Supplemento S77 - Articoli originali

Glomerulonefriti da tossici e farmaci

Introduzione

Le sostanze tossiche e i farmaci rappresentano una causa sicuramente nota di danno tubulo-interstiziale. Non altrettanto popolare è il danno glomerulare indotto dalle stesse. Inoltre, una singola sostanza può estrinsecare il suo effetto iatrogeno a più livelli, intaccando contemporaneamente la funzionalità di più parti del nefrone. Il primo passo per indagare l’associazione tra nefropatia e danno da tossici/farmaci consiste notoriamente nello stabilire la relazione temporale tra l’esposizione alla sostanza e l’effetto iatrogeno. Tuttavia, due elementi complicano il quadro quando si tratta di danno glomerulare: in primo luogo, la diagnosi differenziale con le forme primitive può non essere agevole, altresì, il link temporale può non essere immediato, poichè, frequentemente, l’effetto iatrogeno si palesa dopo esposizione prolungata (settimane, mesi).

In questo articolo si affronterà l’argomento a partire dal meccanismo eziopatogenetico alla base del danno glomerulare, che si estrinseca in quadri anatomopatologici diversi e quindi, sovente, in presentazioni cliniche diverse; da qui, per risalire poi alle categorie di tossici/farmaci che ne sono responsabili. Non verranno affrontate singolarmente le categorie di farmaci già oggetto di relazioni specifiche nell’ambito del congresso.

 

Meccanismo di danno glomerulare

L’insulto glomerulare associato all’esposizione ad un agente tossico si può manifestare in due forme:  per tossicità cellulare diretta o tramite meccanismo immunomediato. La tossicità cellulare diretta può essere ulteriormente suddivisa in sottogruppi, in base all’elemento cellulare maggiormente interessato dal danno, siano i podociti, le cellule mesangiali o le cellule endoteliali. Per quanto riguarda la seconda categoria, il danno immunomediato, questo può estrinsecarsi in forma di nefropatia membranosa, vasculiti ANCA associate e glomerulonefriti simil lupiche (Figura 1) [1]. Non sempre, vedremo, la separazione tra le due categorie è così netta. Inoltre, approfondire il meccanismo che induce le glomerulonefriti secondarie, può essere di aiuto per approfondire l’eziologia delle nefropatie primitive.

Meccanismi alla base del danno glomerulare indotto da tossi e farmaci.
Figura 1. Meccanismi alla base del danno glomerulare indotto da tossi e farmaci. Radhakrishnan J, Perazella M. Drug-Induced Glomerular Disease: Attention Required! Clin J Am Soc Nephrol 10: 1287–1290, 2015.

Tossicità cellulare diretta

I. Il danno podocitario

In Tabella 1 vengono riportate le sostanze più frequentemente associate allo sviluppo di danno podocitario. Alla luce vasto utilizzo dei bifosfonati all’interno della popolazione generale e del peculiare meccanismo eziopatogenetico di danno, questa classe di farmaci verrà  più approfonditamente trattata.

MCD GSFS non altrimenti specificata GSFS collassante
IFN-α /-β

Pamidronato

Litio

FANS, inibitori COX2

 

 

Anti-VEGF

IFN-α /-γ

Pamidronato

Litio

Anabolizzanti

Sirolimus

Inibitori delle tirosin chinasi

Anti CTLA-4

Anti-VEGF

IFN-α /-β /-γ

Pamidronato (raramente zoledronato o alendronato)

Anabolizzanti

 

Tabella 1. Farmaci associati allo sviluppo di danno podocitario.

I Bifosfonati

I bifosfonati sono agenti preziosi per il trattamento dell’ osteoporosi post-menopausale, dell’ipercalcemia secondaria a malignità e delle metastasi ossee osteolitiche. I bisfosfonati più frequentemente implicati nel danno renale presentano catene laterali contenenti azoto (pamidronato, zoledronato e ibandronato). Questi ultimi hanno una potenza antiresorbente dimostrata in studi in vitro di circa 10.000 volte maggiore rispetto ai bisfosfonati non contenenti azoto (etidronato, clodronato). La nefrotossicità si associa più frequentemente alla somministrazione endovenosa [2] ed è dose e tempo dipendente, intendendo per tempo dipendente, in prima istanza, la frequenza delle somministrazioni. La nefrotossicità può essere ampiamente evitata rispettando le linee guida, ossia adeguando la dose e la frequenza delle somministrazioni in pazienti che presentano insufficienza renale [3]. Chi per primo riportò l’associazione tra bisfosfonato e GSFS fu Markovitz, nel 2001 [4]. L’anatomopatologo notò che 7 pazienti, anziani, caucasici, HIV negativi, sviluppavano GSFS collassante durante il trattamento attivo di malignità (mieloma multiplo in 6 casi e carcinoma mammario metastatico in uno). Nessun paziente presentava danno renale secondario a mieloma (es. amiloidosi, malattia da deposizione di catene leggere), microangiopatia trombotica associata a radioterapia o chemioterapia o nefropatia da urato (sindrome da lisi tumorale). Un solo paziente era stato trattato con interferone. Tutti i pazienti presentavano una normale funzionalità renale prima della somministrazione di pamidronato e non presentavano proteinuria significativa. Il trattamento con pamidronato veniva proseguito da 15 a 48 mesi prima dell’insorgenza di insufficienza renale (creatinina media sierica, 3.6 mg/dl) e sindrome nefrosica (proteinuria media di 12.4 g/die). Dopo l’interruzione del trattamento con pamidronato, la funzionalità renale migliorava  in due su 7 pazienti. Successivamente, numerosi studi hanno riportato l’associazione tra sindrome nefrosica e bifosfonati, e non solo con la forma collassante di GSFS [5-12]. La prognosi è favorevole con la sospensione del farmaco e l’utilizo di ACEi, a meno delle forme collassanti. Il potenziale meccanismo di tossicità epiteliale renale potrebbe derivare da effetti cellulari simili a quelli documentati negli osteoclasti. I bifosfonati contenenti azoto, come il pamidronato, possono inibire la via intracellulare del mevalonato, necessaria per la prenilazione delle GTPasi [13], come il proto-oncogene H-Ras e il regolatore citoscheletrico Rho A. Senza la coda prenilica, le GTPasi non possono ancorarsi alla membrana cellulare per stimolare le chinasi attivate dai mitogeni (Mitogen-Activated protein Kinases; MAPKs). Tutto ciò interferisce nella trasmissione dei segnali cellulari richiesti per la proliferazione, comportando alterazioni morfologiche fino alla morte per apoptosi. I bifosfonati che non contengono azoto vengono metabolizzati, a livello cellulare, in un composto in grado di competere con l’adenosina trifosfato (ATP), presentandosi come analoghi non idrolizzabili (pseudo-pirofosfati) [14]. A seguito di ciò, l’assemblaggio delle componenti del citoscheletro osteoclastico viene interrotto, con conseguente perdita del bordo arruffato degli osteoclasti. La peculiare citoarchitettura di osteoclasti e podociti, abbinata agli alti livelli di farmaco raggiunto nelle ossa e nei reni, può spiegare la specifica tossicità cellulare osservata.

 

II. Il danno mesangiale

La glomerulosclerosi nodulare (GSN) è una lesione in cui la sclerosi mesangiale si compatta in noduli e la lobularità glomerulare viene accentuata. Tipicamente la GSN è associata a: glomerulosclerosi diabetica, glomerulonefriti membranoproliferative croniche primitive o secondarie, nefropatie correlate a disprotidemie e/o a depositi glomerulari organizzati, patologie che comportano una condizione di ipossia cronica (Tabella 2).

Glomeruslosclerosi diabetic

 

Disprotidemie

Amiloidosi

Malattia da deposizione di immunoglobuline monoclonali

 

Glomerulonefrtie fibrillare e immunotattoide

 

Glomerulonefriti membranoproliferative croniche

 

Malattie associate a ipossiemia cronica

 

Glomerulosclerosi nodulare idiopatica

 

Tabella  2. Diagnosi differenziali di glomerulosclerosi nodulare.

Se invece il paziente non dovesse rispondere a nessuna di queste caratteristiche? Tale condizione è stata inizialmente segnalata come glomerulosclerosi diabetica senza diabete [15-16] e successivamente rinominata glomerulosclerosi nodulare idiopatica (GNI) [17]. Tuttavia, l’analisi delle case series pubblicate sull’argomento, faceva emergere un sostanziale collegamento tra questa entità e il fumo di sigaretta, nonchè l’ipertensione arteriosa [18]. Il gruppo della Columbia University descrisse una prevalenza di diagnosi di GNI dello 0.45% sul totale delle biopsie su rene nativo condotte dal 1996 al 2001. La casistica era composta di 23 pazienti, prevalentemente maschi (78%), caucasici (74%), con un’età media di 68 anni. La prevalenza di ipertensione (96%, durata media di 15.1 anni) e di forti tabagisti (91%, intake medio cumulativo di 52.9 pacchetti-anno) all’interno della studio in esame era estremamente elevata. Tra i fumatori, il 57% era attivo al momento dello studio, mentre il 43% era compost da ex tabagisti. Il 90% dei pazienti era affetto da iperoclesterolemia e il 44% da vasculopatia periferica. La maggioranza dei pazienti presentava insufficienza renale (83%; creatinina sierica media di 2.4 mg/dl) e proteinuria (3 g/die nel 70%; proteinuria 24 ore media 4.7 g). Franca sindrome nefrosica era presente nel 22% dei pazienti [19]. L’eziopatologia della nefropatia diabetica e quindi il meccanismo alla base della formazione dei noduli di kimmelstein wilson è stato precedentemente indagato: il ruolo principe è rivestito dai prodotti di glicosilazione avanzata, che alterano l’architettura e la funzione della matrice extracellulare (ECM) interagendo con i loro recettori specifici AGE (RAGE). Il legame del ligando con RAGE attiva molteplici cascate che promuovono la sintesi cellulare mesangiale di citochine fibrogeniche, quali PDGF e TGF-b [20].  L’esposizione delle cellule mesangiali agl AGE stimola la produzione di componenti dell’ECM tra cui collagene di tipo IV, laminina, eparan solfato e fibronectina. L’immunoistochimica rileva gli AGE nei noduli mesangiali e nelle zone di fibrosi interstiziale nei pazienti con glomerusloslcerosi nodulare, sia diabetici che non. Nei vasi sanguigni dei fumatori di sigarette sono stati rilevati livelli aumentati di AGE [21]. Oltre a quanto già implicato nella formazione dei noduli nella glomerulosclerosi diabetica, il fumo agisce tramite diversi altri meccanismi. Il fumo di sigaretta contiene radicali liberi in grado di indurre direttamente lo stress ossidativo, il quale aumenta la produzione di ECM. Inoltre, il fumo esercita effetti sull’emodinamica intrarenale, principalmente attraverso l’attivazione simpatica, inducendo vasocostrizione renale e conseguente riduzione del GFR [22]. La nicotina stimola l’ angiogenesi attraverso il legame con i recettori della nicotina acetilcolina sulle cellule endoteliali [23]. In modo speculativo, si potrebbe ipotizzare che i fattori angiogenici siano alla base della particolare neovascolarizzazione che si osserva nei noduli glomerulari.

Meccanismi fisiopatologici di danno glomerulare
Figura 2. Meccanismi fisiopatologici di danno glomerulare nella glomeruslosclerosi nodulare associata al fumo di sigaretta. Nasr SH, D’Agati VD. Nodular glomerulosclerosis in the nondiabetic smoker. J Am Soc Nephrol 18: 2032–2036, 2007

 

III. Il danno endoteliale

La definizione di microangiopatia trombotica (TMA) viene comunemente applicata a più condizioni che condividono le medesime caratteristiche cliniche e istologiche. I farmaci rivestono un ruolo fondamentale nell’eziopatogenesi della TMA, costituendo una delle cause principali di TMA acquisita. La tossicità renale indotta dai farmaci antineoplastici, tra cui gli anti-VEGF, dagli antimicrobici/antivirali, nonchè dai FANS è stata ampiamente discussa nelle sessioni dedicate. Analizzeremo, quindi, il ruolo dei farmaci antiaggreganti nell’indurre il danno endoteliale.

 

Antiaggreganti piastrinici

Paradossalmente, questa classe di farmaci originariamente nata per prevenire o trattare gli eventi arteriosi,  è una delle più discusse in merito al coinvolgimento nel danno endoteliale acquisito. Le tienopiridine (ticlopidina, clopidogrel e prasugrel) sono antagonisti del recettore ADP P2Y12 e sono indicate nella prevenzione/trattamento di eventi cerebrovascolari o coronarici, inclusa la trombosi intra-stent [24-25]. Il lavoro che più approfonditamente ha indagato la relazione tra microangiopatia trombotica e utilizzo di farmaci anti-aggreganti è stato lo studio SONAR. In questa analisi sono stati revisionati tutti gli articoli e le segnalazioni di eventi avversi relativi all’utilizzo delle tienopiridine, dal 1991 al 2011. La ticlopidina venne approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 1991. L’incidenza di TMA è di circa lo 0.02%. Il clopidogrel entrò nella pratica clinica nel 1998, in seguito alla pubblicazione di trial clinici che mostravano un profilo di sicurezza maggiore rispetto alla ticlopidina. Attualmente però, alla luce del volume di utilizzo del farmaco, il clopidogrel risulta essere il farmaco maggiormente implicato nella TMA indotta da farmaci. Dal 1998 al 2011, la FDA ricevette 197 segnalazioni di TMA associata a clopidogrel, con un’incidenza vicina allo  0,012% [24]. Il prasugrel venne approvato nel 2009 per la prevenzione della trombosi su stent coronarico e, nell’arco di 24 mesi, vennero segnalati meno di 20 casi di TMA. In particolare, non sono stati descritti casi di TMA in studi clinici contenenti 1769 pazienti trattati con prasugrel [24]. Spostandoci dal volume epidemiologico del problema, il dato particolarmente interessante era costituito dal fatto che farmaci con un meccanismo d’azione molto simile, potessero estrinsecare il danno endoteliale con mccanismi diversi. La ticlopidina sembra ridurre l’attività di ADAMTS-13 tramite la produzione di un autoanticorpo. Non è del tutto chiaro come la ticlopidina induca questo effetto; è verosimile che uno dei meccanismi coinvolti sia il mimetismo molecolare. A ciò si aggiunge la scoperta che in alcuni pazienti siano state descritte concomitanti mutazioni del fattore H del complemento, suggerendo che possano essere richiesti due colpi [26]. Per quanto riguarda il Clopidogrel, invece, non si sono rilevati autoanticorpi e quindi la maggior parte dei casi non è spiegata dal deficit di ADAMTS-13. Il meccanismo eziopatogenetico è sconosciuto, ma è stato documentato un ingente rilascio del fattore di von Willebrand, a prova del danno endoteliale indotto dal farmaco [24-25]. Il fatto che il meccanismo di danno possa essere diverso nel caso di ticlopidina o clopidogrel è supportato anche dalla diversa tempistica con cui si manifesta clinicamente il danno: tra le 2 e le 12 settimane dopo l’esposizione alla ticlopidina, entro le 2 settimane per clopidogrel e prasugrel. Dal punto di vista clinico le complicanze neurologiche sono state documentate più frequentemente con la ticlopidina (72%), e l’insufficienza renale acuta è risultata meno frequente di quanto non si verifichi con il clopidogrel (29 contro il 55%) [24-25]. In merito al trattamento, è raccomandata la sospensione del farmaco per tutte le tienopiridine. Nei casi associati a ticlopidina le tecniche plasmaferetiche hanno fornito un vantaggio: i pazienti trattati recuperano più frequentemente e presentano tassi di mortalità più bassi (0% -40%), rispetto a coloro a cui viene indicata la sola sospensione del farmaco (50% -67%) [24-25]. L’insufficienza renale cronica è una complicanza non infrequente del danno indotto dalle tienopiridine [24-25] (Tabella 3).

Abbiamo visto come la ticlopdina possa indurre danno endoteliale anche mediante la produzione di un autoanticorpo. Questo ci permette di introdurre la seconda categoria di danno glomerulare indotto da tossici e farmaci: il danno immunomediato.

Ticlopidina Clopidogrel Prasugrel
Incidenza di TMA (%) 0.02 0.012
Esordio Tra le 2-12 settimane Entro 2 settimane Entro 2 settimane
Meccanismo Ab anti ADAMTS-13 Danno endoteliale diretto? Danno endoteliale diretto?
Clinica Anemia emolitica microangiopatica Anemia emolitica microangiopatica (lieve)
Manifestazioni Complicanze neurologiche (72%)

Insufficenza renale acuta (29%)

Insufficenza renale acuta (55%)
Management Sospensione del trattamento

Tecniche plasmaferetiche

Sospensione del trattamento

Tecniche plasmaferetiche (?)

Sospensione del trattamento

Tecniche plasmaferetiche (?)

Outcome CKD: infrequente CKD: frequente
Tabella 3. Riassunto delle caratteristiche di danno endoteliale indotto dalle tienopiridine

Il danno secondario a meccanismo immunomediato

L’esposizione a determinati farmaci può suscitare una risposta immunitaria che non dipende dal meccanismo di azione del farmaco. Gli autoanticorpi che ne derivano possono essere responsabili di franche manifestazioni cliniche autoimmuni, che includono le glomerulonefriti ANCA correlate e le glomerulonefriti da immunocomplessi.

 

I. Vasculiti ANCA-associate

Negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di farmaci è stato correlato all’induzione di vasculiti ANCA-associate (AAV). Sebbene diverse categorie di farmaci vengano citate in letteratura, quelli più frequentementi implicati in tale manifestazione sono i farmaci anti-tiroidei e, recentemente, i farmaci biologici [27-28] (Tabella 4). Secondo gli studi prospettici e trasversali disponibili, Balavoine et al [29] hanno riportato che la prevalenza di AAV indotte da propiltiouracile (PTU) variava dal 4% al 64%, con una prevalenza mediana del 30%, mentre la prevalenza di AAV indotte dal metimazolo variava dallo 0 al 16%, con una prevalenza mediana del 6%. È difficile distinguere le AAV indotte da farmaci da quelle primitive in base alle manifestazioni cliniche. Inoltre, non ci sono marcatori clinicopatologici o di laboratorio specifici, in grado di distinguerle [30]. Possiamo estrapolare alcuni elementi utili alla diagnosi differenziale dallo studio retrospettivo di Choi [31] e dai numerosi studi retrospettivi che analizzano le caratteristiche dei pazienti con diagnosi di AAV correlata all’assunzione di farmaci anti-tiroidei [32-34]. Le AAV indotte da farmaci anti-tiroidei si verificano principalmente nelle giovani donne, mentre le AAV primitive colpiscono solitamente negli anziani, con una incidenza simile tra uomini e donne. Questa differenza è attribuibile in prima istanza alla diversa epidemiologia delle malattie tiroidee che inducono all’utilizzo dei farmaci sopracitati. Le AAV indotte da farmaci e tossici si presentano più frequentemente con coinvolgimento cutaneo, meno frequentemente con grave sintomatologia sitemica (temperatura corporea > 38,5 ° C, perdita di peso > 2 kg al mese) o con coinvolgimento polmonare e neurologico. Coerentemente con quanto riscontrato a livello clinico, nelle AAV indotte da farmaci i livelli medi di creatinina e proteina C reattiva risultavano inferiori. Nello studio retrospettivo di Choi su 250 pazienti con vascultie AAV indotta da farmaci, così come in diversi studi condotti su pazienti con AAV indotta da propiltiouracile, emergeva una netta prevalenza per positività degli ANCA anti-MPO [31-35]. Inoltre, la positività per ANA risultava significativamente superiore rispetto a quanto riscontrato nei pazienti con AAV primitiva, così come la presenza di anticorpi contro la β2-glicoproteina 1 e gli istoni. Infine, nelle AAV indotte da farmaci o agenti tossici gli ANCA riconoscono tipicamente diversi antigeni bersaglio, tra cui la lattoferrina, la catepsina G, la azurocidina e l’elastasi neutrofila. Al contrario, nelle AAV primitive gli ANCA generalmente riconoscono solo un antigene bersaglio, MPO o PR3. Sulla base di questi reports, l’AAV associata a farmaci deve essere presa in considerazione nei pazienti con una storia di esposizione al farmaco, anticorpi anti-MPO e presenza di altri autoanticorpi. Ad oggi non sono stati condotti trial per il trattamento dell’AAV associata a farmaci. Nei pazienti che si presentino con clinica modesta, l’interruzione del farmaco incriminato può dimostrarsi sufficiente a controllare la patologia. Tuttavia, nei casi con grave coinvolgimento renale o polmonare, deve essere preso in considerazione un trattamento immunosoppressivo alla stregua di quello utilizzato nelle AAV primitive, sebbene la durata e l’eventuale necessità di una terapia di mantenimento, vadanovalutati caso per caso [36]. La prognosi dell’AAV indotta da farmaci è generalmente migliore di quella dell’AAV primitiva [31-35].

 

Farmaci anti-tiroidei            Metimazolo, Propiltiouracile, Carbimazolo
Farmaci biologici                  Adalimumab, Etanercept, Infliximab, Golimumab
Antibiotici                              Minociclina, Nitrofurantoina, Trimetoprim-Sulfametossazolo,Vancomicina
Anti-tubercolari                    Isoniazide, Rifampicina
DMARDs*                              Sulfasalazina, D-Penicillamina
Agenti Psicotropi                  Clozapina
Altri                                         Cocaina/Levamisolo
Tabella 4. Farmaci e tossici associati a vasculitis-ANCA farmaco-indotte (*disease-modifying anti-rheumatic drugs)

II. Malattie da immunocomplessi

Il lupus eritematoso e la nefropatia membranosa indotti da farmaci sono entità note dal secolo scorso [37-38], ma risentono di rinnovato interesse poichè farmaci di utlizzo relativamente recente possono esacerbare tali problematiche [39-40]. I farmaci che più comunemente sono stati associati al lupus (drug-induced lupus erythematosus: DILE) sono l’idralazina, la procainamide, l’isoniazide e la minociclina. Più recentemente, l’attenzione è stata catalizzata da farmaci  inibitori del fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α) [41-43]. Una review condotta nel 2018 ha riportato come dal gennaio 2016 al maggio 2018, i casi segnalati in letteratura di DILE sistemico fossero 12: nove pazienti di sesso femminile (75%) e tre pazienti di sesso maschile (25%), con un’età media di 44 anni (range 9-91). I farmaci anti-TNF-α risultavano i maggiormente implicati nell’indurre la manifestazione sitemica (cinque casi; quattro erano associati a infliximab e uno ad adalimumab). Due casi sistemici di DILE associati rispettivamente a infliximab e carbamazepina, si sono verificati nella popolazione pediatrica. Ciò implica che DILE dovrebbe essere sospettato anche nei pazienti più giovani con trattamento a lungo termine con i farmaci sopracitati. In un precedente studio di coorte, i farmaci biologici, inclusi gli anti-TNF-α, venivano associati a malattia renale autoimmune in 26 pazienti [44]. Sulla base delle manifestazioni cliniche e dell’istologia renale, i pazienti venivano classificati in glomeruloefrite associata a vasculite sistemica (GNSV), glomerulonefrite in lupus-like syndrome, e malattia renale autoimmune isolata. Gli inibitori del TNF-α includevano etanercept (15 pazienti; 52%), adalimumab (9 pazienti; 31%) e infliximab (3 pazienti; 10%). Altri farmaci associati a DILE includevano tocilizumab e abatacept (un paziente ciascuno; 3%); il 14% dei pazienti sono stati classificati come glomerulonefrite in lupus-like syndrome. La prognosi peggiore era associata a GNSV e all’uso continuativo dei farmaci biologici.  Diverse teorie sono state proposte per spiegare il DILE associato a inibitori del TNF-α. Il blocco del TNF-α riduce significativamente la produzione di citochine Th1, guidando la risposta immunitaria verso la produzione di citochine Th2, IL-10 e IFN-α. Il risultante squilibrio citochinico provoca la produzione di autoanticorpi e manifestazioni lupus-like [44-46]. Inoltre, i farmaci anti-TNF-α possono indurre l’apoptosi nelle cellule infiammatorie, rilasciando autoantigeni che stimolano la formazione di autoanticorpi [47]. Il miglioramento clinico dopo l’interruzione del farmaco anti-TNF-α è l’unico modo per determinarne il coinvolgimento nella genesi del DILE.

 

Conclusioni

I farmaci e le sostanze tossiche sono cause ben note di danno renale tubulo-interstiziale; tuttavia, è fondamentale che il nefrologo abbia familiarità con le glomerulonefriti secondarie all’esposizione a determinati farmaci o che, perlomeno, si ponga il quesito di un’eventuale diagnosi differenziale.

Il volume sempre crescente di pazienti in terapia con i farmaci sopracitati, rende l’argomento sempre più quotidiano e attuale. Riconoscere il problema e sospendere, di conseguenza, l’agente incriminato costituiscono il modo migliore per garantire il recupero della funzione renale. Per la maggior parte dei farmaci, è impossibile prevedere l’andamento del recupero renale. Di conseguenza, il medico dovrà monitorare da vicino il paziente e personalizzarne la gestione.

 

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