Malattie Metaboliche e Rene 2016 - Articoli originali

Il diabete steroideo: inquadramento e gestione

Abstract

Il diabete steroideo si manifesta nel 20% (range 10- 60%) delle persone trattate con corticosteroidi. Spesso la diagnosi di diabete steroideo sfugge o è tardiva perché la sensibilità diagnostica della glicemia a digiuno è bassa, pertanto la glicemia post-prandiale deve sempre essere monitorata e la diagnosi dovrebbe essere effettuata clinicamente sulla base della glicemia 2 ore dopo il pranzo o dopo carico glucidico.

Il diabete steroideo causa aumento dei ricoveri per complicanze diabetiche acute specifiche; esistono pochi dati sulle complicanze croniche. La terapia steroidea aumenta le complicanze macrovascolari nei diabetici, mentre globalmente non aumenta la mortalità. Tuttavia nei soggetti sottoposti a trapianto di organi solidi il diabete steroideo determina aumento del 60% dei rigetti, del 90% della mortalità e del 150% dei costi annuali e peggiora nettamente la prognosi nella AGVHD nei trapianti di midollo osseo.

I corticosteroidi hanno azioni negative sull’insulino- resistenza a livello muscolare, epatico ed adiposo e sulla secrezione insulinica; l’iperglicemia è prevalentemente postprandiale, pomeridiana e serale.

Non esistono sufficienti prove di efficacia di terapie specifiche in studi randomizzati controllati e la terapia si basa sulla fisiopatologia, sui meccanismi d’azione dei farmaci, sull’esperienza. Sono criteri di scelta la patologia di base, il tipo e la dose del corticosteroide, le modalità di somministrazione, l’entità dell’iperglicemia, il peso corporeo, le possibili controindicazioni specifiche. I nuovi farmaci antidiabetici possono aprire prospettive terapeutiche, ancora comunque da esplorare con studi ad hoc.

L’uso dell’insulina in dosi singole o multiple, con combinazioni di insuline diverse, è frequentemente necessario.

Parole chiave: diabete secondario, diabete steroideo, glucocorticoidi

 

Introduzione

I farmaci corticosteroidei sono stati introdotti nella pratica clinica nel 1950 [1], gli effetti sul metabolismo glucidico sono stati rapidamente individuati e studiati [2] e dall’epoca vi è stato un crescente numero di pubblicazioni scientifiche sul diabete steroideo [3] (full text), volte soprattutto a studiarne i meccanismi patogenetici principalmente attribuiti all’insulino- resistenza indotta dai glucocorticoidi a livello del fegato, dei muscoli e del tessuto adiposo.

Le indicazioni terapeutiche dei farmaci corticosteroidei sono molte: sia per l’utilizzo a breve termine: riacutizzazione di bronchite cronica, gotta acuta, protocolli di chemioterapia, meningite batterica, maturazione polmonare fetale in gravidanza, anafilassi; sia per l’utilizzo a lungo termine: artrite reumatoide, lupus, arterite giganto- cellulare, polimialgia reumatica, glomerulonefriti, vasculiti, linfoma, mieloma multiplo, polmonite interstiziale idiopatica, polmoniti da ipersensibilità, sarcoidosi, miastenia grave, sclerosi multipla, malattie infiammatorie intestinali, epatiti autoimmuni, trapianti [4] [5] (full text).

Il diffuso utilizzo terapeutico dei corticosteroidi rende il diabete da essi indotto o gli effetti negativi sul compenso glicemico nei diabetici problemi clinicamente ed epidemiologicamente rilevanti, sia per i diabetologi che per tutti gli specialisti che utilizzano tali farmaci.

Definizione, classificazione, diagnosi e fattori di rischio

Il diabete steroideo si definisce come un aumento anormale della glicemia associato con l’uso di farmaci corticosteroidei in pazienti con o senza una storia precedente di diabete (diabete indotto da steroidi di nuova insorgenza, NOSID new onset steroid-induced diabetes).
Il termine diabete di nuova insorgenza dopo trapianto (new onset diabetes after transplant, NODAT) è utilizzato per descrivere i pazienti in cui il diabete si manifesta per la prima volta dopo un trapianto. La difficoltà nel conoscere e diagnosticare in modo adeguato la presenza di diabete prima del trapianto ha recentemente portato una consensus di esperti ad unificare ogni diabete diagnosticato dopo un trapianto nel termine più generale post-transplantation diabetes mellitus (PTDM) [6] (full text). Nella classificazione eziologica del diabete mellito (IDF 2006, ADA 2014) recepita anche dagli Standard Italiani per la cura del diabete mellito 2014 di AMD e SID [7] il diabete steroideo appartiene al gruppo altri tipi di diabete, sottogruppo diabete indotto da farmaci o sostanze tossiche.

La diagnosi di diabete steroideo non è facile ed è oggetto di discussione, poiché gli abituali criteri diagnostici per il diabete (Tabella 1) [7] non sono adeguati né sufficientemente sensibili per formularla. È stato infatti ad esempio osservato che il 42% dei soggetti nefropatici [8] ed il 50% dei soggetti con patologie neurologiche [9] in trattamento cronico con steroidi avevano glicemie postprandiali > 200 mg/ dl pur in presenza di glicemie a digiuno < 100 mg/ dl. Si suggerisce pertanto di porre la diagnosi clinicamente sulla base della glicemia 2 ore dopo il pranzo [7]. In questa prospettiva e con l’obiettivo di evitare la omissione della diagnosi di diabete steroideo è stato anche suggerito un algoritmo diagnostico che prevede di misurare la glicemia a digiuno e postprandiale in tre giorni consecutivi in ogni soggetto non diabetico che sia stato trattato con corticosteroidi per più di una settimana, ponendo come soglia diagnostica una glicemia postprandiale di 150 mg/ dl [10]. I soggetti euglicemici dovrebbero comunque ripetere settimanalmente la glicemia a digiuno e postprandiale per un mese. Nel caso specifico del diabete post trapianto una consensus di esperti ha suggerito, con le dovute cautele, l’utilizzo diagnostico anche della Hb A1c, in considerazione della scarsa sensibilità della glicemia a digiuno nel contesto specifico e delle difficoltà nell’utilizzo nella pratica clinica dell’oral glucose tolerance test (OGTT), ritenuto comunque il gold standard [6] (full text).

La diagnostica precoce può anche essere più efficace se si considerano i fattori di rischio per lo sviluppo di diabete steroideo. Per tutti i pazienti essi sono: la dose dello steroide, la durata del trattamento, il trattamento continuativo e non a boli, l’età, il sesso maschile, l’indice di massa corporea elevato, la pregressa ipotolleranza ai carboidrati, la familiarità per diabete, la razza nera. Per i soggetti sottoposti a trapianti si aggiungono la presenza dei genotipi HLA A30, B27, Bw42, il trapianto di rene da cadavere, l’infezione da HCV [11].

Epidemiologia

L’impatto assistenziale del diabete steroideo è elevato. È stato calcolato che dal 40% al 56% delle consulenze endocrinologiche in grandi ospedali di insegnamento siano dovute a diabete steroideo di nuova diagnosi o a diabete tipo 2 scompensato per uso di steroidi [4] [12]. Una stima reale del rischio di diabete steroideo è difficile perché i pazienti sono trattati con farmaci diversi, durate di trattamento e dosi diverse. Inoltre la suscettibilità al diabete è diversa nei singoli per età, predisposizione genetica al diabete, patologia in trattamento, presenza di comorbilità. Va inoltre ricordato che spesso il diabete steroideo è sottostimato perché si valuta solo la glicemia a digiuno. Da tutto ciò deriva una discreta disomogeneità nei dati epidemiologici di prevalenza ed incidenza.

Secondo la metanalisi di Xiao-Xia Liu [13] (13 studi di cui 10 retrospettivi e 3 prospettici su popolazioni di pazienti con patologie eterogenee) sviluppano iperglicemia il 32% dei pazienti trattati con corticosteroidi e diabete il 18.6%. Studi diversi hanno evidenziato odds ratios per lo sviluppo di diabete variabili fra 1.36 (IC 95% 1.10- 1.69) e 2.31 (IC 95% 2.11-2.54)[14]. Uno studio di incidenza del diabete steroideo su database amministrativi di una vasta popolazione ambulatoriale ha dimostrato un aumento significativo della incidenza di diabete in pazienti trattati con terapia orale, ma non nei pazienti trattati con terapia iniettiva, inalatoria, topica od oculare (Figura 1) [15]. Nei pazienti trattati con terapia steroidea inalatoria, nonostante una incidenza di diabete globale simile o solo lievemente aumentata rispetto ai controlli, esiste una correlazione fra le dosi di steroide e l’incidenza di diabete [16] (full text) [17].

Nelle neoplasie ematologiche trattate con corticosteroidi l’incidenza cumulativa di diabete raggiunge il 34.3% che sale al 49.9% se si aggiunge l’iperglicemia postprandiale isolata. L’incidenza è talora tardiva: 45.5% fra la seconda e la quarta settimana di trattamento e 54.5% fra la V e la VIII settimana (Figura 2) [18] (full text).

In un gruppo di 127 pazienti con LES trattati con alte dosi di steroidi in un unico centro, la prevalenza del diabete è stata il 12.6% [19].
Secondo dati nordamericani il 66% dei trapiantati di rene non diabetici manifesta iperglicemia con necessità di terapia insulinica nella degenza post-trapianto, l’incidenza cumulativa di diabete post trapianto stabilizzato ad un anno è del 15-30 % [20] (full text)[21] (full text) e successivamente il 4-6% dei trapiantati diventa diabetico ogni anno [22] (full text). Il rischio relativo di diabete è 5-6 rispetto ai pazienti in lista di attesa. L’iperglicemia durante la degenza è associata ad un aumento di 4 volte del diabete post trapianto stabile[23]. Un studio eseguito a Singapore indica una incidenza cumulativa di diabete post trapianto di rene del 15.8% ad un anno, del 22.8% a due anni e del 24.6% a 3 anni [24] (full text). Dati più recenti indicano una incidenza cumulativa di diabete post trapianto di rene a 10 settimane del 17% [25] e totale del 32% [26].

Sulla base dei dati disponibili l’incidenza cumulativa di diabete dopo trapianto di fegato è del 24% dopo 6 mesi [27], quella dopo trapianto di cuore del 15.7% a 27 mesi [28] e quella dopo trapianto di polmone del 60% [29].
Infine nei pazienti in cure palliative, che ricevono terapia steroidea nel 30- 60% dei casi, la prevalenza di diabete steroideo sintomatico è del 3%, di diabete steroideo diagnosticato con glicemia random > 199 mg/ dl del 31%, di diabete steroideo diagnosticato con glicemia a digiuno ≥ 126 mg/ dl del 11% [7] [30] [31].

Il significato prognostico del diabete steroideo

Il diabete steroideo non sembra essere complicato da microangiopatia e presenta complicanze macroangiopatiche in percentuali analoghe al diabete tipo 2. Tuttavia la terapia steroidea aumenta le complicanze macroangiopatiche nel diabete tipo 2 [32] (full text)ma non ha effetti negativi sulla mortalità (hazard ratio 1.39; IC 95% 0.92–2.11, corretto per età e sesso, fattori di rischio, complicanze e cancro) [33] (full text). Per altro i diabetici con broncopneumopatia cronica ostruttiva trattati con corticosteroidi ad alte dosi hanno un numero più elevato di ospedalizzazioni per complicanze del diabete rispetto a quelli non trattati (subhazard ratio 1.94; IC 95% 1.14–3.28); l’eccesso di ricoveri non è significativo per i diabetici trattati con dosi più basse di steroidi [34].

Il diabete insorto dopo il trapianto di rene ha invece un importante significato prognostico negativo [23]: causa un aumento del 60% del rigetto [HR 1.63 (95% CI 1.46–1.84)] e un aumento del 90% della mortalità [HR 1.87 (1.60–2.18)] [21] (full text). Inoltre causa un aumento dei costi annuali da $ 15000 a $ 36500 per paziente [22] (full text) ed è gravato dalle complicanze acute e croniche del diabete: chetoacidosi, iperosmolarità, complicanze oftalmiche, complicanze neurologiche [35]. Anche altri studi confermano una ridotta sopravvivenza dell’organo [24] (full text) ed un aumento della mortalità [36] [37] (full text).

Nel diabete post trapianto di fegato, in una casistica pubblicata, appaiono aumentate solo le complicanze cardiovascolari [27].
Le alterazioni glicemiche indotte dalla terapia steroidea nei pazienti affetti da graft-versus-host disease acuta (AGVHD) dopo trapianto di midollo osseo influenzano negativamente la prognosi: la glicemia massima e media, la deviazione standard dei valori glicemici (indice di variabilità glicemica) e l’ipoglicemia predicono la mortalità globale [38] (full text).

Effetti metabolici dei glucocorticoidi e peculiarità cliniche del diabete steroideo

I glucorticoidi esercitano la loro azione iperglicemizzante con meccanismi diversi:

  • riducono la sensibilità all’insulina, sia in acuto [39] che in cronico [40] (full text) in modo dose dipendente a partire da dosi non elevate di farmaco [41] a livello del fegato, dei muscoli e del tessuto adiposo.
  • hanno una azione diretta negativa sulla secrezione insulinica a livello della beta cellula, aumentano la secrezione di glucagone, agiscono sull’asse delle incretine (Tabella 2).

In particolare

  • A livello epatico dosi farmacologiche di glucocorticoidi aumentano la produzione epatica di glucosio, prevalentemente per aumento della gluconeogenesi dovuto all’azione favorente l’espressione della glucosio-6-fosfatasi e della fosfoenolpiruvato-carbossilasi (PEPK), ed all’aumentata disponibilità di substrati, conseguente ad aumentata proteolisi e lipolisi periferica. Inoltre potenziano l’effetto di altri ormoni contro-regolatori, il glucagone e l’adrenalina. L’effetto inibitore dell’insulina su questi processi può ridursi fino al 50 % in presenza di steroidi [42] [43].
  • La captazione del glucosio a livello muscolare è il principale meccanismo della regolazione da parte dell’insulina della glicemia postprandiale. L’insulina agisce direttamente sui processi fosforilativi post-recettoriali a cascata [44] e indirettamente favorendo il reclutamento capillare a livello del tessuto muscolare, per la sua azione vasodilatatrice legata al rilascio di ossido nitrico dalle cellule endoteliali [45] [46] (full text). Questo fenomeno espande la superficie disponibile per lo scambio di nutrienti. I corticosteroidi non solo inibiscono la cascata fosforilativa successiva al legame insulina- recettore [47], ma hanno anche un meccanismo indiretto di induzione di insulino- resistenza a livello muscolare attraverso l’azione litica lipidica e proteica, che causa un aumento dei livelli circolanti di acidi grassi e di aminoacidi, che può essere anch’essa responsabile di una riduzione dell’azione insulinica sulla captazione del glucosio [48] [49][50] (full text) [51] (full text). Inoltre la microscopia capillare ha documentato un effetto dose-correlato di inibizione del reclutamento capillare prima citato [52] da parte dei corticosteroidi. Tutti questi fenomeni comportano l’effetto iperglicemizzante prevalentemente post prandiale della terapia steroidea osservato comunemente nella pratica clinica. Nell’uso prolungato di corticosteroidi la captazione del glucosio è ulteriormente ridotta per la riduzione della massa muscolare per atrofia [53].
  • A livello adiposo i corticosteroidi antagonizzano l’azione insulinica di stimolazione della captazione di glucosio [54] e di inibizione della lipolisi con conseguenti iperglicemia ed aumento degli acidi grassi liberi circolanti [43]: questi fenomeni, seppure in misura ridotta, contribuiscono alla iperglicemia. Inoltre i corticosteroidi inducono insulino- resistenza favorendo l’aumento del grasso viscerale [55] (full text) e determinano un profilo diabetogeno nella produzione di citochine: riduzione di adiponectina, TNF α, IL-6, aumento di resistina e leptina [56].
  • A livello dell’insula pancreatica la somministrazione di glucocorticoidi acutamente riduce la fase precoce di risposta insulinica allo stimolo con glucosio e la secrezione di insulina indotta da arginina [57] (full text), mentre il trattamento prolungato, soprattutto in soggetti geneticamente predisposti, riduce la capacità della beta-cellula di rispondere con un adeguato aumento di produzione alla insulino-resistenza tessutale indotta dagli steroidi stessi [58] [59] (full text). Studi in vitro hanno evidenziato una riduzione sia della secrezione sia della sintesi di insulina, anche con apoptosi delle cellule beta pancreatiche[57] (full text) [60] [61] (full text). Inoltre il trattamento prolungato con corticosteroidi induce un aumento dose-dipendente della secrezione di glucagone a digiuno e postprandiale [43][62] con conseguente aumento della gluconeogenesi e glicogenolisi epatica. Infine alcuni dati preliminari indicano che nell’uomo il trattamento infusionale steroideo non tanto riduce le concentrazioni ematiche del GLP- 1, ma ne diminuisce l’effetto sulla secrezione insulinica indotta dal glucosio [63] [64] [65] [66].

Nel caso specifico del diabete mellito insorto dopo un trapianto le azioni metaboliche iperglicemizzanti degli altri farmaci immunosoppressori si aggiungono a quelle dei corticosteroidi. In particolare: gli inibitori della calcineurina aumentano l’insulino- resistenza a livello muscolare, riducono la secrezione insulinica ed in alcuni modelli animali hanno dimostrato di essere tossici per la cellula beta pancreatica, gli inibitori del mTOR inducono insulino- resistenza con ridotta soppressione della produzione epatica di glucosio, causano depositi ectopici di trigliceridi correlabili alla insulino- resistenza, hanno una tossicità diretta sulla cellula beta [23].

Gli effetti metabolici dei corticosteroidi, uniti alle caratteristiche farmacocinetiche delle singole molecole, spiegano gli andamenti specifici del profilo glicemico circadiano nel diabete steroideo (Tabella 3) [11], che determinano la necessità di un approccio terapeutico specifico rispetto ad altri tipi di diabete. Uno studio di monitoraggio continuo della glicemia (CGMS) in pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) [67] ha raffrontato tre gruppi di pazienti: soggetti con BPCO non diabetici ricoverati per motivi diversi non trattati con steroidi (gruppo 1), soggetti con BPCO non diabetici ricoverati per riacutizzazione bronchitica e trattati con prednisolone (gruppo 2), soggetti con BPCO diabetici ricoverati per riacutizzazione e trattati con prednisolone (gruppo 3). Nei soggetti del gruppo 2 il CGMS ha evidenziato in circa il 50% almeno una glicemia di 200 mg/dl, ma il rialzo glicemico complessivo rispetto al gruppo 1 era lieve, soprattutto pomeridiano e nessuno dei soggetti studiati ha manifestato glicemie medie superiori a 180 mg/dl. Invece nel gruppo 3 la glicemia durante CGMS si alzava lievemente dopo la prima colazione e significativamente nel pomeriggio e soprattutto dopo la cena. L’effetto del prednisolone svaniva durante la notte con concentrazioni glicemiche medie quasi identiche nei gruppi 1 e 2 tra le ore 24 e le ore 12 ed una lieve iperglicemia notturna con valore minimo alle 8 nel gruppo 3.

La terapia del diabete indotto da corticosteroidi

Non esistono al momento prove da studi randomizzati e controllati che indichino quali farmaci ipoglicemizzanti e regimi terapeutici siano più efficaci nell’ottenere il compenso glicemico e nel ridurre le complicanze nei pazienti con iperglicemia indotta da corticosteroidi o nel post trapianto di organi solidi [68]. Pertanto l’approccio terapeutico si basa fondamentalmente sulla fisiopatologia, sul meccanismo d’azione dei diversi farmaci, sull’esperienza clinica.
Un adeguato inquadramento globale del paziente è indispensabile per una impostazione corretta della terapia: conoscere la patologia che rende necessaria la terapia steroidea, la presenza di precedente intolleranza ai carboidrati, il tipo la dose e la frequenza di somministrazione del farmaco corticosteroideo, le sue caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche, la durata prevista del trattamento, proporsi gli obiettivi glicemici utili per il singolo paziente [11].
I punti fondamentali da considerare sono, da una parte, la durata d’azione dei diversi farmaci steroidei e la conoscenza dei profili glicemici circadiani specifici che questi farmaci determinano, dall’altra, i meccanismi di azione, la efficacia prevalente sulla glicemia a digiuno o postprandiale e gli effetti indesiderati dei farmaci ipoglicemizzanti.
Gli obiettivi glicemici generali da perseguire nelle diverse situazioni sono riassunti nella Tabella 4 [11] [31] [69], posta la imprescindibile premessa che essi sono da rapportare sempre al quadro clinico generale del paziente, alla patologia di base, alla prognosi, alle terapie concomitanti.
I possibili vantaggi e svantaggi dei diversi farmaci ipoglicemizzanti nel trattamento del diabete steroideo sono riassunti nella Tabella 5 [11].
È difficile fornire schemi predeterminati di terapia.
In linea generale è consigliabile, in considerazione soprattutto della prevalente iperglicemia postprandiale, pomeridiana e serale [11] [70] [71]:

  • Utilizzare ipoglicemizzanti orali se la glicemia pre-prandiale è ≤200 mg/ dl.
  • Utilizzare insulina se la glicemia pre-prandiale è >200 mg/ dl.
  • Utilizzare ipoglicemizzanti a breve durata di azione se si utilizzano steroidi con durata d’azione intermedia.
  • Utilizzare ipoglicemizzanti a lunga durata di azione se si utilizzano steroidi con durata d’azione prolungata o intra-articolari.
  • Utilizzare insuline a durata d’azione intermedia somministrate al mattino se si utilizzano steroidi con durata d’azione intermedia, titolando la dose sulla glicemia prima di cena con aumenti del 20% ogni 2-3 giorni.
  • Se sono necessarie due somministrazioni di insulina intermedia somministrare 2/3 al mattino ed 1/3 alla sera, titolando la dose rispettivamente sulla glicemia prima di cena e a digiuno al mattino, con aumenti del 20% ogni 2-3 giorni.
  • Utilizzare insuline a lunga durata d’azione, se si utilizzano steroidi a lunga dura d’azione o intra-articolari, titolando sulla glicemia prima di cena e/ o a digiuno con aumenti del 20% ogni 2-3 giorni.
  • Spesso è necessario utilizzare analoghi rapidi ai pasti per controllare in modo adeguato l’iperglicemia post- prandiale, associati o meno ad una insulina basale.
  • La dose iniziale di insulina intermedia o a lunga durata è calcolabile sulla base della dose del farmaco corticosteroideo:
    • prednisone 10 mg/ die, insulina intermedia 0.1 unità/ kg/ die;
    • prednisone 20 mg/ die, insulina intermedia 0.2 unità/ kg/ die;
    • prednisone 30 mg/ die, insulina intermedia 0.3 unità/ kg/ die;
    • prednisone ≥40 mg/ die, insulina intermedia 0.4 unità/ kg/ die;
    • betametasone 2 mg/ die, insulina a lunga durata 0.1 unità/ kg/ die;
    • betametasone 4 mg/ die, insulina a lunga durata 0.2 unità/ kg/ die;
    • betametasone 6 mg/ die, insulina a lunga durata 0.3 unità/ kg/ die;
    • betametasone ≥8 mg/ die, insulina a lunga durata 0.4 unità/ kg/ die;
  • Quando si utilizza uno schema insulinico basal- bolus in pazienti trattati con corticosteroidi comunemente è presente un maggior fabbisogno di insulina prandiale rispetto all’insulina basale (in media 75% del fabbisogno insulinico totale come insulina prandiale e 25% come basale).

Considerazioni conclusive

La problematiche cliniche, assistenziali ed economiche determinate dal diabete mellito indotto da corticosteroidi sono molteplici.
Il diabete steroideo è una patologia frequente, che si manifesta mediamente nel 20% (range 10- 60%) delle persone trattate per periodi prolungati con terapia corticosteroidea; il rischio di sviluppare diabete è circa il doppio rispetto ai non trattati. La diversa incidenza in situazioni e persone diverse è legata alla patologia di base, alle dosi, modalità e via di somministrazione della terapia, alla durata del trattamento, all’età, al sovrappeso, alla familiarità per diabete. Spesso la diagnosi di diabete steroideo sfugge o è tardiva perché la sensibilità della glicemia a digiuno per la diagnosi è bassa, pertanto la glicemia post-prandiale deve sempre essere monitorata nei pazienti in terapia corticosteroidea e la diagnosi di diabete mellito indotto da steroidi dovrebbe essere effettuata clinicamente sulla base della glicemia 2 ore dopo il pranzo o dell’OGTT. L’impatto assistenziale del diabete steroideo è legato all’ aumento dei ricoveri a motivo di complicanze acute specifiche mentre esistono pochi dati sulle complicanze specifiche croniche del diabete steroideo, in relazione anche ai periodi generalmente non lunghi di esposizione alla malattia. È tuttavia noto che la terapia steroidea aumenta le complicanze macrovascolari nei diabetici, mentre globalmente non sembra aumentare la mortalità. Nei soggetti sottoposti a trapianto di organi solidi il diabete steroideo determina aumento del 60% dei rigetti, del 90% della mortalità e del 150% dei costi annuali (nel trapianto di rene) e peggiora nettamente la prognosi nella AGVHD nei pazienti trattati con trapianto di midollo osseo.
La terapia corticosteroidea è diabetogena per azioni negative dei farmaci sulla insulino- resistenza a livello muscolare, epatico e del tessuto adiposo e sulla secrezione insulinica (diretta sull’insulina e attraverso l’asse incretinico) e causa iperglicemia prevalentemente postprandiale pomeridiana e serale, anche in relazione alla farmacocinetica dei farmaci somministrati. Da qui la necessità di un approccio terapeutico specifico e mirato. Poiché non esistono sufficienti prove di efficacia di terapie specifiche in studi randomizzati controllati la terapia si basa sulla fisiopatologia, sui meccanismi d’azione dei farmaci, sull’esperienza. Sono criteri di scelta dei farmaci la storia del paziente, il peso corporeo, la patologia di base, il tipo e la dose del corticosteroide, le modalità di somministrazione, l’entità dell’iperglicemia, le possibili controindicazioni specifiche all’uso di ipoglicemizzanti di una classe. I nuovi farmaci antidiabetici possono aprire prospettive terapeutiche alternative, ancora comunque da esplorare con studi ad hoc.

L’uso dell’insulina in dosi singole o multiple, con combinazioni di insuline diverse, è frequentemente necessario, per la difficoltà nel controllo adeguato delle oscillazioni della glicemia circadiana.

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Tabella 1
Criteri diagnostici del diabete mellito
In presenza di sintomi tipici della malattia (poliuria, polidipsia e calo ponderale), la diagnosi di diabete è posta con il riscontro, anche in una sola occasione di:

  • glicemia casuale ≥200 mg/dl (indipendentemente dall’assunzione di cibo).
In assenza dei sintomi tipici della malattia la diagnosi di diabete deve essere posta con il riscontro, confermato in almeno due diverse occasioni di:

  • glicemia a digiuno ≥126 mg/dl (per digiuno si intende almeno 8 ore di astensione dal cibo)

oppure

  • glicemia ≥200 mg/dl 2 ore dopo carico orale di glucosio (eseguito con 75 g)

oppure

  • HbA1c ≥48 mmol/ mol (6,5%) (a condizione che il dosaggio dell’HbA1c sia standardizzato, allineato IFCC (International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine) e che si tenga conto dei fattori che possono interferire con il dosaggio).
Tabella 2
Principali azioni metaboliche dei corticosteroidi
Aumento dell’insulino resistenza:

  • Fegato: neoglucogenesi, aumento output epatico
  • Muscolo: azioni dirette ed indirette sulla captazione del glucosio, proteolisi
  • Tessuto adiposo: ridotta captazione di glucosio, aumento lipolisi
Riduzione della secrezione insulinica

  • Insule
  • Asse incretinico
Aumento della secrezione di glucagone
Alterazioni della funzionalità microvascolare: ridotto reclutamento capillare
Tabella 3
Effetti sul profilo glicemico circadiano dei principali farmaci corticosteroidi

Farmaco Farmacocinetica Effetto sulla glicemia
Prednisone, Metilprednisolone Picco 4- 6 ore

Durata 12- 16 ore

Somministrazione mattutina :

  • iperglicemia post- prandiale pomeridiana e serale
  • normoglicemia a digiuno

Dosi divise: iperglicemia anche in altre ore ma prevalentemente post prandiale

Desametasone Durata maggiore di 24 ore Iperglicemia di durata oltre 24 ore, ma lieve discesa nella notte
Triamcinolone intrarticolare
  • Iperglicemia dopo 2 ore
  • Picco fra 2 e 24 ore
  • Durata media 2-3 giorni, massima 5 giorni
Tabella 4
Obiettivi glicemici generali nel diabete steroideo

Terapia steroidea di breve durata Terapia steroidea di lunga durata
Glicemia prima di cena < 140 mg/ dl Glicemia pre-prandiale < 130 mg/ dl
Evitare ipoglicemia prima di pranzo Glicemia post prandiale < 180 mg/ dl
Evitare ipoglicemia a digiuno Hb A1c < 7%
Cure palliative: glicemia 180- 360 mg/ dl
Tabella 5
Vantaggi e svantaggi di diversi farmaci ipoglicemizzanti nel diabete steroideo

Farmaco Vantaggi Svantaggi
Metformina
  • Azione insulino-sensibilizzante
  • Non ipoglicemia
  • Sicurezza
  • Inizio di azione lento
  • Necessità di titolare per favorire la tolleranza
  • Effetto principale sulla glicemia a digiuno
  • Controindicata in insufficienza renale e stati ipossici
  • Efficacia non prevedibile
Sulfoniluree
  • Inizio di azione immediato
  • Durata di azione prolungata (24 h)
  • Azione prevalente su glicemia a digiuno
  • Rischio moderato- alto di ipoglicemia
  • Efficacia non prevedibile
Repaglinide
  • Inizio di azione immediato
  • Durata di azione breve (4-6 h)
  • Effetto prevalente su iperglicemia post- prandiale
  • Rischio moderato di ipoglicemia
  • Efficacia non prevedibile
Pioglitazone
  • Azione insulino-sensibilizzante
  • Non induce ipoglicemia
  • Inizio di azione molto lento (4-6 settimane)
  • Azione prevalente sulla glicemia a digiuno
  • Ritenzione di liquidi, scompenso cardiaco
  • Efficacia non prevedibile
Gliptine
  • Inizio di azione immediato
  • Effetto prevalente su iperglicemia post- prandiale
  • Non ipoglicemia
  • Utilizzabili in insufficienza renale (modalità d’uso specifiche per le singole molecole)
  • Esperienza limitata
  • Efficacia non prevedibile
Agonisti del recettore del GLP-1
  • Inizio di azione immediato
  • Effetto prevalente su iperglicemia post- prandiale
  • Non ipoglicemia
  • Nausea e vomito iniziali
  • Necessità di titolare per favorire la tolleranza
  • Somministrazione sottocutanea
  • Esperienza limitata
  • Efficacia non prevedibile
Insulina
  • Efficace sempre
  • Rischio alto di ipoglicemia
  • Somministrazione sottocutanea
  • Spesso dosi quotidiane multiple, con necessità di autocontrollo glicemico frequente