Per molti anni l’Encapsulating Peritoneal Sclerosis (EPS) ha rappresentato la maggiore preoccupazione del nefrologo peritonealista, arrivando a mettere in discussione il razionale stesso della dialisi peritoneale (DP). Quattordici anni fa un editoriale di Peter Blake [1] dal titolo “The Specter of EPS” descriveva lucidamente la profonda inquietudine che questa rara ma spesso mortale complicanza diffondeva nella comunità nefrologica e allo stesso tempo delineava la strategia per affrontarla. Sempre nel primo decennio degli anni 2000 l’esperienza olandese, che ha coagulato una inedita collaborazione tra nefrologi peritonealisti e trapiantatori, ha documentato come i casi di EPS post-trapianto (Tx) superavano come incidenza quelli in corso di DP [2–5]. Nel corso degli anni è infine costantemente documentata una limitata percentuale di pazienti che sviluppano EPS dopo lo shift da PD a emodialisi (HD) [6].
Negli ultimi 10 anni diversi lavori hanno riportato una diminuzione generalizzata nella incidenza della EPS diagnosticata nei pazienti in DP [7–9]. Non esiste invece nessuna evidenza di una diminuzione della EPS diagnosticata post-Tx o in HD.
I Censimenti GSDP dal 2008 al 2022 evidenziano una confortante diminuzione nella incidenza dei casi totali di EPS da 0,701 episodi/100 anni/paziente a 0,176 episodi/100 anni/paziente. Gli stessi Censimenti riportano (sorprendentemente rispetto alla letteratura internazionale sopra citata) anche un azzeramento della EPS post-Tx, di cui non viene segnalato nessun caso dopo il 2014. Il presente commento si propone di suggerire alcune chiavi interpretative di questi andamenti.
Per quanto riguarda la diminuzione di incidenza della EPS in DP i dati del Censimento vanno nella stessa direzione della letteratura internazionale: questo ne rafforza l’evidenza; è realtà. Vediamo quali possono essere le motivazioni di questo andamento.
Una recente meta-analisi [10] identifica i seguenti fattori di rischio modificabili significativamente associati alla EPS in DP, in ordine di importanza: 1) alto trasporto peritoneale; 2) durata della DP; 3) peritoniti.
Il ruolo dell’alto trasporto emerge nettamente e conferma la necessità di monitorizzare con regolarità le caratteristiche di ultrafiltrazione e trasporto del singolo paziente, in modo da personalizzare l’approccio in caso di progressivo deterioramento dei parametri [11]. I dati dei Censimenti GPDP dal 2010 al 2022 confermano che la grande maggioranza dei Centri Italiani monitorizza il trasporto peritoneale; un secondo dato positivo è la sempre maggior diffusione del PET 3,86% vs il PET 2,27%. Sicuramente l’elevata attenzione delle DP italiane a questo tema contribuisce a mantenere globalmente ridotta in assoluto l’incidenza di EPS in DP. Dobbiamo tuttavia constatare come nel corso degli anni la percentuale minoritaria dei Centri che non monitorizza il trasporto sia purtroppo aumentata: è partita nel 2010 da numerosità trascurabili, ma nel 2022 è arrivata a superare il 10%. Quindi, nel caso italiano la diminuzione progressiva di incidenza di EPS in DP non risulta collegata a una maggior diffusione della monitorizzazione del paziente. È davvero auspicabile che una sempre maggiore consapevolezza dell’importanza di ultrafiltrazione e trasporto nella personalizzazione della prescrizione in DP e nella prevenzione dell’EPS riporti in futuro tutti i Centri a valutarle regolarmente.
La durata media della DP è rimasta costantemente invariata nel tempo (32,9 mesi nel 2008 vs 31,6 mesi nel 2022): la diminuzione di incidenza di EPS in Italia non è quindi correlata nemmeno ad un decremento di durata della DP. Questo risulta confortante: c’è infatti un generale consenso sul fatto che non esiste una “data di scadenza” della DP e che il rapporto costo/beneficio indica chiaramente la non opportunità di interrompere a priori la DP come misura preventiva verso l’EPS [12].
L’incidenza di peritoniti rappresenta invece il vero fattore di rischio significativo il cui andamento negli anni correla davvero con la diminuzione di incidenza di EPS in DP: tra il 2005 e il 2022 l’incidenza di peritonite è andata costantemente diminuendo e si è sostanzialmente dimezzata, raggiungendo gli 0,176 episodi/anno/paziente. È quindi estremamente probabile che i brillanti risultati raggiunti nella prevenzione della peritonite siano il fattore principale che ha determinato il calo osservato nell’incidenza di EPS in DP in Italia. Del resto, una diminuzione di incidenza di peritoniti in DP nell’ultimo decennio è stata dimostrata in tutto il mondo [13] e rappresenta quindi il motivo principale della riduzione generalizzata di EPS in DP.
Un secondo fattore che potrebbe aver contribuito al decremento della EPS in DP è una minore esposizione al glucosio delle soluzioni di dialisi: i dati dei Censimenti evidenziano negli anni un utilizzo sempre maggiore della dialisi incrementale, cresciuta dall’11,9% del 2005 al 35,3% del 2022; è ovvio che nel periodo di dialisi incrementale l’esposizione al glucosio è sostanzialmente minore rispetto alla DP standard.
Inoltre è opinione comune (anche se il Censimento non ha preso in considerazione questo aspetto) che negli anni sia cresciuto anche l’utilizzo delle soluzioni di dialisi a maggiore biocompatibilità (icodestrina, low-GDP, aminoacidi). Esistono evidenze istologiche della loro azione di preservazione delle caratteristiche strutturali del peritoneo [14, 15] associate in alcuni casi (icodestrina, aminoacidi) alla assenza di glucosio, in altri (low-GDP) alla assenza di prodotti di degradazione del glucosio pur contenuto nella soluzione; le opinioni sulla loro superiore biocompatibilità vs le soluzioni tradizionali risultano largamente condivise e il loro utilizzo nella prevenzione della EPS è ampiamente consigliato [16].
Per quanto riguarda l’EPS post-Tx i dati del Censimento risultano al contrario sorprendenti. L’assenza di casi segnalati dopo il 2014 è in netta controtendenza rispetto alla letteratura internazionale citata all’inizio, che in termini relativi descrive una sempre maggiore percentuale di casi di EPS post-Tx (stabili nel tempo) rispetto ai casi di EPS in DP (in diminuzione nel tempo).
Inoltre, mentre disponiamo di spiegazioni fisio-patologiche congrue per la diminuzione di incidenza della EPS in DP (diminuzione delle peritoniti, riduzione del carico di glucosio, maggiore utilizzo delle soluzioni di DP più biocompatibili), nel caso della EPS post-Tx i meccanismi fisio-patogenetici conosciuti portano alla aspettativa di una sostanziale stabilità nel tempo, se non a un aumento. È infatti ben noto che nella EPS post-Tx il meccanismo patogenetico fondamentale è rappresentato dalla potente azione pro-fibrotica della immunosoppressione standard basata sugli inibitori della calcineurina (CNI: tacrolimus, ciclosporina) in assenza di inibitori del sistema mTOR (mTOR-I: sirolimus, everolimus) [17]. Negli ultimi 10 anni la terapia immunosoppressiva del trapianto renale, sulla base di considerazioni che prescindono dall’EPS (efficacia nella prevenzione del rigetto, effetti collaterali sul metabolismo lipidico) non si è affatto evoluta verso un contenimento dell’utilizzo dei CNI a favore degli mTOR-I: l’utilizzo di mTOR-I rimane marginale, anzi il tacrolimus (il CNI più potente in assoluto) è sempre più preferito rispetto alla ciclosporina [18].
In tale contesto la mancata documentazione di casi di EPS post-Tx sembra interpretabile semplicemente come una inadeguatezza del Censimento a questo tipo di rilevazione, a sua volta secondaria al tipo di organizzazione del sistema trapiantologico. I Centri Trapianto di Rene italiani sono 40, nella maggioranza dei casi a conduzione chirurgica; di solito non esiste all’interno del singolo Centro Trapianti (neanche in quelli a conduzione nefrologica) un interfacciamento tra i Nefrologi che si occupano del trapianto e quelli che hanno in carico la DP; le Nefrologie di alcuni Centri Trapianto italiani addirittura non offrono un servizio di DP e non se ne occupano minimamente. L’EPS resta in definitiva una entità nosologica fondamentalmente sconosciuta alle équipe che seguono il trapianto e spesso non viene diagnosticata affatto. Le probabilità che la problematica possa essere presa in carico dal personale delle DP territoriali (proprio quello a cui necessariamente il Censimento si rivolge!) tendono a zero. In questo senso, il fatto che casi di EPS post-Tx siano presenti fino al 2014 e assenti in seguito sembra riflettere non un reale calo di incidenza, ma piuttosto le condizioni di lavoro via via più penalizzanti, a cui conseguono sempre minori contatti tra professionisti. La distanza che purtroppo separa il mondo trapiantologico da quello della DP si percepisce anche nei dettagli: il Censimento deve utilizzare come unità di misura dell’incidenza di EPS il numero degli episodi/100 anni/paziente, ma tale modalità, perfetta per la EPS in DP, è in pratica inutilizzabile nella EPS post-Tx, dove dovremmo considerare la percentuale di sviluppo di EPS post-Tx negli ex-peritonealisti (dato che tuttavia può essere fornito solo dai Centri Trapianto e non dalle DP territoriali).
L’organizzazione ora descritta è comune a molti Paesi: è proprio per questo che la documentazione dei casi di EPS post-Tx è particolarmente frammentaria. Non è un caso che le uniche statistiche affidabili sulla EPS post-Tx siano quelle olandesi già citate. In Olanda esistono 2 soli Centri Trapianto di Rene (Rotterdam e Utrecht), entrambi con Nefrologie e attività di DP molto ben strutturate: è la situazione ideale per instaurare un rapporto diretto e proficuo tra il mondo della DP e quello del trapianto.
Qualche osservazione infine sui casi di EPS dopo shift da DP a HD. La numerosità di queste situazioni è da sempre scarsa in assoluto e ciò complica ogni interpretazione. Tuttavia, anche in questa situazione esiste una difficoltà del Censimento a raccogliere i dati, visto che in molti Centri il dialogo tra personale della DP e della HD non è ottimale. In questa edizione, ben 50 Centri italiani di DP su 227 (il 22%) non sono stati in grado di trasmettere neanche i dati di incidenza e prevalenza della HD per impossibilità di ottenerli proprio dai Colleghi del proprio Centro. Questa triste realtà suggerisce la ragionevole possibilità di una sottostima dei casi di EPS in HD, anche se non così generalizzata come nel caso della EPS post-Tx.
Nella patogenesi della EPS in HD il “second hit” responsabile dello shift da sclerosi semplice a EPS è rappresentato proprio dalla interruzione stessa della DP con sospensione della rimozione peritoneale di fibrina [19]. Tale stimolo si produce comunque inevitabilmente al momento dello shift e quindi non disponiamo neanche di un razionale per aspettarci una sostanziale diminuzione di questi casi, analogamente a quanto considerato per la EPS post-Tx. A conferma di ciò, un recente studio [20] evidenzia come la terapia combinata DP+HD si associa a riduzione della incidenza di peritonite, ma non di EPS.
In definitiva, la diminuzione di incidenza della EPS in DP in Italia rappresenta un fenomeno reale, in linea con quanto riportato a livello internazionale. La determinante principale risulta il corrispondente decremento delle peritoniti; è molto verosimile che anche la diminuzione del carico di glucosio e l’utilizzo delle soluzioni di dialisi più biocompatibili giochi un ruolo. È fortemente raccomandabile che tutti i Centri monitorizzino ultrafiltrazione e caratteristiche di trasporto peritoneale del paziente, mentre si conferma la non congruità di una limitazione aprioristica di durata della DP.
La mancata documentazione di casi di EPS post-Tx, la cui incidenza risulta costante nei report internazionali, sembra invece secondaria a una inadeguatezza del Censimento a intercettarli, a sua volta dovuta sia alla scarsa consapevolezza delle problematiche della EPS presso i Centri Trapianto, sia alla separazione organizzativa tra Centri Trapianto e DP territoriali.
Anche per quanto riguarda l’EPS in HD, peraltro rara in assoluto, è verosimile un deficit di segnalazione collegato a scarsa collaborazione intra-Centro tra personale in DP e in HD.
Il take home message è: stiamo raggiungendo buoni risultati con la EPS in DP, ma la partita non è chiusa e dobbiamo continuare a prevenirla, diagnosticarla e curarla.
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