Introduzione
La diffusione del diabete sta assumendo caratteri di vera e propria epidemia, si stima che i diabetici nel mondo siano almeno 387 milioni, e che 4.9 milioni muoiono per le complicanze di questa malattia [1]; nel 85-95% si tratta del tipo 2, la restante parte è attribuibile al tipo 1. L’inquadramento nosografico prevede almeno 3 altri tipi di diabete:
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- DIABETE GESTAZIONALE, causato da difetti funzionali analoghi a quelli del diabete tipo 2, diagnosticato durante la gravidanza, che regredisce in genere dopo il parto, per ripresentarsi spesso a distanza di anni con le caratteristiche del diabete tipo 2 [2].
- DIABETE MONOGENICO, causato da difetti genetici singoli che alterano la secrezione/o l’azione dell’insulina, il MODY (Maturity Onset Diabetes of the Young), il diabete lipoatrofico e il diabete neonatale [3].
- DIABETE SECONDARIO, conseguenza di malattie che alterano la secrezione insulinica (pancreatite cronica e/o pancreasectomia), o l’azione dell’insulina (ad esempio acromegalia o ipercortisolismo), o secondario all’uso cronico di farmaci (ad esempio steroidi, antiretrovirali, farmaci antirigetto) o dall’esposizione a sostanze chimiche [4].
Si tratta di malattie tra loro differenti dal punto di vista etiopatogenetico e clinico, il cui elemento unificante è la presenza di iperglicemia e le complicanze croniche che ne derivano [5](Figura 1). I criteri diagnostici di diabete sono infatti i seguenti (4- ADA, 2013):
- glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dL o 7 mmol/L, con dosaggio plasmatico su prelievo eseguito al mattino, dopo almeno 8 ore di digiuno;
- HbA1c ≥ 6.5% (livello della prova III, forza della raccomandazione A);
- glicemia ≥ 200 mg/dL, 120min’ dopo carico orale di g. 75 di glucosio (livello di prova III, forza della raccomandazione A);
- in presenza di sintomi, la diagnosi può essere posta con glicemia random ≥ 200 mg/dL, indipendentemente dall’assunzione recente di cibo.
Va notato che la diagnosi di diabete non si basa su criteri statistici, bensì su criteri biologici ricavati da studi su popolazione, in cui la soglia di malattia si identifica con I livelli di glicemia a digiuno, emoglobina glicata e di glicemia post carico in cui si manifesta la retinopatia, che rappresenta la complicanza cronica più tipicamente correlata al diabete (Figura 2).
Diabete tipo 1
Noto anche come diabete insulino-dipendente (IDDM), la denominazione, ricavata direttamente alla terapia, è stata sostituita con quella di diabete di tipo 1; è dovuto a distruzione immunomediata delle cellule β associata a perdita per lo più completa della secrezione insulinica. Dal punto di vista etiopatogeneatico si tratta di una malattia complessa dovuta a fattori ambientali – agenti infettivi, chimici ed anche alimentari -, che si comportano come trigger dell’autoimmunità su un terreno genetico predisponente [6]. Polimorfismi dei geni che codificano per il sistema HLA, localizzati nel braccio corto del cromosoma 6, rappresentano almeno il 50% dei fattori genetici implicati nella patogenesi [7], mentre l’altro 50% dei difetti genetici sono probabilmente localizzati nel cromosoma 11 e si riferiscono a polimorfismi della regione 5’ del gene dell’insulina. Si tratta dunque di una malattia di organismo, che può coinvolgere la tiroide (tiroidite autoimmune) ed altre ghiandole endocrine (cortico-surrene, paratiroidi), l’intestino (celiachia), la cute (vitiligine)ed altri organi [8]. La sequenza di eventi scatenati dal fattore ambientali su un terreno genetico favorevole determina la comparsa di una insulite con successivo attacco immune che si manifesta quando la prima β-cellula è diventata non-self, per proseguire inesorabilmente fino alla completa distruzione della cellule β. L’evento precipitante sulla base di una suscettibilità genetica determina precocemente la comparsa di fenomeni immunitari – deficit di linfociti T-suppressor con attivazione di quelli T-citotossici; comparsa di anticorpi circolanti come ICA, GADA e IA-2 – quando la malattia clinica non è ancora presente; con massa β-cellulare già gravemente compromessa compaiono le prime alterazioni metaboliche, che diventano diabete clinico quando la massa β-cellulare residua funzionante diventa inferiore al 20% [9] (full text). In questo periodo può manifestarsi la cosiddetta luna di miele del diabetico, che si presenta quando il diabete sembra guarire dopo uno stress grave andato in remissione.
Dal punto di vista clinico si manifesta prima dei 30 anni, con 3 picchi di frequenza nell’infanzia, rispettivamente all’età di 5, 10 e 15 anni. Si deve tuttavia sottolineare che questo spartiacque non è assoluto, se è vero che può colpire anche soggetti adulti e financo anziani e che il diabete tipo 2 può manifestarsi anche in bambini obesi. Si tratta di un diabete prono alla chetosi, in condizioni di carenza assoluta di insulina, che all’esordio si associa di solito ad una condizione di normo-sottopeso. La diagnosi di solito è clinica e si avvale della ricerca di autoanticorpi specifici (GADA, IA-2) soltanto in alcune forme di diabete dell’adulto [10]. La diagnosi è facilmente intuibile in presenza di sintomi legati all’iperglicemia – poliuria, polidipsia – anche se talora esordisce con sintomi di cheto-acidosi, che possono assumere talora caratteri di spiccata gravità, con vomito incoercibile, dolore addominale, disidratazione grave con ipotensione e respiro di Kussmaul [11].
Diabete tipo 2
Denominato anche diabete non insulino-dipendente (NIDDM), la definizione non appare appropriata se si pensa che nella maggior parte dei casi diviene dipendente dall’insulina dopo un tempo variabile dall’esordio della malattia; più corretta la definizione di tipo 2, in relazione alla sua patogenesi, di cui si è chiarita negli ultimi decenni la natura. La sua diffusione si può a ragione definire epidemica se si pensa che è presente in oltre il 90% dei 387 milioni di diabetici stimati nel mondo [1]. Come già ricordato in precedenza, l’età in cui il diabete viene diagnosticato è sempre più precocemente [12], in relazione all’incremento epidemico dell’obesità, anche nelle età più giovani. La sua patogenesi risiede in 2 difetti principali rappresentati da disfunzione β-cellulare su una base di insulino-resistenza; entrambi questi difetti sono su base poligenica con il concorso non secondario di fattori ambientali [13] (full text). Un esempio può chiarire meglio questo concetto: è noto che l’obesità si associa frequentemente ad insulino-resistenza, ma non tutti gli obesi con resistenza all’insulina diventano diabetici; di questi solo coloro che hanno β-cellule fragili, incapaci di supplire per tutta la vita all’iperinsulinemia lo diventano. Uno studio recente [14] ha chiarito quello che da tempo si sospettava e cioè che le cellule β non sono le sole protagoniste del processo diabetico. Con il peggioramento del compenso, non solo le cellule β, ma anche quelle δ, vanno incontro a degenerazione da depositi intracellulari di amilina e ad apoptosi, mentre le cellule alfa si ipertrofizzano; in altre parole, dal punto di vista funzionale si assiste, oltre ad alterazione della sintesi e della secrezione di insulina, ad aumento di produzione del glucagone da parte delle cellule α rese ipertrofiche dalla mancata modulazione da parte delle cellule δ secernenti somatostatina. Si modifica dunque il rapporto β/α cellule, a favore di queste ultime con formazione di un ambiente diabetogeno. Un ruolo fondamentale nella genesi del diabete è giocato dagli acidi grassi liberi (FFA) il cui flusso nel sistema portale è fortemente aumentato dalla lipolisi delle cellule viscerali; gli acidi grassi liberi rilasciati dagli adipociti viscerali sono da un lato responsabili della disfunzione β-cellulare e della loro apoptosi, dall’altro della resistenza epatica e muscolare all’insulina. D’altro canto, per effetto del flusso aumentato di FFA al fegato aumenta la sintesi di apoproteina B-100, di trigliceridi e della successiva sintesi di VLDL, che rappresenta il substrato fisiopatologico della dislipidemia aterogena del diabete [15].
Dal punto di vista epidemiologico lo spartiacque, non assoluto del diabete, tra i 2 tipi di diabete si può collocare intorno ai 30 anni, con distribuzione pressoché uguale per sesso, che si associa in modo caratteristico a sovrappeso/obesità, resistente alla chetosi, ma che può sviluppare chetoacidosi in condizioni di stress. In questo tipo di diabete è presente stretta familiarità, anche se non si tratta di malattia genetica, ma di tipo complesso in cui l’ambiente (sedentarietà, iperalimentazione, obesità) gioca un ruolo essenziale nello sviluppo della malattia [13] (full text). Si comprende dunque come gli ipoglicemizzanti orali svolgano un ruolo di supplenza quando dieta e attività fisica abbiano fallito, con terapia insulinica essenziale nelle fasi avanzate della malattia, quando la massa β-cellulare si riduce criticamente per apoptosi. Dal punto di vista fisiopatologico occorre sottolineare che, al momento della diagnosi, almeno il 50% del patrimonio β-cellulare è già perduto e che la loro funzione continua progressivamente a declinare, indipendentemente dalla terapia dietetica e/o farmacologica, fino alla sua completa soppressione; in questa fase, anche il diabete tipo 2 diviene dipendente dalla terapia insulinica[16]. Inizialmente la malattia è caratterizzata da deficit della prima fase di secrezione insulinica, in cui manca lo spike insulinemico in grado di impedire alla glicemia postprandiale di aumentare acutamente in seguito all’ingestione di carboidrati per disfunzione e/o apoptosi delle β-cellule con contrazione della loro massa. Le conseguenze fisiopatologiche e cliniche del deficit della fase precoce della secrezione insulinica è rappresentata da:
- diminuita soppressione della produzione epatica di glucosio, anche in fase postprandiale, quando il torrente circolatorio viene invaso non solo dal glucosio di origine alimentare, ma anche da quello di produzione epatica;
- iperglicemia post prandiale;
- iperlipemia post prandiale.
Queste alterazioni stanno alla base del rischio cardiometabolico, in cui la sindrome da insulino-resistenza associata all’obesità è responsabile della dislipidemia aterogena, a ma anche dell’ipertensione arteriosa e dello stato di ipercoagulabilità e di infiammazione. Il diabete è obbligatoriamente preceduto da una fase di iperglicemia a digiuno (glicemia compresa tra 100 e 125 mg/dL) e cosiddetta intolleranza agli idrati di carbonio (IGT), diagnosticabile con curva da carico orale di glucosio (glicemia a 120 min’ tra 140 e 199 mg/dL), in cui è già manifesto il rischio cardiometabolico [17], che può essere contrastato da un corretto stile di vita, in grado di ridurre anche il rischio di diabete (23). La storia naturale di IGT prevede che, a 10 anni dall’esordio, il 50% circa dei soggetti siano diventati diabetici, il 25% abbia mantenuto nel tempo lo stato di IGT, mentre il restante 25% è diventato normoglicemico [18].
Un aspetto non secondario della fisiopatologia del diabete di tipo 2 è rappresentato dalla disfunzione del sistema incretinico [19] (full text); nel diabete di tipo 2:
- la secrezione di GLP-1 è alterata;
- la sensibilità della β-cellula al GLP-1 è diminuita;
- l’effetto del GIP abolito o grossolanamente alterato.
Queste alterazioni endocrine giustificano l’impiego di analoghi del GLP-1 (Exenatide, Liraglutide ed altri) nella terapia del diabete di tipo 2 associato ad obesità; la somministrazione degli analoghi del GLP1 inibisce l’apoptosi delle β-cellule stimolando la secrezione insulinica glucosio-dipendente, inibisce la secrezione di glucagone e la gluconeogenesi epatica, rallenta lo svuotamento gastrico e promuove la sazietà postprandiale, riducendo insieme peso corporeo e glicemia, in particolare quella post prandiale [20] (full text). Altri farmaci del sistema incretinico agiscono inibendo le dipeptil-peptidasi 4 (DPP 4) e ripristinando livelli fisiologici di GLP1 e GIP.
Diabete Autoimmune Non Richiedente Insulina (NIRAD)
Tra il diabete tipo 1 e quello tipo 2 si colloca un tipo di diabete, che alcuni autori definiscono LADA (Latent Autoimmune Diabetes in Adults), altri diabete di tipo 1 lentamente progressivo su base autoimmune, altri ancora diabete di tipo 1,5 per la sua collocazione tra il tipo 1 e il tipo 2. Si manifesta caratteristicamente in soggetti adulti, clinicamente indistinguibile dal diabete tipo 2, non necessita, almeno inizialmente, di terapia insulinica. La Figura 3 confronta le caratteristiche cliniche del diabete NIRAD con quelle del tipo 2; i diabetici affetti dal tipo 1 autoimmune sono più giovani e più magri, la glicemia a digiuno è tendenzialmente più elevata e le concentrazioni plasmatiche di peptide C significativamente più basse, con frequenza più elevata di genotipi HLA riferibili ad autoimmunità. Il sospetto clinico, suggerito dal quadro clinico, può essere confermato dalla positività degli anticorpi GADA e anti IA-2 [3].
Concludo la presentazione sottolineando che ho voluto darle un taglio pratico, che potesse essere utile per il clinico che si accosta in modo non specialistico al diabete mellito.
Bibliografia
[1] International Diabetes Federation. IDF diabetes atlas update 2012
[9] Campbell-Thompson M, Fu A, Kaddis JS et al. Insulitis and β-Cell Mass in the Natural History of Type 1 Diabetes. Diabetes 2016 Mar;65(3):719-31 (full text)
[13] Hu FB, Manson JE, Stampfer MJ et al. Diet, lifestyle, and the risk of type 2 diabetes mellitus in women. The New England journal of medicine 2001 Sep 13;345(11):790-7 (full text)
[19] Kjems LL, Holst JJ, Vølund A et al. The influence of GLP-1 on glucose-stimulated insulin secretion: effects on beta-cell sensitivity in type 2 and nondiabetic subjects. Diabetes 2003 Feb;52(2):380-6 (full text)
[20] Thompson AM, Trujillo JM Advances in the treatment of type 2 diabetes: impact of dulaglutide. Diabetes, metabolic syndrome and obesity : targets and therapy 2016;9:125-36 (full text)