Supplemento S81 - In depth review

Onconefrologia nel paziente portatore di trapianto di rene: una sfida per il nefrologo trapiantologo

Abstract

L’onconefrologia, un ambito emergente nella medicina moderna, riveste crescente importanza grazie alla sua capacità di affrontare le intricate sfide che intersecano patologie tumorali e renali.
L’incidenza crescente di tumori nei pazienti trapiantati richiede strategie preventive e di monitoraggio accurato. Lo screening pre-trapianto si rivela cruciale, evidenziando la necessità di una valutazione ottimale prima di sottoporre al trapianto soggetti con precedenti oncologici. Il follow-up post-trapianto deve essere personalizzato, con piani di screening su misura che tengano conto della storia oncologica individuale.
La terapia immunosoppressiva, sebbene fondamentale per prevenire il rigetto dell’organo trapiantato, rappresenta un equilibrio delicato tra il controllo della risposta immunitaria al graft e la gestione del rischio oncologico. Gli inibitori dei checkpoint immunitari emergono come una prospettiva affascinante per la terapia oncologica, ma il loro utilizzo nei pazienti trapiantati richiede cautela ed ulteriori ricerche che ne valutino attentamente la sicurezza e l’efficacia, bilanciando i potenziali benefici con il reale rischio di rigetto.
In sintesi, l’onconefrologia è un campo in crescita che richiede un approccio interdisciplinare e una costante ricerca, mirata ad affrontare con successo le complesse sfide connesse alle malattie oncologiche nei pazienti nefropatici e trapiantati.

Parole chiave: Onconefrologia, Trapianto di rene, Terapia immunodepressiva, Inibitori del checkpoint immunitario

Introduzione: l’onconefrologia e le sue prospettive

L’onconefrologia sta emergendo come una disciplina chiave nella medicina moderna, richiedendo specialisti in grado di gestire le complessità delle patologie tumorali e renali.

L’addestramento specifico è limitato, e c’è un’urgenza crescente di formare più onconefrologi per far fronte alla domanda in crescita. L’integrazione di onconefrologi in squadre multidisciplinari è fondamentale per affrontare le innumerevoli sfide legate ai pazienti oncologici con malattia renale, inclusi coloro che hanno ricevuto un trapianto di rene.

La precisione nell’applicazione delle terapie oncologiche richiede una formazione continua specifica, e l’onconefrologia deve essere inclusa nei programmi di formazione specialistica, per mantenere aggiornati i professionisti sulle cure nei pazienti oncologici nel complicato setting della nefrologia.

L’onconefrologia deve anche affrontare sfide come la mancanza di linee guida adeguate e lo sviluppo di nuovi strumenti diagnostici, inoltre la comunicazione tra oncologi e nefrologi risulta essenziale per migliorare i risultati dei pazienti e la gestione delle lesioni renali acute e croniche.

Le sfide poste da questa particolare categoria di pazienti possono essere superate attraverso la collaborazione interdisciplinare precoce e l’uso di criteri di classificazione universali. In definitiva, l’onconefrologia rappresenta un campo in evoluzione che richiede attenzione, formazione e collaborazione per affrontare efficacemente le complessità della gestione delle malattie oncologiche nei pazienti nefropatici e portatori di trapianto di rene.

 

Epidemiologia, mortalità e fattori di rischio del tumore nel paziente portatore di trapianto di rene

Il tumore è una delle principali cause di morte nei pazienti sottoposti a trapianto di rene [1, 2].

Negli studi internazionali, la popolazione dei trapiantati mostra un tasso standardizzato di incidenza (SIR) di neoplasia di 2-4 volte in più rispetto alla popolazione generale, seppur con enormi variabilità in base alla neoplasia considerata [3-9].

L’incidenza all’interno della popolazione trapiantata mostra poi un prevedibile incremento con il passare degli anni, arrivando ad oscillare tra il 10% ed il 15% a circa 15 anni dal trapianto [3, 4].

Risultati simili sono stati riscontrati anche nella popolazione italiana [5, 6]. Questi numeri sono destinati a crescere, anche in considerazione dell’aumento dell’aspettativa di vita dei pazienti trapiantati e della maggiore efficacia delle terapie antirigetto, che permette un incremento della vita media del trapianto e quindi della durata totale di immunosoppressione.

Come è prevedibile, il rischio di mortalità in questi pazienti è più elevato rispetto alla popolazione generale. I dati osservazionali hanno difatti dimostrato che i tassi di mortalità standardizzati sono almeno 1,8-2,5 volte più elevati rispetto alla popolazione generale corrispondente per età e sesso [10, 11]. Questo vale soprattutto per quanto riguarda i linfomi non Hodgkin, i tumori urogenitali ed il melanoma, patologie che mostrano un rischio complessivo di morte che supera di cinque-dieci volte quello di coloro che non hanno ricevuto un trapianto di rene [10].

Diversi fattori di rischio per malattia oncologica sono stati identificati nel paziente trapiantato. Questi possono riguardare il paziente (età anagrafica, etnia, stile di vita e fumo, malattia renale di base, storia di neoplasia, storia di abuso di analgesici, suscettibilità alle infezioni virali, fattori genetici) o possono essere fattori più propriamente trapiantologici (grado di compatibilità immunologica, valore di vPRA, terapia immunosoppressiva) [12-24].

La trasmissione di malignità dal donatore è un evento raro, con un’incidenza stimata tra lo 0,01% e lo 0,05%. Questo rischio varia in base al tipo di neoplasia [25-27]. Tuttavia bisogna evidenziare come il rischio di mortalità sia, in caso di trasmissione, particolarmente elevato, verificandosi in circa il 20% dei soggetti colpiti [26, 27], per cui una scrupolosa valutazione del potenziale donatore d’organo è essenziale per ridurre al minimo questo rischio.

 

Screening pre trapianto e timing di trapianto nel paziente con storia oncologica

Un accurato screening prima del trapianto è fortemente raccomandato dalle principali linee guida, considerando il maggior rischio oncologico evidenziato anche nei pazienti con ESRD, specialmente se sottoposti a terapia dialitica e per alcuni istotipi specifici [28-32].

In aggiunta, non è sempre del tutto chiaro quale sia il momento opportuno per sottoporre al trapianto renale coloro che hanno una storia oncologica, e questo è tuttora motivo di dibattito nella letteratura medica. Infatti, anche se il tumore è stato adeguatamente trattato, il beneficio di un trapianto deve essere bilanciato ad un rischio di una eventuale recidiva, da considerare specialmente in corso di immunodepressione. Diverse linee guida, come ad esempio quelle della KDIGO [28] o quelle di recente formulazione da parte di Al-Adra e colleghi [33], hanno cercato di mettere luce sulla questione.

Le linee guida di Al-Adra e colleghi sono state sviluppate attraverso un consensus conference nel 2019, che ha coinvolto specialisti trapiantologi ed oncologi.

La valutazione del rischio oncologico nel lavoro di Al-Adra si basa sulla stadiazione TNM (tumore, coinvolgimento dei linfonodi regionali, metastasi) unitamente a strumenti di recente sviluppo, come l’analisi dei marcatori tumorali e l’epigenetica.

In generale, i tempi di attesa dalla guarigione sono stati decisi in base alla stadiazione, alle caratteristiche biologiche del tumore e alla probabilità di recidiva. Di conseguenza, sono stati suggeriti tempi di attesa che variano dall’assenza di attesa a 2 anni per i tumori a basso grado, fino a 5 anni per quelli ad alto grado. Per procedere all’eventuale trapianto si è deciso di considerare come cut-off un tasso di sopravvivenza almeno del 80% a 5 anni.

Benché non esaustive, queste raccomandazioni trattano le patologie tumorali più comuni, offrendo così un orientamento al trapiantologo clinico. È importante però ricordare che tali indicazioni si basano principalmente su dati provenienti dalla popolazione generale, vista la limitata disponibilità di evidenze sulle popolazioni trapiantate.

 

Screening nel paziente già sottoposto a trapianto di rene

Come già detto, dopo il trapianto di rene il rischio di tumore è come minimo raddoppiato rispetto alla popolazione generale. Per tale ragione, lo screening in senso oncologico è di vitale importanza. Le raccomandazioni [34, 35] variano tra diverse società, ma in generale lo screening dovrebbe almeno seguire le indicazioni già formulate per la popolazione generale, con alcune importanti eccezioni.

Nello specifico, per i tumori della pelle e delle labbra (tumori cutanei non melanoma), il rischio è considerevolmente elevato [36-43], e la maggior parte degli autori consiglia una valutazione dermatologica annuale, in aggiunta ad un costante e scrupoloso automonitoraggio.

Per quanto riguarda i tumori urologici, non esistono linee guida chiare per lo screening del carcinoma a cellule renali nei reni nativi dopo il trapianto. Tuttavia, si suggerisce di sottoporre i pazienti con malattia cistica acquisita, pregresso carcinoma a cellule renali o abuso di analgesici a controlli ecografici periodici ogni 1-3 anni dopo il trapianto. Inoltre, i pazienti con ematuria di recente insorgenza dovrebbero essere valutati per escludere una eventuale neoplasia urologica.

Altri tumori che meritano un follow-up specifico rispetto alla popolazione generale sono i tumori associati alla relazione tra immunodepressione e virus oncogeni, specialmente HPV, EBV, HHV-8. Tra questi ricordiamo il carcinoma della cervice, il carcinoma anale, la sindrome linfoproliferativa post trapianto (PTLD), il sarcoma di Kaposi ed il già menzionato tumore cutaneo non melanoma.

Nella Tabella I è schematizzato il programma di monitoraggio oncologico del paziente adulto portatore di trapianto di rene adottato dalla Rete Nefrologica Piemonte – Valle d’Aosta e dal Centro trapianti di rene “A. Vercellone” della Città della salute e della scienza di Torino.

Il rapporto costo-efficacia di queste raccomandazioni è comunque oggetto di discussione [8, 43], soprattutto in Paesi che adottano politiche sanitarie differenti dalle nostre.

Infine, al di là delle raccomandazioni generali, è ruolo del nefrologo trapiantologo identificare i pazienti a maggior rischio, ed impostare uno screening oncologico adattato sul singolo paziente. Una rete integrata ed interdisciplinare è necessaria per assicurare una corretta gestione dei casi complessi, ed è in grado di ridurre la morbilità e la mortalità in questi pazienti.

Nella Figura 1 è schematizzata la rete interdisciplinare di assistenza al paziente adulto portatore di trapianto di rene della Città della Salute e della Scienza di Torino.

Tipo di Neoplasia

Accertamenti proposti

Mammella

Mammografia annuale/biennale.

 Cervice 

Citologico cervice ed esame pelvico annuale.

Prostata

Visita annuale (DRE) e PSA in >50 anni.

 Stomaco/Colon-retto

SOF annuale; se positivo: colonscopia; se colonscopia negativa: EGDS.

Epatocellulare (Cirrosi HCV/HBV relata o da altra causa)

ETG semestrale; a-FP semestrale.

Cute

Autoesame mensile; visita dermatologica annuale.

 Kaposi Sarcoma

Autoesame mensile; visita dermatologica annuale, HHV-8 DNA nei soggetti a rischio per regione geografica.

PTLD

EBV-DNA ogni 6-12 mesi, se viremia in incremento progressivo: valutazione ematologica (+ ETG stazioni linfonodali).

Renale (reni nativi)                        

ETG semestrale/annuale. Nei pazienti ADPKD: TC addome mdc biennale/RM senza mdc.

 Polmone

Rx torace annuale.

 Tiroide

ETG tiroide al II anno; successivamente triennale.

Tabella I. Programma di monitoraggio oncologico del paziente adulto portatore di trapianto di rene adottato dalla rete nefrologica Piemonte – Valle d’Aosta.
Figura 1. Rete interdisciplinare adottata dalla Città della Salute e della Scienza di Torino per l’assistenza al paziente adulto portatore di trapianto di rene.
Figura 1. Rete interdisciplinare adottata dalla Città della Salute e della Scienza di Torino per l’assistenza al paziente adulto portatore di trapianto di rene.

 

La terapia Immunosoppressiva

Il principale fattore oncogeno nel paziente portatore di trapianto è rappresentato dall’immunosoppressione [18], intesa come intensità, durata e carico cumulativo [19, 21, 44].

Questa aumenta il rischio tumorale riducendo la sorveglianza immunitaria, compromettendo i meccanismi di difesa contro virus oncogeni e cellule neoplastiche ed anche attraverso vie molecolari specifiche [20, 22-24].

L’importanza del carico totale di immunosoppressione nel rischio oncologico è stata inizialmente evidenziata da dati storici che hanno suggerito come i pazienti sottoposti a trapianto cardiaco mostravano una maggiore incidenza di tumori rispetto ai pazienti sottoposti a trapianto di rene [21, 44]. Studi simili hanno suggerito un rischio maggiore di malignità, in particolare di disturbi linfoproliferativi post-trapianto (PTLD), nei pazienti che hanno ricevuto terapia depletiva linfocitaria [45], ma non è chiaro se il rischio aumenti con l’aumentare delle dosi utilizzate all’induzione [46, 47].

Gli inibitori delle calcineurine, come il tacrolimus e la ciclosporina, sono associati a un aumento del rischio di malignità. Questi farmaci sembrano agire attraverso la produzione aumentata di citochine come il fattore di crescita trasformante (TGF)-beta, il fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF) e IL-6 [20, 22, 23, 48]. Inoltre, questi inibitori riducono la capacità di riparare i danni al DNA indotti dalle radiazioni, evento importante soprattutto nella patogenesi dei tumori della pelle [49]. Alcuni studi evidenziano come dosi di farmaco maggiori siano direttamente correlati ad un maggior rischio di tumore [50, 51].

Gli antimetaboliti come l’azatioprina sono stati implicati nello sviluppo di malignità post-trapianto, in particolare dei tumori della pelle non melanoma [18]. Questo trova le sue motivazioni nella capacità mutagena di questa molecola e soprattutto nella sua capacità di ridurre l’attività di riparazione delle mutazioni del DNA indotte dalle radiazioni contribuendo all’aumento dello sviluppo di instabilità del DNA microsatellite [52, 53]. A differenza dell’azatioprina, gli analoghi del micofenolato (Micofenolato Mofetile, MMF, e Acido Micofenolico, MPA) sembrano associarsi a un rischio di malignità post-trapianto inferiore, con possibili effetti antiproliferativi dovuti all’inibizione dell’enzima inosine monophosphate dehydrogenase [18, 54]. Tuttavia, studi di popolazione suggeriscono che la riduzione del rischio oncologico potrebbe ricondursi almeno in parte alla minor incidenza di rigetto acuto e alla conseguente minore necessità di aumentare le dosi di immunosoppressori [55].

L’utilizzo degli inibitori del mTOR sembra invece ridurre l’incidenza di malignità post-trapianto rispetto ad altri regimi immunosoppressori. Anche se è stato osservato un tasso di mortalità più elevato nei pazienti in trattamento con inibitori di mTOR (prevalentemente per infezioni ed eventi cardiovascolari [56, 57]), il rischio di malignità sembra diminuire con questi farmaci, probabilmente per la loro attività antiproliferativa ed anti-angiogenetica, attività particolarmente evidente contro i tumori cutanei non melanoma [5, 23, 56-65]. In effetti l’everolimus è utilizzato anche per trattare il tumore mammario recettore ormonale-positivo, i tumori neuroendocrini e il carcinoma a cellule renali. Tuttavia, è importante notare che tali farmaci sono associati a un aumento del rischio di rigetto rispetto agli inibitori delle calcineurine [65, 66].

Infine, il belatacept è stato associato a un rischio elevato di disturbi linfoproliferativi post-trapianto, specialmente con coinvolgimento del sistema nervoso centrale. Molti di questi casi si sono verificati in pazienti che erano sieronegativi per il virus di Epstein-Barr, motivo per cui il suo utilizzo in tali individui è sconsigliato [67, 68]. Un piccolo studio monocentrico sembra suggerire una riduzione del rischio oncogeno per quanto riguarda i tumori cutanei [69].

In caso di elevato rischio neoplastico o di effettiva diagnosi oncologica la riduzione della terapia immunodepressiva è quindi una delle prime contromisure che possono essere adottate. La riduzione dei livelli ematici target degli inibitori delle calcineurine, l’eventuale introduzione di un mTOR inibitore, la riduzione o la sospensione dei farmaci antimetaboliti (tra i quali bisognerebbe preferire il micofenolato mofetile o l’Acido micofenolico rispetto alla Azatioprina), la riduzione o la sospensione della terapia corticosteroidea, sono alcune delle contromisure che possono essere adottate. Casi particolarmente gravi potrebbero meritare riduzioni della terapia immunosoppressiva particolarmente aggressive, fino alla completa sospensione. Le principali linee guida internazionali rimangono tuttavia molto vaghe su come modificare la terapia immunodepressiva [34, 70], è ruolo del trapiantologo scegliere lo schema terapeutico ideale per il rischio oncologico del singolo paziente, sia in senso di prevenzione che in corso di terapia oncologica.

 

Inibitori del Checkpoint immunitario nel paziente portatore di trapianto di rene

Gli inibitori dei checkpoint immunitari (ICIs) hanno profondamente rivoluzionato l’approccio alla terapia oncologica, e le indicazioni per il loro utilizzo sono destinate ad estendersi ulteriormente [71]. Tuttavia, rimane ancora poco chiara la sicurezza e l’efficacia di questi farmaci nei pazienti sottoposti a trapianto di organo solido.

Il meccanismo d’azione di questi anticorpi monoclonali prevede infatti una stimolazione dell’attività immunitaria cellulo-mediata, al fine di eliminare le cellule neoplastiche. L’utilizzo di inibitori dei checkpoint immunitari nei pazienti con tumori avanzati che hanno ricevuto un trapianto potrebbe portare a miglioramenti nei risultati terapeutici, ma questo è evidentemente correlato ad un elevato rischio di rigetto [72-74].

Per i pazienti che hanno necessitato di terapie immunosoppressive, alcuni studi suggeriscono che l’efficacia degli inibitori dei checkpoint immunitari (ICI) non risulti eccessivamente influenzata [74-77]. Tuttavia, altri lavori indicano che l’uso precoce di corticosteroidi o l’adozione di terapie immunosoppressive insieme ai corticosteroidi siano associati ad esiti di sopravvivenza più sfavorevoli [78, 79]. Inoltre, nel valutare la possibilità di un nuovo trattamento con immunoterapia per pazienti che abbiano sperimentato eventi avversi immunomediati (irAE), l’uso simultaneo di terapie immunosoppressive è collegato a una ridotta efficacia dell’ICI. Per questo è comune pratica quella di ridurre o sospendere totalmente la terapia immunodepressiva in corso di terapia con questi farmaci, conferendo quindi un netto incremento del rischio di rigetto dell’allotrapianto.

Risultano in corso al momento attuale diversi trial clinici indirizzati proprio a chiarire la sicurezza e l’efficacia di questi farmaci nei pazienti portatori di trapianto di organo solido, alcuni dei quali mirano a valutarne gli outcome in seguito al mantenimento della terapia ID invariata (ACTRN12617000741381, NCT03816332, NCT04339062, NCT03966209, NCT04721132).

 

Conclusione

Non è un compito semplice quello di trovare il giusto equilibrio tra grado efficace di immunosoppressione e basso rischio oncologico. Questa è una sfida quotidiana per il nefrologo trapiantologo, che spesso deve adottare delle scelte terapeutiche di grande peso clinico in assenza di chiare indicazioni da parte delle linee guida. Sono quindi indispensabili ulteriori studi specificatamente rivolti alla popolazione trapiantata, che permettano una migliore comprensione del problema.

 

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