Hyperkalemia-induced acute flaccid paralysis: a case report

Abstract

Acute flaccid paralysis is a medical emergency that may be caused by primary neuro-muscular disorders, metabolic alterations, and iatrogenic effects. Severe hyperkalemia is also a potential cause, especially in elderly patients with impaired renal function. Early diagnosis is essential for appropriate management.

Here, we report the case of a 78-year-old woman with hypertension and diabetes presenting to the emergency department because of pronounced asthenia, rapidly evolving in quadriparesis. Laboratory examinations showed severe hyperkalemia of 9.9 mmol/L, metabolic acidosis, kidney failure (creatinine 1.6 mg/dl), and hyperglycemia (501 mg/dl). The electrocardiography showed absent P-wave, widening QRS, and tall T-waves. The patient was immediately treated with medical therapy and a hemodialysis session, presenting a rapid resolution of electrocardiographic and neurological abnormalities. This case offers the opportunity to discuss the pathogenesis, the clinical presentation, and the management of hyperkalemia-induced acute flaccid paralysis.

Keywords: hyperkalemia, acute flaccid paralysis, hemodialysis, diabetes

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Introduction

Hyperkalemia is associated with poor outcomes and a high mortality rate among the general population, and among patients with cardiac and renal disease [1,2]. Hyperkalemia-related clinical complications and deaths are determined mainly by the cardiac electrophysiological effects of elevated potassium levels [3]. Indeed, hyperkalemia may result in ventricular arrhythmias and sudden death. Moreover, hyperkalemia may also cause other physiologic perturbations, such as muscle weakness and paralysis, paraesthesia, and metabolic acidosis.

Here, we report a case of severe hyperkalemia presenting with dramatic neurological manifestations in the form of acute flaccid paralysis (AFP).

 

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SGLT2 inibitori, non solo ipoglicemizzanti: impatto nella pratica clinica nefrologica

Abstract

I dati epidemiologici mostrano un continuo aumento della diffusione del diabete mellito nel mondo.  Nel soggetto diabetico, il rischio di insorgenza della malattia renale cronica (MRC) e la sua progressione sino allo stadio terminale rimangono elevati, nonostante le attuali misure di prevenzione e trattamento. Sviluppati e approvati a scopo ipoglicemizzante, gli SGLT2 inibitori hanno mostrato un’inaspettata e sorprendente efficacia cardioprotettiva e nefroprotettiva. Alla base, meccanismi d’azione multipli che trascendono e sono indipendenti dal controllo glicemico. Da ciò l’ipotesi di estendere l’utilizzo di questi farmaci anche ai soggetti con MRC negli stadi più avanzati, inizialmente esclusi in ragione del limitato effetto ipoglicemizzante. Degli effetti favorevoli degli SGLT2 inibitori potrebbero giovarsi anche i non diabetici: soggetti con patologie renali a varia eziologia, scompenso cardiaco, elevato rischio o malattia cardiovascolare conclamata. Questi farmaci presentano un buon profilo di sicurezza, anche se sono state registrate diverse segnalazioni di eventi avversi post marketing. Gli studi clinici in corso potranno fornire informazioni più chiare sull’efficacia, il potenziale e la sicurezza di queste molecole. Scopo della presente review è vagliare le evidenze disponibili e le prospettive future degli SGLT2 inibitori, candidati ad un ampio utilizzo nella pratica clinica nefrologica.

Parole chiave: diabete mellito, ipoglicemizzanti orali, SGLT2 inibitori, malattia renale cronica

Introduzione

Il diabete mellito (DM) è una delle patologie più diffuse nel mondo: ne soffre circa l’8,5% della popolazione adulta ed il trend nelle ultime decadi mostra un progressivo aumento dell’incidenza e della prevalenza [1].

La malattia renale cronica (MRC) è frequente complicanza del DM, sia di tipo 1 (DM1) che di tipo 2 (DM2). Si calcola che tra il 40 e il 50% dei soggetti affetti da DM2 sviluppa MRC nell’arco della vita e la sua presenza e severità influenzano significativamente la prognosi [2, 3, 4]. Pochi e dibattuti sono i dati relativi alla progressione del danno renale nel diabetico fino alla malattia renale cronica terminale (ESRD). Le cifre sono sottostimate e inficiate dall’elevata mortalità di questi soggetti, molti dei quali muoiono prima di giungere alla necessità di terapia sostitutiva della funzione renale, soprattutto per patologie cardiovascolari (CV) [5, 6, 7]. Negli Stati Uniti nel 2010 la prevalenza di ESRD tra i diabetici adulti è stata di 20/10.000 [8]. Guardando all’eziopatogenesi, il DM è ormai stabilmente la causa principale dell’ESRD. È da ascrivere al DM il 23% e il 16% dei casi incidenti e prevalenti di ESRD, rispettivamente, secondo il più recente report ERA-EDTA (European Renal Association-European Dialysis and Transplant Association) [9]. 

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Metformina e Diabete: ha ancora senso un suo utilizzo nei paz. con IRC II stadio o rappresenta un ulteriore fattore di rischio?

Abstract

Pz donna di 62 anni giunge al P.S.G. per astenia, febbricola, diuresi presente. In anamnesi riferisce ipertensione arteriosa in terapia da circa 5 anni, diabete mellito da circa 2 anni in terapia con Metformina 1 gr x 3/die.  Esami ematochimici: Azotemia 195 mg/dl, creatinina 8.0 mg/dl, Ph 6.877, HCO3 5.1 mmol/L BE -29.1 mmol/l. Rapido peggioramento delle condizioni cliniche con insorgenza di ipotensione arteriosa – 85/60 mmHg, obnubilamento del sensorio. Inizia terapia con Bicarbonati e.v., si posiziona in Urgenza C.V.C. e si sottopone ad AFB con infusione di bicarbonati 2000 ml/h per 4 ore, flusso sangue 250 ml/min., l’emodinamica è stata sostenuta con infusione di dopamina 200 mg: 2 fiale in 250 cc di fisiologica vel 30 – 40 ml/h, La pz dopo essere stata sottoposta a tre AFB, ha interrotto la dialisi per ripresa della diuresi spontanea e progressivo miglioramento della funzione renale e della pressione arteriosa. Monitorizzata, dopo la dimissione, i parametri della funzione renale sono rientrati nei limiti della norma, clearance compatibile con IRC II – III stadio.

Conclusioni: la disidratazione, la febbre, l’IRC II stadio, non diagnosticata hanno causato, in un tempo brevissimo, un accumulo di metformina, che è stata la causa dell’Acidosi Metabolica. La pz. salvata grazie al posizionamento del CVC ed al in trattamento AFB con l’infusione di grossi quantitativi di Bicarbonati e.v.

L’utilizzo della Metformina in pz. > 50 anni e/o con clearance della creatinina < 60 ml/min., deve essere subordinato allo studio preliminare e periodico della funzione renale.

Parole Chiave: Metformina, Diabete, IRA, Acidosi Metabolica.

Paziente di sesso femminile di 62 anni giunge al P.S.G. per astenia, malessere generale e riferita febbricola, in anamnesi riferisce ipertensione arteriosa in terapia antipertensiva da circa 5 anni, diabete mellito non insulino dipendente da circa 2 anni in terapia con Metformina 1 gr x 3/die. 

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I nuovi ipoglicemizzanti orali nel diabetico con CKD in stadio IV: nostre esperienze

Abstract

L’utilizzo dei farmaci ipoglicemizzanti nel diabetico nefropatico in fase avanzata va fatto con molta attenzione. Alcuni farmaci sono controindicati o sconsigliati; la stessa insulina necessita di una riduzione del dosaggio per evitare pericolose crisi ipoglicemiche. Da alcuni anni è stato approvato l’utilizzo degli inibitori del DDP-4 in pazienti con DMT2 con CKD al III e IV stadio, proponendone l’impiego senza limitazioni anche in caso di ESRD.

Abbiamo condotto uno studio osservazionale prospettico su una coorte di 60 soggetti con DMT2 e con CKD in stadio IV, selezionando un campione di 15 soggetti che assumeva un inibitore del DPP-4 e raffrontandolo con chi, pur presentando caratteristiche analoghe di CKD, assumeva una terapia con farmaci “tradizionali”. In entrambi i gruppi abbiamo rilevato: 1) l’efficacia della terapia, mediante la valutazione dell’emoglobina glicata e del profilo glicemico; 2) l’eventuale insorgenza di: “episodi ipoglicemici”, “effetti indesiderati”, accelerazione della progressione della CKD. Tutti i pazienti in trattamento con inibitori del DPP-4 non hanno manifestato crisi ipoglicemiche, né eventi avversi, né effetti negativi sulla progressione della CKD. L’emoglobina glicata ha denotato una maggiore stabilità rispetto al gruppo di confronto. Gli episodi ipoglicemici sono stati presenti solo nel gruppo in trattamento intensivo con insulina. Anche se gli inibitori del DPP-4, salvo qualche eccezione, sono prevalentemente eliminati per via renale e la dose in caso di CKD di grado elevato andrebbe ridotta, si sono dimostrati nella nostra esperienza farmaci vantaggiosi nei diabetici nefropatici.

Parole chiave: diabete mellito, insufficienza renale cronica, ipoglicemizzanti, efficacia, tollerabilità

Introduzione

La gestione terapeutica del paziente diabetico con Chronic Kidney Disease (CKD) è generalmente complessa. Uno degli aspetti da tenere in grande considerazione è che la terapia farmacologica ipoglicemizzante va rapportata al grado di funzionalità renale residua e va adattata “su misura” al singolo paziente. Alcuni farmaci ipoglicemizzanti orali sono controindicati nelle fasi avanzate della CKD, come la metformina, o vengono sconsigliati, come nel caso delle sulfaniluree, per il potenziale rischio di ipoglicemie da “accumulo”. Anche la stessa terapia insulinica necessita di una riduzione del dosaggio nelle fasi avanzate della insufficienza renale cronica, per evitare pericolose crisi ipoglicemiche [1, 2]. 

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