Settembre Ottobre 2017 - In ricordo di

In ricordo del Prof Maggiore, per chi lo ha conosciuto e per i giovani che ne hanno sentito parlare

Carissimi,
questo scambio di link tra due storiche testate nefrologiche italiane è stato concepito per ricordare il Professor Quirino Maggiore, uno dei padri della Nefrologia italiana, e non soltanto, recentemente venuto a mancare.

Con l’augurio che tutti i nefrologi di ‘seconda e terza generazione’ possano continuare a ricordarlo e a lui ispirarsi nella quotidiana attività.

Biagio Raffaele Di Iorio e Marco Lombardi

 

Il professor Quirino Maggiore ci ha lasciato il 2 Settembre. Egli è stato un maestro nel senso più alto del termine ed ha segnato la cultura e i comportamenti dei suoi tanti collaboratori, quorum ego. Qui ricordo alcuni tratti del suo essere medico, investigatore clinico e uomo.

Il prof. Maggiore era un internista a tutto tondo e un diagnosta formidabile. La discussione di casi clinici al letto del malato o nelle riunioni cliniche dello staff erano con Lui un esercizio intellettuale rigoroso che richiedeva valutazioni a 360° delle ipotesi alternative possibili. Negli anni’70 la diagnosi non era basata su un approccio probabilistico granulare, come oggi è possibile, ma Egli non concedeva nulla all’approssimazione e alle deduzioni semplicistiche. Il suo esercizio diagnostico era già allora intrinsecamente Bayesiano. Rigore di metodo clinico a parte, il suo insight nel sospettare la malattia e nel confermarla era formidabile, ben al di là degli algoritmi. Ricordo vari casi nei quali, senza alcuna evidenza positiva della malattia che sospettava, il suo acume e la sua capacità di contestualizzare il quadro clinico lo inducevano ad andar oltre le apparenze e ad anticipare i test diagnostici definitivi che potevano sembrare non giustificati dai dati clinici disponibili.

Al di là della Scuola Pisana, l’asse della sua formazione metodologica di ricercatore era anglo-sassone e si era coagulata durante una fellowship a Londra nella Liver Unit del Royal Free Hospital, diretta da uno dei più grandi ricercatori clinici britannici degli anni ’60, Shiela Sherlock. Lì aveva incontrato Stanley Shaldon dal quale era stato influenzato sia circa le idee per sviluppare l’emodialisi cronica che sulla necessità di un approccio franco e diretto al dibattito scientifico. Dalla fellowship a Londra aveva avuto l’inprinting alla discussione scientifica trasparente, serrata, senza concessioni al compromesso. I suoi interventi congressuali erano sempre puntuali, acuti e, quando ne percepiva la necessità, incondizionatamente critici ma sempre rispettosi dell’interlocutore. I suoi interessi erano vasti e andavano dall’immunopatologia alla tecnologia dialitica. Come investigatore clinico era dotato di grande creatività. L’intuizione di applicare uno stimolo ipotermico per aumentare la stabilità vascolare durante la dialisi, o il raffreddamento del plasma nel circuito extracorporeo per la rimozione degli immunocomplessi nella crioglobulinemia e la stessa formulazione della dieta ipoproteica rimangono tra le cose più innovative proposte nei primi tre decenni della storia della nefrologia moderna.

Il professor Maggiore era attento ai più deboli e non accettava compromessi di sorta in situazioni nella quali la protezione dei pazienti più gravi e fragili non veniva garantita a dovere. Nei primi anni ’80 si dimise dalla Direzione della Nefrologia di un grande ospedale in fase di sviluppo perché gli sembrava inaccettabile che lo stesso ospedale non avesse posto come prioritaria la realizzazione di un dipartimento di emergenza. Egli era un grande affabulatore e sentire le sue storie di luoghi, persone e cose era un’esperienza coinvolgente. I membri del team di Reggio Calabria hanno assorbito dalla sua narrazione la storia ricca e appassionata della scuola medica Pisana, un’epopea accademica con eroi e comprimari, successi e delusioni. Egli ha mantenuto negli anni un rapporto affettivo solido e caloroso con il suo staff. Ben al di là del contesto professionale, tra le tante cose che ha trasmesso a quelli che con Lui si sono formati credo che le più grandi siano il rispetto umano e l’onestà intellettuale e morale. Dal suo esempio abbiamo anche imparato che chiedere scusa quando si sbaglia è un imperativo per il vivere professionale e civile. A metà degli anni ’70, quando ancora la medicina italiana era ossificata in rapporti professionali di tipo baronale, non raramente Lui sapeva chiedere scusa ai suoi collaboratori più giovani anche per dissonanze minori.

Il professor Quirino Maggiore è parte della storia più nobile della nefrologia moderna. Mancherà alla sua amata consorte Marta, a Elena, Giulia e Umberto, agli altri familiari e alla grande comunità nefrologica.

Carmine Zoccali