Luglio Agosto 2023 - Nefrologo in corsia

Terapia di una grave forma di chetoacidosi euglicemica in una paziente in trattamento con inibitori di SGLT2 con l’ausilio della somatostatina

Abstract

Attualmente l’utilizzo degli inibitori di SGLT2 (SGLT2i) sta diventando sempre più diffuso, sia per la loro funzione nel controllo del diabete, sia per i loro effetti pleiotropici sull’iperfiltrazione glomerulare e sullo scompenso cardiaco. Insieme agli effetti benefici, tali farmaci possono comportare varie complicanze, la più grave di esse è la chetoacidosi euglicemica. Il caso clinico da noi riportato descrive appunto questa complicanza potenzialmente fatale, verificatasi in una paziente di 47 anni in terapia con inibitori di SGLT2 da 5 anni. Per la risoluzione di tale caso abbiamo utilizzato, insieme alla terapia classica, l’infusione continua di somatostatina che ha determinato una rapida risoluzione della chetoacidosi ed un miglioramento del quadro clinico.

Parole chiave: SGLT2, somatostatina, chetoacidosi euglicemica

Introduzione

La chetoacidosi euglicemica fu descritta per la prima volta da Munro nel 1973 [1], essa si differenzia dalla chetoacidosi (DKA) classica per livelli glicemici inferiori a 200 mg/dl [2].

Nella genesi di queste forme può essere presente un deficit di insulina esogena e/o endogena, associato a riduzione dell’introito calorico e di liquidi che induce l’incremento di ormoni contro-regolatori dell’insulina (cortisolo, glucagone, catecolamine, ecc). Il glucagone in particolare favorisce la glicogenolisi, ma in assenza di depositi di glicogeno stimola gli adipociti alla lipolisi, realizzando un aumento degli acidi grassi liberi che favoriscono la chetogenesi a livello epatico. Gli SGLT2 inibitori sono in grado di favorire oltre al rilascio di glucagone anche il riassorbimento di chetoni nei tubuli renali, così da incrementare ulteriormente la concentrazione ematica [3]. Per tal motivo, pur in presenza di normoglicemia, nei soggetti che utilizzano questi farmaci e che presentano sintomi compatibili con uno stato di acidosi (inappetenza, nausea, vomito, tachipnea e confusione mentale), appare opportuno ricercare la presenza di chetoni nelle urine. Per contrastare questo effetto negli anni ‘80 fu ipotizzata una terapia mirata a ridurre i livelli di iperglucagonemia tramite la somministrazione di somatostatina [4]. Il farmaco ottenne infatti l’indicazione come coadiuvante del trattamento della chetoacidosi diabetica. I benefici più marcati sembravano realizzarsi in quelle forme di DKA dove una sorta di circolo vizioso amplificava gli effetti del glucagone [5]. L’utilizzo divenne negli anni meno frequente, sia per il miglioramento delle terapie insuliniche che per la diagnosi precoce della malattia diabetica.

 

Meccanismo della chetoacidosi euglicemica con SGLT2i e azione somatostatina

Figura 1. Organi e meccanismi fisiopatologici coinvolti nella Chetoacidosi Euglicemica.
Figura 1. Organi e meccanismi fisiopatologici coinvolti nella Chetoacidosi Euglicemica.

Gli inibitori SGLT2 abbassano i livelli glicemici aumentando l’escrezione urinaria di glucosio, che a sua volta riduce la secrezione di insulina dalle cellule beta pancreatiche. Il calo dei livelli di insulina circolante si traduce in un abbassamento dell’attività anti-lipolitica dell’insulina e nella conseguente stimolazione della produzione di acidi grassi liberi, che vengono convertiti in corpi chetonici dalla β-ossidazione nel fegato [3]. La diminuzione del livello circolante di insulina promuove la produzione di corpi chetonici. I SGLT2 aumentano i livelli di glucagone. Non è chiaro se i SGLT2 influenzino direttamente la secrezione di glucagone [6]. Probabilmente l’aumento del glucagone è indiretto ed è mediato dalla riduzione dell’insulina secreta mentre uno stimolo diretto sulle cellule alfa pancreatiche non è stato mai dimostrato [7].

 

Caso clinico

Giunge in Pronto Soccorso una donna di 47 anni con forte dorsalgia e polipnea da due settimane con pressione arteriosa di 125/70 mmHg e frequenza cardiaca 96 b/min. La paziente riferiva di essere affetta da diabete mellito di tipo 2 dall’età di 30 anni. In anamnesi riferisce di effettuare terapia con metformina 1000 mg x 2 e 7 U.I. di Insulina Deglutec cui negli ultimi 5 anni era stato aggiunto dapagliflozin 10 mg. Nei giorni precedenti all’accesso, aveva effettuato degli esami ematochimici di controllo riscontrando una emoglobina glicata al 9%. Tale valore aveva indotto la paziente a ridurre l’apporto calorico e il dosaggio dell’insulina Deglutec da 7 a 3 unità. La paziente nei giorni precedenti non aveva avuto febbre, vomito o diarrea. Dagli esami praticati in P.S. si riscontrava una glicemia di 150 mg/dl e una normofunzionalità renale (Tabella 3 – esami al tempo T0). Praticando un EAB si riscontrava un pH 6,9, HCO3 1 mmol/l, K+ 3,4 mmol/l e lattati 1 mmol/l per cui iniziava la somministrazione di 15 fiale di bicarbonato da 10 meq/10 ml.

Pensando che la causa fosse una tossicità da metformina, veniva contattata la nefrologia che, correlando l’anamnesi farmacologica alla normalità dei lattati, realizzava rapidamente la diagnosi di DKA euglicemica, con elevato Anion Gap (33,5) secondaria alla terapia con SGLT2i. Ad un esame delle urine estemporaneo si evidenziava una glicosuria fuori scala molto superiore a 2000 mg/dl, con una chetonuria maggiore di 80 mg/dl. Il nefrologo, dopo la sospensione del dapaglifozin, aggiungeva terapia idratante con fisiologica, glucosata al 10% e insulina in infusione continua [8]. Dopo circa 10 ore in P.S. e un’infusione totale di circa 2,5 l di liquidi, l’EAB mostrava un lievissimo incremento dei bicarbonati sierici, pH poco superiore a 7 e K+ di 2,9 mmol/l con un allungamento del QT. Venivano aggiunte pertanto, due fiale di KCl e una fiala di solfato di magnesio. Furono ripetuti numerosi EAB che mostravano una situazione emogasanalitica sovrapponibile alla precedente, con il persistere di una situazione di grave polipnea, dorsalgia.

pH HCO3

mmol/l

Lattati

mmol/l

Na

mmol/l

K

mmol/l

CL

mmol/l

Glicemia

mg/dl

6,9 1 1 139 4,3 111 177
7,1 2,8 3,3 144 4,2 111 166
7,009 1,8 2,0 144 3,6 112 160
7,039 1,9 1,9 144 3,5 113 143
7,04 2 1 134 2,9 113 86
7,08 1,4 1 139 3,5 113 104
7,09 4,6 1 135 3,2 113 101
7,08 3,7 1 135 2,9 112 99
7,05 2,5 1 138 3.0 109 170
Tabella 1. EAB seriati effettuati durante il ricovero in P.S.

Dopo la somministrazione di 40 fiale di bicarbonato di sodio e della abbondante terapia idratante, l’emodiluizione aveva ridotto l’urato a 2,1, la creatininemia a 0,47 e l’Urea a 23 mg/dl (Tabella 3 – esami al tempo T1), ma il pH (7,05) risultava ancora alterato per cui la sola idratazione sembrava insufficiente alla risoluzione della complicanza. Fu deciso pertanto il trasferimento in Nefrologia dove fu iniziata la somministrazione di somatostatina con una dose di 500 mcg/h [9].

Dopo l’inizio della somministrazione di somatostatina riscontriamo i seguenti valori all’EAB:

pH HCO3

mmol/l

Lattati

mmol/l

Na

mmol/l

K

mmol/l

CL

mmol/l

Glicemia

mg/dl

7,17 4,7 0,5 133 3 110 139
7,18 8.2 0,5 135 3,2 111 166
7,21 7,7 0,5 135 3 112 170
7,24 13,4 0,5 135 2,8 112 173
7,32 18,1 0,5 134 3,3 108 201
7,34 24,1 0,5 138 3,6 109 162
Tabella 2.  EAB seriati effettuati durante il ricovero in Nefrologia.

Pur sospendendo l’infusione di bicarbonati per la presenza di ipopotassiemia, dopo circa 12 ore dall’inizio della somministrazione di somatostatina, si otteneva un pH di 7,24 e una bicarbonatemia di 13,4. mmol/l con la scomparsa della dorsalgia e della polipnea. Continuando la somatostatina per altre 24 ore, il pH risultava di 7,32 e il HCO3 18,1 mmol/l. In tutti i nove giorni del ricovero la paziente ha continuato ad avere una glicosuria maggiore di 2000 mg/dl, una chetonuria maggiore di 80 mg/dl [10] e riportava in terza giornata i valori biochimici evidenziati nella Tabella 3 al tempo T2. La paziente è stata dimessa con pH di 7,34 e HCO3 24 mmol/l. In dimissione aveva i valori biochimici evidenziati nella Tabella 3 al tempo T3.

Timing Creatinina Azotemia Emoglobina Acido Urico
T0 0,74 23 14 4
T1 0,59 18 11,4 3,6
T2 0,47 16 11,1 2,4
T3 0,33 24 11,1 1,8
Tabella 3. Valori biochimici registrati nei timing della degenza.

 

Discussione

La chetoacidosi euglicemica realizzatasi in questo case report richiede dunque una seria riflessione, sia sulla scelta dei pazienti a cui indirizzare il trattamento con SGLT2i, sia sulla necessità di realizzare un protocollo terapeutico di questa complicanza che in rari casi può essere fatale. La somministrazione della somatostatina alla dose di almeno 500 mcg/h [9] sembra essere un ottimo strumento di cura di questa complicanza, in associazione all’utilizzo di glucosio, insulina, idratazione e KCL [3]. L’ utilizzo dei bicarbonati non migliora il quadro clinico, favorendo invece la comparsa di ipokalemia; pertanto, viene consigliato solo nei casi di pH inferiore a 7. La prolungata presenza di una chetonuria superiore a 80 mg/dl evidenzia un prolungato effetto del glucagone con consequenziale vantaggio dell’utilizzo della somatostatina in queste forme di DKA euglicemiche. L’utilizzo di questo farmaco ha velocizzato, nel caso riportato, la tempistica di guarigione [11], riducendo gli effetti chetogenetici.

Si è osservato nel corso del ricovero un aumento temporaneo delle AST/ALT, da 24/27 a max 102/53 che potrebbe essere collegato alla captazione epatica degli acidi grassi prodotti dalla lipolisi. È stato praticato, inoltre, il dosaggio degli anticorpi anti-Gad e il Peptide C con positività dei primi e con peptide C di 0,02, ciò depone a favore di diagnosi di diabete di tipo LADA (Latent Autoimmune Diabetes in Adults). Al momento della prescrizione dei SGLT2i, nei casi dubbi tra diabete di tipo 1 o 2 andrebbe dunque praticato uno screening con il Peptide C, associando il dosaggio degli autoanticorpi per escludere il diabete di tipo 1. L’anamnesi sulle concause mostra inoltre come in questa tipologia di pazienti la riduzione eccessiva dei carboidrati e della terapia insulinica [1] sia uno dei fattori scatenanti questa complicanza anche dopo anni dall’inizio della somministrazione del farmaco [12]. Tutti i pazienti con DM di tipo 2 devono essere educati ad introdurre una sufficiente idratazione e un’adeguata assunzione di carboidrati durante l’utilizzo di SGLT2i [3]. I clinici dovrebbero evitare l’uso di SGLT2i in pazienti che non sono in grado di tollerare l’assunzione di cibo per via orale, o in quelli con eccessiva perdita di peso o che seguono una dieta a bassissimo contenuto di carboidrati.

 

Bibliografia

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