Marzo Aprile 2022 - Editoriali

La gestione della Malattia Renale Cronica e la promozione della salute. Lo sguardo dell’ISS tra Covid e prospettive future

Gestione della Malattia Renale Cronica, promozione della salute e controllo dei rischi, ma anche riorganizzazione ospedaliera e territoriale, innovazioni tecnologiche e sensibilizzazione della cultura della donazione. Il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Prof. Silvio Brusaferro ha risposto ad alcune domande sull’impatto della pandemia nella gestione della cronicità delle malattie renali e sul futuro del contesto italiano. Ringraziamo molto il Prof. Brusaferro e l’Ufficio di Presidenza per la gentilezza e disponibilità a contribuire al Giornale Italiano di Nefrologia.

La Malattia Renale Cronica è una delle malattie croniche più diffuse. Colpisce circa il 7-10% della popolazione ed è, purtroppo, in continua progressione anche a causa dell’invecchiamento generale della popolazione. Nonostante ciò, l’entità della diffusione della malattia renale cronica è piuttosto misconosciuta nell’opinione pubblica. Come aumentare questa scarsa sensibilità che tocca tanto la popolazione generale quanto purtroppo spesso anche i decisori pubblici?

La sensibilizzazione, insieme alla formazione e all’informazione, è un elemento chiave per la prevenzione, la diagnosi precoce e la corretta gestione della Malattia Renale Cronica (MRC).

Considerando che la MRC ha in comune con altre malattie croniche non trasmissibili fattori di rischio comportamentali individuali modificabili, come il fumo, l’abuso di alcol, la non corretta alimentazione e l’inattività fisica, è importante dapprima migliorare le conoscenze della popolazione riguardo l’adozione di corretti stili di vita, come anche sottolineato nel Documento di indirizzo per la malattia renale cronica [1], approvato in Conferenza Stato-Regioni il 05 agosto 2014.

Parallelamente, è necessario implementare all’interno del grande capitolo della prevenzione un approccio di promozione della salute che si focalizzi su strategie di empowerment e capacity building. La promozione della salute infatti ha come obiettivo sensibilizzare e responsabilizzare la comunità e la popolazione generale rispetto ai propri stili di vita ed alla organizzazione della vita della comunità, incentivandone la partecipazione anche nelle decisioni politiche. Il Piano nazionale della cronicità [2], approvato in Conferenza Stato-regioni nel 2016, evidenzia l’importanza dell’educazione sanitaria nei diversi stadi della malattia renale e delle cure palliative. Un aspetto essenziale della sensibilizzazione attiva, sottolineato nel documento, è il coinvolgimento delle associazioni di tutela delle persone, che svolgono un ruolo strategico nel migliorare la qualità dell’assistenza, anche interagendo con le istituzioni e supportando i pazienti e i loro familiari nella gestione della malattia cronica.

Strumento chiave per la sensibilizzazione è la comunicazione, definita dal Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 (PNP) [3] come uno strumento strategico per le politiche di prevenzione e promozione della salute. Corrette strategie di comunicazione consentono infatti la sensibilizzazione sui problemi di salute, il coinvolgimento attivo e la responsabilizzazione del cittadino, sempre in un’ottica di empowerment “in cui le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenze sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita” [2,4].

Questi approcci sono estremamente importanti, nell’attuale contesto di pandemia COVID-19, che ha reso le persone affette da malattie croniche ancora più vulnerabili e per cui la sensibilizzazione e il conseguente coinvolgimento attivo sono strumenti fondamentali per la gestione della malattia ed il controllo dei rischi.

L’insufficienza renale cronica rappresenta l’evoluzione di malattie renali spesso non diagnosticate ed è di fatto espressione dell’elevato numero di pazienti anziani e comorbili che caratterizzano il contesto italiano. Inoltre spesso è caratterizzata dalla perdita progressiva della funzione renale che incrementa la necessità di dialisi e di trapianto di rene. Che futuro ci attende rispetto alla necessità di nuovi modelli di rapporto con il territorio sia nella prevenzione che nella gestione della malattia in fase avanzata?

L’obiettivo prioritario è considerare la risposta sanitaria e sociale ad un bisogno di salute come un “continuum” all’interno del quale si declina l’integrazione tra assistenza ospedaliera e territoriale. Il territorio, ovvero il contesto dove viviamo quotidianamente, è il setting prioritario per valutare i bisogni di salute del paziente, delinearne i corretti percorsi clinico assistenziali e per gestire le complessità e le eventuali comorbilità, anche attraverso competenze specialistiche multidisciplinari.

La pandemia COVID-19 ha reso ancor più evidente l’importanza dell’assistenza territoriale e attualmente è essenziale accelerare il processo di integrazione tra l’assistenza primaria, intermedia e ospedaliera, superando la frammentarietà dei molti servizi per focalizzarli attorno alla persona ed ai suoi bisogni. Lo strumento di cui oggi disponiamo per garantire questa risposta sono i piani diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA), che considerano le molteplici patologie, le diverse fasi di malattia, i livelli assistenziali integrando i diversi professionisti e strutture avendo come riferimento il “Chronic Care Model”. Rispetto alla malattia renale cronica, anche il Piano nazionale di cronicità (PNC) [2] identifica tra gli obiettivi specifici, negli stadi 3-5 di malattia, la promozione dei trattamenti appropriati ed individualizzati del paziente, sempre inseriti in un PDTA e la personalizzazione della terapia dialitica mantenendo il paziente al proprio domicilio.

Questi modelli di cura avranno un’ulteriore possibilità di rafforzamento e attuazione attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [5] che prevede il potenziamento dell’assistenza territoriale, attraverso la creazione di strutture e presidi territoriali: le Case della Comunità, il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, l’accelerazione all’uso della telemedicina e dell’assistenza remota, il potenziamento dell’assistenza sanitaria intermedia con la creazione degli Ospedali di Comunità

 

Il report 2021 del Centro nazionale trapianti ci dice che i livelli di prima della pandemia sono stati nuovamente raggiunti. Questo è il risultato di una costante attività portata avanti in un momento complesso come quello pandemico. Alcune aree hanno dettato il passo da seguire, mentre altre devono ancora compiere tanta strada. Complessivamente come possiamo aumentare la cultura della donazione?

Il trapianto di rene, da donatore deceduto o vivente, è la cura migliore per molti malati con insufficienza renale terminale. Oggi in Italia vi sono circa 6.000 pazienti in attesa di trapianto di rene, a fronte di un numero di trapianti che oscilla intorno ai 2.000 interventi per anno, circa un terzo del fabbisogno.

Il principale fattore limitante per la crescita dei trapianti è rappresentato dalla ridotta disponibilità di organi. Nel caso del trapianto da vivente, la disponibilità di un donatore nella famiglia va esplorata già nelle prime fasi, da parte dei nefrologi che hanno in cura il paziente, anche prima che questi inizi il trattamento dialitico, perché sappiamo che in queste condizioni i risultati del trapianto sono migliori. Oggi sono attivi programmi di trapianto da vivente anche per coppie donatore-ricevente incompatibili dal punto di vista immunologico, a livello nazionale ed internazionale.

Nel caso del trapianto da donatore deceduto, sappiamo che il reperimento dei donatori è inferiore alle potenzialità. I tassi di donazione per milione di abitanti sono molto disomogenei tra le regioni italiane, con un ampio gradiente Nord-Sud; le ragioni di questo fenomeno vanno ricercate nella complessità dell’attività di donazione, che richiede alle strutture sanitarie una specifica organizzazione, figure dedicate nei coordinamenti ospedalieri, e protocolli che identifichino la donazione degli organi tra i percorsi dedicati alla gestione del grave neuroleso, qualora per quest’ultimo non vi fossero possibilità di cura.

Vi è poi l’aspetto del consenso sociale alla donazione: ancora oggi in Italia circa un terzo dei cittadini si oppone alla donazione degli organi, o in vita, o lo fanno i familiari aventi diritto nel momento del decesso del paziente. Su questo è necessario lavorare per accrescere la fiducia dei cittadini verso le istituzioni sanitarie.

La fiducia in questo sistema, insieme ad una massiccia campagna ministeriale di comunicazione, saranno gli strumenti migliori per affrontare il drammatico problema della carenza di organi, e migliorare le possibilità di cura per questi malati.

 

Seppure la variante Omicron ha sostituito la Delta, la situazione epidemica è ancora acuta anche se già da febbraio sono apparsi segnali di diminuzione nella curva di contagio. Cosa ci si aspetta nel futuro?

 La variante Omicron è oggi dominante ed ha sostituito molto rapidamente la Delta. L’arrivo di questa ulteriore variante e dei suoi sotto lignaggi, che fin dai primi studi si sono rivelati ancora più contagiosi della Delta, anche se con una minore propensione a causare forme gravi della malattia, soprattutto nelle persone vaccinate, ha avuto riflessi immediati sulla curva dei contagi, con forti impennate a partire dalla seconda parte del mese di gennaio. Per questo motivo solo a partire dalla seconda metà di marzo di quest’anno si sta assistendo ad un lento calo delle infezioni e, aspetto molto importante, ad un impatto limitato sui ricoveri. La situazione attuale ci vede ancora all’interno di una pandemia che però nel nostro Paese, grazie alla adesione alla compagna vaccinale ed alle misure di comportamento individuale e collettivo adottate, è caratterizzata da una circolazione significativa del virus ma da un impatto limitato in termini di servizi assistenziali. A questo dobbiamo aggiungere che stiamo andando verso la bella stagione quando tradizionalmente i virus respiratori circolano di meno, anche grazie alla maggior propensione delle persone a vivere all’aria aperta.

L’attenzione al monitoraggio epidemiologico, alla individuazione tempestiva di nuove varianti, al mantenimento di elevati livelli di copertura immunitaria nella popolazione ed in particolare nelle categorie più fragili e all’adozione di comportamenti prudenti da parte di ognuno di noi rappresentano dei punti imprescindibili per affrontare i prossimi mesi e la stagione autunnale.

 

In molte realtà, il Covid è stata un’occasione per effettuare riduzioni di reparti e accorpamenti. Molto volte la nefrologia subisce contrazioni che ne riducono l’impatto e la possibile beneficialità della sua specifica expertise. Si tratta di impoverimenti culturali che nel tempo ridurranno il livello medio generale della sanità pubblica. Quale è la sua opinione e, se vera l’affermazione iniziale, come contrastarla?

Le criticità legate alla cura del paziente con nefropatia potranno essere mitigate attraverso l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [5], che riorienta la risposta sanitaria verso un approccio domiciliare e territoriale, potenziando e creando strutture e presidi territoriali, implementando l’assistenza domiciliare, la telemedicina e l’assistenza da remoto.

Nonostante la situazione legata alla pandemia COVID-19, ritengo sia importante valorizzare l’impegno costante e assiduo del Ministero della Salute nella gestione delle malattie croniche e nello specifico della Malattia Renale Cronica (MRC). Ne è un esempio l’inserimento nel Piano Nazionale di Cronicità (PNC) [2] di un intero capitolo dedicato alla MRC, in cui si delineano gli obiettivi generali e specifici, i percorsi ideali per una corretta gestione del paziente nefropatico e diverse linee di intervento. Tra queste, proprio per mantenere elevati gli standard di qualità e sicurezza dell’assistenza, vanno sottolineati il sostegno alla formazione dei medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, la realizzazione di studi che mirano a definire i criteri di personalizzazione delle terapie, e la promozione di unità operative che includano specialisti e personale dedicato. Sempre nel PNC [2] vengono identificate, tra gli elementi chiave di gestione della cronicità, proprio la conoscenza e la competenza raggiungibili attraverso un sistema di formazione universitario che fornisca competenze specialistiche per la cura delle cronicità, integrato da un sistema di formazione continua degli operatori. A rafforzare questo approccio viene prevista la creazione di reti specialistiche multidisciplinari che mirano a valorizzare le diverse e specifiche competenze ed il sostegno alla ricerca.

 

In campo sanitario e non solo, stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione. Dalla telemedicina alla teleassistenza per assicurare ai pazienti la continuazione delle terapie a distanza; dai servizi in cloud per conservare i dati sanitari all’utilizzo strategico dei cosiddetti big data, fino alla mobile health, con applicazioni e piattaforme dedicate alla salute, per una gestione delle cure completamente rinnovata. Tutto ciò sta modificato anche il consueto approccio alla salute dei pazienti e lo stesso rapporto tra medico e assistito. Molte attività vengono condivise attraverso sistemi digitali. Insieme alle potenzialità possono esservi però anche dei rischi. Il rapporto diretto soprattutto in un percorso terapeutico è sempre insostituibile. Come sfruttare al meglio le nuove opportunità senza incorrere nei rischi che si nascondono in questo cambio di paradigma?

 L’applicazione dell’innovazione tecnologica e dell’uso della telemedicina e della teleassistenza sono straordinarie opportunità per riorganizzare e potenziare l’assistenza sanitaria a partire dai luoghi in cui viviamo. Questi consentono infatti nuove soluzioni a problemi esistenti e creano opportunità per il loro miglioramento. La digitalizzazione in sanità facilita ad esempio l’implementazione di un’assistenza incentrata sul cittadino e l’accessibilità alle prestazioni a livello territoriale, evitando accessi impropri ad altri livelli di assistenza.

L’applicazione di queste tecnologie in ambito sanitario può portare inoltre benefici in termini di equità di accesso e qualità dell’assistenza sanitaria, assicurando la continuità delle cure, fondamentale soprattutto nella gestione delle cronicità. Proprio quest’ultima potrà valersi della telemedicina come strumento per migliorare l’interazione fra contesti territoriali e strutture di riferimento ed ampliare le pratiche professionali oltre i consueti spazi fisici, riducendo ad esempio la necessità di spostamento di pazienti fragili.

L’importanza di promuovere e attuare la digitalizzazione in sanità viene rimarcata anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza [5], nel quale la telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del servizio sanitario nazionale sono considerati componenti essenziali.

In questo contesto, occorre essere consapevoli che il processo di digitalizzazione debba essere integrato all’interno della assistenza territoriale e domiciliare. Il rafforzamento della telemedicina e monitoraggio a distanza dovranno affiancare i servizi di presa in carico, la domiciliarità e integrare i piani diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA). Infatti, come riportato nel documento Telemedicina – Linee di indirizzo nazionali [6], la telemedicina per poter portare dei vantaggi deve essere inserita organicamente nel sistema sanitario.

Per poter utilizzare al meglio questi strumenti è necessario anche rafforzare la fiducia, l’accettazione e l’educazione nei servizi di telemedicina tra la popolazione e tra i professionisti oltre che risolvere problemi di accesso e strutturare una governance della sanità digitale.

 

Il paziente con malattia renale cronica è quello che più di tutti accomuna e assomma una serie di comorbidità che richiedono un impegno di team cross-funzionali e multidisciplinari da un punto di vista medico-sanitario. Spesso però l’approccio è sempre settoriale e le occasioni di confronto terapeutico tra professionisti sono insufficienti. Quali orizzonti prendere in considerazione in questo ambito?

 Il paziente con Malattia Renale Cronica (MRC) è un esempio emblematico di cronicità e comorbilità che necessita di un approccio pluridisciplinare e una strutturazione dei processi di cura.

La gestione della MRC richiede infatti interventi coordinati a differenti livelli, per la prevenzione, la diagnosi, la presa in carico precoce dei soggetti a rischio o allo stadio iniziale di malattia e la gestione delle complicanze e degli stadi più avanzati di malattia. Il classico rapporto paziente-nefrologo deve quindi essere inserito all’interno di percorsi diagnostici e terapeutici inclusivi della molteplicità di fattori che influenzano la prognosi e la progressione della MRC e delle comorbidità. In questo contesto, l’assistenza si dovrà articolare all’interno di una rete assistenziale che includa strutture e servizi disponibili e integri una rete dei professionisti, definita nel Piano Nazionale Cronicità (PNC) [2] “rete specialistica multidisciplinare”. Questa multidisciplinarietà unita alla multi professionalità è anche tra le linee di intervento nella sezione dedicata alle malattie renali croniche e insufficienza renale del PNC [2], nello specifico con l’attuazione di unità operative, integrate nella rete nefrologica, che includono specialisti e personale infermieristico dedicato e altre figure professionali come dietologi, psicologi, diabetologi, cardiologi.

Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [5] conferma la volontà di creare un modello di intervento integrato e multidisciplinare attraverso la realizzazione delle Case di comunità, strutture in cui si lavorerà in un team multidisciplinare e multiprofessionale con figure professionali sanitarie e sociali, tra cui medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e assistenti sociali.

 

Bibliografia

  1. Ministero della Salute. Documento di indirizzo per la malattia renale cronica. 5 Novembre 2014. Disponibile presso: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2244_allegato.pdf
  2. Ministero della Salute. Piano Nazionale della Cronicità. Accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano. 15 Settembre 2016. Disponibile presso: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2584_allegato.pdf
  3. Ministero della Salute. Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025. 3 Settembre 2020. Disponibile presso: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie_5029_0_file.pdf
  4. Wallerstein N. What is the evidence on effectiveness of empowerment to improve health? Copenhagen, WHO Regional Office for Europe (Health Evidence Network report. Febbraio 2006. Disponibile presso: http://www.euro.who.int/Document/E88086.pdf
  5. Italia domani – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. 23 Aprile 2021. Disponibile presso: https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf
  6. Ministero della Salute. Telemedicina – Linee di indirizzo nazionali. 17 Marzo 2014. Disponibile presso: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2129_allegato.pdf