Novembre Dicembre 2016 - Articoli originali

Recidiva di cardiomiopatia Takotsubo in paziente con insufficienza renale cronica: analisi di un caso clinico e revisione della letteratura

Abstract

La cardiomiopatia Takotsubo (CT) è una sindrome caratterizzata da una acuta e transitoria disfunzione ventricolare sinistra, da anomalie elettrocardiografiche suggestive per una sindrome coronarica acuta, da dolore toracico e/o dispnea, da una ipo-acinesia dei segmenti medio-apicali del ventricolo sinistro con coronarografia normale. Viene osservata principalmente nelle donne in menopausa dopo un intenso stress fisico o psichico. Il decorso è generalmente benigno ma sono descritte complicazioni talora severe. L’incidenza di recidive è del 2-10%. Riportiamo il caso di una recidiva di CT in donna di 79 anni con ipertensione, diabete, insufficienza renale cronica (IRC) stadio 3, giunta in pronto soccorso per dispnea e vomito. L’elettrocardiogramma (ECG) evidenziava un ritmo sinusale e T negative in sede anteriore e l’ecocardiogramma un pattern tipico per CT con frazione di eiezione ventricolare sinistra (FE) depressa. L’ECG variava poi rapidamente con comparsa di fibrillazione atriale, seguita da una importante aritmia ipocinetica con blocco atrio-ventricolare avanzato che rendeva necessario l’impianto di un pacemaker temporaneo. La paziente era oligurica con grave insufficienza renale, iponatriemia, iperpotassiemia ed acidosi metabolica. Veniva così avviata una terapia sostitutiva renale continua (continuous renal replacement therapy o CRRT). In 7a giornata diuresi valida e normalizzazione della FE e dello squilibrio elettrolitico ed acido-base, la funzionalità renale migliorava rispetto all’ingresso ma permaneva, anche a distanza di 36 mesi, una IRC stadio 4. Il caso clinico descrive lo sviluppo di una sindrome cardiorenale di tipo 1 indotta dalla recidiva di CT e l’efficacia della CRRT nello scompenso cardiaco acuto. Suggerisce inoltre un potenziale ruolo svolto dalla IRC quale fattore di rischio nell’insorgenza e nella recidiva della CT.

Parole chiave: cardiomiopatia takotsubo, insufficienza renale acuta, recidiva, sindrome cardiorenale tipo 1, terapia sostitutiva renale continua

Introduzione

La cardiomiopatia Takotsubo (CT) è una sindrome caratterizzata da una forma acuta e reversibile di disfunzione ventricolare sinistra che insorge generalmente a seguito di un significativo stress fisico o psichico e che si presenta con caratteristiche cliniche ed elettrocardiografiche che possono simulare un infarto acuto del miocardio (IMA), interessando, per circa il 90%, il sesso femminile in post-menopausa [1] [2] [3] [4]. L’esame ecocardiografico mette in evidenza le tipiche alterazioni della cinesi regionale del ventricolo sinistro con acinesia e dilatazione dell’apice e dei segmenti medi ed ipercinesia dei segmenti basali, conferendo così quell’aspetto di dilatazione dell’apice cardiaco a pallone o a cestello o a nassa, usato per la pesca dei polipi, e per l’appunto definito in giapponese takotsubo (da tako: polipo, tsubo: cestello) [5] [6] (full text). Minime risultano le alterazioni degli enzimi cardiaci con picco massimo nelle 24 ore [7] (full text). L’esame coronarografico infine documenta l’assenza di stenosi coronariche ostruttive o di una rottura acuta di placca [5]. Anche se la prognosi è relativamente benigna con una ospedalizzazione media di circa 7 giorni e con remissione completa del quadro clinico e strumentale dopo circa un mese dall’esordio, nella fase acuta la CT può presentare importanti complicazioni relative alla comparsa di insufficienza cardiaca acuta, shock cardiogeno o aritmie severe. Rare le segnalazioni in letteratura di un significativo coinvolgimento renale. La mortalità intra-ospedaliera è di circa il 4% mentre quella a lungo termine è del 5.6% paziente/anno. Vengono descritte recidive di circa il 2.9% per anno nei primi 4 anni e successivamente di circa l’1.3% per anno [8] (full text) con incidenza cumulativa a 6 anni del 5% [9]. In questo report viene descritta una recidiva di CT associata ad insufficienza renale acuta, insufficienza cardiaca e sviluppo di aritmia in una paziente già nota per diabete mellito, ipertensione arteriosa ed insufficienza renale cronica.

Caso clinico

Donna di 79 anni con storia clinica di ipertensione arteriosa, diabete mellito tipo 2, insufficienza renale cronica stadio 3, pregresso episodio di fibrillazione atriale parossistica, pregresso ictus cerebrale, vasculopatia carotidea, in terapia domiciliare con insulina, furosemide, irbesartan, bisoprololo ed acido acetilsalicilico. Circa due anni prima veniva ricoverata d’urgenza nel reparto di Cardiologia del nostro ospedale per dispnea a riposo e dolenzia addominale con alterazioni elettrocardiografiche compatibili con sospetto IMA subacuto. L’esame coronarografico evidenziava unicamente una ateromasia coronarica di modesta entità in assenza di lesioni ateromasiche stenosanti e l’esame ecocardiografico documentava alterazioni della cinesi del ventricolo sinistro con l’aspetto tipico della CT. I valori della creatininemia inizialmente di 2.1 mg/dl, alla dimissione risultavano 1.5 mg/dl. Dopo un periodo di benessere e di stabilità clinica e laboratoristica giungeva nuovamente al nostro pronto soccorso per dispnea ingravescente, vomito, malessere generale e contrazione della diuresi, con riscontro di alterazioni elettrocardiografiche suggestive per sindrome coronarica acuta (SCA), con T negative in sede anteriore (Figura 1) e veniva così ricoverata in terapia intensiva coronarica. All’ingresso la paziente si presentava ortopnoica con attività cardiaca ritmica, addome trattabile, assenza di edemi agli arti inferiori, murmure vescicolare ridotto bilateralmente, ipofonesi medio basale destra e crepitii basali bilaterali. Pressione arteriosa 100/65 mmHg, frequenza cardiaca 89 b/m. Non riferiva la comparsa, nei giorni precedenti, di iperpiressia, vomito, diarrea o di altra rilevante sintomatologia clinica e non aveva assunto farmaci diversi da quelli normalmente in uso. Negava inoltre momenti di particolare impatto emotivo o sforzi fisici recenti. L’esame radiologico del torace evidenziava una diffusa accentuazione del disegno interstiziale di tipo congestizio con tenue ipodiafania in campo inferiore destro, velatura del seno costo frenico omolaterale ed ombra cardiaca aumentata di volume (Figura 2). Gli esami di laboratorio documentavano in particolare: azotemia 163 mg/dl, creatininemia 5.2 mg/dl, glicemia 500 mg/dl, sodiemia 129 mEq/l, potassiemia 5.8 mEq/l, HCO3 18.4 mmol/l, B.E – 6. La troponina risultava 0.83 ng/ml con successivo picco massimo di 1.18 ng/ml (Tabella 1). Nelle ore immediatamente successive al ricovero il quadro clinico peggiorava rapidamente con comparsa di ipotensione, l’elettrocardiogramma mostrava tratti di ritmo da fibrillazione atriale, seguito da una aritmia ipocinetica con blocco atrio-ventricolare di 2° e 3° (Figura 3, Figura 4) avanzato pertanto si rendeva necessario l’impianto di un pacemaker (PMK) temporaneo. All’esame ecocardiografico si evidenziavano importanti alterazioni della cinesi parietale sul settore antero-settale ed apicale con aspetto globoso del ventricolo sinistro nei segmenti medio-apicali, funzione sistolica ventricolare sinistra globale marcatamente depressa con frazione di eiezione (FE) del 35%, insufficienza mitralica di grado medio, lieve insufficienza aortica, lieve insufficienza tricuspidalica, pericardio indenne (Figura 5, Figura 6, Figura 7, Figura 8). Nonostante l’avvio di una terapia diuretica con furosemide e.v. prontamente instaurata in infusione continua al dosaggio di 11 mg/h, permaneva una condizione di oligo-anuria. Veniva così avviata una terapia sostitutiva renale continua (continuous renal replacement therapy o CRRT) in modalità continuous veno-venous hemodialysis (CVVHD), protratta fino alla ripresa di una diuresi efficace ed al miglioramento delle condizioni cliniche avvenuto dopo circa 6 giorni (Tabella 2), a cui facevano seguito alcune sedute di emodialisi con finalità esclusivamente depurative. In 7a giornata l’ecocardiogramma evidenziava un ritorno ad una normale funzione ventricolare sinistra globale e segmentaria (FE 65%) (Figura 9, Figura 10, Figura 11), in regressione le alterazioni elettrocardiografiche e normale risultava la troponina. Alla dimissione la funzionalità renale risultava marcatamente depressa con valori di creatininemia di 4.2 mg/dl che migliorava nel follow up ambulatoriale successivo fino a 3.3 mg/dl e tale rimaneva anche a distanza di 36 mesi dall’episodio di recidiva.

Discussione

La CT, descritta per la prima volta nel 1990 da Sato et al. [10] in una popolazione di pazienti giapponesi, ha nel tempo conosciuto un numero sempre crescente di segnalazioni e pubblicazioni in tutto il mondo [11] (full text). Nota anche come “Apical ballooning syndrome”, “Stress cardiomyopathy”, “Ampulla cardiomyopathy” o “Broken heart syndrome”, [2] [5] [11] (full text)[12] (full text) [13] (full text) incide nella misura dello 1-2% dei pazienti che giungono in pronto soccorso per SCA [14] (full text) [15] (full text) interessando con assoluta prevalenza il sesso femminile in post-menopausa [4]. L’evento clinico viene generalmente ricondotto ad una consequenzialità fra esordio della sintomatologia ed un recentissimo, intenso e drammatico stress psichico o fisico e ciò ha portato ad individuare modelli patogenetici legati da un lato ad una rapida ed importante attivazione del sistema nervoso simpatico da cui scaturirebbe una considerevole iperincrezione di catecolamine e dall’altro ad una aberrante risposta a livello cardiaco [16] (full text). Elevata attività del sistema simpatico che sarebbe peraltro associata ad un decremento del sistema di controllo spontaneo barorecettoriale [17] (full text). Dati di uno studio multicentrico italiano [18] (full text) hanno poi messo in evidenzia una maggiore insorgenza della CT nel periodo estivo con picco a Luglio e nadir a Marzo ed una più alta frequenza al mattino rispetto agli altri periodi del giorno, tracciando così possibili patterns crono biologici. I meccanismi patogenetici possono così tradursi in uno stunning miocardico, in un danno miocitico diretto, in uno spasmo del microcircolo coronarico con ridotta perfusione miocardica od infine in una ostruzione del tratto di efflusso del ventricolo sinistro [5] [19] (full text) [20] (full text)[21]. Il riscontro di infiltrati interstiziali di macrofagi e polimorfonucleati, di fibrosi focale e di necrosi a bande di contrazione, su biopsie endomiocardiche, eseguite nei primissimi giorni dall’esordio della sintomatologia clinica, sembrerebbe deporre poi anche per un ruolo attivo di un processo infiammatorio acuto, a livello sistemico e miocardico [22] (full text). La presenza di un attivo stato infiammatorio viene fornita anche dalla risonanza magnetica cardiaca in cui si ha riscontro di edema regionale del miocardio e di una soffusione pericardica diffusa [23] [24]. Elemento caratterizzante la CT è l’insorgenza acuta di una disfunzione ventricolare sinistra che si presenta con le caratteristiche cliniche della SCA e che ecocardiograficamente è resa da un’immagine a pallone dell’apice del cuore, secondaria ad una transitoria e reversibile acinesia dell’apice e ad una ipercinesia dei segmenti basali del cuore che determina così una rapida caduta della FE. L’esame ecocardiografico all’esordio evidenzia infatti una FE del 20 – 49% che ritorna al 60 – 76% dopo un periodo di giorni o settimane [5] [21]. La diagnosi deve però rispondere, oltre al dato clinico ed ecocardiografico, anche ad una serie di criteri diagnostici proposti da un gruppo di Autori della Mayo Clinic [1]: assenza di malattia coronarica critica o di rottura acuta di una placca preesistente, presenza di alterazioni ECG compatibili con SCA, assenza di recenti traumi, feocromocitoma, emorragia subaracnoidea, cardiomiopatia ipertrofica. L’ECG in particolare presenta nella fase acuta alterazioni variamente eterogenee[25] (full text) [26] (full text) ed è caratterizzato principalmente da: 1) sopraslivellamento, nel 40-80% dei casi, del segmento ST, nelle derivazioni precordiali e talora anche nelle derivazioni inferiori e laterali, tale da simulare un IMA; meno frequente, con incidenza del 5 – 8%, la comparsa di un sottoslivellamento del segmento ST; 2) comparsa di onde T negative nelle precordiali e nelle derivazioni inferiori con incidenza variabile dal 40 al 60%; 3) riscontro dell’onda Q nel 10-30% dei casi. Si può osservare inoltre un allungamento dell’intervallo QTc ed una dispersione del QT. L’entità poi del sopraslivellamento del segmento ST si configurerebbe come un fattore predittivo indipendente di complicanze durante la fase acuta [27] (full text). L’ECG risulta normale solo nel 6.4%. Al momento della diagnosi in più del 90% dei pazienti è presente un ritmo sinusale ma con una frequenza cardiaca significativamente più elevata rispetto a quella dei pazienti con SCA[28]. Un’analisi sugli eventi aritmici [29] (full text) ha permesso di evidenziare la tipologia e l’incidenza delle varie forme di aritmia riscontrate nella fase acuta della malattia: fibrillazione o tachicardia ventricolare sostenuta nel 3.4%, fibrillazione atriale nel 4.7%, disturbi del nodo del seno nell’1.3%, blocco atrio-ventricolare nel 2.9%, episodi di asistolia nello 0.5%. Sono poi descritti casi di pazienti in cui la diagnosi di CT veniva posta in concomitanza di un arresto cardiaco ed altri in cui invece l’arresto cardiaco risultava come complicanza che insorgeva nei primi tre giorni di malattia [30]. Interessante da notare come importanti aritmie ventricolari, episodi di fibrillazione atriale o flutter e necessità di impianto di un PMK sembrerebbero maggiormente incidenti nei pazienti di sesso maschile [31] (full text). Dati del Tako-Tsubo Italian Network evidenziano inoltre come il riscontro di un allungamento del QTc (>500 ms) risulterebbe associato, nella fase acuta, ad una significativa comparsa di episodi di tachicardia o fibrillazione ventricolare o ad eventi di torsione di punta [32]. L’allungamento del QTc all’esordio della sintomatologia clinica avrebbe inoltre un significato prognostico in quanto rifletterebbe l’entità dell’impatto catecolaminico sulla ripolarizzazione del miocardio ed il bilanciamento tra innervazione del simpatico e compensazione del sistema parasimpatico [33] (full text). L’evoluzione del tracciato elettrocardiografico, al pari del dato ecocardiografico, consiste in una progressiva normalizzazione delle varie alterazioni presenti all’esordio, in un periodo compreso fra una settimana e 2-3 mesi [5]. Accanto al dato strumentale, elettrocardiografico ed ecocardiografico, i marcatori di danno miocardico, troponina e creatinfosfochinasi MB, risultano positivi rispettivamente nell’ 86.2% e nel 73.9% dei casi anche se con livelli di picco modesti e comunque minori rispetto ai pazienti con IMA [7] (full text). Recentemente, per l’utilità di una precoce diagnosi di CT, sono state descritte quattro forme di microRNAs circolanti che potrebbero così costituire un vero e proprio biomarker, utile per una tempestiva e non invasiva diagnosi differenziale con l’IMA [34]. Sono poi presenti elevati valori di peptide natiuretico atriale tipo B (BNP) che sembrerebbero essere in relazione con l’entità della depressione ventricolare sinistra e di Proteina C Reattiva (PCR) che testimonierebbero l’attivazione infiammatoria presente nella fase acuta; alterazioni che possono persistere per almeno 3 mesi. Il rilascio del BNP sembrerebbe infine correlare maggiormente con i livelli di catecolamine e con la severità della disfunzione del ventricolo sinistro piuttosto che con i dati ecocardiografici relativi alla presenza di uno stato congestizio [35]. Un’interessante review [26] (full text) condotta su 14 studi pubblicati e che riguardavano casistiche del Giappone, USA, Belgio e Spagna, inerenti un totale di 286 pazienti, ha evidenziato come la sintomatologia d’esordio sia caratterizzata principalmente dal dolore toracico nel 67% dei pazienti e dalla dispnea nel 17.8%. Veniva poi identificata la presenza di un intenso stress, quale causa scatenante, di natura emozionale (morte di un familiare, aspro diverbio, sostanziosa perdita economica, seri problemi di lavoro, abuso sessuale, diagnosi di grave malattia) nel 39% dei pazienti e di natura fisica (intenso stress fisico, attacco d’asma, manovre endoscopiche o interventi chirurgici, chemioterapia, abuso di farmaci) nel 35%. Nella popolazione giovanile lo stress fisico è invece la principale causa di induzione della CT e la severità della malattia non sembrerebbe legata all’appartenenza a particolari gruppi etnici [36] (full text). Lo studio COUNTS [37] ha poi fornito utili informazioni da un lato sull’alta prevalenza nei pazienti con CT dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione arteriosa, diabete, fumo, obesità, dislipidemia) e dall’altro sulla frequenza delle comorbidità rilevate. In particolare l’insufficienza renale cronica era presente nella misura del 7% (range 7 – 27%). Benché la CT sia considerata una malattia a decorso favorevole sono descritte complicanze con una incidenza di circa il 52% [21] talora importanti ed a volte fatali (scompenso acuto di cuore, aritmie severe, shock cardiogeno). A più alto rischio di complicanze, secondo i dati del Tako-tsubo Italian Network (227 pazienti, età media 66.2 ± 12.2 anni, sesso femminile 90.3%) i pazienti con età > 75 anni, con una presentazione clinica caratterizzata da dispnea a riposo associata a dolore toracico o con aumento della frequenza cardiaca, con ridotta frazione di eiezione, con un maggiore volume tele diastolico e tele sistolico ventricolare sinistro[32]. La mortalità intraospedaliera nelle diverse casistiche presenti nei registri della CT è del 2-5%[32] [38] [39] [40]. La CT non risulta così una patologia benigna sia in ragione delle complicanze che dei tassi di mortalità intraospedaliera e di quelli a lungo termine. Infatti dati desunti da uno studio internazionale [28], che ha coinvolto 26 centri di 9 Paesi tra Europa ed USA, sottolineano una mortalità del 5.6% paziente/anno, un’incidenza del 7.1%, dopo i primi 30 giorni dalla dimissione, di importanti eventi avversi cardiaci e cerebrovascolari, con particolare riguardo per il sesso maschile, ed una incidenza annua di eventi cardiaci e cerebrovascolari del 9.9% paziente/anno. Mortalità che nel 38% dei casi è direttamente correlata alla comparsa di complicanze [41]. L’interessamento renale come complicanza della CT è abbastanza raro. In letteratura sono infatti presenti esigui casi che descrivono la concomitanza dello sviluppo di una insufficienza renale acuta ed altrettanto rari i casi di CT che si manifestano in pazienti con insufficienza renale cronica o in trattamento dialitico o nei portatori di trapianto di rene [42] (full text) [43] [44] (full text) [45] (full text) [46] [47] [48] [49] (full text). Il caso da noi descritto evidenzia un importante coinvolgimento renale nel corso di una severa forma di insufficienza cardiaca indotta dalla recidiva di CT e complicata, già all’esordio, da significative alterazioni del ritmo cardiaco che hanno richiesto l’impianto di un PMK temporaneo. L’insufficienza renale, peraltro già presente nella prima manifestazione della malattia, ha avuto, in occasione della recidiva, un rapido peggioramento con esordio estremamente impegnativo per l’ oliguria e lo squilibrio elettrolitico e tale da richiedere l’avvio della CRRT, protratta fino al ripristino di una diuresi efficace ed al miglioramento delle condizioni cliniche. Alla risoluzione della malattia cardiaca la funzionalità renale, seppur migliorata rispetto all’ingresso in ospedale, indicava una condizione di insufficienza renale cronica stadio 4 che si manteneva anche al follow up dei mesi successivi enfatizzando ancor di più il danno renale conseguente alla recidiva di CT. Si evidenzia dunque, nel caso da noi descritto, la stretta relazione fra cuore e rene, fra l’acuta insorgenza di una insufficienza cardiaca espressione della CT ed il secondario coinvolgimento renale tale da configurare un quadro di sindrome cardiorenale di tipo 1 (SCR1) [50] (full text). Una intensa sequela patogenetica (Figura 12) che lega intimamente i due organi e che prende l’avvio dall’insufficienza cardiaca caratterizzata da un declino della gittata cardiaca e del volume ematico circolante e dalla profonda e rapida attivazione del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Una attivazione che a livello renale si traduce in una vasocostrizione dell’arteriola efferente, con calo del flusso ematico renale ed aumento della frazione di filtrazione. La cascata di eventi porta poi ad un aumento del riassorbimento del sodio a livello del tubulo prossimale e successivamente del tubulo distale. Una intensa attività riassorbitiva che è fonte di stimolo per la macula densa alla sintesi di renina e così di amplificazione dell’attivazione neuro-ormonale [51] (full text). L’espansione del pool sodico e della volemia incrementa a sua volta la pressione venosa centrale e le pressioni atriali. Si ha così lo sviluppo di una congestione venosa che contribuisce ad un ulteriore declino del filtrato glomerulare. Numerosi studi hanno poi sottolineato il ruolo centrale della congestione venosa sistemica nei pazienti con scompenso acuto di cuore per gli effetti di natura emodinamica che esplica a livello renale (aumento della pressione venosa renale, ridotta pressione di perfusione), per l’attivazione di un processo di disfunzione endoteliale con produzione di radicali liberi (reactive oxigens species o ROS) e citochine pro-infiammatorie (Interleukina 6, fattore tumorale di necrosi-α,) e per una alterazione della permeabilità intestinale con rilascio di endotossine [52] (full text) [53] (full text) [54]. La complessità della SCR1 e la sua difficile gestione clinica derivano dunque dal possibile instaurarsi di un circolo vizioso fisiopatogenetico estremamente negativo per le interazioni continue e reciproche tra rene e cuore che si realizzano a partire da fattori emodinamici, neuro-ormonali ed infiammatori e che portano ad un peggioramento dell’insufficienza cardiaca e ad un ulteriore deterioramento della funzionalità renale [55] (full text)[56] (full text) [57] (full text) [58]. Alcune considerazioni possono poi risultare utili su di un possibile ruolo svolto dall’insufficienza renale cronica nel contesto della CT. È stato già precedentemente evidenziato che elementi caratterizzanti la CT sono essenzialmente costituiti da: a) un’ esagerata produzione di catecolamine ad un seppur intenso stimolo fisico o psichico con una aberrante risposta a livello cardiaco, b) un’ attivazione di un processo infiammatorio sia a livello miocardico che sistemico. Nella malattia renale cronica a sua volta è presente un’iperattività simpatica ed uno stato infiammatorio cronico. È nota infatti [59] (full text) una condizione di iperattività simpatica che si sviluppa a partire da segnali afferenti al sistema nervoso centrale generati dal rene malato che inducono un aumento della attività simpatica e, a livello renale, sono responsabili di un’ attivazione del sistema renina angotensina aldosterone, di un aumentato riassorbimento salino e di una condizione di ipervolemia. Numerosi autori [60][61] (full text) [62] hanno poi evidenziato come la malattia renale cronica si associ ad uno stato infiammatorio cronico in ragione del riscontro di elevati livelli di PCR e di citochine pro-infiammatorie nei pazienti con insufficienza renale cronica in terapia conservativa e soprattutto negli emodializzati. La nefropatia cronica potrebbe così risultare un fattore di rischio, un substrato, per il suo milieu infiammatorio e di iperattività simpatica, in grado di facilitare lo sviluppo della CT e di amplificare l’impatto clinico della malattia. Nel caso clinico da noi descritto la recidiva ha infatti condizionato un peggioramento della funzionalità renale sia nella fase acuta che dopo il miglioramento del quadro clinico e strumentale, analogamente al caso di un paziente in terapia dialitica peritoneale in cui l’episodio di CT ha determinato una perdita della residua funzione renale [43]. Un aspetto decisamente positivo è stato dunque, nel caso clinico da noi descritto, l’avvio della CRRT che è risultata particolarmente utile, sicura ed efficace nella gestione della SCR1, come terapia bridge, nel fronteggiare, da un lato, l’importante deficit contrattile cardiaco e la condizione di oligoanuria e dall’altro correggere le alterazioni elettrolitiche e dell’equilibrio acido-base, lo stato di ipervolemia e gli indici di ritenzione azotata. La terapia diuretica ad alte dosi, in infusione continua e.v, all’esordio del quadro clinico da noi descritto, non aveva infatti prodotto l’avvio della diuresi. La refrattarietà alla terapia diuretica e le condizioni cliniche conseguenti allo scompenso cardiaco hanno quindi reso necessario l’avvio della CRRT in ragione dell’innegabile efficacia della terapia ultrafiltrativa continua [63] (full text)[64] (full text) [65] (full text) [66] (full text). Elementi a favore dell’utilizzo della CRRT, come evidenziato in Tabella 3, sono infatti rappresentati da significativi effetti emodinamici a livello cardiaco, renale e polmonare, legati principalmente alla rimozione di liquidi con miglioramento della condizione di resistenza ai diuretici, ripresa della diuresi e ripristino di una efficace niatriuresi. Effetti che nella loro consequenzialità portano ad un miglioramento della sintomatologia clinica a partire dall’attenuazione progressiva della dispnea a riposo [67] [68].

Conclusione

Il caso clinico da noi descritto offre alcune utili riflessioni in relazione al coinvolgimento del rene nel corso di una recidiva di CT. Innanzitutto per la complessità clinica con presentazione già all’esordio di un rapido ed importante peggioramento della funzionalità renale con oligoanuria e squilibrio idroelettrolitico a cui si associavano gravi alterazioni del ritmo cardiaco che rendevano necessario l’impianto di un PMK. Ed è in questo contesto che è risultata di particolare ed efficace soluzione l’avvio della CRRT che ha consentito un rapido miglioramento delle condizioni cliniche fino al ritorno ad una contrattilità ventricolare sinistra efficace e quindi al superamento della condizione di scompenso cardiaco. Altro elemento degno di nota può essere poi dato dal potenziale ruolo svolto dalla condizione di nefropatia cronica che potrebbe risultare come un fattore di rischio e di amplificazione nell’insorgenza e nella recidiva della cardiomiopatia Takotsubo. Ed infine è da rilevare la necessità di una attenta e precoce sorveglianza combinata da parte del cardiologo e del nefrologo nel corso di una CT e più in generale di un caso di scompenso cardiaco acuto per il potenziale danno renale che ne può derivare.

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Tabella 1
Andamento dei parametri di laboratorio e della frazione di eiezione (FE) nella fase acuta

giorno

giorno

giorno

giorno

giorno

giorno

giorno

Troponina (ng/ml) 0.83 1.18 0.86 0.38 0.14 0.08 0.03
CPK MB (ng/ml) 23.4 19.4 17 6.5 6.4 5.9 5.36
NT-proBNP (pg/ml) 7847 3425 1085
FE (%) 35 65
Creatinina (mg/dl) 5.24 5.15 4.09 3.19 2.78 2.67 2.27
Diuresi (ml/24h) 150 100 100 300 500 1000 1800
Sodiemia (mEq/l) 129 136 136 138 141 139 141
Potassiemia (mEq/l) 5.8 4.3 4.6 4.7 4.4 4.4 3.8
HCO3⁻ (mmol/l) 18.4 23.8 24.3 25.4 26.6 27.6 29.9
Glicemia (mg/dl) 495 278 197 186 158 174 162
Tabella 2
Parametri operativi della continuous renal replacement therapy (CRRT)

giorno

giorno

giorno

giorno

giorno

giorno

giorno

Terapia sostitutiva CVVHD CVVHD CVVHD CVVHD CVVHD CVVHD
Qb ml/m’ 150 150 150 150 150 150
UF ml/h 100 100 100 100 100 60
Flusso dialisato l/h 1.5 1.5 1.5 1.5 1.5 1.5
Durata h 24 24 24 24 24 24
Tabella 3
Effetti della continuous renal replacement therapy (CRRT) nella gestione dello scompenso cardiaco acuto

Rimozione di liquidi e sodio Riduzione della congestione venosa renale
Riduzione della pressione atriale destra Miglioramento dell’emodinamica renale
Riduzione della pressione in A. polmonare e di incuneamento polmonare Assenza di attivazione neuro-ormonale a tassi adeguati di ultrafiltrazione
Riduzione dell’edema cardiaco e dell’interstizio polmonare Riduzione dei livelli di sostanze ad azione miocardiodepressiva
Riduzione del post-carico Migliore risposta al diuretico
Miglioramento della funzione diastolica Induzione della diuresi