Maggio Giugno 2023 - Nefrologo in corsia

Danno renale acuto da funghi: un caso secondario ad ingestione di Amanita echinocephala

Abstract

Le intossicazioni da funghi possono rappresentare un evento acuto con cui il nefrologo clinico deve approcciarsi e che spesso determinano il ricorso ad un trattamento dialitico in urgenza. Attraverso il caso clinico esposto, descriviamo le manifestazioni cliniche secondarie ad un’intossicazione acuta sostenuta da Amanita echinocephalae e forniremo una panoramica sulle principali intossicazioni fungine di interesse renale, la loro presentazione clinica, le strategie diagnostiche ed il successivo trattamento.
Parole chiave: intossicazione da funghi, AKI, Amanita echinocephala

Introduzione

L’ingestione di funghi non commestibili o velenosi si presenta, spesso, con quadri sintomatici variabili a seconda del tipo di fungo consumato e delle tossine eventualmente presenti che possono determinare un coinvolgimento multisistemico, in particolar modo epatico, ma anche neurologico, muscolare e renale.

Focalizzando l’attenzione sul danno renale è possibile evidenziare come numerose specie fungine siano responsabili di eventi particolarmente acuti che, sovente, determinano il ricorso al trattamento emodialitico urgente e talvolta provocano un danno d’organo irreversibile con necessità di trattamenti dialitici cronici o di trapianto renale.

I funghi appartenenti al genere Cortinarius, in particolare le specie orellanus e orellanoides (noti anche come C. speciosissimus o C. rubellus), sono potenzialmente mortali e sono responsabili della sindrome orellanica, una condizione clinica secondaria ad una tossina (orellanina) in essi contenuta. Il meccanismo di tossicità dell’orellanina non è ancora del tutto compreso sebbene la somiglianza chimica tra questa tossina ed alcuni erbicidi, come il dipiridilici diquat (1,1′-etilene-2,2′-bipiridilio) e il paraquat (1,1′-dimetil-4,4′-bipiridilio), faccia ipotizzare che alla base del danno vi possa essere un meccanismo ossidativo cellulare con successiva sintesi di radicali liberi [1]. Questa teoria è stata confermata in sede sperimentale, essendo stati evidenziati a livello delle cellule tubulari, dei danni compatibili con uno stress ossidativo acuto [2]. Alla base di questo processo vi sarebbe, quindi, l’accumulo in sede renale dell’orellanina cui consegue la produzione di radicali anionici orto-semichinonici responsabili della produzione di radicali superossido, e la successiva induzione di stress ossidativo. Questo processo chimico determina un notevole consumo di ossigeno con conseguente ipossia secondaria, successivo esaurimento sia del glutatione che dell’ascorbato, oltre che il mancato ripristino degli agenti anti ossidanti tissutali [3]. I sintomi dell’avvelenamento da orellanina sono variabili. In generale, dopo un iniziale interessamento gastro intestinale (con vomito, diarrea, dolore addominale) si osserva un danno renale acuto (AKI) che si realizza in un arco temporale compreso tra i tre giorni e le due settimane e che, in una percentuale compresa tra il 30% e il 70% dei casi, richiede il ricorso al trattamento emodialitico sostitutivo che può diventare permanente fino a due terzi dei casi [4].

Anche il genere Amanita, che può essere suddiviso in sette gruppi [5], la cui commestibilità passa per la determinazione delle singole specie o dei gruppi di specie, è coinvolto nel determinismo di un danno renale acuto. I funghi appartenenti al gruppo delle Caesareae (A. caesaria) e delle Vaginatae (grisette) sono commestibili senza particolari limitazioni, mentre le altre specie devono essere necessariamente considerate velenose. I cosiddetti “death caps”, anche noti come “angeli distruttori” per via del cappuccio biancastro, ovvero l’A. phalloides, l’A. virosa e l’A. verna (sezione Phalloideae), risultano particolarmente velenosi poiché contengono ciclopeptidi epatotossici (amatossine, falloidina) che causano insufficienza epatica e renale fulminante curabili solo sintomaticamente, ma per cui non esiste una cura completa [6]. Rientra in questo gruppo anche l’A. porrinensis finora segnalata molto raramente nel bacino del Mediterraneo, principalmente in Italia e Spagna [7]. La principale tossina della specie A. phalloides è rappresentata dall’alfa-amanitina, un ottapeptide ciclico potente inibitore delle RNA polimerasi che, bloccando la produzione di m-RNA, determina l’arresto della sintesi proteica sia nelle cellule epatiche che renali [8].

Anche l’A. muscaria e l’A. pantherina sono da considerare specie velenose e sono responsabili della cosiddetta sindrome “panterinica,” nonostante le loro tossine (acido ibotenico, muscimolo, muscarina) siano idrosolubili e pertanto facilmente eliminabili mediante bollitura ed eliminazione dell’acqua. Le tossine si comportano come alcaloidi psicoattivi, in particolare l’acido ibotenico e il muscimolo che sono strutturalmente simili all’acido gamma-aminobutirrico (GABA), ed agiscono come neurotrasmettitori nel sistema nervoso centrale (SNC), stimolando i recettori per il glutammato [9]. Dopo l’ingestione, l’acido ibotenico e il muscimolo vengono rapidamente assorbiti nel tratto gastrointestinale e attraversano la barriera emato-encefalica per mezzo di un sistema di trasporto attivo. Nel SNC l’acido ibotenico viene rapidamente decarbossilato a muscimolo, che sembra essere l’agente responsabile della maggior parte dei sintomi. L’alternanza dei livelli sierici tra muscimolo e acido ibotenico è responsabile della fluttuazione dei sintomi del SNC [10]. Tali funghi, tuttavia, pur presentando notevole coinvolgimento sistemico, non determinano particolare interessamento renale.

Negli ultimi decenni è stata posta attenzione alle Amanite appartenenti alle specie delle Amidelle e Lepidelle come: A. proxima, A. smithiana, A. Echinocephala, A. boudieri e A. gracilior, che sarebbero tutte in grado di determinare un interessamento renale reversibile detto sindrome norleucinica [11]. Altre specie fungine di interesse renale, sono rappresentate dai generi Tricholoma (T.equestre e T. Terreum), Russula (subnigricans), Leccinum spp. e Boletus spp. che attraverso le micotossine Acido carbossilico cicloprop-2-ene e Saponaceolide B e M, determinano una rabdomiolisi acuta e danno renale secondario [12].

 

Epidemiologia

Si stima che delle circa 100.000 specie fungine presenti nel mondo, più di 100 siano tossiche. Negli Stati Uniti il National Poison Data System riporta che, nel periodo compreso tra il 1999 e il 2016, sono stati segnalati 33.700 casi (7428/anno) di avvelenamento da funghi, principalmente in seguito ad ingestione, generalmente non intenzionale (83%, P < 0,001), che si manifestano o senza danno o con danni minori (86%, P < 0,001) sovente limitati al distretto gastroenterico. Oltre agli anziani, risultano colpiti anche i bambini con età < 6 anni (62%, P < 0,001) e circa 704 esposizioni hanno determinato gravi danni sistemici [13]. In Italia i dati forniti dall’ Istituto Superiore di Santità e relativi al centro antiveleni (CAV) di Milano riportano come, nel periodo compreso tra il 1998 e il 2017, siano state segnalate 15.864 richieste di consulenza per intossicazione da funghi; di queste, 12.813 relative a casi clinici, mentre le restanti per l’ottenimento di informazioni aggiuntive o a richiami per follow-up da parte dei medici. Anche nel nostro paese le fasce d’età maggiormente interessate includono i pazienti con età compresa tra i 15 ed i 50 anni (39% del totale delle intossicazioni) e le cause principali sono secondarie ad ingestione volontaria associata alla scarsa conoscenza micologica [14].

Si riportano nella Figura 1 le percentuali di provenienza delle richieste di consulenza trattate dal CAV di Milano suddivise per regione.

Figura 1: Provenienza delle richieste al Centro Antiveleni di Milano per casi di intossicazione fungina dal 01.01.1998 al 31.12.2017 [14].
Figura 1: Provenienza delle richieste al Centro Antiveleni di Milano per casi di intossicazione fungina dal 01.01.1998 al 31.12.2017 [14].

Caso clinico

Descriviamo il caso clinico di un maschio caucasico di 68 anni che, nell’ottobre 2022, accedeva presso il pronto soccorso del nostro ospedale lamentando: nausea, astenia profonda, alvo diarroico da circa quattro giorni, mialgie diffuse e dolore in sede retrosternale. Dall’anamnesi patologica prossima, si apprendeva del consumo di funghi, da lui stesso raccolti nei terreni circostanti la propria abitazione, avvenuto cinque giorni prima dell’accesso in pronto soccorso e del successivo sviluppo dei sintomi precedentemente descritti dopo circa dieci ore dall’ingestione, cui si era associata oliguria nelle quarantotto ore antecedenti l’accesso. Agli esami ematologici eseguiti in regime di urgenza, si evidenziava un quadro di AKI (creatinina sierica 19,84 mg/dl, Azotemia 372 mg/dl) in assenza di precedenti quadri di nefropatia noti, essendo l’ultimo valore della creatinina sierica disponibile, risalente a febbraio 2022, pari a 0,98 mg/dl. Gli altri esami ematochimici mostravano un incremento della alanina amino transferasi (124 U/I) normalità dell’aspartato aminotransferasi (31 U/I), ed un incremento sia della lattica deidrogenasi (1210 U/I) che degli enzimi pancreatici (amilasi: 120 U/I; lipasi 131 U/I). Nella norma gli elettroliti sierici (Na+ 136 mmol/l; K+4,9 mmol/l). Si eseguiva inoltre un’emogasanalisi che documentava una lieve acidosi metabolica (pH 7,35 PCo2 28 mmHg Po2 82,9 mmHg HCO3-15,7 mmol/l EB -9,7mmol/l).

Dall’anamnesi patologica remota, si apprendeva di una pregressa cardiopatia ischemica (nel 2011) con necessità di by-pass aortocoronarico. Per il riscontro di elevati livelli sierici di NT-proBNP (15681 pg/ml), ed in considerazione dei pregressi anamnestici, veniva eseguita una consulenza cardiologica con ecocardiogramma in cui si documentava la presenza di acinesia del setto interventricolare (SIV) inferiore medio basale e della parete inferiore che appariva iperecogena. Nel sospetto di embolia polmonare, si propendeva per l’esecuzione di angio TC con mezzo di contrasto (MDC) e successivo avvio del trattamento emodialitico. Lo studio angio TC documentava la presenza di alcuni minimi difetti di opacizzazione di verosimile significato tromboembolico a carico di alcuni rami arteriosi polmonari tributari per il segmento postero-basale del lobo inferiore di destra, non si osservavano franchi addensamenti parenchimali con i caratteri della flogosi bilateralmente mentre erano evidenti alcune aree di disventilazione a carico di entrambe le piramidi basali. Le cavità pleuriche apparivano libere da versamento.

Una volta eseguito l’esame contrastografico e in considerazione del quadro di grave insufficienza renale, previa acquisizione del consenso informato, si provvedeva al posizionamento sotto guida ecografica, di catetere venoso centrale (CVC) temporaneo 24 cm in vena femorale sinistra e all’avvio di trattamento emodialitico sostitutivo. Al termine del trattamento emodialitico urgente, il paziente veniva ricoverato presso il reparto di medicina interna del nostro ospedale per il proseguimento dell’iter diagnostico e terapeutico.

All’ ingresso in reparto le condizioni cliniche generali apparivano in lieve miglioramento rispetto alla precedente valutazione eseguita in regime di urgenza, infatti, pur evidenziandosi un quadro di oliguria (200 ml di urine ipercromiche), non si segnalavano particolari alterazioni alle principali obiettività cliniche. L’esame chimico-fisico delle urine documentava presenza di lieve proteinuria, cilindruria ed ematuria. Assenza di batteriuria.

Nei tre giorni successivi all’accesso, sono stati eseguiti quotidiani trattamenti emodialitici della durata di quattro ore ciascuno senza impostare calo del peso giacché non si riscontravano condizioni di sovraccarico sistemico (vena cava inferiore valutata ecograficamente 13 mm). I principali distretti venosi sono stati valutati tramite ecocolordoppler che ha escluso presenza di trombosi venosa profonda e superficiale a livello degli arti inferiori, mentre tramite ecocolordoppler dei trochi sovraortici (TSA) sono state documentate bilateralmente aree di minima patologia ateromasica di parete in sede di biforcazione e bulbo carotideo, pervie le arterie vertebrali.

Dal terzo giorno di ricovero si assisteva a una progressiva ripresa della diuresi (inizialmente 1700 ml) e all’instaurarsi di poliuria a partire dalla quinta giornata (2700 ml di urine chiare) che si manteneva per quattro giorni. Successivamente la diuresi si è attestata su valori medi giornalieri di 1500 ml. In seguito a questi eventi e all’ulteriore riduzione dei valori della creatinina sierica e dell’azotemia si impostava una dialisi trisettimanale.

Grafico 1: andamento della creatinina sierica del paziente.
Grafico 1: andamento della creatinina sierica del paziente.

Come evidenziato dal Grafico 1 il ricovero è durato venti giorni, in cui si sono rese necessarie complessivamente otto sedute emodialitiche, di cui quattro consecutive, per ottenere un miglioramento clinico tale da poter sospendere il trattamento emodialitico e rimuovere l’accesso vascolare provvisorio. L’analisi micologica del fungo (riportato nelle immagini successive) ha confermato che si trattava di una Amanita e nello specifico dell’echinocephala che come l’amanita proxima determina dei sintomi principalmente renali con conseguente insufficienza renale acuta, oligo-anuria e lieve danno tubulare, mentre l’interessamento epatico risulta abbastanza modesto caratterizzandosi per un lieve incremento delle transaminasi solitamente reversibile.

Figura 2A-2B: Fungo assunto dal paziente; visione superiore e inferiore.
Figura 2A-2B: Fungo assunto dal paziente; visione superiore e inferiore.

Attualmente il paziente presenta lieve insufficienza renale residua (Crs 1,4 mg/dl; azotemia 40 mg/dl) e prosegue periodico follow-up presso i nostri ambulatori nefrologici.

 

Discussione

L’Amanita echinocephala è un fungo normalmente presente nelle regioni centrali del nostro paese e che cresce generalmente nei pressi di boschi di latifoglie nel periodo tardo estivo e autunnale. Come evidenziato dal nome, sia di derivazione greca (echìnos: porcospino) che latina (cephalus: capo), l’elemento che lo contraddistingue è rappresentato dalla presenza di formazioni spinose localizzate prevalentemente sul cappello (da 6 a 15 cm di diametro) che assume sostanzialmente una forma dapprima emisferica, quindi convessa, piano-convessa e che si presenta generalmente di colore grigio chiaro o grigio-argentato, ma talvolta anche grigio-brunastro chiaro. Tipicamente questo fungo presenta un gambo cilindrico, bianco, attenuato all’apice e bulboso alla base con la presenza di un anello pendulo. Caratteristicamente può essere confuso con la commestibile Amanita ovoidea specie nelle prime fasi di sviluppo [15] e con la Macrolepiota procera (comunemente noto come mazza di tamburo), per la presenza delle caratteristiche scaglie sul cappello.

Figura 3: Esemplari di Macrolepiota procera. Foto tratta da Rivista italiana di Agraria [16].
Figura 3: Esemplari di Macrolepiota procera. Foto tratta da Rivista italiana di Agraria [16].
Il danno renale determinato da questa particolare classe di funghi rientra in una sindrome recentemente definita “norleucinica” o nefrotossica che, almeno inizialmente, insorge con nausea e vomito, 10-12 ore dopo l’ingestione, e che successivamente determina una grave insufficienza renale acuta e lieve epatite associata [11].

La presenza di una tossina simil smithiana anche nell’A. Echinocephala, è stata dimostrata attraverso l’uso della cromatografia su strato sottile (TLC) e analisi diretta del materiale. La determinazione delle amatossine è stata eseguita su piastra di silice e successiva TLC di 2μl di estratto di corpo fruttifero (gel di silice 60, Merck 105721), trattato con 2-butossietanolo-idrossido di ammonio acquoso al 25% (7:3) e aldeide cinnamica allo 0,2% v/v come sistema solvente. Le amatossine sono apparse come macchie viola a R f = 0,39 (α-amanitina) o R f = 0,33 (ß-amanitina) dopo l’esposizione del cromatogramma al vapore di HCl [17]. La tossina di A. smithiana è rilevabile applicando il sistema sopra descritto ad un R f di 0,44, e si colora di rosso arancio con ninidrina e di giallo con reagente di Morgan-Elson e Ehrlich [1118]. Lo spot a R f = 0,4 degli estratti del materiale campione, utilizzato per identificare la tossina A. smithiana, ha mostrato reazioni identiche anche per i corpi fruttiferi di tutte le specie imparentate con il genere Lepidella come A. gracilior, A. boudieri e A. echinocephala che pertanto devono essere considerate tossiche per la presenza di amatossina smithiana.

L’esatto meccanismo alla base dell’insufficienza renale non è del tutto conosciuto. Alcuni autori attribuiscono l’insufficienza renale alla massiva infiltrazione linfocitaria, alla conseguente formazione di cilindri cellulari e successiva ostruzione tubulare; mentre per altri, alla base del danno vi sarebbe l’accumulo nel lume tubulare, di materiale cellulare proveniente dalla citolisi epatica. Attualmente pochi casi sono stati sottoposti a biopsia e, in generale, mostrano un quadro di nefrite tubulo-interstiziale con marcata infiltrazione linfocitaria, cilindri eosinofili intratubulari e necrosi tubulare con assenza di interessamento vascolare e glomerulare. L’immunofluorescenza è negativa per depositi di complemento e immunoglobuline [1119].

In generale, la sindrome norleucinica tende a determinare un quadro di insufficienza renale transitoria, tuttavia l’analisi del fungo e una valutazione micologica risultano fondamentali per porre diagnosi differenziale tra questa sindrome e la sindrome orellanica ben più grave e spesso responsabile di un danno irreversibile [20]. Un indizio in tal senso, può essere fornito dalla differente latenza clinica esistente tra le due sindromi, infatti la sindrome orellanica presenta un’insorgenza generalmente più tardiva rispetto alla sindrome norleucinica [21].

La presentazione clinica dei pazienti che hanno assunto funghi contenenti norleucina si caratterizza da una sintomatologia subdola che insorge generalmente dopo 10-12 ore dall’ ingestione.

I primi sintomi sono perlopiù gastrointestinali e si caratterizzano per nausea, vomito, diarrea, crampi addominali e diaforesi [22]. Dopo un periodo variabile compreso tra le 6 e le 24 ore, la nausea e il vomito in genere si risolvono o si autolimitano [23]. Generalmente dai tre ai sei giorni l’ingestione dei funghi, i pazienti iniziano a sviluppare sintomi di insufficienza renale, che si manifesta di solito con contrazione della diuresi fino all’anuria e sono proprio questi sintomi a spingere il paziente a richiedere un’assistenza medica, essendo i sintomi iniziali autolimitanti. L’insufficienza renale che ne consegue si risolverà gradualmente nell’arco di diverse settimane o mesi con un’adeguata terapia di supporto. La diagnosi è solitamente clinica e allo stato attuale non esistono test per l’identificazione delle tossine norleuciniche; pertanto, l’identicazione micologica riveste un ruolo cruciale. Nei casi in cui non sia stata possibile l’osservazione diretta del fungo, sono state impiegate con successo identificazioni digitali tramite l’ausilio di fotografie, al fine di i escludere quei funghi che possono determinare intossicazioni particolarmente aggressive ed orientare il trattamento clinico [24].

Come trattamento di prima linea, se possibile, è utile tentare entro un’ora una decontaminazione dall’ingestione del fungo tramite l’utilizzo di carbone attivo (1 g/kg, dose massima: 50 g), poiché i funghi, come la maggior parte degli xenobiotici complessi, sono in grado di legarsi a tale sostanza ed essere quindi inattivati ed eliminati [23].

La necessità del ricorso ad un trattamento emodialitico deve essere considerata in tutti i casi in cui si determina una grave insufficienza renale acuta, specie in presenza di anuria, o di alterazioni elettrolitiche o dell’equilibrio acido base tali non essere immediatamente correggibili o che possano rappresentare un pericolo immediato per la vita del paziente.

 

Conclusioni

Possiamo affermare che il danno renale acuto sostenuto dal consumo di funghi è più frequente di quanto si possa pensare e che spesso si associa ad un interessamento sistemico. Particolarmente importante è la conoscenza della specie fungina che può associarsi a un danno renale acuto; pertanto, risulta di primaria importanza una valutazione micologica per definire un corretto iter terapeutico. Inoltre è assolutamente sconsigliabile ai pazienti il consumo di funghi di dubbia provenienza essendo, come evidenziato dai dati epidemiologici, proprio l’ignoranza micologica la prima causa dei gravi danni secondari a questi alimenti.

 

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