Abstract
Negli ultimi quindici anni la genomica e le altre scienze “omiche” hanno rivoluzionato la nostra conoscenza dei processi biologici a livello molecolare. Un esempio è il metabolismo dell’urato. Prima della pubblicazione del genoma umano, nel 2003, un solo enzima (urato ossidasi) era ritenuto responsabile della degradazione dell’urato (uricolisi), ovvero della sua conversione ad allantoina, un composto molto più solubile e facilmente eliminabile. Oggi sappiamo che questo processo richiede l’azione sequenziale di tre enzimi, che sono stati persi per inattivazione genica in un antenato degli ominoidi. Allo stesso modo, un solo trasportatore dell’urato (URAT1) era noto all’epoca. Attualmente abbiamo evidenze che nelle cellule epiteliali di reni e intestino vi sia un’intera batteria di trasportatori, non ancora del tutto caratterizzati, deputati alla regolazione dell’omeostasi dell’urato. In questa rassegna, riportiamo alcune recenti scoperte sul metabolismo dell’urato, evidenziandone la possibile applicazione allo sviluppo di nuovi farmaci per il trattamento dell’iperuricemia, della sindrome da lisi tumorale e della malattia di Lesch-Nyhan.
Parole chiave: acido urico, HPRT, iperuricemia, malattia di Lesch-Nyhan, terapia enzimatica, trasportatore renale, uricolisi, uricostasi
Introduzione
L’acido urico (urato a pH fisiologico) è il prodotto finale del metabolismo delle purine nell’uomo e nelle scimmie antropomorfe. È una molecola poco solubile che pone problemi all’eliminazione renale. La presenza di livelli eccessivi di urato nel sangue (iperuricemia) ha un ruolo emergente nelle malattie umane. Il nesso causale tra iperuricemia e malattia è evidente nella gotta, una forma comune ed estremamente dolorosa di artrite infiammatoria [1]; la prevalenza di questa malattia è sostanziale ed in forte crescita in numerose popolazioni, compresa quella italiana[2] (full text) [3] [4] [5] [6] (full text) [7].
Iperuricemia e gotta sono associate in comorbidità ad altre comuni patologie quali ipertensione, disfunzione renale, diabete. I livelli di urato nel sangue sono considerati un marcatore di sindrome metabolica [8] (full text). Per contro, è stato recentemente evidenziato un effetto protettivo dell’iperuricemia nei confronti di alcune malattie neurodegenerative, tra cui in particolare la malattia di Parkinson [9] (full text) [10].
I livelli di urato nel corpo sono determinati dall’equilibrio tra la produzione di questa sostanza e il saldo netto di riassorbimento ed eliminazione da parte di rene e intestino. L’escrezione renale rappresenta circa il 60-70% dell’eliminazione totale di acido urico [11] [12]. Una minore percentuale di acido urico viene secreta nell’intestino e viene ulteriormente metabolizzata da batteri residenti, in un processo chiamato uricolisi intestinale. Una comprensione dettagliata di assorbimento epiteliale e secrezione di acido urico è emersa recentemente, aiutata in particolare dai risultati di studi di associazione sull’intero genoma (GWAS, genome-wide association studies) tra polimorfismi genetici e livelli di urato o presenza di gotta [13] (full text) [14] (full text)[15] (full text) [16]. Questi studi sfruttano la conoscenza del genoma umano e le tecniche di sequenziamento di nuova generazione (NGS) che rendono possibile la facile rilevazione di varianti genetiche in campioni estremamente numerosi di individui [17]. La funzione nell’omeostasi dell’urato di numerosi geni identificati con analisi GWAS è stata chiarita a livello molecolare da studi in vitro e in vivo. La possibilità di manipolare geneticamente modelli animali (es. topi KO) ha consentito di acquisire ulteriori informazioni sul funzionamento dei geni implicati nell’iperuricemia [18] (full text) [19] (full text).
Recentemente, il confronto di genomi completi ha consentito di definire i passaggi enzimatici dell’uricolisi, ovvero la conversione di urato ad allantoina, un composto molto più solubile che non pone problemi all’eliminazione renale. Questa via metabolica prevede l’azione successiva di tre enzimi (Uox, Urah, Urad) e la produzione di uno specifico stereoisomero di allantoina [20]. Per molto tempo si è ritenuto che l’urato ossidasi (Uox) fosse l’unico enzima responsabile dell’uricolisi,. Studi dettagliati del meccanismo di reazione attraverso NMR hanno definito il vero prodotto della catalisi di Uox [21] (full text), rendendo possibile ipotizzare la presenza di altre attività enzimatiche. I geni candidati per queste attività enzimatiche sono stati inizialmente identificati con analisi bioinformatiche utilizzando tecniche di associazione funzionale tra geni in silico; esperimenti successivi in laboratorio hanno dimostrato l’attività enzimatica delle proteine, e ne hanno definito la struttura atomica [22] [23] [23] (full text). [24]
La via metabolica dell’uricolisi, attiva in diversi organismi (dai batteri ai mammiferi), è stata persa durante l’evoluzione degli ominoidi (scimmie antropomorfe) circa 20 milioni di anni fa con l’inattivazione dei geni Uox, Urah e Urad. Nel genoma umano è ancora evidente la presenza di questi elementi come pseudogeni.
In anni recenti sono stati fatti anche grandi avanzamenti nella comprensione del meccanismo dell’infiammazione indotto da cristalli urato. I cristalli di urato monosodico (MSU) determinano l’attivazione del NALP3 inflammasoma mediata dalla caspasi-1 con conseguente produzione di interleuchina attiva IL1 beta e IL18. Questi risultati forniscono informazioni importanti per il trattamento molecolare delle condizioni infiammatorie della gotta, e mettono in luce il ruolo centrale dell’inflammasoma in diverse malattie autoinfiammatorie. Per questi aspetti, non approfonditi nella nostra trattazione, si rimanda a recenti rassegne [25].
Sintesi e degradazione dell’urato nei mammiferi e negli ominoidi
L’acido urico è il prodotto finale del metabolismo delle purine negli esseri umani, ma è un prodotto intermedio in altri mammiferi. L’acido urico (2,6,8-triossipurina) è un acido diprotico con costanti di dissociazione acide (pKa) di 5.80 e 10.85 [21]. A pH fisiologico la forma prevalente è la forma mono anionica con una carica negativa in N3, o urato (Figura 1). Si usa quindi il termine urato quando ci si riferisce a questa sostanza nei fluidi biologici. Nell’uomo l’acido urico è assunto in maniera molto ridotta con la dieta. Per la maggior parte è un prodotto endogeno della degradazione delle basi puriniche – costituenti fondamentali degli acidi nucleici – derivanti dalla sintesi de novo dei nucleotidi oppure introdotte con la dieta.
Nell’uomo e in altri organismi, gli immediati precursori dell’urato sono le basi puriniche ossidate xantina e ipoxantina. La reazione di conversione di queste due basi a urato è catalizzata in due passaggi successivi da un unico enzima chiamato xantina ossidasi o xantina deidrogenasi. L’enzima richiede molibdeno (Mo) come cofattore. L’inibizione di questo enzima con molecole che si legano al sito attivo (es. allopurinolo) è alla base della terapia uricostatica [26]. L’enzima xantina ossidasi appare essere meno espresso nell’uomo rispetto ad altri mammiferi (i.e. topo), una condizione che mitiga l’iperuricemia come possibile adattamento alla perdita della via degradativa [27] (full text). Xantina e ipoxantina derivano dalla degradazione dei nucleotidi, che inizia con la defosforilazione dei nucleosidi trifosfato a nucleosidi monofosfato. La defosforilazione di inosina monofosfato (IMP), adenosina monofosfato (AMP) e guanosina monofosfato (GMP) a opera di 5′-nucleotidasi forma i rispettivi nucleosidi. Questi composti non possono essere riconvertiti direttamente a nucleotidi e sono avviati alla produzione di basi libere a opera di enzimi chiamati purina nucleoside fosforilasi. La degradazione dell’inosina – derivante da IMP o dalla conversione di adenosina a inosina da parte dell’enzima adenosina deaminasi – produce la base libera ipoxantina. La degradazione della guanosina produce la base libera guanina che viene convertita a xantina a opera della guanina deaminasi.
Le basi ipoxantina e guanina non sono necessariamente degradate dal momento che esiste una via di salvataggio di queste basi in grado di evitare la loro conversione a urato attraverso la formazione dei nucleotidi IMP e GMP (Figura 1). Tale via di salvataggio richiede fosforibosilpirofosfato (PRPP) – uno zucchero pentoso fosfato – e un enzima chiamato ipoxantina guanina fosforibosil transferasi (HPRT). La via di salvataggio riveste un ruolo molto importante per il metabolismo dell’urato come dimostrato dalle conseguenze dei difetti ereditari dell’enzima HPRT (vide infra). Esiste anche una via di salvataggio della base adenina (enzima: APRT), di minore rilevanza in questo contesto, dal momento che nell’uomo l’adenina non è un precursore dell’urato.
Nei mammiferi, esclusi l’uomo e le scimmie antropomorfe (ominoidi), l’urato viene convertito attraverso un processo di uricolisi a un composto chiamato allantoina. L’allantoina è molto più solubile dell’urato e, a differenza di questo, non comporta problemi per l’eliminazione renale. Sebbene nelle reazioni in vitro l’aggiunta dell’enzima urato ossidasi (Uox) porti alla produzione di allantoina, in vivo la reazione di uricolisi è svolta da tre enzimi consecutivi [20] [28]: Uox, 5-idrossiisourato (HIU) idrolasi (Urah) e 2-ossi-4-idrossi-4-carbossi-5-ureidoimidazolina (OHCU) decarbossilasi (Urad). Nei mammiferi i tre enzimi sono espressi principalmente nel fegato e hanno localizzazione perossisomiale. La funzione degli enzimi Urah e Urad è quella di velocizzare la conversione degli intermedi dell’ossidazione dell’urato e la produzione di uno specifico enantiomero (S) di allantoina. L’importanza degli enzimi uricolitici successivi a Uox è testimoniata dalla loro presenza in tutti i mammiferi che degradano urato. Il mancato funzionamento dell’enzima Urah per mutazione genica nel topo provoca epatomegalia e tumori al fegato, la sede di degradazione dell’urato, suggerendo che la presenza di questi enzimi sia utile ad evitare l’accumulo di intermedi nocivi dell’ossidazione dell’urato [29] (full text).
Le differenze nel metabolismo dell’urato tra l’uomo e gli altri mammiferi sono chiaramente illustrate dalle conseguenze dei difetti di funzionamento dell’enzima HPRT. Nell’uomo difetti ereditari di questo enzima provocano una severissima iperuricemia a insorgenza precoce e una costellazione di manifestazioni neurologiche come si osserva nelle sindrome di Lesch-Nyhan[30] [31] (full text). Per contro, nel topo la completa assenza dell’enzima HPRT, causata da inattivazione sperimentale del gene, non risulta in iperuricemia ed è virtualmente asintomatica[32].
Meccanismi molecolari nel trasporto dell’urato
L’omeostasi dell’urato è finemente regolata da un insieme complesso di trasportatori a livello delle cellule epiteliali del rene e dell’intestino. Tali trasportatori sono costituiti da proteine integrali di membrana che permettono il trasferimento dell’urato attraverso le membrane plasmatiche, strutture impermeabili ad una molecola dotata di carica negativa quale l’anione dell’acido urico. In base alla localizzazione nella cellula epiteliale, i trasportatori si distinguono in apicali (verso il lumen) e basolaterali (verso il circolo). In base alla direzione del trasporto, si distinguono trasportatori di secrezione e di riassorbimento (Figura 2). Evidenze sul ruolo di diversi geni codificanti per proteine coinvolte nell’omeostasi dell’urato sono emerse in questi ultimi anni attraverso esperimenti in vitro, osservazioni in vivo di animali modello geneticamente modificati, studi di associazione su scala genomica (GWAS, genome-wide association studies) e identificazione di difetti genetici coinvolti in disturbi del metabolismo dell’urato (i.e. ipouricemia e iperuricemia). Nei seguenti paragrafi verranno descritti in maggiore dettaglio tre trasportatori (URAT1, GLUT9, ABCG2) il cui coinvolgimento nell’omeostasi dell’urato nell’uomo è supportato attualmente da evidenze più robuste. È interessante notare che questi geni e proteine hanno un corrispettivo in altri mammiferi. Le differenze nell’omeostasi dell’urato che si osservano negli ominoidi (aumentato riassorbimento e diminuita escrezione renale) rispetto ad altri mammiferi sono quindi in buona parte attribuibili a differenze fini nel funzionamento dei trasportatori e a differenze nella regolazione dell’espressione genica.
URAT1
La proteina di trasporto URAT1, o urate transporter 1 (simbolo ufficiale: SLC22A12 solute carrier family 22 member 12) è il primo trasportatore dell’urato identificato a livello molecolare. La proteina, codificata dal gene SLC22A12 (chr11: 64590810..64603250), fa parte della famiglia degli “organic anion transporter” (OAT), della superfamiglia “Major Facilitator Superfamily” (MFS) ed è predetta contenere 12 eliche transmembrana. URAT1 è stato inizialmente implicato nel trasporto dell’urato attraverso l’osservazione che l’espressione della proteina in oociti di Xenopus determina un incremento dell’importo di urato marcato con 14C. Il meccanismo di trasporto richiede lo scambio con un altro anione monocarbossilico, come lattato o nicotinato. La costante di Michaelis (Km) stimata per l’urato è piuttosto elevata (370 μM), indice di una affinità di legame relativamente modesta [33]. La proteina di topo ha una affinità per l’urato ridotta (Km >1000 μM); la delezione del gene nel topo incrementa lievemente l’escrezione di urato [34] (full text). L’RNA messaggero di URAT1 è espresso principalmente nel rene, sia in uomo che nel topo (Figura 3). Nell’uomo si osserva espressione del gene anche nell’intestino e nel cervello. Nel rene, la proteina si localizza a livello apicale dell’epitelio del tubulo prossimale, indicando che è soprattutto coinvolta nel riassorbimento dell’urato dalle urine alle cellule del tubulo prossimale.
Mutazioni inattivanti in SLC22A12 sono responsabili di una forma monogenica di ipouricemia renale (tipo 1), che si presenta con concentrazioni ridotte di urato nel sangue (30-60 μM) e incrementata escrezione frazionaria di urato (FEUA, fractional excretion of uric acid), 30-90% rispetto al normale 10%. I portatori del difetto genetico in SLC22A12 sono soggetti a disfunzione renale acuta indotta da sforzo [35]. L’associazione tra polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) di SLC22A12 e livelli ematici di acido urico è stata identificata in studi GWAS [13] (full text) [14] (full text).
Geni ortologhi a SLC22A12 sono presenti nei mammiferi, ma non in altri vertebrati. In molti mammiferi, compreso l’uomo, a fianco del gene è presente un gene simile denominato SLC22A11 (chr11: 64555601..64572875) che codifica per una proteina (OAT4) con il 53% di identità rispetto ad URAT1. La proteina OAT4 è coinvolta nel trasporto di anioni inorganici. Vi sono evidenze in sistemi cellulari che OAT4 possa mediare lo scambio di urato con ioni dicarbossilici, sebbene con una affinità per l’urato inferiore ad URAT1 [36] (full text). Polimorfismi nel locus SLC22A11 sono associati ai livelli di urato in base a studi GWAS [16]. La coppia di geni paraloghi SLC22A11 e SLC22A12 si è originata per duplicazione segmentale in un lontano antenato dei mammiferi, tuttavia alcuni mammiferi, come topo e ratto, conservano solo SLC22A12.
GLUT9
La proteina di trasporto GLUT9, o glucose tranporter 9, come in origine classificata, (simbolo ufficiale: SLC2A9, solute carrier family 2 member 9) è codificata dal gene SLC2A9 (chr4: 9771125..10040248c). La proteina fa parte della superfamiglia “Major Facilitator Superfamily” (MFS) ed è predetta contenere 12 eliche transmembrana. La prima evidenza del coinvolgimento di GLUT9 nel trasporto dell’urato nell’uomo è stata l’identificazione di una associazione tra i polimorfismi del gene e livelli di urato nelle popolazione sarde e toscane [37] (full text). Tale associazione è stata confermata da studi GWAS in altre popolazioni [14] (full text) [38]. L’espressione eterologa della proteina in oociti di Xenopus ha evidenziato che la proteina è in grado di trasportare urato (uniporto) con una Km (370 µM) simile a quella di URAT1. La proteina di topo ha una affinità per l’urato leggermente ridotta (Km ~600 µM); la delezione del gene nel topo incrementa i livelli ematici e l’escrezione di urato, causando iperuricemia e iperuricosuria che può manifestarsi come nefropatia ostruttiva [19] (full text). L’RNA messaggero di GLUT9 è espresso nel rene e nel fegato in uomo e topo (Figura 3). Tuttavia, nel topo prevale l’espressione a livello epatico, in accordo con il ruolo di questa proteina nell’importo dell’urato nel fegato per la degradazione da parte degli enzimi uricolitici. Dallo stesso gene SLC2A9 sono prodotti due RNA messaggeri distinti per trascrizione alternativa e due forme distinte della proteina. La forma più lunga, GLUT9a, è prevalentemente espressa nel rene ed è localizzata a livello basolaterale, mentre la forma più corta GLUT9b (chiamata anche GLUT9ΔN) è espressa a livello apicale[39] (full text). Nel rene, la proteina si localizza principalmente a livello basale dell’epitelio del tubolo prossimale, ed è soprattutto coinvolta nel riassorbimento dell’urato dalla cellula epiteliale al circolo sanguigno.
Mutazioni inattivanti in SLC2A9 nell’uomo sono responsabili di una forma monogenica di ipouricemia renale (tipo 2), che si presenta con concentrazioni estremamente ridotte di urato nel sangue (<12 µM) e forte iperuricosuria (FEUA ~100%). I portatori del difetto genetico in SLC2A9 sono soggetti a calcoli renali e disfunzione renale acuta indotta da sforzo [18] (full text). Una mutazione inattivante del gene SLC2A9 (Cys188Phe) è causa della iperuricemia e iperuricosuria nel cane dalmata [40] (full text). Analogamente al fenotipo osservato nel deleto SLC2A9 di topo, l’aumento delle concentrazioni ematiche e urinarie di acido urico nel cane sono spiegate dall’assenza di uricolisi dovuta al mancato importo dell’urato nel fegato. Il ridotto riassorbimento a livello renale dovuto al difetto di funzionamento della proteina è la causa dell’aumentata escrezione di urato. Geni ortologhi a SLC2A9 sono presenti nei mammiferi e negli altri vertebrati, inclusi i pesci.
ABCG2
La proteina di trasporto ABCG2 (ATP binding cassette subfamily G member 2) è è codificata dal gene ABCG2 (chr4: 88090264..88231417c). La proteina fa parte della superfamiglia degli ATP- binding cassette (ABC) transporter, trasportatori in cui il trasferimento del substrato è accoppiato all’idrolisi di ATP. La superfamiglia comprende un insieme numerosissimo di proteine che, a seconda del tipo, funzionano come importatori o esportatori. ABCG2 appartiene alla classe degli esportatori e contiene un dominio transmembrana (al C-terminale) e un dominio per il legame e l’idrolisi di ATP (all’N-terminale). La proteina è predetta contenere sei eliche transmembrana; la formazione di un canale a 12 eliche dovrebbe avvenire attraverso la formazione di oligomeri. L’evidenza dell’implicazione di ABCG2 nell’omeostasi dell’urato deriva da studi GWAS [14] (full text) [38] . È dimostrato da studi in vitro che ABCG2 funziona come trasportatore ad alta capacità dell’urato [41] (full text) [42]. In aggiunta al ruolo nel trasporto dell’urato, la proteina ABCG2 è stata anche caratterizzata come trasportatore di xenobiotici e fattore di resistenza ai chemioterapici [43] (full text). Nell’uomo varianti della proteina con ridotta capacità di trasporto sono associate a una aumentata escrezione renale dell’urato. Un effetto simile è osservato nel deleto ABCG2 di topo, in cui è stata anche dimostrata una diminuita escrezione a livello intestinale [44]. Sulla base di queste evidenze si ritiene che ABCG2 abbia un ruolo principale nell’escrezione extra-renale dell’urato, e che l’aumentata escrezione renale derivi da un sovraccarico di urato causato dal difetto di eliminazione intestinale [44]. L’RNA messaggero di ABCG2 viene espresso in diversi tessuti, sia in uomo che in topo (Figura 3). Nel topo è prevalente l’espressione a livello renale, mentre nell’uomo è prevalente l’espressione a livello dell’intestino, in accordo con il ruolo di ABCG2 nell’escrezione extra-renale dell’urato. ABCG2 è espresso ad alti livelli nell’uomo nel cervello e nella placenta. L’espressione a livello cerebrale è evocativa della dimostrata associazione tra livelli di uricemia e predisposizione ad alcune malattie neurodegenerative [9] (full text) [10]. L’espressione di ABCG2 nella placenta potrebbe avere un ruolo nel metabolismo dell’urato prodotto dal feto – un ipotizzabile adattamento delle specie che hanno perso la via degradativa dell’urato. È stato recentemente osservato che i trasportatori ABC della placenta hanno un ruolo importante nel proteggere il feto da sostanze nocive [45]. Geni ortologhi a ABCG2 sono presenti nei vertebrati e negli invertebrati.
Approcci terapeutici all’iperuricemia
Nell’uomo, la perdita della via degradativa e l’aumentato riassorbimento renale durante l’evoluzione si traducono in una condizione fisiologica che in presenza di alterazioni del metabolismo dell’urato può portare a livelli eccessivi di questa molecola nel sangue, vale a dire iperuricemia. Non vi è una soglia universalmente accettata per l’iperuricemia, ma evidenze recenti suggeriscono una soglia di 6.0 mg/dL (360 μM) di urato [46] (full text). Tra i meccanismi conosciuti alla base dell’iperuricemia vi sono la sovrapproduzione di urato e difetti nella clearance renale [47] (full text). Questi meccanismi sono stati oggetto di studi approfonditi per lo sviluppo di farmaci che hanno come target la produzione di urato (farmaci uricostatici, inibitori della xantina ossidasi), oppure la sua escrezione renale (farmaci uricosurici, inibitori del riassorbimento di urato). Un approccio più ambizioso è il ripristino della via degradativa attraverso la terapia enzimatica (farmaci uricolitici, enzimi della degradazione). In generale, l’utilizzo di questi farmaci è riferito come urate lowering therapy (UTL). La gestione a lungo termine dell’iperuricemia implica l’uso di UTL per diminuire il livello ematico di urato al di sotto del suo limite di solubilità.
Agenti uricostatici
L’allopurinolo è stato il primo farmaco uricostatico sintetizzato ed è tuttora quello più comunemente usato nella UTL di prima linea per la gotta. L’allopurinolo (1,5-dihydro-4H- pyrazolo[3,4-d]pyrimidin-4-one) è stato inizialmente sintetizzato insieme ad altri analoghi sintetici delle purine testati per proprietà antitumorali. Nel corso dei test la molecola dimostrò attività inibitoria sulla xantina ossidasi (XO) con la riduzione dei livelli ematici e urinari di urato[48]. L’allopurinolo viene rapidamente convertito dagli enzimi aldeide ossidasi e XO al suo metabolita più attivo, ossipurinolo, il quale agisce come inibitore competitivo di XO legandosi covalentemente alla forma ridotta dello ione molibdeno, Mo (IV), e impedendo la sintesi di acido urico [26]. Tuttavia, Mo (IV) viene spontaneamente ossidato a Mo (VI) (emivita di 300 minuti a 25 ° C), rendendo debole l’interazione tra ossipurinolo e XO [49]. Questo si riflette nella necessità di somministrazioni frequenti del farmaco per mantenere un livello sufficiente del complesso di ossipurinolo e molibdeno ridotto. Per la loro struttura simile alle purine, allopurinolo e ossipurinolo sono metabolizzati da altri enzimi, quali HPRT e orotato fosforibosil trasferasi (OPRT) con la produzione di analoghi nucleotidici. Questi metaboliti possono inibire altri enzimi coinvolti nel metabolismo dei nucleotidi, un’azione che può essere collegata ad alcuni effetti collaterali dell’allopurinolo [50]. I più comuni di questi effetti sono disturbi gastrointestinali, reazioni di ipersensibilità, e rash cutaneo. Come l’urato, l’ ossipurinolo viene escreto dal rene [51]. I pazienti con disfunzione renale tendono ad avere una concentrazione elevata nel sangue di ossipurinolo che è correlata con la presenza degli effetti negativi; pertanto, la somministrazione di allopurinolo deve essere regolata rispetto al livello della funzione renale dei pazienti [52].
Per risolvere i problemi di intolleranza in alcuni pazienti e gli effetti collaterali dell’allopurinolo, vi è stata un’attiva ricerca di inibitori di XO alternativi. Al posto di un analogo delle purine, sono state considerate come inibitori molecole basate su un anello eterociclico con un gruppo fenilico. Gli sforzi fatti da aziende farmaceutiche giapponesi sono culminati nel 1988 con la comparsa di Febuxostat che ha dovuto attendere fino al 2009 per essere approvato dalla FDA [53][54]. Il Febuxostat inibisce XO attraverso il legame al canale che porta al centro di molibdeno dell’enzima. L’inibizione è ottenuta per semplice ostruzione del sito attivo attraverso la formazione di legami idrogeno e interazioni idrofobiche tra la molecola e l’enzima. Nessun coordinamento diretto si osserva con lo ione di molibdeno. Questo si traduce in una inibizione sia della forma ossidata che ridotta dell’enzima [55] (full text). Modelli animali hanno evidenziato per Febuxostat una più potente e duratura attività ipouricemizzante rispetto ad allopurinolo [56]. Studi in vitro hanno dimostrato assenza di effetti su enzimi del metabolismo di purine e pirimidine, a differenza dell’allopurinolo [57]. Il Febuxostat non viene escreto attraverso i reni, ma è metabolizzato principalmente nel fegato, risultando quindi adatto per i pazienti con insufficienza renale [53]. Per contro, da alcuni studi clinici sono emersi effetti negativi del farmaco, come reazioni di ipersensibilità [58] e epatotossicità [59].
Nel corso degli ultimi anni, i progressi compiuti nella comprensione della struttura dell’enzima XO, uniti allo sviluppo di approcci razionali alla progettazione di farmaci (drug design) hanno portato alla scoperta di nuovi potenti inibitori XO di diversa natura chimica, tra cui flavonoidi e una serie di prodotti vegetali naturali [60] (full text) [61] [62] [63]. Un esempio di molecola uricostatica in fase di studio preclinico è 3,4- diidrossi – 5 – nitrobenzaldeide (DHNB) che ha dimostrato una potente attività inibitoria di XO e bassa tossicità nei topi, oltre ad attività antiossidante in vitro [64]. Sebbene XO rappresenti il target principale della terapia uricostatica, sono in corso anche studi di inibitori di enzimi a monte della via biosintetica dell’urato. È attualmente in fase II di sperimentazione clinica un inibitore dell’enzima purina nucleoside fosforilasi (PNP) denominato Ulodesine, identificato come analogo dello stato di transizione dell’enzima [65] (full text) [66]. L’inibizione di PNP riduce la conversione di nucleosidi a basi puriniche libere, substrati della via degradativa (vedi Figura 1).
Agenti uricosurici
Agenti uricosurici sono principalmente anioni organici a pH fisiologico (come l’urato) che inibiscono l’assorbimento cellulare di urato a livello della membrana apicale delle cellule prossimali del tubulo epiteliale. L’effetto netto è l’inibizione del riassorbimento dell’urato in circolo con conseguente ipouricemia e l’aumento dell’escrezione renale (iperuricosuria). Uno dei principali bersagli di questa terapia è lo scambiatore urato-anione URAT1, che è responsabile per la maggior parte del riassorbimento di urato dal lume tubulare renale. I farmaci uricosurici sono una opzione nel caso di controindicazione o intolleranza a farmaci uricostatici. Esempi di farmaci uricosurici sono Probenecid (acido p-dipropilsulfamilbenzoico) e Benzbromarone, quest’ultimo ritirato dal mercato in diversi paesi a causa di tossicità epatica [67]. A causa della somiglianza di sequenza dei trasportatori dell’urato è difficile ottenere un inibitore selettivo di uno solo di essi. Per esempio, il Probenecid, inizialmente introdotto con l’obiettivo di ridurre l’escrezione renale di antibiotici, in particolare penicillina, da studi in vitro risulta essere un inibitore non selettivo di diversi trasportatori (OAT4, URAT1, GLUT9, MRP4) [68].
Il rischio di un incremento dei livelli di escrezione di urato è ben illustrato dagli effetti collaterali della terapia uricosurica. L’utilizzo di questi farmaci aumenta la frequenza di calcoli renali, in particolare nei pazienti che producono un eccesso di urato. Lo sviluppo di calcoli renali causato da una elevata concentrazione urinaria di urato è un effetto collaterale comunemente documentato del Probenecid [69]. Tuttavia, gli agenti uricosurici possono fornire effetto additivo in combinazione con gli inibitori di XO poiché questi ultimi diminuiscono la secrezione urinaria di urato. Per esempio, Lesinurad è un nuovo agente uricosurico approvato dalla FDA nel dicembre 2015 per il trattamento di iperuricemia in combinazione con un inibitore della xantina ossidasi. Questo farmaco ha un effetto inibitorio su due trasportatori renali dell’urato, URAT1 e OAT4 [70]. Studi recenti hanno tuttavia indicato una interazione della molecola anche con altri trasportatori renali e epatici [71].
Agenti uricolitici
La base del trattamento uricolitico dell’iperuricemia è il ripristino della funzione di degradazione dell’urato assente nell’uomo per inattivazione evolutiva. Il trattamento prevede la somministrazione endovenosa di enzimi che promuovono la conversione metabolica di urato ad allantoina, molecola molto più solubile. È una terapia estremamente costosa che viene considerata in casi particolari, quali la sindrome da lisi tumorale (iperaccumulo di urato a seguito di trattamenti chemoterapici) o gotta refrattaria. Urato ossidasi (Uox, uricasi) da diverse fonti sono impiegate in farmaci uricolitici. Ad esempio l’enzima ricombinante dal fungo Aspergillus flavus espresso in cellule di lievito [72], noto come Rasburicasi. Questo farmaco approvato dalla FDA per il trattamento della sindrome da lisi tumorale dimostra un potente effetto di abbassamento dei livelli ematici di urato [73]. Tuttavia, uricasi non modificate sono altamente immunogeniche, e poco adatte a un utilizzo prolungato [74]. Per aumentare la biodisponibilità dell’enzima e ridurne l’immugenicità l’agente uricolitico viene modificato, tipicamente con il legame covalente di glicole polietilenico (PEG). Un esempio è il farmaco Pegloticase, una proteina PEGilata ricombinante, ottenuta dalla fusione delle sequenze Uox di babbuino e maiale [75] (full text). Il farmaco Pegloticase ha ottenuto l’approvazione della FDA per il trattamento della gotta cronica nei pazienti intolleranti o refrattari ai farmaci uricostatici o uricosurici disponibili [76] (full text) [77].
Il trattamento con uricasi ha il potenziale di indurre stress ossidativo da perossido di idrogeno, un sottoprodotto dell’ossidazione dell’urato. È stato però dimostrato che la presenza di alti livelli di catalasi negli eritrociti è in grado rimuove in modo efficace il perossido di idrogeno prodotto nel plasma dalla reazione di ossidazione dell’urato [76] (full text). Permangono tuttavia problemi nella terapia uricolitica cronica (es. sviluppo di anticorpi anti-PEG) che ne limitano la tollerabilità e l’efficacia [78]. L’utilizzo di altri enzimi della via uricolitica e di forme alternative di urato ossidasi [20] [79] (full text), potrebbe aiutare in futuro lo sviluppo di farmaci uricolitici più sicuri ed efficaci.
Una forma genetica di iperuricemia infantile: la sindrome di Lesch-Nyhan
La malattia di Lesch-Nyhan (LND) [30] è una sindrome rara (1:380.000), recessiva, legata al cromosoma X, dovuta a un difetto ereditario nel metabolismo delle basi puriniche. È causata da mutazioni del gene HPRT1 che diminuiscono o aboliscono del tutto l’attività catalitica della proteina ipoxantina guanina fosforibosil transferasi (HPRT; EC 2.4.2.8) [80], enzima chiave nella via di recupero delle purine [81]. Il mancato riciclo di ipoxantina e xantina ad opera di HPRT, fa sì che queste basi vengano degradate in misura maggiore ad acido urico (vedi Figura 1). Come conseguenza si ha un aumento della produzione di acido urico che si accumula nel plasma e nell’urina, subito dopo la nascita. A causa della sua scarsa solubilità, l’acido urico tende a precipitare a livello delle articolazioni e dei reni, provocando gotta giovanile e calcoli renali. I pazienti affetti da LND, inoltre, vanno incontro fin dai primi mesi di vita ad una serie di disturbi neurologici, motori e comportamentali, sempre più gravi, che hanno una connessione meno chiara con l’attività enzimatica di HPRT [31] (full text) [82] [83] (full text) [84] (full text).
La sovrapproduzione di urato è la manifestazione clinica di LND più chiaramente compresa e per la quale è previsto uno specifico trattamento farmacologico. Quest’ultimo consiste nell’impiego di farmaci uricostatici (es. allopurinolo) che, pur essendo efficaci nel ridurre l’eccesso di urato, non migliorano le manifestazioni neurologiche dei pazienti LND. Dal punto di vista biochimico, l’utilizzo di farmaci uricostatici in presenza di difetti del recupero delle purine non rappresenta una soluzione ideale. Infatti, contrastando la produzione di acido urico attraverso il blocco della degradazione di ipoxantina e xantina si ha un aggravamento dello squilibrio delle basi puriniche causato dalla mancanza dell’enzima HPRT. Nei pazienti trattati con allupurinolo si ha un aumento dell’escrezione di ipoxantina e xantina di circa 5-10 volte; la scarsa solubilità di xantina è causa frequente di problemi renali nei pazienti LND trattati con allopurinolo [85]. Al contrario, un trattamento uricolitico, oltre a diminuire i livelli di acido urico, può normalizzare la concentrazione dei metaboliti a monte nella via enzimatica, spostando l’equilibrio verso la loro degradazione. La terapia con Rasburicasi è stata recentemente sperimentata su un individuo con LND [86], nonostante il preparato enzimatico non sia una forma appropriata per l’uso prolungato.
Allo scopo di migliorare il trattamento dell’iperuricemia causata da carenza di HPRT, abbiamo recentemente proposto lo sviluppo di una terapia che prevede l’impiego dei tre enzimi che partecipano alla conversione dell’urato ad allantoina (progetto finanziato dalla Fondazione Telethon). Questo tipo di trattamento è preferibile in un terapia enzimatica prolungata della iperurcemia per garantire una efficiente conversione dell’urato ad allantoina senza l’accumulo di intermedi tossici [29] (full text). Un complesso enzimatico di enzimi uricolitici (Uox, Urah, Urad) è stato recentemente ottenuto nei nostri laboratori in forma attiva e adatta per la somministrazione (Ronda, L. et al., manoscritto in preparazione). Questi risultati suggeriscono che il ripristino di una via completa per la degradazione dell’urato grazie alla somministrazione di enzimi uricolitici modificati può essere realizzato, e aprono la strada a test sui modelli animali della malattia.
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