Settembre Ottobre 2023 - In depth review

La tossicità da mezzo di contrasto iodato e la sua prevenzione

Abstract

Il mezzo di contrasto iodato viene ampiamente usato nella pratica clinica, dalla diagnostica per immagini alle procedure radiointerventistiche ed endovascolari. Il paziente nefropatico risulta essere maggiormente suscettibile (rispetto alla popolazione con normofunzione renale) al danno d’organo indotto o associato al contrasto. Tuttavia tale condizione predisponente all’insufficienza renale non può rappresentare un limite o un ostacolo alla diagnosi o ai trattamenti endovascolari. Nonostante la letteratura prodotta nell’ultimo quinquennio, appaiono ancora controverse le modalità di gestione e di approccio ai pazienti nefropatici, dall’uso del contrasto all’utilizzo dei trattamenti sostitutivi la funzione renale, che spesso erroneamente vengono considerati come parte delle strategie di prevenzione.

Sebbene in letteratura l’argomento sia ampiamente dibattuto, nella pratica clinica si assiste spesso all’incertezza degli specialisti che lascia intendere una perfettibile gestione della somministrazione del mezzo di contrasto e delle richieste di consulenza nefrologica. Concomita, inoltre, una diffusa difficoltà nel distinguere il danno renale acuto post-contrastografico (Post-contrast Acute Kidney Injury, PC-AKI) dal danno renale acuto indotto dal mezzo di contrasto (Contrast-induced Acute Kidney Injury, CI-AKI).

La review che presentiamo vuole fornire un aggiornamento sull’argomento, fornendo le strategie per la riduzione del rischio di danno renale acuto dopo la somministrazione di mezzo di contrasto, strategie che prevedono l’identificazione precoce dei soggetti ad alto rischio, la scelta di mezzi di contrasto e dei dosaggi appropriati, la sospensione di farmaci nefrotossici, il follow-up dei soggetti ad alto rischio e l’identificazione precoce dell’AKI.

Parole chiave: mezzo di contrasto, danno renale acuto, prevenzione, idratazione

Introduzione

Il danno renale acuto (Acute Kidney Injury, AKI) è caratterizzato dal brusco declino, spesso reversibile, della velocità di filtrazione glomerulare (GFR) [1].

Nel novero degli agenti patogeni in grado di configurare l’AKI, l’impiego di mezzi di contrasto iodati è ben codificato.

La definizione di Post-contrast Acute Kidney Injury (PC-AKI) è il termine generico che dovrebbe essere usato quando si verifica un improvviso deterioramento della funzionalità renale entro 48 ore dalla somministrazione intravascolare di mezzo di contrasto iodato [2]. È da applicare a quelle situazioni in cui non è stata eseguita una valutazione clinica dettagliata per altre potenziali eziologie di AKI o in cui altre cause di AKI non possono essere ragionevolmente escluse. Tale definizione fa riferimento, dunque, all’incremento della creatinina o alle diminuzioni della velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) dopo l’esposizione al contrasto e che può o meno essere causato direttamente dal mezzo di contrasto [2].

Si preferisce, invece, l’uso della definizione “Contrast-induced acute kidney injury” (CI-AKI) per indicare le situazioni nelle quali il danno renale si verifichi entro le 48 ore dalla somministrazione del mezzo di contrasto iodato e sia causalmente collegato alla somministrazione di mezzo di contrasto. La presenza di un nesso causale tra esposizione al mezzo di contrasto e AKI può essere giudicata solo dopo un’approfondita valutazione clinica che permetta l’esclusione di altre potenziali cause di AKI. Se dopo tale valutazione non vengono identificate altre cause all’infuori dell’esposizione al contrasto, è appropriato in questi casi utilizzare il termine CI-AKI [2].

 

Scopo dello studio

Nonostante la letteratura prodotta nell’ultimo quinquennio, dal confronto con gli altri specialisti appaiono ancora controverse le modalità di gestione e di approccio ai pazienti nefropatici, dall’arruolamento all’uso di contrasto, all’utilizzo dei trattamenti sostitutivi la funzione renale, che spesso erroneamente vengono considerati come parte delle strategie di prevenzione.

Il nostro studio ha lo scopo di presentare una revisione aggiornata della letteratura sulla nefropatia legata al mezzo di contrasto, seguendo le linee Guida Internazionali PRISMA [3], dalla definizione alla fisiopatologia, epidemiologia e strategie di prevenzione, valutando l’entità del problema allo stato dell’arte attraverso il confronto con le linee guida Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) [1], European Society of Urogenital Radiology (ESUR) [4], American College of Radiology (ACR) [5]; diversi articoli sono stati prodotti nell’ultimo periodo su questo argomento e l’evoluzione delle conoscenze fisiopatogenetiche così come  le modifiche apportate dalle ultime linee guida in riferimento alle strategie preventive per la CI-AKI hanno suggerito l’opportunità di produrre un manoscritto rivolto in particolare ai nefrologi clinici che giornalmente si confrontano con questa sentita problematica.

 

Materiali e metodi

Per la stesura di questa review è stata eseguita una ricerca bibliografica sui database di Pubmed, Scopus e Web of Science, utilizzando le parole chiave ((venous AND/OR arterial contrast media [Title/Abstract]) AND (nephropathy [Title/Abstract])).

Due revisori indipendenti (S.C. e G.D.) si sono occupati, in prima battuta, di selezionare i titoli attinenti all’argomento utilizzando i seguenti criteri di inclusione:

  1. pubblicazioni peer-reviewed con dati originali;
  2. lingua inglese o italiana;
  3. accesso ai dati principali del lavoro mediante testo completo o mediante abstract.

I criteri di esclusione sono stati:

  1. lingua diversa da inglese ed italiano;
  2. lavori degli stessi Autori ripetuti.

I due revisori indipendenti hanno dunque selezionato gli studi per l’inserimento nella revisione. I titoli sono stati valutati per rilevanza e i risultati delle due ricerche bibliografiche sono stati confrontati risolvendo, mediante dibattito tra i due revisori indipendenti, le eventuali controversie sui titoli da includere nella stesura finale della review. I lavori originali che presentavano i criteri di inclusione stabiliti sono stati selezionati per una revisione più dettagliata.

Il dibattito tra gli autori è stato espletato mediante metodo Delphi, utile per validazione del consenso della validità interna al fine di evitare possibili bias [6].

Nel corso del documento si farà riferimento a “mezzo di contrasto” intendendo il mezzo di contrasto iodato: il mezzo di contrasto paramagnetico e quello ultrasonografico esulano dagli scopi di questo lavoro.

 

Risultati

La ricerca, condotta attraverso i sopracitati motori di ricerca, ha permesso di identificare inizialmente 168 titoli. Sono stati identificati, inoltre, 59 titoli aggiuntivi a partire dalle referenze bibliografiche degli stessi articoli summenzionati.

Dopo lettura ed eliminazione degli articoli duplicati, degli articoli non focalizzati sul topic, non in lingua inglese o italiana, con dati non originali, sono stati riportati in discussione 163 articoli (Figura 1).

Figura 1. Risultati presentati secondo diagramma PRISMA.
Figura 1. Risultati presentati secondo diagramma PRISMA.

La riduzione del rischio di danno renale legato all’infusione di mezzo di contrasto rappresenta l’obiettivo degli specialisti nella quotidiana pratica clinica. Diversi autori concordano sulla necessità di individuare i fattori di rischio in grado di impattare sulla funzione renale e di stabilire un protocollo infusionale coerente con le esigenze volemiche del paziente che, senza compromettere la sua emodinamica, ponga in essere una valida strategia di prevenzione.

 

Limiti epidemiologici

L’epidemiologia relativa al danno renale da mezzo di contrasto iodato appare confusa e i dati forniti in letteratura sono spesso tra di loro discordanti, con una variabilità circa l’incidenza del danno renale che spazia dall’1,3% al 33,3% [7]. Tali differenze trovano giustificazione nell’inclusione o esclusione dagli studi di soggetti che presentano vari fattori di rischio concomitanti, e dal tipo e volume del mezzo di contrasto iodato somministrato. Non trascurabile fenomeno di confondimento che complica la dimensione del problema è l’utilizzo improprio, spesso in maniera indifferente, delle definizioni di PC-AKI e di CI-AKI, a causa della storica fusione dei due termini. Ampi studi retrospettivi condotti su coorti di pazienti ad alto rischio, sottoposti all’infusione di mezzo di contrasto iodato, hanno riportato un’incidenza di PC-AKI elevata, con incidenza maggiore per la via intra-arteriosa (procedure endovascolari, riperfusioni, coronarografie) e minore per la via venosa [8], mentre parallelamente l’incidenza di CI-AKI è risultata essere, nel complesso, trascurabile per valori di eGFR > 30/ml/1.73m2 [5].

 

Fattori di rischio

Numerosi sono i fattori di rischio che favoriscono l’insorgenza di AKI nei pazienti sottoposti ad infusione di mezzo di contrasto. Alcuni di essi sono legati alla storia clinica del soggetto da sottoporre all’infusione endovenosa di mezzo di contrasto e riguardano la funzione renale preesistente, le comorbidità associate e la concomitante terapia assunta. Altri, invece, riguardano le caratteristiche ed il volume del mezzo di contrasto (Tabella 1).  Ipertensione arteriosa, insufficienza renale, diabete mellito, storia di precedenti infarti del miocardio, età, frazione di eiezione ventricolare sinistra <40% sono noti fattori di rischio di AKI dopo esposizione a mezzo di contrasto iodato [9].

Fattori di rischio legati al paziente Fattori di rischio legati ad agenti chimici Fattore di rischio legato ad agenti nefrotossici
eGFR <30ml/min/1,73m2 Mezzo di contrasto ad elevata osmolarità Uso concomitante di sostanze nefrotossiche (NSAIDs, aminoglicosidi, ACEI, ARB, biguanidi)
Età>65 anni Quantità di mezzo di contrasto utilizzato
Ipertensione Infusioni ripetute di mezzo di contrasto
Anemia
Scompenso cardiaco
Stato settico  
Diabete    
Tabella 1. Fattori di rischio per danno renale da mezzo di contrasto.

Fattori di rischio legati alla storia clinica del paziente

Il rischio di PC-AKI aumenta con ogni aumento graduale dello stadio di chronic kidney disease (CKD), per cui il rischio di PC-AKI risulta di circa il 5% in pazienti con eGFR maggiore o uguale a 60; 10% a eGFR con 45-59; 15% con eGFR di 30-44; 30% con eGFR inferiore a 30 ml/min/1,73 m2 [5]. Il rischio di PC-AKI è molto più alto del rischio di CI-AKI in quanto include tutte le condizioni nelle quali si verifica una riduzione della perfusione renale, spesso conseguenza di insufficienza cardiaca, ipovolemia, instabilità emodinamica o di farmaci che influiscono sull’emodinamica renale [10] coincidenti con la somministrazione di mezzi di contrasto [5]. Nel già citato lavoro di Wilhelm-Leen et al. [11], la somministrazione di mezzo di contrasto è stata associata a un rischio più elevato di PC-AKI se coesistono i seguenti quadri patologici: sepsi (35,8% contro 32,9%), polmonite (16,3% contro 12,7%), infezione del tratto urinario/pielonefrite (17,4% contro 15,7%), peritonite (31,4% contro 28,9%), sanguinamento gastrointestinale (16,8% contro 13,8%), esacerbazione della broncopneumopatia cronica ostruttiva (16,3% contro 15,1%) e pancreatite acuta (16,4% contro 8,2%). In generale, le differenze di rischio tra i gruppi erano piccole: circa il 2-3% assoluto, 15-20% relativo. L’eccezione notevole è stata la pancreatite acuta: per questi pazienti la somministrazione di mezzo di contrasto è stata associata a un raddoppio del rischio di PC-AKI. Per molti altri stati patologici, i pazienti che hanno ricevuto il mezzo di contrasto hanno manifestato un tasso inaspettatamente più basso di PC-AKI: esacerbazione dell’insufficienza cardiaca (16,6% contro 19,0%), endocardite (16,4% contro 19,9%), sindrome coronarica acuta (SCA) (6,4% contro 17,4%), tromboembolismo venoso (6,9% contro 9,2%) e ictus/incidente cerebrovascolare (6,7% contro 7,5%). Lo studio retrospettivo monocentrico condotto da Hinsen et al. [12] eseguito su un totale di 82.729 pazienti sottoposti a TC con o senza mezzo di contrasto in 5 anni (dal 2009 al 2014), aveva come outcome primario l’incidenza di CI-AKI e come outcome secondario dialisi e trapianto renale a 6 mesi. In tale studio, l’incidenza di AKI è risultata paragonabile in tutti i gruppi. La somministrazione di mezzo di contrasto iodato non è stata associata ad una maggiore incidenza di AKI (odds ratio per i criteri di nefropatia indotta da mezzo di contrasto = 0,96, intervallo di confidenza al 95% da 0,85 a 1,08; e odds ratio per i criteri Acute Kidney Injury Network/Kidney Disease Improving Global Outcomes = 1,00, 95% intervallo di confidenza da 0,87 a 1,16) tra i vari sottogruppi, indipendentemente dalla funzione renale al basale. Inoltre, la somministrazione di contrasto non è stata associata ad una maggiore incidenza di malattie renali croniche, dialisi o trapianto renale a 6 mesi.

Il rischio di CI-AKI è sostanzialmente inferiore al rischio di PC-AKI, ma rimane incerto nei pazienti con End Stage Kidney Disease (ESKD) che rappresenta la più grave condizione clinica di rischio predisponente la CI-AKI; sebbene diversi studi osservazionali controllati non abbiano mostrato evidenza di CI-AKI indipendentemente dallo stadio di CKD preesistente [13], altri hanno trovato evidenza di CI-AKI solo in pazienti con funzionalità renale gravemente ridotta (eGFR <30 ml/min/1.73m2) [14]. L’incidenza di CI-AKI nella popolazione con funzionalità renale normale è molto bassa (cioè 0-5%), tuttavia è segnalata come 12-27% nei pazienti con CKD preesistente e fino al 50% nei pazienti allo stadio IV-V secondo KODQI [11].

Nella metanalisi di Mc Donald JS et al. [13], il rischio di CI-AKI, in assenza di fattori di rischio associati, è stato stimato essere trascurabile per eGFR maggiore o uguale a 45 ml/min/1,73 m2; 0-2% per eGFR di 30-44 ml/min/1,73 m2 e 0-17% per eGFR inferiore a 30 ml/min/1,73 m2. Questa metanalisi, comunque, presenta importanti limiti in quanto: non stratifica il rischio nei pazienti sulla base della preesistente CKD (gli autori stessi mettono in evidenza questo limite, verosimilmente legato ad un non omogeneo campionamento dei pazienti sulla base della CKD); sono osservazionali; molte delle analisi sui sottogruppi includono studi poco numerosi risultando, pertanto, probabilmente sottodimensionate.

Accanto all’insufficienza renale preesistente, altre condizioni patologiche quali il diabete, l’età avanzata (≥80 anni), l’ipertensione, l’insufficienza cardiaca congestizia, la sepsi e l’anemia possono aumentare l’incidenza di PC-AKI, le complicanze a breve e lungo termine e la mortalità dei pazienti [15].

Fattori di rischio legati al mezzo di contrasto iodato

Le proprietà fisico-chimiche del mezzo di contrasto, come la sua osmolalità e viscosità, svolgono un ruolo determinante alla patogenesi del danno renale correlato al mezzo di contrasto. L’osmolarità indica la concentrazione di particelle in una soluzione ed è espressa in osmoli di particelle di soluto per litro di soluzione (Osm/L). Con osmolalità, invece, si intende il numero particelle per unità di peso (mOsm/kg). Il mezzo di contrasto si divide in tre tipi in base alla sua osmolalità, ovvero ad alta osmolarità (HOCM), iso-osmolare (IOCM) e a bassa osmolarità (LOCM).

Nel corso degli anni il mezzo di contrasto ha subito una progressiva evoluzione. Per maggiore approfondimento si rimanda al lavoro di Wallingford [16].

I mezzi iso-osmolari sono l’ultima forma di contrasto utilizzata in quanto hanno la stessa osmolalità del siero umano e, sebbene vengano definiti da diversi autori come meno nefrotossici rispetto a quelli iper/ipo-osmolari [17], conclusioni simili non trovano il consenso unanime della letteratura.

Non ci sono differenze clinicamente rilevanti confermate dalla letteratura circa il rischio di PC-AKI tra i mezzi di contrasto a bassa osmolalità (LOCM) e i mezzi di contrasto a iso-osmolarità (IOCM) per applicazioni endovenose [18]. L’evidenza indiretta suggerisce che il LOCM iohexolo possa avere un rischio maggiore rispetto ad altri LOCM, sebbene la potenziale differenza di rischio non sia stata confermata [18].

Di avviso diverso sono, ad esempio, gli studi di Rudnick et al., che non hanno riscontrato differenze nell’insorgenza di PC-AKI dopo la somministrazione di IOCM rispetto al LOCM [19]. Davenport et al. [20], in un lavoro volto a determinare se il mezzo di contrasto iodato a bassa osmolalità somministrato per via endovenosa fosse associato a PC-AKI post-tomografia computerizzata (TC), hanno confrontato 19 covariate tra 17.652 individui, giungendo alla conclusione che il mezzo di contrasto iodato ipotonico ha un impatto significativo sull’insorgenza di AKI sia dopo TC che dopo angiografia (P=0,04) nei pazienti con preesistente insufficienza renale e creatinina sierica > 1,5 mg/dl.

Sulla base delle evidenze fornite dallo stesso Davenport, in una revisione sistemica del 2020, è probabile che qualsiasi differenza nel rischio di PC-AKI tra LOCM e IOCM non sia clinicamente significativa [5].

Differenze clinicamente significative sono state dimostrate, invece, negli studi randomizzati che hanno confrontato il comportamento di LOCM e IOCM nelle somministrazioni intra-arteriose ed endovenose [18]: nella somministrazione intra-arteriosa con esposizione renale di secondo passaggio, il mezzo di contrasto iniettato nel cuore destro e nelle arterie polmonari o direttamente nelle arterie carotidee, succlavia, brachiale e mesenterica, nonché nell’aorta sottorenale e nelle arterie iliache e femorali, raggiunge le arterie renali dopo la diluizione; questa somministrazione presenta lo stesso rischio della somministrazione endovenosa (più basso) [21]. Nella somministrazione intra-arteriosa con esposizione renale di primo passaggio, il mezzo di contrasto iniettato nel cuore sinistro, nell’aorta addominale toracica e surrenale e selettivamente nelle arterie renali, raggiunge le arterie renali durante il primo passaggio; i pazienti sottoposti a queste procedure presentano frequentemente comorbidità, per quanto sia difficile distinguere gli effetti dovuti alla somministrazione del mezzo di contrasto da quelli dovuti ad altre cause concomitanti, come, ad esempio, nelle procedure interventistiche endovascolari, il rischio di malattia ateroembolica renale [22, 23].

Per quel che concerne le eventuali differenze nella metodologia di somministrazione del mezzo di contrasto sul rischio di sviluppare una CI-AKI, in uno studio di McDonald et al. [24] viene riportata nei pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco (somministrazione intra-arteriosa) un’incidenza sostanzialmente più elevata di AKI, dialisi e mortalità post-procedurale rispetto a quella di pazienti sottoposti a studio angiografico o a TC con mezzo di contrasto (somministrazione endovenosa). Inoltre, l’incidenza di AKI dopo la procedura è stata stimata essere del 10-50% [25], mentre l’incidenza generale di AKI dopo la TC con mezzo di contrasto è stata riportata tra il 5-20% [26]. È stato ipotizzato che questo possa essere dovuto all’utilizzo di una maggior quantità di mezzo di contrasto nelle procedure intrarteriose, a un maggior rischio di dislocazione di ateroemboli e, non ultimo, a maggiori comorbidità dei pazienti sottoposti a procedure intra-arteriose [27].

Nessuno studio ha confrontato direttamente il rischio di CI-AKI tra LOCM e IOCM: si ritiene che non vi siano differenze clinicamente rilevanti nel rischio di CI-AKI tra LOCM e IOCM [28].

Fattori di rischio legati ad agenti nefrotossici

Altro potenziale fattore di rischio di danno renale dopo somministrazione intra-arteriosa di mezzo di contrasto iodato è rappresentato dai farmaci nefrotossici. Tra questi farmaci annoveriamo:

  • gli antinfiammatori non steroidei (NSAIDs), che alterando l’emodinamica dei vasi renali causano fibrosi interstiziale renale;
  • gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, come gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-i) e i bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB), gli inibitori del recettore dell’angiotensina-neprilisina (ARNI), gli antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi (MRA), i quali, provocando una riduzione del eGFR, rallentano la clearance del mezzo di contrasto. Inoltre, l’angiotensina II è in grado di indurre la produzione del transforming growth factor β1 (TGF-β1) che presenta attività potenzialmente protettiva sulla necrosi delle cellule tubulari prossimali renali, perde tale potere induttivo sul TGF-β1 (e quindi la conseguente nefroprotezione), una volta inibita dal sistema renina-angiotensina-aldosterone;
  • gli aminoglicosidi presentano diversi gruppi amminici sulla molecola che conferiscono loro una carica cationica a pH fisiologico. Di conseguenza, le molecole di aminoglicoside si legano prontamente ai fosfolipidi anionici all’interno della membrana plasmatica del tubulo prossimale in modo elettrostatico saturabile. L’affinità relativa di un aminoglicoside per la membrana plasmatica del tubulo prossimale è correlata alla nefrotossicità osservata nella pratica clinica [29].
  • la metformina; in questo caso l’eliminazione del farmaco avviene principalmente a livello renale tramite trasportatori localizzati nel tubulo prossimale. Per tale motivo la concentrazione plasmatica della metformina aumenta nel corso dell’insufficienza renale cronica. A livello urinario non sono stati rinvenuti metaboliti della metformina ma esclusivamente farmaco immodificato. La complicanza più temuta è l’acidosi lattica che consegue all’assunzione di tale farmaco nel contesto della malattia renale cronica [30].
    Le linee guida ACR del 2018 suggeriscono che, nei pazienti ritenuti ad alto rischio di CI-AKI in trattamento con metformina che devono essere sottoposti all’infusione di mezzo di contrasto iodato, il farmaco debba essere temporaneamente sospeso al momento dello studio o subito prima, e deve essere sospeso per almeno 48 ore [31]; tale indicazione è stata confermata – negli stessi termini – anche dalle linee guida ESUR, che peraltro precisano la possibilità di proseguire il trattamento con metformina dopo aver escluso alterazioni della funzione renale a 48 ore [4].

 

Fisiopatologia del danno renale

Il meccanismo fisiopatologico alla base del danno renale non è stato completamente chiarito. Diversi fattori agiscono attraverso molteplici pathways, sostenendo la genesi del danno renale (Figura 2).

Figura 2. Fisiopatologia del danno renale da mezzo di contrasto. NOS: ossido nitrico sintasi; Na+/K+: pompa sodio potassio.
Figura 2. Fisiopatologia del danno renale da mezzo di contrasto. NOS: ossido nitrico sintasi; Na+/K+: pompa sodio potassio.

Sicuramente il mezzo di contrasto ha effetti tossici diretti sulle cellule epiteliali tubulari renali e può indurre apoptosi e necrosi a causa delle sue proprietà fisico-chimiche. Il danno renale è caratterizzato dalla perdita di polarità cellulare dovuta alla ridistribuzione delle pompe Na+/K+, che sul fronte basolaterale delle cellule epiteliali tubulari diminuiscono mentre aumentano sul lato della superficie luminale, comportando l’incremento del trasporto di ioni sodio ai tubuli contorti distali (Figura 3) e così lo spasmo dei vasi sanguigni renali attraverso il feedback tubuloglomerulare. Come conseguenza si verificherebbe l’incremento della pressione intravasale, la diminuzione del GFR e l’ostruzione del lume tubulare.

Danno esercitato dal mezzo di contrasto sulla pompa Na+/K
Figura 3. Danno esercitato dal mezzo di contrasto sulla pompa Na+/K+. Il danno renale è caratterizzato dalla perdita di polarità cellulare dovuta alla ridistribuzione delle pompe Na+/K+, che sul fronte basolaterale delle cellule epiteliali tubulari diminuiscono mentre aumentano sul lato della superficie luminale, comportando l’incremento del trasporto di ioni sodio ai tubuli contorti distali e così lo spasmo dei vasi sanguigni renali attraverso il feedback tubuloglomerulare. Come conseguenza si verificherebbe l’incremento della pressione intravasale, la diminuzione del GFR e l’ostruzione del lume tubulare. MEZZO DI CONTRASTO: mezzo di contrasto; HCO3-: ione bicarbonato; A.C: anidrasi carbonica; CO2 anidride carbonica, ATP: adenosin-trifosfato; H+: ione idrogeno; Na+: ione sodio; K+: ione potassio; H2CO3: acido carbonico.

Altro meccanismo indiretto attraverso cui si determina il danno renale, risiede nella capacità del mezzo di contrasto di aumentare la produzione di radicali liberi dell’ossigeno (riducendo l’attività biologica cellulare) e di promuovere la perossidazione dei lipidi. Riducendo l’attività degli enzimi antiossidanti e della superossido dismutasi, favorisce la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), che causano danni alle cellule epiteliali tubulari renali e alle cellule adiacenti. L’aumento dei ROS induce la produzione di agenti vasocostrittori (come l’endotelina) e determina l’inibizione dell’attività della ossido nitrico sintasi (NOS) e della prostaciclina sintasi, portando, così, alla riduzione di sostanze vasodilatatrici (come ossido nitrico, NO, e prostaciclina, PGI2) nel plasma e, di conseguenza, alla riduzione della perfusione renale e all’ipossia cellulare [33]. Per quanto la vascolarizzazione della corticale midollare renale rappresenti solo il 10% del flusso sanguigno renale, le cellule epiteliali nel segmento spesso ascendente dell’ansa di Henle svolgono un lavoro metabolicamente stressante rendendosi particolarmente suscettibili agli insulti ischemici ed ipossici che occorrono nel corso di tali fluttuazioni del circolo perfusorio. Inoltre, il mezzo di contrasto può aumentare la viscosità del sangue, rallentare il flusso sanguigno microcircolatorio e influenzare la pressione osmotica del sangue, riducendo così la plasticità dei globuli rossi e aumentando il rischio di microtrombosi [34].

 

Prevenzione del danno renale

La PC-AKI complica circa il 7% di tutti gli interventi coronarici percutanei (PCI). Nello 0,3% dei casi richiede l’avvio del trattamento dialitico, si associa all’incremento degli eventi avversi quali morte, infarto del miocardio e sanguinamento, che si traducono nell’allungamento della degenza media e nell’aumento dei costi negli USA (rispettivamente circa 3,6 giorni e $ 10.000) [35].

Idratazione fissa e idratazione controllata

L’idratazione costituisce il metodo di profilassi più diffuso nonché il più efficace nella prevenzione di PC-AKI e CI-AKI [36], in quanto il mantenimento dell’euvolemia impedisce l’iperattivazione del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina, contrastando la vasocostrizione renale esercitata dal mezzo di contrasto, diluendo quest’ultimo all’interno del lume tubulare renale, riducendo il tempo di contatto con le cellule tubulari renali [37].  È noto come la sola somministrazione di liquidi per os non sia sufficiente all’ottenimento di un’adeguata prevenzione di tale rischio: pertanto è necessario l’utilizzo di soluzioni per infusione endovenosa [38]. Le linee guida del 2015 sulla sindrome coronarica acuta, le linee guida della Società Europea di Cardiologia del 2018 sulla rivascolarizzazione del miocardio e diversi autori concordano nel dire che l’idratazione per via endovenosa è raccomandata nei pazienti con un eGFR <60 ml/min/1,73 m2 nelle 12 ore antecedenti e nelle 24 ore successive la procedura [39].

Ciononostante, persistono controversie circa la tipologia di soluzione da adottare nella terapia di idratazione e i volumi da infondere. Attualmente, la somministrazione di soluzioni all’1,4% di bicarbonato di sodio [40] e allo 0,9% di soluzione fisiologica rappresenta la prima scelta nella grande maggioranza delle situazioni. Seppure precedenti studi abbiano evidenziato come la somministrazione endovenosa di bicarbonato di sodio sia più efficace della soluzione salina nel ridurre l’incidenza di PC-AKI, nessuna differenza è stata identificata tra le due soluzioni in un recente studio multicentrico su un totale di 5.177 soggetti condotto da Weisbord et al. [41]. L’utilità e la praticità di impiego del bicarbonato trova giustificazione nelle meta-analisi di Meier [42] e in quella più recente di Zhang [43] dalle quali emerge il vantaggio dato dalla correzione dell’acidosi nelle condizioni in cui non è possibile eseguire un’idratazione prolungata, quali le procedure d’emergenza. Inoltre, l’impiego del bicarbonato di sodio rimane più efficace rispetto all’infusione di ringer [44]. Ulteriori controversie riguardano più specificatamente la dose da infondere. Diversi studi sono concordi su protocolli di idratazione fissa: il protocollo di idratazione a base di bicarbonato di sodio consiste in un’infusione di circa 150 mEq/l di soluzione di 3 ml/kg/h da somministrare in un’ora prima dell’esposizione del mezzo di contrasto e in un’infusione di 1 ml/kg/ h nelle 6 ore successive; tale protocollo si differenzia per durata da un tipico protocollo di idratazione salina con un’infusione di 1 ml/kg/h da 6 a 12 ore prima e un ulteriore infusione di 1 ml/kg/h per ulteriori 6-12 ore dopo l’esposizione al mezzo di contrasto [45], ma la necessità di tenere in considerazione anche le caratteristiche del singolo paziente, quali funzione cardiaca, equilibrio idro-elettrolitico, acido base e comorbidità, nonché i rischi di un’overload di fluidi, hanno portato alla necessità di sviluppare un nuovo approccio basato sul concetto di idratazione controllata [46]. È noto infatti come infusioni eccessive possano aumentare il rischio di insufficienza cardiaca, aritmia e morte a breve termine nei pazienti ad alto rischio. Tra le possibili modalità di implementazione di una strategia di idratazione controllata potrebbe figurare l’uso di parametri emodinamici quali la pressione venosa centrale (PVC), la pressione telediastolica del ventricolo sinistro (LVEDP), la collassabilità della vena cava [47], la bioimpedenzometria e il volume urinario [48]. A tal riguardo è estremamente stimolante il lavoro pubblicato da Azzalini et al. “LVEDP-Guided Versus UFR-Guided Hydration for CA-AKI Prevention: Should We Be Guided by Our Heart or Kidneys?” [35], che contrappone alla one-size-fits-all hydratation protocolli di idratazione personalizzati e basati sulla reale volemia del paziente.

Un’interessante mediazione tra l’esigenza di idratazione e il rischio di overload è rappresentato dal sistema RenalGuard (RenalGuard Solutions, Milford, Massachusetts), un dispositivo che consente di ottimizzare la resa dell’espansione volemica facendo corrispondere al volume infuso l’output urinario (urine flow rate [UFR]-guided hydration) [35]. Al priming del sistema fa seguito un bolo di soluzione salina (circa 3 ml/kg in 20-30 min) e furosemide (0,25 mg/kg), così che, mantenendo un’elevata produzione di urina, il mezzo di contrasto possa essere rapidamente eliminato, salvaguardando il tubulo dai suoi effetti deleteri. Al paziente viene somministrata la prima dose di contrasto quando la diuresi supera i 300 ml/h. Trial randomizzati controllati [49] hanno dimostrato una drastica riduzione in termini di PC-AKI e necessità di terapia sostitutiva con l’approccio basato sull’UFR, rispetto ai regimi di idratazione fissa. Briguori et al. hanno, inoltre, verificato che rispetto alla terapia di idratazione fissa, la terapia di idratazione controllata con sistema RenalGuard ha portato ad una ridotta incidenza di edema polmonare (RR: 0,56, IC 95%: 0,39-0,79, P=0,036) [50]. Lo stesso autore [51], in uno studio condotto su 4 centri italiani (REMEDIAL II) ha dimostrato che il trattamento con RenalGuard è superiore alla sola terapia con bicarbonato di sodio e alla N-acetilcisteina nella prevenzione del danno renale acuto indotto dal mezzo di contrasto nei pazienti ad alto rischio. Convergono verso lo stesso orientamento lo Studio Pilot [52], lo Studio Mythos [53] che conclude come lo stimolo diuretico associato a un’idratazione adeguata riduca significativamente il rischio di nefropatia da contrasto se paragonato alla diuresi indotta dalla sola cauta idratazione e lo Studio Modena [54].

Viceversa, nessuna differenza nella capacità di ridurre l’incidenza di PC-AKI rispetto ai protocolli standard veniva evidenziata nel trial randomizzato controllato monocentrico di Nissan et al. Gli autori concludevano che 8 pazienti su 307 (2,6%) non sottoposti ad idratazione controllata sviluppavano PC-AKI, vs 8 pazienti su 296 (2,7%) sottoposti ad idratazione controllata che sviluppavano PC-AKI: pertanto, l’idratazione controllata non sembrava ridurre l’incidenza di PC-AKI (P=0,4710) [55].

– Potenziali vantaggi dell’idratazione controllata

È di interesse la possibilità di impostare quanto il bilancio idrico debba essere positivo (in pazienti disidratati) o negativo (in pazienti con sovraccarico idrico). In assenza di un dispositivo che permetta di valutare oggettivamente i volumi di infusione e l’outcome urinario, la valutazione rimane soggettiva e dipende unicamente dall’intuito dell’operatore. Il ricorso a un’idratazione controllata, come riportato dai su citati studi di Briquori et al., porta alla riduzione dell’incidenza dell’edema polmonare e dell’aggravamento dei quadri di scompenso cardiaco.

La metanalisi condotta da Prasad et al., su 10 studi relativi all’uso di RenalGuard in pazienti ad alto rischio, ha mostrato come l’impiego dell’idratazione controllata oltre che essere associato ad una significativa riduzione del rischio di PC-AKI rispetto al gruppo di controllo, si associava alla riduzione della mortalità, della dialisi e degli eventi cardiaci avversi maggiori (MACCE) rispetto al controllo [56].

– Limiti dell’idratazione controllata

Tra i limiti all’impiego dell’idratazione controllata possiamo annoverare il costo elevato dei dispositivi che li rendono – qualora a disposizione nelle aziende – in numero estremamente esiguo rispetto alle reali necessità dei clinici.

Altre strategie di prevenzione

In seno alle strategie di prevenzione del danno renale conseguente all’infusione di mezzo di contrasto, la letteratura offre un’ampia rosa di possibilità, più o meno efficaci, sulle quali l’opinione degli autori sono spesso contrastanti.

– NAC

Tra tutte le molecole associate alla prevenzione per la nefropatia da contrasto spicca la N-acetilcisteina (NAC). Si tratta di un importante agente riducente contenente un gruppo sulfidrilico, noto per le spiccate proprietà antiossidanti in grado di promuovere la sintesi del glutatione e regolare il metabolismo cellulare. Essa possederebbe, quindi, poteri antiossidanti. Inoltre, NAC sembra promuovere il rilascio di NO e ridurre la produzione di angiotensina inibendo l’attività degli enzimi ACE (vedi Fisiopatologia del danno renale).

Le meta-analisi che esaminano la NAC come molecola protettiva nel corso di infusione di mezzo di contrasto hanno prodotto risultati discordanti che dimostrano come l’eterogeneità dei dati forniti dai vari autori possa essere correlata alle diverse definizioni di PC-AKI  / CI-AKI, alle compresenza di fattori di rischio e ai valori di creatinina di base della popolazione in studio.

Se da una parte è tangibile l’entusiasmo degli autori [57] che tributano alla NAC ampia fiducia nella profilassi del danno renale da mezzo di contrasto, si è assistito ad un graduale disamoramento fino a restare ai margini delle strategie di prevenzione per l’incoerenza dei dati ottenuti [58].

È opinione di Xie et al. che la NAC possa ridurre significativamente l’incidenza di AKI dopo l’angiografia (OR: 0,78, IC 95%: 0,68-0,90, I2 = 37,3%) [57]. Nessun dubbio sulla validità dei suoi poteri nefroprotettivi, da sola o accompagnata ad altre molecole quali vitamina C, sodio bicarbonato, statine, per Kaj et al. [59].

Di altro avviso è lo studio prospettico presentato da Palli et al. Gli autori hanno dimostrato che l’incidenza di nefropatia non differiva tra il gruppo NAC (1200 mg) e il gruppo placebo (P=0,81) [60]. Concorda con Palli il più ampio studio randomizzato pubblicato da Weisbord et al. che non ha dimostrato differenze significative tra i 4993 pazienti ad alto rischio di complicanze renali sottoposti ad angiografia, trattati con NAC orale rispetto al placebo per la prevenzione della morte o per la prevenzione del danno renale acuto da contrasto [41].

Anche il beneficio della NAC per via endovenosa rimane incerto e il confronto tra i vari studi è difficile a causa delle differenze nelle popolazioni di pazienti e del dosaggio o della mancanza di un gruppo di controllo adeguato. Il lavoro di Biernaka et al. elogia le proprietà nefroprotettive del NAC in somministrazione endovenosa nella prevenzione del danno renale nel contesto di infusione di mezzo di contrasto [61]. Secondo uno studio pubblicato da Marenzi et al., il 7% dei pazienti che hanno ricevuto alte dosi di NAC per via endovenosa ha sviluppato reazioni anafilattoidi [62]. Secondo Khatami et al., nei pazienti con malattia renale cronica, la somministrazione di NAC tanto per via endovenosa quanto per via orale non è superiore al placebo per prevenire il danno renale [63]. La somministrazione della NAC in associazione ad altre molecole è ancora oggetto di discussione e spesso non trova spazio nella sperimentazione umana. Per quanto riguarda l’associazione NAC ed acido ascorbico, valutata da Feng et al. [64], questa non suggerisce vantaggi rispetto alla sola somministrazione della NAC. L’associazione, invece, tra acido ascorbico e bicarbonato di sodio ha dimostrato effetti protettivi da CI-AKI nei pazienti sottoposti a cateterismo arterioso per coronarografia [65].

– Inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5

Minore eco nell’ambito della prevenzione della nefropatia da contrasto hanno avuto altre molecole che mai hanno raggiunto la dignità di un uso diffuso nella pratica clinica. Tra queste è possibile citare sildenafil e tadalafil: in uno studio pubblicato da Iodarche et al. [66], il pre-trattamento con sildenafil e tadalafil, testati sui ratti maschi Widar modulando lo stress ossidativo, ha ridotto il rischio di danno renale da contrasto suggerendo che gli inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5I) possono essere buoni candidati in base alla loro capacità di modulare l’equilibrio ossidante/antiossidante. Il febuxostat, un inibitore della xantina ossidasi indicato nel trattamento della gotta e dell’iperuricemia cronica, ha trovato espressione favorevole tra le strategie preventive del danno renale da mezzo di contrasto negli studi di Ma et al. [67]. Rimane controversa l’efficacia di alprostadil. Tale molecola svolge un ruolo nel mantenimento e nella ridistribuzione del flusso sanguigno intrarenale e nell’escrezione di elettroliti e acqua. Una metanalisi pubblicata nel 2019 ha messo a confronto trentasei articoli (5495 pazienti in totale) e sembra dimostrare che, per i pazienti trattati con alprostadil 48-72 ore prima della somministrazione di mezzo di contrasto, l’incidenza del danno renale risultava essere sensibilmente inferiore rispetto al controllo (6,56% vs 16,74%) [68]. Le speranze riposte sull’alfa-tocoferolo, come valido protettore della creatinina e del eGFR contro i danni cagionati dal mezzo di contrasto, sono state presto ridimensionate dallo studio prospettico controllato condotto su 201 pazienti con malattia renale cronica (eGFR <60 ml/min) sottoposti ad angiografia coronarica e presentato da Samadi et al. nel 2020, che ha dimostrato come la somministrazione di alfa-tocoferolo non abbia alcun effetto benefico additivo rispetto alla soluzione fisiologica isotonica nella prevenzione della nefropatia da contrasto, nei pazienti con insufficienza renale cronica [69]. Sebbene l’alcalinizzazione delle urine potrebbe avere un razionale come effetto protettivo nei confronti della CI-AKI, l’infusione di soluzioni a base di citrato Na/K non ha dato risultati utili a dimostrarne la validità [70].

La trimetazidina è stata descritta come un agente anti-ischemico cellulare in grado di prevenire gli effetti deleteri dell’ischemia-riperfusione sia a livello cellulare che mitocondriale ed esercitare un effetto antiossidante. Essa inibisce il rilascio eccessivo di radicali liberi dell’ossigeno, limita l’acidosi cellulare, protegge le riserve di adenosina trifosfato (ATP), riduce la perossidazione lipidica di membrana ed inibisce l’infiltrazione dei neutrofili. La somministrazione di tale molecola alla dose di 35 mg due volte al giorno per os, combinata ad una cauta idratazione oppure ad altre molecole come il Coenzima Q10, è entrata recentemente nel novero delle sostanze utili a prevenire o ridurre l’incidenza di CI-AKI nel contesto delle procedure di angiografia coronarica in pazienti con insufficienza renale lieve-moderata [71]. Rispetto alla sola idratazione convenzionale [72], la trimetazidina sembra ridurre significativamente l’incidenza di CI-AKI e il livello di creatininemia nel postoperatorio, suggerendo un potere protettivo superiore alla sola idratazione convenzionale per il trattamento della CI-AKI che sfrutta l’incremento del metabolismo del glucosio nel rene e la riduzione dell’ossidazione degli acidi grassi, con un effetto protettivo sul danno dei radicali liberi renali e sul danno da ischemia-riperfusione [73]. Tuttavia, a causa dell’esiguità campionaria degli studi presenti in letteratura, è ancora necessario condurre trial clinici multicentrici, randomizzati e in doppio cieco per confermare il ruolo svolto dalla trimetazina nella prevenzione della CI-AKI.

– Antagonisti del recettore dell’adenosina

Sul piano della prevenzione della CI-AKI, recentemente hanno trovato spazio i vasodilatatori, come gli antagonisti del recettore dell’adenosina [74], il sarpogrelato [75], la dimetilarginina asimmetrica e l’amlodipina, in quanto possono ridurre l’ischemia midollare renale indotta da mezzo di contrasto mitigando la vasocostrizione renale. Altro vasodilatatore descritto in letteratura nella prevenzione della CI-AKI è il Nicorandil [76].

– Statine

Un discorso a sé stante meritano le statine che, oltre al noto potere ipolipemizzante, possiedono effetti antinfiammatori interferendo con la produzione di ossigeno attivo ed eliminando i radicali liberi. Inoltre, sono in grado di attivare le cellule progenitrici endoteliali per proteggere i vasi sanguigni [77].

La rosuvastatina e l’atorvastatina sembrano ridurre l’incidenza di PC-AKI e possedere un analogo potere protettivo [78] se somministrate ad alte dosi (rosuvastatina 40 mg, atorvastatina 80 mg) [79].

Per quanto non sia possibile trovare un consenso unanime tra gli autori, nel complesso la letteratura supporta gli effetti pleiotropici benefici dell’uso di statine sulla PC-AKI, per quanto, comunque si rendano necessari ulteriori studi clinici randomizzati per confermarne l’utilità clinica [80].

– Altro

Altre molecole hanno raggiunto la dignità della pubblicazione, sebbene non abbiano mai trovato applicazione nella pratica clinica e i risultati prodotti non siano concordi. Tra queste gli agonisti del recettore dell’adiponectina (AdipoRon) [81], la pentossifillina [82], l’antitrombina III [83], l’inibitore della C1-esterasi umana ricombinante [84], il tolvaptan [85], il Terz-butil-idrochinone [86], la quercetina [87], il probucol [88], l’allopurinolo [89], la prostaglandina E1 [90], le erbe medicinali cinesi [91], la silimarina (silibina, silicristina, silidianina), principio attivo del Silimarin, estratto dalla pianta officinale Sylibum Marianum [92], il timochinone [93], la ligustrazina [94], la curcuma [95], il resveratrolo [96], gli omega 3 [97] e per ultimo l’agonista del glucagon-like peptide receptor Exentina-4 [98], una molecola simile alle incretine che si trova nel veleno del Mostro di Gila, uno strano sauro dalla coda tozza del nord America.

Da ultimo, il campo della prevenzione del danno da mezzo di contrasto subisce il fenomeno del Precondizionamento Ischemico Remoto, o Remote Ischemic PreConditioning (RIPC), riconosciuto in diversi trial come alternativa alla terapia standard in termini di miglioramento dei livelli di creatinina sierica dopo somministrazione del mezzo di contrasto in pazienti a rischio. Il fascino discreto del fenomeno RIPC, come strumento di prevenzione della CI-AKI, risiede nella possibilità di istruire a livello molecolare l’organismo, sottoponendolo, mediante brevi cicli d’ischemia/riperfusione, a stress e danno sub-letale, in modo da ottenere protezione qualora sopraggiungessero stimoli potenzialmente letali tramite l’induzione di un fenotipo stress-resistente [99].

– Ruolo della dialisi

Frequentemente accade che il nefrologo venga consultato non solo per la stratificazione del rischio di CIN e per consulto sulle strategie preventive, ma anche per concordare sedute emodialitiche supplementari o non programmate per pazienti sottoposti a procedura con mezzo di contrasto. In realtà, non esiste nessuna evidenza di migliori outcome nei pazienti sottoposti a seduta emodialitica post-contrastografica e questa pratica è scoraggiata da ultime linee guida ESUR [4].

 

Discussione

La letteratura, come è possibile documentare con il corposo numero di articoli portati in discussione in questo paper, è ricca di lavori scientifici dedicati al danno renale da mezzo di contrasto.  In nome della PC-AKI e del CI-AKI sono state investite incalcolabili risorse umane e finanziarie, volte sia allo studio di una eterogenea pletora di sostanze finalizzate alla prevenzione, sia alla gestione delle conseguenze collaterali relative ai pazienti cui viene negata la procedura diagnostica o terapeutica con mezzo di contrasto. La stima del rischio di nefropatia da mezzo di contrasto può essere sopravvalutata in letteratura e sopravvalutato dai medici. Stime più accurate del rischio di AKI che tengano conto delle comorbidità possono migliorare il processo decisionale clinico quando si tenta di bilanciare i potenziali benefici dell’imaging con mezzo di contrasto ed il rischio di AKI. Un’accurata raccolta anamnestica (CKD, AKI pregresse, diabete, scompenso cardiaco, ipovolemia, infarto miocardico, anemia, chirurgia renale, ablazione renale, albuminuria, terapie farmacologiche concomitanti, chemioterapia) rappresenta uno strumento efficace nella stratificazione del rischio [100]. Un aiuto nella stratificazione del rischio è rappresentato dal Mehran Score System (Figura 4), in grado di fornire una predizione in termini percentuali dell’insorgenza di PC-AKI, sulla base delle comorbidità, dell’età del paziente e del volume di mezzo di contrasto da somministrare nel contesto di coronarografie [8], tenendo conto che se per le TC con contrasto si impiegano in media  tra 70 e 110 ml di mezzo di contrasto su un uomo di 70 kg (i volumi sono comunque suggeriti dalle case produttrici), per le coronarografie non esistono veri e propri protocolli standardizzati e l’infusione di mezzo di contrasto, di solito empiricamente stimata intorno a 30 ml, dipende molto dal caso specifico e dalle necessità particolari dell’operatore.

Figura 4. Algoritmo per l’identificazione del rischio di PC-AKI secondo Mehran.
Figura 4. Algoritmo per l’identificazione del rischio di PC-AKI secondo Mehran.

I pazienti con AKI o eGFR inferiori a 30 ml/min/1,73 m2, compresi i pazienti sottoposti a trattamento emodialitico, rappresentano senza dubbio il vivaio di utenti maggiormente temuti al momento della somministrazione del mezzo di contrasto. Le linee guida ACR [32], ESUR [4] e i documenti intersocietari SIRM-SIN-AIOM [22] sottolineano come i valori di creatininemia, presi singolarmente, non rappresentino un buon indice della funzione renale del paziente; i suoi valori tendono ad aumentare in maniera significativa solo quando il GFR è ridotto di almeno il 50%. Nello screening dei pazienti a rischio è utile, pertanto, misurare la funzione renale mediante formula MDRD o con formula CKD-EPI, come suggerito dalle linee guida ESUR. In accordo con la Consensus Statements from the American College of Radiology and the National Kidney Foundation, si ritiene che l’insufficienza renale cronica sia il principale fattore di rischio nel paziente oncologico, ma solo per un eGFR <30 ml/minuto/1,73 m2 misurata con la formula di Cockroft-Gault. Per tali categorie di pazienti la pratica clinica si costella di fratricide guerre inter-specialistiche alla caotica ricerca di una comune good practice che, per quanto molto ben definite dalle linee guida ACR, ESUR e dai documenti intersocietari definiti da SIRM-SIN-AIOM [4, 22, 31], spesso è confusa, verosimilmente per antichi retaggi e falsi miti incentrati sulla salvaguardia della funzione renale residua ma che possono esitare nell’aggravamento della condizione clinica del paziente, differendo la diagnosi e ritardando le possibilità di intervento terapeutico. È necessario un appropriato utilizzo del contrasto per ottenere un’accuratezza diagnostica accettabile. Omettere il contrasto quando è indicato, al pari di somministrarlo quando non lo è, può portare a errori diagnostici e terapeutici, morbilità e costi inutili. Sui potenziali effetti del contrasto nei confronti del rene, il paziente ovviamente deve essere debitamente informato. Il consenso informato, teso alla crescita e alla consolidazione dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente, rappresenta uno strumento utilissimo al medico e trova il suo fondamento nelle norme costituzionali, e più in particolare negli artt. 2-13 e 32. Più in particolare, l’art. 2 sottolinea che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…» e l’art. 32 «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». L’art. 32 (Acquisizione del consenso) dispone poi che il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente. Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca e formale della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all’art. 30. La radiologia contrastografica e/o interventistica, superando i limiti di un rischio sostanzialmente indeterminato, richiedono un consenso espresso in maniera esplicita dopo adeguata informazione. Appare opportuno che il consenso sia richiesto dal medico che ha la responsabilità della cura del paziente, sul quale medico ricade anche il dovere dell’informazione. Il radiologo dovrà comunque accertarsi che ciò sia avvenuto, integrando l’informazione con i dati specifici di sua esclusiva competenza [101]. In virtù di ciò, i pazienti con insufficienza renale cronica presentano una controindicazione relativa e non assoluta [31, 32] alla somministrazione dei mezzi di contrasto iodati. Se la somministrazione di mezzi di contrasto è necessaria per una diagnosi pericolosa per la vita, non dovrebbe essere rimandata sulla base della sola funzionalità renale. Se la somministrazione di mezzi di contrasto iodati per via endovenosa è clinicamente indicata, il suo utilizzo deve essere consigliato, informando il paziente dei potenziali rischi e benefici, nonché di strategie di imaging alternative [31, 32], provvedendo a intraprendere le strategie preventive riconosciute valide dalle linee guida. Il cardine della terapia preventiva è rappresentato dall’idratazione/espansione di volume. L’idratazione consente infatti di promuovere l’aumento del volume circolante agendo in maniera protettiva nei confronti della vasocostrizione renale indotta al mezzo di contrasto e, inoltre, l’aumento del volume urinario fa sì di ridurre la tossicità diretta sulle cellule tubulari renali. Ciò significa: per i pazienti sottoposti alla somministrazione endovenosa o intra-arteriosa con secondo passaggio renale con eGFR < 30 ml/min/1,73m2, l’infusione di sodio bicarbonato 1,4% a 3 ml/kg/ora per 1 h prima della somministrazione o l’infusione di soluzione fisiologica ad 1 ml/kg/h per le 3-4 h prima e le 4-6 h dopo la somministrazione del contrasto; per i pazienti sottoposti alla somministrazione endoarteriosa con primo passaggio renale e eGFR < 45 ml/min/1,73 m2, l’idratazione endovenosa con sodio bicarbonato 1,4% a 3 ml/kg nell’ora prima della somministrazione, mantenuta a 1 ml/kg/ora per 4-6 h dopo, o con 1 ml/kg di soluzione fisiologica per 3-4 h prima e per le successive 4-6 ore [21, 32]. I pazienti con un solo rene normale o parzialmente funzionante (agenesia renale, nefrectomia, trapianto) devono essere gestiti in modo simile ai pazienti con volume renale normale ed il rischio clinico deve essere determinato sulla base della funzione renale complessiva (eGFR) e delle circostanze cliniche. La presenza di un rene solitario funzionante non dovrebbe influenzare il processo decisionale relativo al rischio di PC-AKI o CI-AKI [5].

Inoltre, sebbene i dati correlati colleghino dosi più elevate di mezzi di contrasto a un rischio maggiore di PC-AKI o CI-AKI dopo somministrazione intra-arteriosa, non esistono dati analoghi che implichino una tossicità dose-range per la somministrazione endovenosa all’interno dell’intervallo delle dosi somministrate clinicamente [5]. Di conseguenza, anche se i mezzi di contrasto iodati vengono somministrati per studiare un paziente a rischio, deve essere utilizzata la dose diagnostica convenzionale (cioè, il volume tipicamente utilizzato per una singola dose diagnostica). Dovrebbero essere evitate riduzioni ad hoc della dose dei mezzi di contrasto come sforzo per mitigare il rischio di danno, poiché questa pratica può produrre uno studio non ottimale o non diagnostico. Se è stato dimostrato che dosi più basse di mezzi di contrasto sono sufficientemente diagnostiche con protocolli specifici, le pratiche dovrebbero considerare la possibilità di ridurre le dosi in tutti i pazienti sottoposti a imaging con tali protocolli, non solo nei pazienti con funzionalità renale ridotta [102].

Le linee guida ESUR, ACR e le linee guida SIAARTI (mutuate dal lavoro di Ronco et al.) [103] convergono nello stabilire che a causa della dimostrata mancanza di benefici e del rapporto rischi/costi, se sembra riconosciuto un possibile ruolo protettivo delle tecniche convettive continue, soprattutto se combinate con altre strategie preventive, il trattamento emodialitico intermittente ‒ profilattico o preventivo ‒ volto all’eliminazione del mezzo di contrasto per la prevenzione del CI-AKI nel paziente con insufficienza renale cronica IV o V stadio secondo K/DOQI, sono di bassa qualità e di incerto significato [5, 21, 31, 32, 103] e di fatto controindicate. Nei pazienti sottoposti a terapia emodialitica sostitutiva, la somministrazione di mezzo di contrasto iodato, potrebbe determinare un peggioramento della funzione renale con conseguente perdita della diuresi residua. Sebbene le linee guida ESUR non raccomandino di eseguire un’ulteriore seduta emodialitica per rimuovere il mezzo di contrasto, i pazienti sottoposti a dialisi peritoneale o a emodialisi che possono essere considerati non anurici corrono il rischio di perdere la funzione renale residua a seguito di esposizione nefrotossica con implicazioni negative sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza globale. Pertanto, per tali pazienti vigono le stesse considerazioni espresse per i pazienti con AKI o eGFR inferiore a 30 ml/min/1,73 m2 non sottoposti a dialisi. Se la perdita della funzionalità renale residua è considerata clinicamente importante, è necessario considerare i rischi, i benefici e le alternative, e la necessità della procedura può richiedere una discussione tra il nefrologo e il radiologo [5].

 

Approccio pratico

Spesso la richiesta di consulenza nefrologica accompagna la richiesta di esame con mezzo di contrasto. Di fatto, lo specialista in nefrologia non possiede le skill per potere discernere tutti i casi per i quali si rende assolutamente necessario un esame contrastografico o per i quali è possibile optare per una metodica alternativa. In tali casi, quando il nefrologo viene consultato, è ragionevole discutere il caso con il medico prescrittore e con lo specialista radiologo, al fine di valutare l’efficacia diagnostica di metodiche parimenti valide con minore impatto sulla funzione renale.

Il coinvolgimento del nefrologo dovrebbe verificarsi nei casi in cui l’esame può essere differito; in condizioni d’urgenza non è possibile ipotizzare una strategia preventiva che necessita di tempo per potere essere praticata.

Qualora si dovesse rendere necessario un esame o una procedura quoad vitam, quoad valetudinem che preveda l’utilizzo mezzo di contrasto, il nostro approccio inizia dalla verifica della somministrabilità del contrasto (assenza di allergia), dal calcolo del filtrato secondo CKD-EPI e dalla valutazione delle comorbidità. In tal senso, sebbene tale score sia stato validato per la predizione dell’AKI post percutaneous coronary intervention (PCI), schematizza in maniera pratica ed immediata le principali concause in grado di peggiorare il rischio di CI-AKI.

Come secondo step, al paziente va rappresentato che l’infusione di contrasto potrebbe non portare alcun danneggiamento alla funzione renale, così come potrebbe esitare verso il peggioramento della funzione renale da modesto a severo fino al trattamento emodialitico. Pertanto, prima di procedere all’esame, il paziente va reso edotto del rischio potenziale di danno renale moderato o grave e del rischio che tale danno esiti verso il trattamento sostitutivo della funzione renale (emodialisi), così come dei rischi connessi ad una eventuale mancata diagnosi.

Nei casi in cui sia ritenuto possibile  (esame differibile, compliance cardiaca permissiva) il nostro approccio prevede per prima cosa di stimare l’eGFR del paziente e praticare l’idratazione secondo il seguente schema: se eGFR < 45 ml/min/1,73 m2, si procede con l’idratazione endovenosa con sodio bicarbonato 1,4% a 3 ml/kg nell’ora prima della somministrazione, mantenuta a 1 ml/kg/ora per 4-6 h dopo, o con 1 ml/kg di soluzione fisiologica per 3-4 h prima e per le successive 4-6 ore; se eGFR < 30 ml/min/1,73m2 si pratica l’infusione di sodio bicarbonato 1,4% a 3 ml/kg/ora per 1 h prima della somministrazione o l’infusione di soluzione fisiologica ad 1 ml/kg/h per le 3-4 h prima e le 4-6 h dopo la somministrazione del contrasto.

Ove possibile, va discusso con il radiologo la necessità di utilizzare la minore concentrazione possibile di mezzo di contrasto.

Nelle more di eseguire l’esame con contrasto si consiglia di evitare farmaci nefrotossici (FANS, antibiotici aminoglicosidi), ACE-i, ARB, metformina (Figura 5).

Figura 5. Algoritmo per l’approccio al paziente nefropatico da sottoporre a procedura/indagine con mezzo di contrasto.
Figura 5. Algoritmo per l’approccio al paziente nefropatico da sottoporre a procedura/indagine con mezzo di contrasto.

 

 

Conclusioni

Per decenni, l’osservazione di un declino della funzione renale dopo una procedura intra-arteriosa, trascurando l’impatto della malattia ateroembolica renale (AERD), ha rafforzato la convinzione che il contrasto iodato ne fosse il principale colpevole. Questa convinzione si è estesa anche al mezzo di contrasto iodato endovenoso, anch’esso ritenuto indubbiamente nefrotossico. La storica sovrapposizione nelle definizioni di CI-AKI e PC-AKI ha ragionevolmente contribuito a creare confusione e modus operandi non di univoco consenso (se non deleteri) per alcune categorie di pazienti, quali i nefropatici, che spesso rischiano il ritardo nelle diagnosi o di perdere le procedure endovascolari necessarie. Malgrado il notevole sforzo della letteratura, ricca di produzione scientifica in continuo aggiornamento, appare ancora oggi ragionevole la scelta di non alleggerire gli sforzi volti alla salute preventiva dei reni, soprattutto quando ritenuti vulnerabili, sfruttando il comune buon senso e facendo sì che il mezzo di contrasto non venga somministrato qualora non ci si aspetti alcun beneficio e l’imaging non potenziato risultasse già sufficientemente informativo, garantendo altresì, nei casi in cui esso rappresenti una necessità quod vitam, quod valitudinem, una corretta volemia, evitando la contemporanea somministrazione di farmaci nefrotossici quando è prevista una procedura con mezzo di contrasto.

 

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