soluti di ritenzione uremica” ha un impatto negativo su diverse funzioni dell’organismo, in particolare sul sistema cardio-vascolare (1).

Alcune caratteristiche identificano le tossine uremiche: la tipizzazione chimica e l’analisi quantitativa nei liquidi biologici; i livelli plasmatici più elevati nei soggetti uremici rispetto ai non uremici; le alte concentrazioni correlate a specifiche disfunzioni uremiche e/o sintomi che si riducono o scompaiono quando la loro concentrazione è ridotta.

L’identificazione, classificazione, caratterizzazione, determinazione analitica e valutazione biologica dei soluti di ritenzione dell’uremia sono stati argomenti affrontati dall’European Uremic Toxin (EUTox) Work Group, (il cui sito web è raggiungibile all’indirizzo www.uremic-toxins.org). Si tratta di un gruppo di lavoro sia dell’European Society of Artificial Organs che della ERA-EDTA European Renal Association – European Dialysis Transplant Association (2). 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Update sull’impiego della proteomica in emodialisi

Abstract

La proteomica è diventata una delle discipline sperimentali di punta per meglio comprendere il ruolo chiave esercitato dalle proteine e dall’interazione tra miscele proteiche in ogni fase della funzione cellulare.
Le applicazioni della proteomica nella terapia emodialitica sono progressivamente aumentate nel corso degli ultimi anni e, dall’iniziale applicazione con elettroforesi bidimensionale, si è passati all’impiego di cromatografia liquida con spettrometria di massa. Queste analisi, più convenienti e riproducibili, hanno permesso di evidenziare nuove singole isoforme proteiche e modificazioni proteiche post-traslazionali, meglio definendo la natura biochimica dell’uremia.
La proteomica è stata infatti impiegata per la ricerca di nuove tossine uremiche, l’identificazione di biomarcatori, la valutazione dell’efficacia emodepurativa e della biocompatibilità delle membrane.
Nel presente lavoro verranno presentati i risultati delle più recenti ricerche di proteomica nell’ambito della terapia dialitica.

PAROLE CHIAVE: Proteomica, emodialisi, membrana, tossine uremiche, biocompatibilità, adsorbimento, proteine.

INTRODUZIONE

L’emodialisi (HD) rappresenta la modalità più comunemente impiegata nel trattamento della malattia renale cronica (MRC) terminale. Il principale fattore determinante successo e qualità della terapia sostitutiva è rappresentato dalla membrana artificiale presente negli emodializzatori. Le membrane sono sottili barriere in grado di rimuovere acqua e soluti al fine di permettere un adeguato controllo chimico-biofisico, consentendo la sopravvivenza del paziente ed un (variabile) miglioramento della sua qualità di vita.

Durante la procedura dialitica extracorporea, i meccanismi in grado di rimuovere dal circolo le tossine ritenute ed i fluidi in eccesso includono diffusione, convezione ed adsorbimento. La diffusione e la convezione modulano la rimozione dei piccoli soluti, la prima, e delle medio-grandi molecole attraverso il movimento di massa dei fluidi, la seconda. A questi meccanismi si aggiungono le proprietà adsorbitive di alcune membrane idrofobiche sintetiche, che contribuiscono ad una significativa clearance di composti nocivi quali beta2-microglobulina, tumor necrosis factor e peptidi, anche se un eccessivo adsorbimento può limitare la performance emodepurativa di una membrana, riducendone così le proprietà terapeutiche. Occorre anche ricordare che la rimozione intradialitica dei soluti, qualunque ne sia il meccanismo alla base, non è specifica, per cui per ogni singolo biomateriale si potranno avere favorevoli effetti previsti/attesi ma anche rimozione non intenzionale di sostanze utili all’organismo. Inoltre, l’adsorbimento di proteine plasmatiche sulla membrana susseguente al contatto con il sangue durante la procedura dialitica extracorporea è di critica importanza per la biocompatibilità del materiale.
 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Disturbi del gusto nei pazienti con malattia renale cronica in stadio terminale

Abstract

Gli autori hanno cercato di valutare la distorsione del gusto nei pazienti con malattia renale cronica (CKD). Circa un centinaio di pazienti sono stati esaminati e divisi in due gruppi, uno controllo e uno di studio. I dati sono stati raccolti attraverso un questionario e sono stati analizzati statisticamente. I risultati hanno mostrato che il 28,7% degli intervistati ha avuto una perdita della capacità di percezione del gusto (96,60% erano pazienti con CKD). Sono state individuate correlazioni statisticamente significative tra la durata del trattamento emodialitico e la perdita di gusto, tra l’età del paziente e la compromissione del gusto, infinte tra l’età del paziente e il senso di un gusto metallico in bocca. La distorsione gustativa è una manifestazione orale caratteristica dei pazienti con CKD.

PAROLE CHIAVE: CKD, emodialisi, gusto metallico, manifestazioni orali, disturbi del gusto.

Introduzione

I pazienti con malattia renale cronica in stadio terminale, sottoposti a trattamento dialitico, mostrano manifestazioni orali caratteristiche come la distorsione del gusto o addirittura la sua perdita, la sensazione di bocca secca, ecc [1,2,3,4,5]. Rappresentano di solito la conseguenza di disturbi metabolici e fisiologici correlati alla malattia renale. La letteratura in ambito odontoiatrico mette in evidenza la relazione tra la durata del trattamento dialitico e lo sviluppo di lesioni orali [1,6]. In un’indagine del 2012 Asha [7] ha accertato che elevati livelli di urea, dimetil- e trimetil-ammine e bassi livelli di zinco potrebbero essere associati ad una diminuzione della percezione del gusto nei pazienti uremici. La sensazione di gusto metallico nei pazienti uremici si associa al contenuto di urea nella saliva e alla sua successiva suddivisione in ammoniaca e anidride carbonica mediante l’azione dell’enzima ureasi batterica [7]. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Stenosi di Vena Cava Superiore con CVC long-term e FAV protesica omolaterale: case-report

Abstract

L’utilizzo di cateteri venosi centrali (CVC) come accesso vascolare è aumentato notevolmente negli ultimi anni, in particolare a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e della presenza di numerose comorbidità. Nei pazienti in emodialisi, l’uso dei CVC è associato a numerose complicanze. Tra queste le stenosi venose centrali rappresentano una complicanza comune che, se non diagnosticata correttamente, può comportare la trombosi totale del vaso, rendendo inutilizzabile l’accesso vascolare.
Di seguito riportiamo un caso di un paziente di 38 anni, portatore di CVC tunnellizzato in vena giugulare destra e di Fav protesica nell’arto omolaterale, che ha sviluppato una stenosi asintomatica della vena cava superiore. Lo screening ecografico ha permesso di individuare l’anomalia e di intervenire tempestivamente ripristinando la corretta pervietà del vaso.
Nei pazienti in emodialisi è pertanto indispensabile un adeguato follow-up dell’accesso vascolare, al fine di prevenire l’insorgenza di tali complicanze.

PAROLE CHIAVE: accesso vascolare, Fav protesica, ecocolordoppler, emodialisi.

Introduzione

Un accesso vascolare “ben funzionante” è un requisito indispensabile per una dialisi efficace ed efficiente; se da un lato, la fistola artero-venosa (FAV) nativa, dopo più di 50 anni dalla sua “creazione”, rimane sempre il miglior approccio a cui tendere, dall’altro l’uso dei cateteri venosi centrali (CVC) sta aumentando esponenzialmente, in tutti quei pazienti anziani, comorbidi e con un patrimonio vascolare eccessivamente compromesso per gli accessi vascolari.

A fronte di una facilità di utilizzo, i CVC presentano molteplici complicanze che incidono pesantemente sia sulla qualità di vita e sia sull’efficienza dialitica.

A riguardo, le linee guida K/DOQI consigliano e incentivano l’uso dell’ecografia per la pianificazione chirurgica di un accesso vascolare complesso come può esserlo l’impianto di un graft, per il quale è necessario un regolare follow-up ecografico al fine di garantirne il buon funzionamento nel lungo termine, con la possibilità di diagnosticare per tempo le “stenosi subcliniche”, che esiterebbero inevitabilmente in trombosi precoci.
 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Calcificazioni vascolari in soggetti con e senza insufficienza renale cronica: tipo, sede e fattori di rischio

Abstract

Le calcificazioni vascolari riducono la sopravvivenza nella popolazione generale e nei soggetti in dialisi.

Sono stati indagati 146 pazienti in emodialisi cronica e 63 soggetti con funzione renale normale di età inferiore ai 65 anni, sottoposti a esame ecografico della carotide comune ed interna, dell’aorta addominale, dell’arteria femorale comune e superficiale e dell’arteria tibiale posteriore per la ricerca delle calcificazioni dell’intima e della media.

Le calcificazioni dell’intima e/o della media, erano presenti a livello del distretto carotideo, dell’aorta addominale, della femorale comune, della femorale superficiale e dell’arteria tibiale posteriore rispettivamente nel 45%, 50%, 45%, 50%, 42% dei pazienti in dialisi e nel 5%, 15%, 24%, 5%, 2% dei controlli (p<0,01).

All’analisi multivariata, dopo aggiustamento dei potenziali fattori di confondimento, la calcificazione intimale della carotide, dell’aorta addominale, la calcificazione della media dell’arteria femorale superficiale e la calcificazione dell’arteria tibiale posteriore si associavano al trattamento dialitico e ad una anamnesi positiva per patologia cardiovascolare. Una maggiore età anagrafica e il tabagismo si associavano invece esclusivamente con la presenza di calcificazione dell’intima.

Le calcificazioni vascolari extracoronariche sono estremamente frequenti anche in soggetti in dialisi relativamente giovani. L’ecografia, per la sua frequente disponibilità nei reparti di nefrologia, il basso costo e la ripetibilità nel tempo, rappresenta un ottimo strumento diagnostico per ricercare la calcificazione dell’intima e della media nei soggetti ad alto rischio cardiovascolare.

Parole chiave: calcificazioni arteriose, calcificazioni dell’intima, calcificazioni della media, calcificazioni vascolari, emodialisi, insufficienza renale cronica

Introduzione

La presenza di calcificazioni vascolari aumenta il rischio di mortalità cardiovascolare nei soggetti sani (1,2), nei cardiopatici (3), nei diabetici (4) e nei nefropatici (5). Considerando i differenti distretti arteriosi, questa associazione tra calcificazione vascolare e mortalità è stata dimostrata per il distretto arterioso carotideo (6), aortico addominale (7), femorale comune (8), femorale superficiale (9) e tibiale (10).
 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.