Una insolita coppia: caso clinico di coesistenza di SUEa e malattia di Fabry

Abstract

La sindrome emolitico-uremica atipica (SEUa) è una patologia sistemica rara, potenzialmente letale (14), in grado di colpire sia gli adulti che i bambini, causa di una microangiopatia trombotica (TMA) (5) che porta alla formazione di trombi all’interno dei piccoli vasi sanguigni con deficit multiorgano. La patogenesi della SEUa si inquadra in una sorta di attivazione cronica e incontrollata del sistema del complemento per mutazione genetica di alcune proteine solitamente deputate alla sua autoregolazione (6,7). Oggi, la diagnosi rapida della patologia e l’avvio tempestivo del trattamento con eculizumab, migliorano gli esiti di insufficienza renale, ictus e infarto (810).

La malattia di Fabry è una rara tesaurismosi, X linked, dovuta al deficit dell’attività dell’enzima lisosomiale alfa-galattosidasi A (11-13), necessario al catabolismo fisiologico dei glicosfingolipidi. Le manifestazioni cliniche multisistemiche provocano una grave patologia degenerativa. Il sospetto diagnostico basato su anamnesi e attenta ricerca dei sintomi e confermato, poi, dal dosaggio enzimatico dell’alfa galattosidasi o dall’analisi molecolare, consente il trattamento precoce del paziente con terapia enzimatica sostitutiva, garantendo la risoluzione e/o il rallentamento dell’evoluzione della malattia soprattutto a carico di cervello, cuore e reni.

In questo lavoro, descriviamo il caso clinico di una paziente portatrice di entrambe le malattie rare.

 

Parole chiavi: SUEa, eculizumab, malattia di Fabry, alfa galattosidasi, terapia enzimatica sostitutiva

Caso clinico

Riportiamo il caso clinico di una paziente nata nel 1980, prima di due sorelle, in riferita a.b.s fino a gennaio del 2001, epoca in cui presentò un episodio di macroematuria, trattato con terapia antibiotica per sospetta cistite emorragica. Dopo un mese, all’esame delle urine, presentava ancora microematuria. Nel corso del 2001 continuò a lamentare astenia, attribuita allo stress per lo studio e al contemporaneo lavoro di modella, ma non fu sottoposta ad ulteriori esami ematici.  

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Un caso di sindrome di Anderson-Fabry: approccio multidisciplinare per diagnosi e follow up

Abstract

La malattia di Fabry (anche nota come malattia di Anderson-Fabry, angiocheratoma corporis diffusum, angiocheratoma diffuso) è una rara tesaurismosi legata al deficit dell’attività dell’enzima lisosomiale alfa-galattosidasi A, necessario al catabolismo fisiologico dei glicosfingolipidi.

Le manifestazioni cliniche ad essa correlate hanno carattere multisistemico e configurano una patologia degenerativa e disabilitante, il cui approccio richiede una stretta collaborazione specialistica pluridisciplinare.

Attualmente, il rinnovato interesse nei confronti di tale condizione morbosa è mirato alla necessità di fornire una diagnosi precoce, al fine di avviare la terapia enzimatica sostitutiva e rallentare o evitare l’instaurarsi di un danno d’organo irreparabile. Per tale ragione, diventa indispensabile il sospetto diagnostico, che nasce dall’attenta osservazione e ricerca dei sintomi, unitamente all’anamnesi e alla valutazione clinica complessiva del paziente.

 

Parole chiave: malattia di Fabry, alfa galattosidasi, glicosfingolipidi, terapia enzimatica sostitutiva

CASO CLINICO

Riportiamo il caso di un paziente di 47 anni, portatore di fattori di rischio per vasculopatia (BMI >35, dislipidemia, fumo, ipertensione arteriosa) e in follow up per insufficienza renale cronica stadio IIIa secondo NKF/KDOQI (sCr 1,3 mg/dL con eGFR 65 mL/min/1,73 mq sec. MDRD), ACR grado A2 (150 mg/g) confermate in più determinazioni successive nell’arco di sei mesi. L’ecografia renale non rivelava alterazioni degne di nota. In precedenza, non era stato possibile effettuare una diagnosi istologica avendo il paziente rifiutato di sottoporsi a biopsia renale.

 

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