Abstract
Le tecniche di imaging legate all’impiego di radionuclidi hanno acquisito negli ultimi anni sempre maggiore rilevanza clinica in virtù della loro capacità di fornire informazioni di natura funzionale in specifici distretti anatomici. Lo sviluppo di tali metodiche ha coinvolto tra gli altri anche l’ambito nefrologico estendendo l’uso dei radionuclidi ai pazienti con vari gradi di deficit funzionale renale sino all’uremia terminale.
Nonostante la malattia renale cronica e la terapia dialitica in particolare si associno a numerosi fattori potenzialmente capaci di alterare la bio-distribuzione e l’eliminazione dei radiofarmaci, non esistono in letteratura dati coerenti sui rischi connessi al loro impiego in tale contesto clinico. E, così come mancano ampi dati relativi alla sicurezza nella radio-esposizione del paziente dializzato, ancora minori sono le informazioni circa il rischio per il personale sanitario addetto alla conduzione di sedute dialitiche effettuate dopo un esame nucleare.
Questo studio effettuato su 29 uremici terminali sottoposti a emodialisi subito dopo un esame scintigrafico ha valutato l’entità della radio-contaminazione sia degli infermieri addetti alla seduta che dei presidi emodialitici (monitor, kit di dialisi e dialisato). I dati rilevati sono stati impiegati per l’individuazione e la quantificazione del rischio radiologico nel setting dialitico secondariamente all’esposizione ai radionuclidi di più comune impiego in ambito clinico.
Parole chiave: malattia renale cronica, imaging, radionuclidi, emodialisi, scintigrafia, radio-contaminazione