Marzo Aprile 2019 - AKI management: il corso educazionale AKI del 59° Congresso SIN 2018

Scelta e gestione dell’anticoagulante durante CRRT

Abstract

Le terapie sostitutive della funzione renale con metodiche extracorporee continue (CRRT) sono diffusamente utilizzate nel trattamento del danno renale acuto. Diverse cause, relative al trattamento stesso o alle condizioni del paziente, determinano la coagulazione del circuito extracorporeo. Queste interruzioni (down-time) hanno un impatto negativo sull’efficacia del trattamento sia in termini di clearance dei soluti che di bilancio dei fluidi. Storicamente la scelta di un aticoagulante è caduta sull’eparina non frazionata per semplicità di utilizzo e basso costo. Oggi l’indicazione primaria propende invece per il citrato per la sua alta efficacia e sicurezza. Numerosi studi sono concordi nell’affermare la superiorità del citrato in termini di sopravvivenza del filtro. La riduzione del down-time si traduce in una riduzione del delta fra la dose dialitica prescritta e quella realmente somministrata (ml/Kg/ora di effluente realmente raccolto). La letteratura è inoltre concorde nell’affermare una riduzione dell’incidenza di eventi emorragici maggiori quando si utilizza il citrato invece dell’eparina, senza tuttavia un impatto sulla mortalità.

Restano alcuni elementi di complessità tecnici e clinici nell’utilizzo dell’anticoagulazione loco-regionale con citrato, secondari al fatto che il citrato agisce sia come anticoagulante che come tampone. Le complicanze secondarie all’utilizzo del citrato (disordini dell’equilibrio acido-base e ipocalcemia) sono però rare e facilmente reversibili.

Esistono pochi dati sulla valutazione costi-benefici dell’utilizzo del citrato al posto dell’eparina; vautando l’ esperienza della nostra Unità Operativa, abbiamo osservato una tendenza al contenimento della spesa se normalizzata per 35 ml di effluente somministrato. Adeguati protocolli, un’accurata sorveglianza e la gestione automatizzata dell’anticoagulazione loco-regionale con citrato grazie a software dedicati rendono la metodica efficace e sicura.

Parole chiave: anticoagulazione, citrato, danno renale acuto, CRRT

Introduzione

Le terapie sostitutive della funzione renale con metodiche extracorporee continue (CRRT) sono diffusamente utilizzate nel trattamento del danno renale acuto in area critica. Durante CRRT coesistono diverse potenziali cause di attivazione della cascata coagulativa e delle piastrine che possono contribuire alla coagulazione del circuito. Alcuni fattori sono relativi allo stesso trattamento extracorporeo e alle modalità con cui viene condotto (contatto del sangue con le superfici sintetiche per quanto biocompatibili, contatto aria-sangue, flusso turbolento o stasi, emoconcentrazione). Altri fattori dipendono invece in maniera più specifica dalle condizioni del paziente, con particolare riferimento alle alterazioni dell’omeostasi coagulativa secondarie allo stato flogistico sistemico di cui il danno renale può essere conseguenza o concausa [1].

La prima “banale” conseguenza di una coagulazione precoce del circuito extracorporeo durante CRRT è che ciò che era stato prescritto come trattamento continuo di fatto non lo è: si realizza cioè il cosiddetto “down-time”, un lasso di tempo in cui, nell’arco delle 24 ore, il trattamento si interrompe. Queste interruzioni avranno un impatto negativo sull’efficacia del trattamento sia in termini depurativi che di bilancio dei fluidi. La coagulazione inattesa del circuito non è l’unica causa di interruzione di un trattamento di CRRT; devono infatti essere tenute in conto anche altre interruzioni inevitabili (accertamenti diagnostici, procedure o interventi chirurgici) ma, almeno in “epoca pre-citrato” la coagulazione resta il motivo più frequente [2]. Già a partire dai primi anni 2000 vengono pubblicati studi che quantificano l’impatto del down-time sul controllo dell’uremia durante CRRT [3] e si fa avanti il concetto di scostamento fra la dose dialitica prescritta e quella realmente somministrata [4] con un possibile impatto anche sulla sopravvivenza [5, 6].

Esistono diverse strategie che mirano ad aumentare l’affidabilità dei trattamenti continui e quindi a ridurre il down-time (Tabella I). Alcuni interventi possono essere definiti “meccanici o tecnici” e riguardano il sito, le dimensioni e i materiali del catetere venoso centrale, le caratteristiche delle membrane, l’architettura del filtro e del circuiti; altri sono di carattere più “gestionale”: conduzione del trattamento, organizzazione generale dello staff, educazione del personale infermieristico. Un’altra strategia ancora consiste invece nella scelta di utilizzare un vero e proprio anticoagulante, sia esso sistemico (eparina non frazionata, eparina a basso peso molecolare, prostaciclina, inibitori della trombina) o ad azione loco-regionale, cioè solo sul sangue del circuito (eparina non frazionata-protamina, citrato). Storicamente la scelta di un aticoagulante è caduta in maniera diffusa sull’eparina non frazionata per semplicità di utilizzo e basso costo. Oggi l’indicazione primaria è per il citrato che ha dimostrato un’alta efficacia ed una bassa incidenza di effetti collaterali [7].

 

Anticoagulazione, sopravvivenza del filtro e dose dialitica in corso di CRRT

Negli ultimi anni il dibattito scientifico si è di fatto concentrato sul confronto fra l’utilizzo di eparina e di citrato quali anticoagulanti in corso di CRRT. Numerosi studi e recenti metanalisi sono concordi nell’affermare la superiorità del citrato in termini di sopravvivenza del filtro grazie alla riduzione degli eventi di coagulazione [8, 9, 10]. La riduzione del down-time, e quindi una maggiore affidabilità del trattamento, si traduce in una riduzione del delta fra dose dialitica prescritta e quella realmente somministrata, intesa come ml/Kg/ora di effluente realmente raccolto [2, 11]. Questo dato è confermato anche nella nostra esperienza clinica [12].

Fino ad ora abbiamo valutato l’impatto che la scelta di un anticoagulante può avere sull’affidabilità del trattamento, e quindi sulla dose dialitica realmente somministra, da un punto di vista, per così dire, “macroscopico”. L’influenza cioè delle strategie di anticoagulazione sui fenomeni di “clotting” all’interno del filtro, legati alla generazione di trombina, che si rivelano con un incremento della caduta di pressione attraverso il filtro (filter drop pressure) e che inevitabilmente si traducono nell’interruzione del trattamento.

Esistono però altri aspetti, oltre la coagulazione del circuito, che ugualmente riducono la dose dialitica realmente somministrata al paziente (Figura 1). Si tratta del cosiddetto “clogging”, letteralmente “intasamento”, della membrana secondario ai fenomeni di concentrazione-polarizzazione e di “protein layer” o “secondary membrane” (deposizione di materiale proteico plasmatico sulla membrana sintetica). Questi fenomeni vedono come fattore trainante la frazione di filtrazione e si esprimono con incrementi della pressione di trans-membrana. In questo caso non avremo un’interruzione del trattamento extracorporeo per coagulazione (down time effect), ma piuttosto una perdita di efficienza della membrana (filter efficacy effect), con conseguente riduzione della dose dialitica somministrata, intesa non più come volume di effluente somministrato ma come clearance dei soluti [13].

L’utilizzo del citrato al posto dell’eparina sembra avere un ruolo anche nel preservare l’efficienza della membrana oltre che nell’aumentare la sopravvivenza del filtro [14]. Verosimilmente questo potrebbe accadere per una riduzione di quegli eventi di “micro-coagulazione” all’interno delle fibre cave del filtro che di fatto ne riducono la superficie disponibile agli scambi depurativi.

Dobbiamo comunque tenere a mente che il mero aumento della vita media del filtro non è, in quanto tale, il primo obiettivo dell’utilizzo dell’anticoagulazione loco-regionale con citrato. Vi sono studi che riportano una vita media del filtro fino a 150 ore, ma con inevitabile deterioramento delle capacità depurative della membrana [15]. L’obiettivo è piuttosto tentare di minimizzare il delta fra dose dialitica prescritta e dose somministrata ottimizzando l’utilizzo delle risorse.

 

Anticoagulazione e rischio emorragico

Le condizioni in cui frequentemente si trova il paziente critico, quali sepsi, politrauma, o recente intervento di chirurgia maggiore, rendono spesso poco maneggevole l’utilizzo di un anticoagulante; inoltre, il danno renale acuto rappresenta di per sé un fattore di rischio di sanguinamento [16]. Ed è proprio il rischio emorragico a rappresentare il vero tallone d’Achille dell’utilizzo di eparina durante CRRT. Infatti, poiché l’eparina è un anticoagulante sistemico, alla riduzione del rischio di coagulazione del circuito corrisponde inevitabilmente un incremento del rischio emorragico per il paziente [17]. La letteratura è concorde nel mostrare una riduzione dell’incidenza di eventi emorragici maggiori quando si utilizza citrato invece che eparina [8], senza tuttavia che questo abbia un impatto sulla mortalità. Solamente uno studio ha dimostrato una riduzione della mortalità nei pazienti sottoposti a CRRT con citrato piuttosto che con eparina, in particolare in alcuni sottogruppi (sepsi, giovane età) [18]; questo dato non è stato tuttavia confermato negli studi successivi. Vi sono, infine,alcune segnalazioni di riduzione della necessità trasfusionale con l’impiego di citrato invece di eparina [2, 19].

 

Principi di base dell’anticoagulazione loco-regionale con citrato

Il citrato svolge la sua azione anticoagulante in quanto possiede capacità chelanti il calcio ione, sottraendo dunque un importante cofattore della cascata coagulativa a vari livelli. In CRRT la soluzione contenente citrato viene infusa all’inizio del circuito (Figura 2); il suo effetto anticoagulante dipenderà quindi dalla riduzione dei livelli di calcio ione nel sangue all’interno del circuito. Secondo alcuni autori [20] si raggiunge un’anticoagulazone efficace con concentrazioni di calcio ione nel circuito fra 0,2 e 0,35 mmol/L (valori plasmatici normali 0,8-1,2 mmol/L), corrispondenti generalmente ad una concentrazione di citrato intorno a 3-4 mmo/L. Recenti osservazioni [21] tuttavia confermano l’efficacia dell’anticoagulazione, con una vita media del filtro superiore alle 50 ore, se si usano concentrazioni di citrato più basse (2,5 mmol/L) e, di conseguenza, un target più permissivo di calcio ione del circuito (<0,5 mmol/L). Questa strategia permette, come vedremo in seguito, una riduzione del carico metabolico di citrato che giunge al paziente.

Poiché il citrato, o più correttamente il complesso citrato-calcio, è un soluto a piccolo peso molecolare, attraversa liberamente la membrana del filtro sia per diffusione (CVVHD) che per convezione (CVVH) e viene quindi eliminato attraverso l’effluente. La quantità di complesso citrato-calcio che viene eliminata risulta direttamente proporzionale al volume di effluente raccolto nell’unità di tempo [22] e, in altre parole, alla dose dialitica somministrata. La quota di citrato che resta nel sangue del circuito viene però infusa al paziente e costituisce il cosiddetto “carico metabolico di citrato”.

Dobbiamo inoltre tener presente che, fissata una citratemia del circuito sufficiente a ridurre la concentrazione di cacio ione al di sotto di un target prefissato, il carico metabolico di citrato dipenderà dal flusso sangue all’interno del circuito oltre che, in maniera inversamente proporzionale, dalla quota di citrato stesso eliminata con l’effluente. In altre parole, se incrementiamo il flusso di sangue e vogliamo contemporaneamente mantenere la stessa concentrazione di citrato all’interno del circuito, dobbiamo anche aumentarne l’infusione all’inizio del circuito; questo finirà per incrementare la quota infusa al paziente, a patto di non accrescerne contemporaneamente anche la clearance aumentando la dose dialitica.

Le sedi più importanti di metabolismo del citrato sono il fegato, il muscolo scheletrico e i reni. Il citrato entra come intermedio del ciclo di Krebs e viene rapidamente metabolizzato; il risultato netto è la produzione di tre molecole di bicarbonato per ogni molecola di citrato metabolizzato. In questo modo il citrato svolge, per via indiretta, grazie al suo metabolismo, un ruolo non solo come anticoagulante ma anche come tampone, contribuendo a correggere il deficit di bicarbonati che spesso si accompagna al danno renale acuto.

Alcuni autori ritengono questa visione troppo semplicistica e sostengono che l’effetto tampone svolto dal citrato non sia legato alla produzione di bicarbonato in quanto tale, ma piuttoso al fatto che la forma chimica con cui il citrato è presente in soluzione è quella di citrato trisodico. Una volta metabolizzato il citrato, si liberano tre ioni sodio, che agendo come cationi forti, secondo l’approccio di Stewart, contribuiscono a rendere più positiva la “strong ion difference” (SID=([Na+] + [K+] + [Ca++] + [Mg++]) – ([Cl-] + [A-])) spostando l’equilibrio acido-base verso l’alcalosi [23]. Qualunque sia l’approccio teorico con cui viene spiegato il fenomeno, è da tener presente il “doppio ruolo” di anticoagulante e tampone svolto dal citrato.

Dato quindi un certo carico di citrato infuso al paziente, i livelli di citrato nel sangue dipendono dalle capacità metaboliche dell’organismo. Esiste una soglia oltre la quale i livelli di citratemia iniziano ad aumentare. Tale soglia si riduce in alcune condizioni patologiche che compromettono la capacità di metabolizzare il citrato, come l’insufficienza epatica severa e l’ipoperfusione generalizzata in corso di shock. Le conseguenze dell’accumulo di citrato secondario a scarso metabolismo nel sangue sono potenzialmente severe: ipocalcemia per mancato rilascio del calcio dal complesso citrato-calcio e acidosi per mancato effetto tampone, fino alla riduzione della contrattilità miocardica e alla vasoplegia [20]. Tuttavia, l’accumulo di citrato è prevedibile, facilmente reversibile, e resta comunque una eventualità rara con un’incidenza generalmente inferiore al 2,5-3% [23].

Un ultimo aspetto riguarda le perdite di calcio nell’effluente sotto forma di complesso citrato-calcio, che genera la necessità di una compensazione sotto forma di infusione al paziente di calcio cloruro o calcio gluconato. In questo campo, si è ormai consolidato l’uso di algoritmi gestiti dal software delle apparecchiature che regolano la quantità della “compensazione” di calcio in base ai parametri di conduzione del trattamento (dose citrato, flusso sangue, effluente).

 

Monitoraggio e gestione delle eventuali “complicanze metaboliche” in corso di anticoagulazione con citrato

Il dosaggio della citratemia non è al momento disponibile come esame di routine nella maggior parte dei laboratori; per diagnosticare quindi l’eventuale accumulo di citrato viene utilizzato un indice surrogato, cioè il rapporto calcio totale/calcio ione. La quota parte di complesso citrato-calcio che viene infusa al paziente, e che abbiamo sopra definito carico metabolico, viene dosata dal laboratorio analisi come una parte della calcemia totale al pari del calcio legato alle proteine plasmatiche. Se questa quota si accumula per scarso metabolismo, il calcio tenderà a restare legato, il calcio ione non si libererà dal complesso e la concentrazione di calcio ione tenderà a ridursi. L’effetto netto sarà quindi un incremento del rapporto calcio totale/calcio ione [24, 25]. Il valore cut off, generalmente considerato segno di iniziale accumulo di citrato, è 2.5.

I principali parametri da monitorare nel paziente durante un trattamento di CRRT condotto tramite anticoagulazione con citrato sono:

  • i livelli calcio ionizzato sistemico, preferibilmente attraverso un prelievo arterioso (basale, dopo un’ora dall’avvio, poi ogni 4-6 ore);
  • la calcemia totale (almeno una volta ogni 24 ore) per calcolare il rapporto calcio totale/calcio ione;
  • l’equilibrio acido-base, tramite emogasanalisi arteriosa ogni 4-6 ore;
  • magnesemia (ogni 24 ore), in quanto il citrato chela anche il magnesio;
  • sodiemia (ogni 24 ore);
  • lattacidemia (almeno ogni 24 ore), come segno di ipoperfusione sistemica e quindi scarse capacità metaboliche.

In questo modo l’eventuale tendenza all’accumulo di citrato potrà essere tempestivamente rilevata e gestita in sicurezza.

I disordini metabolici ed elettrolitici potenzialmente correlati all’utilizzo di citrato variano quindi secondo uno spettro che vede da un lato l’acidosi metabolica con gap anionico aumentato e dall’altro l’alcalosi. Nel caso di insorgenza di acidosi metabolica con rapporto calcio totale/calcio ione aumentato (>2.5) e tendenza alla riduzione del calcio ione sistemico, dobbiamo sospettare un accumulo di citrato che dovrà essere gestito cercando di ridurre il carico di citrato infuso al paziente. Si tenterà quindi di ridurre la citratemia del circuito e/o di ridurre il flusso sangue (riducendo quindi la quota di citrato infuso all’inizio del circuito) e/o di aumentare il volume di effluente (aumentando quindi la quota di citrato eliminata). Se il paziente invece è in acidosi metabolica, ma ha un rapporto calcio/totale calcio ione inferiore a 2.5 e non mostra una tendenza alla riduzione del calcio ione sistemico, potremo pensare che il paziente sia in grado di metabolizzare adeguatamente il citrato ma che il carico metabolico di citrato sia insufficiente ad offrire un adeguato effetto tampone. In questo caso è possibile aumentare la citratemia del circuito e/o aumentare il flusso sangue e/o ridurre l’effluente. Da ultimo, se il paziente tende invece a sviluppare un’alcalosi metabolica, dovremo pensare che il carico metabolico di citrato sia eccessivo e ancora una volta dovremo modificare i parametri di conduzione del trattamento allo scopo di ridurre la quota di citrato infuso al paziente. A questo scopo potremo ridurre la citratemia del circuito e/o ridurre il flusso di sangue (diminuendo quindi la quota di citrato infuso all’inizio del circuito) e/o aumentare il volume di effluente (aumentando quindi la quota di citrato eliminata).

Se anche questi accorgimenti non fossero sufficienti non resta che interrompere il trattamento e cambiare modalità di anticoagulazione, oppure impostare un trattamento senza anticoagulante. Una volta interrotto il trattamento con citrato le eventuali alterazioni metaboliche secondarie all’accumulo si risolveranno rapidamente [23].

 

Esistono controindicazioni all’utilizzo del citrato quale anticoagulante in corso di CRRT?

È interessante notare come le linee guida e le raccomandazioni delle società scientifiche in merito alle eventuali controindicazioni all’utilizzo di citrato siano state rapidamente modificate nel corso degli ultimi anni. Le linee guida KDIGO del 2012 [7] proponevano il citrato come anticoagulante di prima scelta in corso di CRRT, sostenendo però che lo stato di shock con ipoperfusione generalizzata (iperlattacidemia) e l’insufficienza epatica severa rappresentassero controindicazioni maggiori per l’elevato rischio di accumulo, vista la compromissione funzionale delle principali sedi di metabolismo. Già nel 2013 la società canadese di nefrologia accantonava l’idea di controindicazioni maggiori e proponeva piuttosto un utilizzo cauto del citrato in questi scenari clinici [26]. Nel 2015 un position statement della nostra Società Italiana di Nefrologia sosteneva che non si potesse più parlare di controindicazioni assolute all’utilizzo di citrato [27].

Nel 2017 Khadzhynov, sulla base di uno studio retrospettivo condotto tuttavia su una casistica ampia, osservava come l’accumulo di citrato (inteso come rapporto calcio totale/calcio ione >2.25 e concomitante riduzione del calcio ione e acidosi metabolica con gap anionico aumentato) mantenga comunque un’incidenza contenuta (circa il 6%) anche in pazienti con lattati elevati (>4 mmol/L). Inoltre, risultava predittivo di accumulo di citrato non tanto il valore assoluto iniziale dei lattati quanto piuttosto il trend nelle ore successive [28]. In altre parole questo studio introduceva l’idea che si potesse tentare l’anticoagulazione con citrato anche nel paziente con lattati elevati ma in via di stabilizzazione dal punto di vista emodinamico.

Per quanto riguarda invece l’insufficienza epatica, bisogna tener presente che l’alterazione patologica dei test coagulativi del paziente epatopatico non rappresenta alcuna garanzia in termini di vita media del circuito extracorporeo. In particolare, l’allungamento dell’INR anche al di sopra di 3 non produce un allungamento della vita media del circuito per CRRT;anzi, se il trattamento è condotto senza anticoagulante, quest’ultimo risulta essere piuttosto breve e generalmente molto inferiore alle 24 ore [29]. A partire da queste osservazioni nasce l’esigenza di utilizzare un anticoagulante anche nei pazienti epatopatici; a causa dell’aumento del rischio emorragico, un anticoagulante sistemico come l’eparina non risulta adeguato. Nel corso degli anni si stanno accumulando pubblicazioni che mostrano buoni risultati utilizzando citrato anche in pazienti con insufficienza epatica e MELD elevato [25, 30, 31, 32]. Questo dato è confermato anche dalla nostra esperienza clinica, in particolare nei trattamenti depurativi extracorporei per l’insufficienza epatica [33, 34, 35].

L’iperlattacidemia come espressione di ipoperfusione diffusa e l’insufficienza epatica non possono quindi più essere considerate controindicazioni assolute all’utilizzo di citrato. Sono piuttosto situazioni in cui operare con cautela, come abbiamo visto in precedenza, mettendo in atto strategie volte a ridurre il carico metabolico di citrato infuso al paziente e quindi limitarne il rischio di accumulo: riduzione del flusso sangue, riduzione della concentrazione di citrato nel sangue del circuito, valida clearance del citrato attraverso un’adeguata quota di effluente.

 

Diverso impatto clinico per diverse soluzioni di citrato

In commercio sono presenti diverse soluzioni di citrato che per semplicità vengono solitamente classificate in base alla concentrazione di citrato. Le soluzioni ad alta concentrazione vengono anche dette ipertoniche, vista l’elevata concentrazione di sodio dovuta al fatto che il citrato è presente come citrato trisodico. Nei molteplici protocolli di CRRT che utilizzano il citrato quale anticoagulante, l’ottimizzazione dell’equilibrio acido-base ed elettrolitico è ottenuta combinando alle diverse soluzioni di citrato le soluzioni per dialisato e/o per re-infusione ritenute più opportune.

Ad esempio, le soluzioni cosiddette ad alta concentrazione di citrato (ipertoniche) sono accoppiate a dialisati con ridotta concentrazione di sodio per evitare ipernatremia; ciò non è necessario per le soluzioni a bassa concentrazione di citrato, che hanno anche una concentrazione di sodio più fisiologica.

È inoltre da tener presente che l’utilizzo di soluzioni di citrato concentrato permette di “svincolare” l’anticoagulazione dalla dose dialitica somministrata. Al contrario le soluzioni a bassa concentrazione di citrato richiedono elevati volumi infusi in prediluizione per ottenere i valori di “citratemia del circuito” desiderati. In questo secondo caso la soluzione di citrato non richiede una pompa dedicata ma, visti i larghi volumi di infusione necessari, l’effetto anticoagulante della soluzione è inevitabilmente legato alla dose dialitica somministrata.

Un altro aspetto è poi quello della natura del citrato in soluzione. Molti preparati presenti in commercio contengono solo citrato trisodico, mentre esistono soluzioni contenenti anche acido citrico in proporzione variabile. Il citrato presente come acido citrico partecipa all’effetto anticoagulante ma non partecipa all’effetto tampone della soluzione. Inoltre non è trascurabile, da questo punto di vista, il contenuto di cloro delle soluzioni di citrato. Tutto ciò può essere chiarito accennando nuovamente all’approccio di Stewart. Secondo questo’ultimo, come già detto sopra, l’effetto alcalinizzante della soluzione di citrato trisodico dipenderebbe dalla liberazione di sodio e non tanto dalla generazione di bicarbonato in quanto tale, a patto ovviamente che il metabolismo del citrato sia valido. Il sodio, agendo come catione forte contribuisce a rendere più positiva la “strong ion difference” (SID=([Na+] + [K+] + [Ca++] + [Mg++]) – ([Cl-] + [A-])) spostando verso l’alcalosi l’equilibrio acido-base [23]. Si può cosi intuire come la riduzione della quota di citrato trisodico a favore di una quota di acido citrico e la presenza di ioni cloro rendano meno positiva la “strong ion difference” e quindi minore l’effetto alcalinizzante della soluzione stessa.

 

Valutazione di efficacia e di spesa

Dal momento che le soluzioni per CRRT contenenti citrato presenti in commercio hanno un costo mediamente superiore alle soluzioni tradizionali e che l’eparina è stata storicamente l’anticoagulante di prima scelta anche per il suo basso costo, si pone il problema di una valutazione del rapporto tra costi e benefici. L’ipotesi avanzata qui è che la maggiorazione dei costi sostenuti per l’acquisto di soluzioni di citrato sia bilanciata dal risparmio ottenuto grazie al minor consumo di filtri, dal momento che l’anticoagulazione con citrato è più efficace in termini di vita media del filtro stesso. Esistono pochi dati in letteratura disponibili su questo punto [37, 38]. Abbiamo condotto una mera revisione dei costi e del consumo di materiali sostenuti dalla nostra Unità Operativa negli ultimi anni di attività dall’introduzione dell’anticoagulazione con citrato e abbiamo di fatto osservato una notevole riduzione del numero di kit (filtri) utilizzati per ogni 72 ore di trattamento e una tendenza al contenimento della spesa, se normalizzata per ogni 35 ml di effluente somministrati [39]. Un’altra importante voce di risparmio, anche se difficilmente quantificabile, è il contenimento del carico di lavoro infermieristico conseguente al minor numero di interventi necessari, vista la riduzione degli eventi di coagulazione inattesa del circuito.

 

Conclusioni

Come asserito in letteratura e confermato dalla nostra esperienza, la scelta del citrato come anticoagulante in CRRT è in grado di aumentare l’affidabilità del trattamento migliorando l’utilizzo delle risorse disponibili. La scelta del citrato come anticoagulante per CRRT in area critica non ha al momento mostrato vantaggi rispetto all’eparina in termini di sopravvivenza del paziente, ma ha altresì dimostrato una riduzione del rischio di eventi emorragici maggiori. Restano alcuni elementi di complessità sia di tipo tecnico che clinico nell’utilizzo dell’anticoagulazione loco-regionale con citrato, secondari soprattutto al fatto che il citrato agisce sia come anticoagulante che come tampone. Le complicanze secondarie all’utilizzo del citrato, disordini dell’equilibrio acido-base e ipocalcemia, sono rare e facilmente reversibili. L’utilizzo di adeguati protocolli, un’accurata sorveglianza e la gestione automatizzata dell’anticoagulazione loco-regionale con citrato grazie a software dedicati, rendono la metodica efficace e sicura.

 

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