Marzo Aprile 2023 - Editoriali

Natura giuridica e questioni di diritto pratico relative alle Aziende Sanitarie Locali

Il quadro normativo

L’azienda sanitaria locale (ASL) è un ente dotato di personalità giuridica pubblica e di autonomia imprenditoriale che opera nel quadro del servizio sanitario nazionale (S.S.N.) secondo quanto disposto dall’ art. 3, comma 1 bis, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.

È definito quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti e istituzioni di rilievo nazionale, diretto a garantire la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività (art. 1, d.lgs. n. 229 del 1999).

La nascita delle ASL è databile al 1993 grazie alla legge n. 92, ma in realtà i principi-base del decentramento della sanità pubblica, che rappresentano la ragion d’essere delle moderne Asl, si concretizzano già nel 1978 con l’inizio della cessione dell’organizzazione dei servizi da parte dello Stato agli enti periferici quali Regioni, Province e Comuni.

Si può affermare che la legge n. 883 del 1978 è stata la prima grande riforma sanitaria del nostro ordinamento ed ha avviato un importante processo di trasformazioni nella sanità pubblica. Essa ha stabilito per la prima volta la definizione di sanità come un insieme di misure di prevenzione, cura e riabilitazione a disposizione del cittadino. La riforma del 1978 ha introdotto un nuovo sistema sanitario basato sul criterio della cd. copertura universale, che sostituisce il precedente modello fondato su differenti sistemi mutualistici professionali, le cui coperture variavano anche in maniera molto sostanziale tra di loro, a seconda del territorio.

Grazie alla riforma del 1978, si è assistito, dal punto di vista organizzativo, alla nascita delle Unità sociosanitarie locali (U.S.S.L.), istituite con la finalità di gestire i servizi ospedalieri e i servizi sul territorio. La successiva legge n. 92 del 1993 ha sancito il definitivo passaggio ad un sistema decentrato investendo le Regioni di nuove e maggiori responsabilità nell’ambito della sanità pubblica e rendendole di fatto il vero cuore del sistema sanitario.

L’aspetto fondamentale della legge del 1993 è stata la trasformazione da Unità sanitarie locali in Aziende sanitarie locali (ASL). Tali aziende sono state poste a tutela della salute con finalità pubbliche, la loro gestione avviene con criteri aziendali, al fine di recuperare maggiore efficienza nelle prestazioni erogate.

Dal 1993 in poi, Il processo di aziendalizzazione ha riguardato, dunque, non solo la progressiva autonomia del soggetto erogatore dei servizi sanitari rispetto all’ente territoriale di riferimento, ma ha comportato anche l’introduzione di strumenti privatistici nella gestione aziendale. Ne consegue che le aziende sanitarie locali, pur avendo secondo il giudice amministrativo la natura di enti strumentali delle regioni (Cons. St., sez. V, 27 aprile 2003, n. 4306), nel perseguire i propri fini agiscono in concreto utilizzando gli strumenti di un imprenditore privato.

Le ASL, dunque, sono organizzate come vere e proprie aziende con personalità giuridica pubblica e quindi direttamente imputabili in caso di disservizio.  Sono gestite come un’azienda autonoma dotata di personale organizzativo, addetti gestionali, tecnici specializzato, amministratori patrimoniali e contabili. Pur presentandosi con priorità territoriali specifiche e a seconda della Regione, Provincia e Comune nel quale si trovano, le Asl sono formate sempre dai medesimi organi che verranno analizzati nel successivo paragrafo. Infine, dispongono di un’ulteriore articolazione in distretti sanitari di base, dipartimenti di prevenzione e presidi ospedalieri.

 

Compiti e struttura

Compito primario delle aziende sanitarie locali è quello di assicurare i livelli essenziali di assistenza (cd. L.E.A.) previsti dal piano sanitario nazionale, infatti alle stesse compete l’erogazione di servizi e prestazioni contemplati dai livelli aggiuntivi di assistenza previsti dai comuni nei piani attuativi locali, nonché delle prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria. Le aziende sanitarie locali possono assumere anche la gestione di attività e di servizi socio-assistenziali su delega dei singoli enti locali su cui gravano i corrispondenti oneri finanziari.

L’organizzazione ed il funzionamento dell’azienda sanitaria locale sono disciplinati dall’atto aziendale di diritto privato, nel rispetto dei princìpi e criteri previsti dalla normativa statale e dalle disposizioni regionali. L’atto aziendale, adottato dal direttore generale dell’azienda sanitaria locale, individua le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica.

Nel loro tessuto strutturale, sono organi principali dell’azienda il direttore generale e il collegio sindacale.

Il direttore generale, nominato dalla Regione, oltre ad adottare l’atto aziendale, è responsabile della gestione complessiva, nomina i responsabili delle strutture operative dell’azienda, è titolare in maniera esclusiva dei poteri di gestione, nonché della rappresentanza dell’unità sanitaria locale.

Al direttore generale compete in particolare, anche attraverso l’istituzione di un apposito servizio di controllo interno, verificare, mediante valutazioni comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati, la corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate nonché l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa.

Il collegio sindacale verifica l’amministrazione dell’azienda sotto il profilo economico, vigila sull’osservanza della legge, accerta la regolare tenuta della contabilità e la conformità del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili, ed effettua periodicamente verifiche di cassa; riferisce almeno trimestralmente alla Regione, anche su richiesta di quest’ultima, sui risultati del riscontro eseguito, denunciando immediatamente i fatti se vi è fondato sospetto di gravi irregolarità; trasmette periodicamente, e comunque con cadenza almeno semestrale, una propria relazione sull’andamento dell’attività dell’unità sanitaria locale o dell’azienda ospedaliera rispettivamente alla conferenza dei sindaci o al sindaco del comune capoluogo della provincia dove è situata l’azienda stessa.

All’interno dell’azienda sanitaria locale operano, inoltre, il direttore sanitario, il direttore amministrativo, il consiglio dei sanitari e il collegio di direzione. Il direttore sanitario e il direttore amministrativo coadiuvano il direttore generale nell’esercizio delle proprie funzioni. Il direttore sanitario dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienicosanitari e fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle materie di sua competenza. Il direttore amministrativo dirige i servizi amministrativi dell’unità sanitaria locale. Il consiglio dei sanitari è organismo elettivo dell’unità sanitaria locale con funzioni di consulenza tecnico-sanitaria ed è presieduto dal direttore sanitario. Il consiglio dei sanitari fornisce parere obbligatorio al direttore generale per le attività tecnico-sanitarie, anche sotto il profilo organizzativo, e per gli investimenti ad esse attinenti. Il consiglio dei sanitari si esprime altresì sulle attività di assistenza sanitaria.

In ogni azienda è costituito il collegio di direzione, di cui si avvale il direttore generale per il governo delle attività cliniche, la programmazione e valutazione delle attività tecnico-sanitarie e di quelle ad alta integrazione sanitaria, nonché per la elaborazione del programma di attività dell’azienda e per l’organizzazione e lo sviluppo dei servizi, anche in attuazione del modello dipartimentale e per l’utilizzazione delle risorse umane. Il collegio di direzione concorre alla formulazione dei programmi di formazione, delle soluzioni organizzative per l’attuazione della attività libero-professionale intramuraria e alla valutazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi clinici.

 

Articolazione organizzativa

L’azienda sanitaria locale provvede all’erogazione dell’assistenza sanitaria attraverso tre articolazioni: i dipartimenti di prevenzione, i distretti sanitari di base, i presidi ospedalieri non costituiti in aziende ospedaliere.

Secondo l’art. 17-bis del d.lgs. n. 502 del 1992 l’organizzazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie; in particolare, il dipartimento di prevenzione è una struttura operativa, dotata di autonomia organizzativa e contabile ed organizzata in centri di costo e di responsabilità. La legge regionale disciplina l’articolazione in distretti dell’azienda sanitaria locale.

Il distretto è individuato, sulla base dei criteri fissati dalla legge regionale, dall’atto aziendale, garantendo una popolazione minima di almeno sessantamila abitanti, salvo che la regione, in considerazione delle caratteristiche geomorfologiche del territorio o della bassa densità della popolazione residente, disponga diversamente. Il distretto assicura i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e sociosanitarie, nonché il coordinamento delle proprie attività con quella dei dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi i presìdi ospedalieri, inserendole organicamente nel programma delle attività territoriali. Al distretto sono attribuite risorse definite in rapporto agli obiettivi di salute della popolazione di riferimento.

Nell’ambito delle risorse assegnate, il distretto è dotato di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, con contabilità separata all’interno del bilancio dell’ASL di riferimento. Gli ospedali che non hanno natura aziendale costituiscono i presìdi dell’azienda sanitaria locale. Nelle aziende sanitarie locali nelle quali sono presenti più ospedali, questi possono essere accorpati ai fini funzionali. Ai presìdi ospedalieri è attribuita autonomia economico-finanziaria con contabilità, anche in questo caso, separata all’interno del bilancio dell’azienda sanitaria di riferimento, secondo le disposizioni previste per le aziende ospedaliere in quanto applicabili.

 

ASL e disciplina degli appalti: in particolare la forma dei contratti stipulati dagli organismi di diritto pubblico

Le aziende sanitarie sono enti pubblici economici e, di conseguenza, possono ricorrere a strumenti di diritto privato per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali. Tuttavia, ciò non esclude che gli stessi enti, in quanto qualificabili come «organismi di diritto pubblico» ai sensi del Codice dei contratti pubblici (Decreto Legislativo 18.04.2016 n. 50), debbano rispettare la disciplina prevista per gli appalti pubblici, sia in tema di scelta del contraente che di forma del contratto.

Pertanto, qualora l’oggetto dell’attività negoziale dell’Azienda rientri nella disciplina prevista dal Codice, «il mancato ricorso all’evidenza pubblica, mediante omissione del procedimento di selezione del contraente, nonché della forma scritta del contratto, ne comporta la nullità» per violazione di una norma imperativa. Questo è, in sintesi, l’approdo interpretativo a cui giunse la Corte di Cassazione con la famosa sentenza n. 24640/2016.

Al principio appena enunciato, si ricollega la questione più recente riguardante il diritto dei fornitori di ottenere il pagamento del corrispettivo da parte di un’ASL, a seguito della prestazione di un servizio (ad es. farmacie, aziende farmaceutiche, produttori di device ecc.)

Sino a qualche anno fa l’orientamento della giurisprudenza di merito era favorevole alle esigenze dei fornitori delle A.S.L, infatti un contratto di fornitura con le ASL era considerato valido dai giudici di primo e secondo grado anche solo in presenza di ordini e documenti sottoscritti, attestanti la consegna del bene o l’esecuzione del servizio.

Tale orientamento si sviluppava sul presupposto che le ASL, a seguito della riforma del 1992 (D. lgs. n. 502/1992), avevano perduto la natura di organi dei Comuni, acquisendo un carattere imprenditoriale, che le portava ad essere assoggettate alle norme di diritto privato.

Tale normativa non esige per la conclusione dei contratti la forma scritta, se non in ipotesi tassativamente individuate. L’orientamento sopra citato era affiancato negli anni ad uno di segno opposto, che può considerarsi più favorevole agli interessi delle ASL; ovviamente i due orientamenti convivevano, generando naturali contrasti.

Nel 2016 però la Corte di Cassazione, con la decisione sopra citata (sent. n. 24640/2016), ha preso posizione, sposando la tesi più utile alle ASL, evidenziando che, nonostante il carattere imprenditoriale delle stesse, sono comunque organismi di diritto pubblico, per cui devono uniformarsi al codice dei contratti pubblici (d. lgs. n. 50/2016).

Le norme del codice dei contratti pubblici esigono determinate forme per la stipulazione dei contratti; in particolare, un contratto di un organismo di diritto pubblico deve quantomeno essere concluso con una scrittura privata. Deve ritenersi, pertanto, che il contratto tra ASL e fornitore debba tradursi in una scrittura privata, che elenca tutte le pattuizioni e soprattutto che venga sottoscritta da due persone, dotate di poteri tali per impegnare l’ASL da una parte ed il fornitore dall’altra.

Ciò si afferma, poiché l’orientamento della giurisprudenza al riguardo appare molto rigido e rigoroso (si veda la sentenza della Corte di Cassazione n. 24640/2016 già citata, di cui si riportano i passaggi più significativi: «Quanto precede, però, non implica affatto che i contratti dell’ASL siano esenti dal rispetto di ogni formalità, sia quanto alla scelta del contraente, sia riguardo alla forma del contratto. Infatti (…) l’Azienda Sanitaria è comunque “organismo di diritto pubblico” ai sensi del Decreto Legislativo 17 marzo 1995, n. 157, articolo 2, lett. b. (…) Pertanto, non può che derivarne che i contratti dell’ASP, odierna ricorrente, quale “amministrazione aggiudicatrice” per l’acquisizione di prodotti farmaceutici, restassero assoggettati alla disciplina del citato codice dei contratti pubblici (…) e il contratto avrebbe dovuto stipularsi mediante scrittura privata»).

L’orientamento espresso dalla citata decisione è stato confermato da successive pronunce della Suprema Corte, con le quali sono stati precisati il fondamento e le motivazioni che inducono a sostenere il principio affermato.

La forma scritta dei contratti stipulati dagli organismi di diritto pubblico, tra cui devono ricomprendersi le ASL come sopra chiarito, rappresenta una garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, tutelato a livello costituzionale, poiché proprio l’art. 97 della Costituzione dedica espressa attenzione al principio del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 cost: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione…”).

Il testo contrattuale permette così di identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, ossia diritti ed obblighi dell’organismo di diritto pubblico; pertanto, la forma scritta tende ad eliminare equivoci sugli oneri economici assunti anche al fine di una verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento al controllo dell’autorità tutoria.

Le considerazioni esposte portano ad escludere inevitabilmente la possibilità per l’organismo di diritto pubblico di perfezionare un contratto tramite una manifestazione di volontà implicita o attraverso comportamenti concludenti o meramente attuativi.

Sulle già menzionate considerazioni risulta chiarificatrice la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 8244 del 22.03.2019.

In tale occasione è stato, altresì, precisato che per le medesime motivazioni il requisito della forma scritta è richiesto non soltanto per la conclusione del contratto, ma anche per le eventuali modificazioni successive, non potendo essere introdotte di fatto mediante pratiche difformi da quelle convenute. In proposito, l’ordinanza sopra citata, effettua un passaggio chiarificatore, per cui: «I contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo di identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento al controllo dell’autorità tutoria».

 

L’espropriazione forzata nei confronti delle ASL

Un’altra interessante questione di diritto pratico riguarda la possibilità e le conseguenti modalità di azione esecutiva nei confronti delle aziende sanitarie locali.

La questione è intimamente connessa alla natura giuridica delle ASL, di cui si è detto sopra, dal momento che la loro qualificazione si ripercuote tanto sulle attività propedeutiche all’avvio dell’espropriazione forzata, quanto sulle forme e modalità di svolgimento che la stessa può assumere.

Proprio dalla natura di ente pubblico della ASL deriva un particolare regime di espropriabilità dei suoi beni, i quali sono assoggettati alle disposizioni dettate dagli artt. 822 e seguenti c.c., come esplicitato anche dall’art. 5 d.lgs. 502/1992 (che, nell’affermare che il patrimonio delle ASL, costituito da tutti i beni mobili e immobili a esse appartenenti, anche per effetto del loro trasferimento da parte dello Stato o di altri enti pubblici, in virtù di leggi o di provvedimenti amministrativi, nonché da tutti i beni comunque acquisiti nell’esercizio della propria attività o a seguito di atti di liberalità, sono disponibili secondo il regime della proprietà privata, fa salvo quanto previsto dall’art. 830, comma 2, c.c., che, per i beni degli enti pubblici non territoriali destinati a un pubblico servizio, richiama il divieto di sottrarli alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano di cui al precedente art. 828, comma 2, c.c.).

Tenuto conto di ciò, potrebbe rivelarsi particolarmente arduo promuovere fruttuosamente l’espropriazione mobiliare presso il debitore, dal momento che, pur essendo assolutamente verosimile che le ASL detengano beni mobili non strumentali all’espletamento del servizio pubblico cui sono preposte (si pensi, per esempio, a strumentazioni e ad arredi non strettamente indispensabili o meramente ornamentali) e nonostante la giurisprudenza abbia considerevolmente ristretto la portata dal disposto dell’art. 514 c.p.c. (che dichiara impignorabili le cose dichiarate tali, da specifiche disposizioni di legge, nonché gli oggetti che il debitore ha l’obbligo di conservare per l’adempimento di un pubblico servizio), la loro concreta individuazione può risultare, di fatto, tutt’altro che agevole, sicché è ragionevole immaginare che, nel dubbio, l’ufficiale giudiziario, cui è demandato di rilevare, in concreto, l’impignorabilità assoluta dei beni rinvenuti, preferisca astenersi dall’eseguire il pignoramento, piuttosto che darvi corso, per non correre il rischio che, a suo carico, vengano ravvisate responsabilità nei confronti del creditore procedente o di chi ha subito l’espropriazione.

Con riguardo ai beni immobili, poiché l’assoggettamento delle ASL agli obblighi di trasparenza sanciti dal d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 ed s.m.i., impone loro di rendere note le informazioni identificative degli immobili posseduti e di quelli detenuti, dai relativi elenchi pubblicati sul sito internet istituzionale, potrebbe evincersene la natura strumentale o meno e, in questo modo, verificare se ve ne siano alcuni suscettibili di essere aggrediti esecutivamente.

Peraltro, il rischio che, a fronte di dati non univoci e, per ipotesi, non aggiornati, venga accertata la non assoggettabilità del bene a esecuzione forzata ai sensi dell’art. 830, comma 2, c.c. (circostanza che renderebbe vane le attività processuali fino a quel momento compiute e privi di utilità i costi sostenuti per darvi corso), appare, in ogni caso, consigliabile far precedere la richiesta di pignoramento da indagini supplementari, per quanto il relativo onere possa avere un’incidenza significativa nell’economia complessiva dell’azione esecutiva, soprattutto se il credito da soddisfare sia di importo non particolarmente elevato.

Alla luce delle considerazioni finora svolte, la via più proficua da intraprendere pare essere l’espropriazione mobiliare presso terzi e, in particolare, nei confronti dell’istituto bancario che svolge la funzione di tesoriere dell’ASL debitrice.

Per quanto, infatti, sia tuttora vigente il limite di cui all’art. 1, comma 5, d.l. 18 gennaio 1993, n. 9, che ha introdotto un’ipotesi di impignorabilità delle somme dovute a qualsiasi titolo dalle ASL fino alla concorrenza degli importi corrispondenti agli stipendi e alle competenze comunque spettanti al personale dipendente o convenzionato; nonché nella misura dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell’erogazione dei servizi sanitari essenziali individuati con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del tesoro, le modifiche introdotte dal legislatore per effetto della sentenza di Corte cost., 29 giugno 1995, n. 285 fanno sì che la sottrazione di tali somme all’espropriazione forzata possa essere opposta al creditore soltanto a condizione che l’organo amministrativo della ASL abbia adottato, per il relativo trimestre, una deliberazione che quantifichi preventivamente gli importi delle somme innanzi destinate e che, a fare data dall’adozione di siffatta delibera, non siano emessi mandati di pagamento a titoli diversi da quelli vincolati, se non seguendo l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno da parte dell’ente.

In virtù di quanto stabilito dall’art. 26-bis, comma 1, c.p.c., foro competente per l’espropriazione dei crediti nei confronti delle ASL è il tribunale del luogo in cui ha sede o risiede il terzo debitore (posto che, il riferimento alle “pubbliche amministrazioni indicate dall’articolo 413, quinto comma”, debba intendersi riferito ai soggetti elencati dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e, dunque, anche “alle aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”).

Fermo restando, peraltro, che, per effetto dell’equiparazione che la giurisprudenza ravvisa, ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente, tra il luogo in cui ha sede la banca e quello in cui si trova la succursale o l’agenzia che ha in carico il rapporto rilevante ai fini dell’esecuzione forzata, l’espropriazione dei crediti della ASL nei confronti dell’istituto tesoriere può essere radicata, alternativamente, nel luogo ove quest’ultimo ha la sede legale o in quello in cui è ubicata la filiale presso la quale è acceso il conto corrente di tesoreria, ovvero sul quale vanno fatti confluire i pagamenti dovuti all’ente e la banca stessa è tenuta a eseguirli.

Resta da dire che, per effetto di quanto stabilito dall’art. 14, comma 1-bis, d.l. 669/1996, il pignoramento dei crediti delle ASL perde efficacia quando dal suo compimento è trascorso un anno senza che sia stata disposta l’assegnazione e che la relativa ordinanza perde, a propria volta, efficacia qualora il creditore procedente, entro un anno dalla data in cui è stata emessa, non provveda all’esazione delle somme assegnate (dovendosi, entro tale termine, quantomeno procedere alla notificazione dell’ordinanza di assegnazione al terzo pignorato, adempimento con il quale può farsi coincidere l’avvio della procedura di riscossione).

Un breve cenno va dedicato, infine, alla speciale procedura, definita “in conto sospeso”, disciplinata dal comma 2 dell’art. 14 d.l. 669/1996, in virtù della quale, anche in assenza di disponibilità finanziarie sul pertinente capitolo di spesa, l’ente debitore può comunque disporre il pagamento mediante emissione, da parte del dirigente responsabile, di uno speciale ordine di pagamento rivolto all’istituto tesoriere, da regolare, per l’appunto, in conto sospeso.

Con l’attribuzione ex lege all’ufficio della provvista necessaria, viene, così, consentita l’esecuzione dei provvedimenti di condanna dell’amministrazione al pagamento di somme di denaro determinate nel loro preciso ammontare anche in assenza di fondi disponibili per farvi fronte. Sebbene la legge non preveda una procedura di richiesta o di attivazione da parte del privato di tale speciale modalità di pagamento, poiché la sua ratio è quella di evitare gli aggravi di spesa connessi all’avvio dell’espropriazione forzata e i danni che ne deriverebbero per l’erario, nonché di limitare il pignoramento di fondi idoneo a provocare un blocco dell’attività amministrativa, non è affatto da escludersi che il creditore possa sollecitare l’amministrazione debitrice ad adoperarsi per l’attivazione di tale procedura, anche in considerazione della responsabilità erariale che potrebbe ascriversi ai dirigenti in caso di danni (in termini di maggiori costi e interessi da corrispondere al creditore a causa del ritardato pagamento) riconducibili al mancato esercizio di tale facoltà espressamente prevista dalla legge.

 

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