Introduzione
La nefropatia diabetica è la principale causa di insufficienza renale terminale (End Stage Renal Disease, ESRD) in molti paesi del mondo [1] (full text). Un esempio paradigmatico è rappresentato dagli Stati Uniti, dove il diabete è di gran lunga la principale causa di dialisi con una continua crescita fino al 2000, con circa 170 pazienti incidenti /anno/milione di abitanti (45% dei dializzati incidenti). Dal 2005 si è osservata una lieve e progressiva discesa (1-4% /anno) [2]. Dati simili si osservano in Estremo Oriente, Sud America e Australia, mentre l’incidenza è minore nei paesi Europei, specie meridionali, inclusa l’Italia (circa 120 pazienti incidenti/anno/milione di popolazione e 20-25% dei dializzati incidenti) [3] [4] (full text) [5]. La crescita osservata concorda con il progressivo aumento dell’incidenza di diabete nella popolazione di tutto il mondo [6]. Anche analizzando i pazienti prevalenti in dialisi, il diabete è ancora di più la causa principale anche per l’aumentata sopravvivenza dei pazienti in terapia sostitutiva [2] [7] (full text). Tuttavia è interessante sottolineare che l’incidenza di ESRD nei pazienti diabetici è in continua diminuzione dal 1998 con un decremento annuale del 2-4%, verosimilmente in conseguenza del continuo miglioramento dei provvedimenti terapeutici utilizzati in questi pazienti [8] [9] (full text).
Nonostante la sopravvivenza in dialisi dei pazienti diabetici sia significativamente ridotta rispetto ai pazienti con altre patologie (-20/30%) [10] [11], essa tende nel tempo ad avvicinarsi sempre di più a quella dei pazienti non diabetici [7] (full text). I principali fattori indipendenti di rischio di mortalità sono le complicanze macrovascolari e il piede diabetico, l’anormale controllo glicemico, la dislipidemia e l’ipertensione arteriosa, fattori che sono analizzati a seguire.
Comorbidità cardiovascolari
Le complicanze cardiovascolari sono 2-3 volte più frequenti nei diabetici in dialisi, in particolare le malattie vascolari periferiche e il piede diabetico, (15-50%), le malattie coronariche (20-40%), lo scompenso cardiaco (10-30%) e le malattie cerebrovascolari (15-16%) [12] (full text) [13] [14] (full text) [15] (full text) [16]. Anche la fibrillazione atriale è molto frequente (15-30%) [12] (full text) [17]. Le complicanze cardiovascolari favoriscono, come atteso, il rischio di mortalità con un hazard ratio aggiustato per le altre variabili tra 1,2 e 4,2 [12] (full text) [13] [15] (full text) [16] [17] [18] [19]. Il rischio di morte aumenta con il numero delle comorbidità cardiovascolari e l’hazard ratio è 2-3 volte maggiore se sono presenti tre complicanze [13].
Nei diabetici in dialisi lo sviluppo di nuove comorbidità cardiovascolari è maggiore in caso di cattivo controllo glicemico e cioè per emoglobina glicata ≥7% (aHR 2,6) [20].
Anormale controllo glicemico
a) Valori ottimali di HbA1c
L’emoglobina glicata rimane, nonostante alcune critiche, un parametro fondamentale nel predire la mortalità dei pazienti diabetici in dialisi e quindi per guidare la terapia[21]. Questa affermazione condivisa dalla maggior parte degli autori, è valida pure a fronte di due importanti bias osservati nei diabetici in dialisi. Il primo bias deriva da un riscontro di HbA1c abnormemente basse a causa dell’uremia e dell’anemia nonchè della malnutrizione. Il secondo bias deriva da un miglioramento del controllo glicemico a causa dell’emivita aumentata dell’insulina, della riduzione della resistenza insulinica e della gluconeogenesi renale e in seguito alla presenza di tossine uremiche con un effetto “antidiabetico” (fenomeno del Burnt Out Diabetes) [22] [23].
A causa dei bias sopra riportati le linee guida valide nei diabetici con funzione renale normale o poco compromessa non si applicano ai pazienti in dialisi. Infatti, nei pazienti diabetici non in ESRD, le complicanze vascolari e la mortalità aumentano significativamente per valori di emoglobina glicata >6,5-7%, mentre nei dializzati ciò accade per valori ≥8- 9% ma anche per valori al di sotto del 5-6% come è stato osservato in studi promossi da grandi organizzazioni dialitiche americane [21] [24] (full text) [25] (full text)[26]. Valori di emoglobina glicata ≥ 8% si associano anche ad una maggiore frequenza di morte improvvisa [27] (full text); l’elevata variabilità glicemica si associa anche ad un maggior rischio di ospedalizzazione per ipoglicemia [28].
In conclusione, nei diabetici in dialisi, i valori accettabili di HbA1c si situano tra 7% e 8%.
b) Terapia antidiabetica ottimale (Tabella 1, Tabella 2)
Tradizionalmente l’insulina è considerata l’agente antidiabetico meglio tollerato in dialisi, anche se frequentemente responsabile di crisi ipoglicemiche, che rendono necessaria una riduzione delle dosi [26] [29] [29] [30] (full text) [31] [32].
Quasi tutti gli ipoglicemizzanti orali richiedono un adeguamento del dosaggio per l’accumulo in circolo del farmaco o dei suoi metaboliti a causa dell’assenza di funzione renale [26] [29] [30] (full text) [31] [32]. È necessario evitare l’utilizzo di alcuni farmaci, quali le sulfoniluree di prima generazione, alcune sulfoniluree di seconda generazione (glimepiride e gliburide), gli inibitori dell’alfaglucosidasi, la nateglinide, l’exenatide, la metformina in emodialisi e ovviamente gli inibitori del SGLT2 che, determinando una cospicua glicosuria, richiedono una buona funzione renale [26] [29] [30] (full text) [31] [32]. Infine nei pazienti in dialisi alcuni antidiabetici orali non richiedono aggiustamenti delle dosi e sono ben tollerati più dell’insulina [26] [29] [30] (full text) [31] [32].
I vantaggi e gli svantaggi degli antidiabetici utilizzabili nei pazienti in dialisi, sono riportati nella Tabella 2 [26] [29] [30] (full text) [31] [32].
Nell’affrontare la terapia ipoglicemizzante in un paziente in trattamento dialitico è necessario anche tenere presente il già citato rischio elevato di ipoglicemia, peraltro più frequente con alcuni farmaci, (Tabella 1 e Tabella 2) [26] [29] [30] (full text) [31] [32] e inoltre il fatto che solo per pioglitazone e metformina è stata ad oggi dimostrata in maniera convincente una riduzione degli eventi cardiovascolari [31] [33] (full text) [34] (full text) [35].
In conclusione, nei pazienti con diabete tipo 2 in dialisi, oltre al miglioramento dello stile di vita, il primo farmaco ipoglicemizzante deve avere un rischio basso di ipoglicemia e non favorire l’aumento del peso corporeo: gli inibitori del DPP-IV sono l’ideale. Quando è necessario aggiungere un secondo farmaco, questo può essere la glipizide o la repaglinide e infine il terzo farmaco puo’ essere pioglitazone o insulina[26] [29] [30] (full text) [31] [32] [34] (full text) [35] .
Dislipidemia
Nei dializzati i livelli di colesterolo sono meno chiaramente correlati con gli eventi cardiovascolari rispetto alla popolazione generale [35]. Inoltre gli eventi cardiovascolari non sono prevalente conseguenza di malattie arteriosclerotiche, ma piuttosto di stifness arteriosa, fibrosi delle pareti cardiache, calcificazioni vascolari, iperattività simpatica, anemia, infiammazione cronica, instabilità emodinamica in dialisi.
Tuttavia studi recenti hanno dimostrato che esiste una buona correlazione tra colesterolo HDL e colesterolo non HDL circolanti ed infarto miocardico: l’incidenza di infarto miocardico aumenta più sono bassi i livelli di HDL e più alti sono i livelli di colesterolo non HDL. L’odds ratio per infarto, aggiustato per le principali variabili confondenti nel gruppo di pazienti con i più bassi livelli di HDL colesterolo e i più alti livelli di colesterolo non HDL è di 2,9 (p<0.001) [36] [37] (full text)
La metanalisi di Hou et al, riporta gli effetti della terapia con statine nei pazienti con CKD nei vari stadi [38] (full text). È stata osservata una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari gravi negli stadi 2 e 3 (12000 pazienti; RR 0,69) e nello stadio 4 (2500 pazienti; RR 0,78) ma l’efficacia delle statine si riduce e perde ogni significato nello stadio 5 non D e D (8000 pazienti) [38] (full text). Infatti lo studio 4D nei pazienti diabetici in emodialisi non ha rilevato significativi effetti delle statine sugli eventi cardiovascolari così come lo studio AURORA condotto su una vasta popolazione di dializzati per 1/3 diabetici[39] (full text) [40] (full text). Uno studio retrospettivo su 1024 pazienti in dialisi peritoneale sembra peraltro dimostrare una migliore sopravvivenza nei pazienti trattati con statine[41] (full text).
L’insieme di questi dati spiega quanto recentemente affermato dalle linee guida EDTA-ERA sulla terapia con statine nei diabetici con filtrato al di sotto di 45 ml/min [32] e cioè:
- “Si raccomanda di non iniziare statine nei diabetici in stadio 5D”
- “Non c’è consenso se le statine debbano essere sospese nei pazienti diabetici in stadio 5D”
Tuttavia le linee guida riguardano la malattia e non il singolo paziente. Da questo punto di vista va ricordato che nelle due popolazioni di diabetici in dialisi già citate, le statine determinavano una riduzione significativa degli eventi cardiovascolari gravi dell’8% nello studio 4D [39] (full text), e del 32% nello studio AURORA [42] (full text). Ancora più importanti sono i risultati ottenuti in specifiche tipologie di pazienti diabetici nello studio 4D. Infatti, l’end point primario, non raggiunto dall’insieme dei diabetici dializzati, era raggiunto in maniera ampiamente significativa nei 314 pazienti con LDL >145mg/dl [42] (full text) [43] (full text) e nei 343 pazienti con basso assorbimento intestinale di colesterolo [44] (full text). Questi dati meritano di essere considerati, pur tenendo conto delle linee guida già discusse [32].
Ipertensione arteriosa
Come è noto, nonostante l’elevato numero di complicanze cardiovascolari e la grande frequenza di ipertensione (≥90%), gli studi osservazionali nei dializzati con una rilevante presenza di diabetici (32-60%) dal 1990 al 2015 hanno evidenziato una relazione caratterizzata da una curva ad U tra pressione arteriosa sistolica all’attacco e eventi o mortalità cardiovascolari [45] (full text) [46] [47] [48] [49] (full text). Infatti, in quegli studi gli eventi erano significativamente aumentati per pressione sistolica ≥160-190 ma anche per pressione ≤ 130-140 mmHg. Addirittura, alcuni studi non hanno evidenziato relazioni tra pressione sistolica all’attacco e mortalità nemmeno per valori elevatissimi [50] (full text)[51] (full text). Ne consegue, oltre allo stupore, una grande incertezza sui valori soglia di ipertensione e sui target ottimali per il trattamento, nonché sulla opportunità di affidarsi alle misure rilevate all’attacco piuttosto che alle misure a domicilio [52].
Come era prevedibile, dal 2006 numerosi lavori hanno dimostrato nelle popolazioni di dializzati con rilevante presenza di diabetici, una buona correlazione tra mortalità e misure pressorie a domicilio o continue nel periodo interdialitico [49] (full text) [53] [54] (full text).
La pressione arteriosa sistolica interdialitica, al contrario della pressione in centro dialisi, ha quindi rivelato un importante significato prognostico. Sono emblematici i risultati nei 403 pazienti che hanno raggiunto la dialisi tra i 705 pazienti con malattia renale cronica dello studio CRIC (60% diabetici) [49] (full text). Considerando la pressione sistolica misurata in centro dialisi, esisteva la tradizionale curva ad U nella relazione con la mortalità: infatti pressioni sistoliche <138 e >166 mmHg si associavano ad un rischio aggiustato di mortalità due volte maggiore. Al contrario, utilizzando le misure domiciliari nel periodo interdialitico, valori >145 mmHg comportavano un rischio di morte 4 volte maggiore, mentre erano ottimali i valori di sistolica fino a 140-145 mmHg [49] (full text).
Dall’insieme degli studi emerge quindi che la pressione sistolica domiciliare interdialitica ottimale va da ≥125 a ≤145mmHg [49] (full text) [53] [54] (full text) [55] (full text) [56] (full text) [57] (full text) [58] (full text).
Il gold standard per la valutazione della pressione arteriosa dei dializzati è comunque l’ABPM che, meglio di altre misure, si correla con gli endpoint intermedi e la mortalità. Con l’ABPM i valori di pressione sistolica ottimali si collocano tra 110 e 125 mmHg [54] (full text)[55] (full text) [56] (full text) [57] (full text) [58] (full text) [59] (full text). Sulla base delle già riportate opinioni, derivanti dalle misure pressorie all’attacco per le quali valori anche molto elevati di pressione arteriosa erano adeguati nei dializzati, è stato a lungo dibattuto se fosse utile ridurre i valori pressori e quali fossero i valori da raggiungere. Non esistono studi che considerano esclusivamente dializzati diabetici, tuttavia 9 studi, che coinvolgono ciascuno il 30-90% di diabetici, hanno valutato gli effetti della terapia antiipertensiva nella riduzione degli eventi cardiovascolari e delle mortalità [60] (full text) [61] (full text) [62] (full text) [63] [64] (full text) [65] (full text) [66] [67] (full text) [68] (full text) [69] (full text) [70] (full text).
Lo studio più importante dimostra che in oltre 50.000 dializzati (63% diabetici) l’esposizione alla terapia antipertensiva riduce significativamente, di oltre il 40%, la mortalità per ogni causa e anche gli eventi cardiovascolari maggiori [60] (full text). Inoltre due metanalisi pubblicate nel 2009 dimostrano che la terapia antipertensiva con inibitori del RAAS o con calcio antagonisti riduce gli eventi cardiovascolari e la mortalità per ogni causa nei pazienti in emodialisi specialmente se ipertesi [61] (full text) [62] (full text).
Molti dei già citati studi hanno esaminato se esistono farmaci più efficaci di altri nel ridurre gli eventi cardiovascolari e la mortalità nei dializzati (Tabella 3) [63] [64] (full text) [65] (full text)[66] [67] (full text) [68] (full text) [69] (full text) [70] (full text). Gli inibitori del RAAS sembrano più efficaci degli altri farmaci nel ridurre gli eventi cardiovascolari in 4 studi su 6 e la mortalità per tutte le cause in 3 studi su 6 (Tabella 3) [63] [64] (full text) [65] (full text) [66] [67] (full text) [68] (full text) [69] (full text) [70] (full text). Recentemente uno studio del gruppo di Agarwal suggerisce che i betabloccanti (atenololo) siano più efficaci nel ridurre gli eventi cardiovascolari rispetto agli ACE inibitori (lisinopril) (Tabella 3) [69] (full text).
In conclusione, la terapia antipertensiva è di notevole importanza nel prevenire eventi cardiovascolari e mortalità nei dializzati anche diabetici. Inibitori del RAAS, calcioantagonisti e betabloccanti sembrano i farmaci di prima scelta mentre i diuretici sono di norma inefficaci. Sono necessari grandi studi multicentrici per dimostrare l’eventuale superiorità di specifiche classi di farmaci con particolare riguardo ai pazienti diabetici in dialisi.
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