Biomarcatori e marker di turnover osseo nella Chronic Kidney Disease – Mineral and Bone Disorders (CKD-MBD): recenti acquisizioni

Abstract

L’insufficienza renale cronica (IRC) provoca alterazioni biochimiche che si riflettono a livello sistemico, provocando fragilità ossea con incremento delle fratture, calcificazioni extrascheletriche, aumento delle morbilità ed aumento della mortalità cardiovascolare. Il complesso meccanismo fisiopatologico sottostante riflette l’instaurarsi di una sindrome tipica dell’IRC, detta CKD-MBD (Chronic Kidney Disease – Mineral and Bone Disorders), che comprende le alterazioni biochimiche e sistemiche a livello minerale e osseo, tra cui l’osteodistrofia renale (OR). Per questo motivo è indispensabile una diagnosi precoce, in modo da prevenire l’insorgere delle complicanze più gravi. Una diagnosi precisa dei disturbi ossei e la conseguente somministrazione della migliore terapia è difficile senza l’esecuzione di una biopsia ossea. Tuttavia, ultimamente, il focus diagnostico si sta spostando su una serie di molecole, i bone turnover markers (BTM), generati dal tessuto osseo durante il processo di rimodellamento, che si stanno rivelando un utile strumento diagnostico nella definizione dell’osteodistrofia renale. I BTM si dividono in molecole di formazione (propeptide aminoterminale del procollagene di tipo 1, P1NP; osteocalcina, OC; fosfatasi alcalina ossea, bALP) e molecole di riassorbimento osseo (telopeptide reticolato carbossi-terminale del collagene di tipo 1, CTX; isoforma 5b della fosfatasi acida resistente al tartrato, TRAP-5b). Vi sono inoltre i biomarkers di metabolismo osseo come il paratormone (PTH), il fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23) e la sclerostina. Nonostante PTH sia una delle molecole più utilizzate, P1NP, bALP, CTX e TRAP-5b si sono dimostrati superiori nella discriminazione di patologie a basso turnover. La capacità diagnostica di queste molecole e il loro potenziale necessitano comunque di ulteriori studi, ma è fondamentale che i clinici includano i BTM nell’iter diagnostico della CKD-MBD.

Parole chiave: Bone turnover markers, biomarkers nella CKD-MBD, osteodistrofia renale, fragilità scheletrica, calcificazioni vascolari

Introduzione

L’insufficienza renale cronica (IRC) è direttamente correlata con l’insorgenza di iperparatiroidismo. Una riduzione dei livelli di vitamina D è osservabile già per valori di filtrato glomerulare (eGFR, Estimated Glomerular Filtration Rate) < 90 ml/min [1]. La progressiva riduzione della funzione renale, generalmente al di sotto di un eGFR di 59 ml/min/1.73 m2 [2], causa successivamente la perdita di meccanismi di equilibrio dell’omeostasi minerale garantiti dal rene. Il danno inizia con la perdita progressiva di nefroni funzionanti e la conseguente riduzione della quota di fosfato escreta per nefrone: in condizioni di normalità, il fosforo viene escreto con le urine grazie all’azione del fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23), secreto dagli osteociti, che si lega al co-recettore a-Klotho formando il complesso FGF23 – α−Klotho – FGFR e bloccando il riassorbimento tubulare del fosfato, con conseguente escrezione urinaria [3]. Quando la quota di fosfato escreta si riduce si ha un aumento del fosfato circolante con conseguente iperfosforemia [2, 4]. FGF23 e il suo co-recettore a-Klotho sono i principali responsabili della perdita dell’omeostasi minerale nell’IRC. Oltre all’azione diretta sul tubulo renale, FGF23 riduce la sintesi di calcitriolo (1,25-OH-D3) inibendo l’enzima di sintesi (1a-idrossilasi) e stimolando uno degli enzimi di degradazione (24-idrossilasi). La riduzione dei livelli di calcitriolo provoca di riflesso anche una down-regulation dei recettori VDR e CaSR intestinali (recettori rispettivamente della vitamina D e del calcio) con conseguente ridotto assorbimento di vitamina D e di calcio a livello intestinale, provocando ipovitaminosi D ed ipocalcemia [5]. FGF23 agisce anche in modo diretto sulle paratiroidi, esercitando un feedback inibitorio sulla secrezione di paratormone (PTH). Quest’ultimo agisce a livello osseo:1. stimolando gli osteoblasti a secernere RANKL (Receptor Activator of Nuclear Factor kappa-B Ligand) ed attivando così il riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti; 2. stimola il riassorbimento tubulare di calcio e l’enzima 1-alfa-idrossilasi, mediando la trasformazione della 25OHD3 in 1,25OHD3; 3. infine inibisce il riassorbimento di fosfati [6]. Questo meccanismo, utile in condizioni di normalità per mantenere una corretta omeostasi minerale, con il perdurare dello stimolo dovuto alla cronicizzazione della malattia renale causa un aumento dei livelli di PTH senza una reale risposta sistemica, con conseguente instaurarsi di un quadro di iperparatiroidismo secondario (IPTS) caratterizzato da iperfosforemia, ipocalcemia, alti livelli di PTH e ipovitaminosi D [7] (Figura 1).

Meccanismo dell'iperparatiroidismo secondario nell'insufficienza renale cronica
Figura 1. Meccanismo dell’iperparatiroidismo secondario nell’insufficienza renale cronica PTH: paratormone, FGF23: fattore di crescita dei fibroblasti 23, CaSR: recettore sensibile al calcio, VDR: recettore della Vitamina D.

Queste alterazioni biochimiche si riflettono a livello sistemico, provocando fragilità ossea con incremento delle fratture, calcificazioni extrascheletriche (vascolari e dei tessuti molli), aumento delle morbilità e della mortalità cardiovascolare [6]. Tale complesso meccanismo fisiopatologico riflette l’instaurarsi di una sindrome tipica dell’IRC, detta CKD-MBD (Chronic Kidney Disease – Mineral and Bone Disorders) che comprende le alterazioni biochimiche e sistemiche a livello minerale e osseo causate dall’IRC stessa.
Le conseguenze della CKD-MBD si riflettono sia a livello scheletrico sia a livello extrascheletrico.
Il coinvolgimento osseo consiste in alterazioni a livello del turnover osseo, che può risultare in un eccesso di rimaneggiamento del tessuto osseo (alto turnover) o, al contrario, in una sua eccessiva soppressione (basso turnover), della mineralizzazione (normale o alterata) e del volume osseo (ridotto, normale o elevato). Questo provoca cambiamenti istologici e l’instaurarsi di diversi disturbi ossei che vengono denominati Osteodistrofia Renale (OR), diagnosticati solamente con Biopsia Ossea e classificati secondo la classificazione elaborata da Moe et al. nel 2006 (Tabella 1) [8].

Tipo di osteodistrofia renale Turnover Mineralizzazione Volume
Osteomalacia Basso Alterata Medio-basso
Osso adinamico Basso Normale Basso-Normale
Osteopatia mista Medio-alto Alterata Medio-basso
Osteite fibrosa Alto Normale Medio-alto
Tabella 1. Distinzione istologica dell’osteodistrofia renale nell’insufficienza renale cronica tramite classificazione TMV secondo Moe et al. Kidney Int 2006

Nei pazienti con IRC la porzione ossea maggiormente interessata è la corticale ossea, che va incontro a un incremento della porosità e a una riduzione di spessore [9]. Questo si verifica più frequentemente nei pazienti che presentano un disturbo ad alto turnover e si associa maggiormente a fratture a livello extra-assiale (bacino e ossa lunghe), mentre fratture a livello assiale (vertebrale) sono generalmente conseguenti a un basso volume e a un ridotto spessore trabecolare [10]. In entrambi i casi, si ha un aumento del rischio di fratture da fragilità, con una progressione del rischio direttamente proporzionale all’aggravarsi dell’IRC: da 15/1000 pazienti all’anno per IRC stadio 1 a 46.3/1000 pazienti all’anno per IRC stadio 4 per le fratture dell’anca [11]. Per i pazienti in dialisi il rischio di sviluppare una frattura a livello del bacino è 4 volte superiore rispetto alla popolazione generale [12], mentre le fratture vertebrali, se diagnosticate correttamente con metodica quantitativa, possono avere una prevalenza fino al 50% in questa popolazione [13, 14].
Le conseguenze extrascheletriche sono principalmente a carico del distretto cardiovascolare e dei tessuti molli. A livello cardiaco l’aumento dei livelli di FGF23 e l’attivazione del suo recettore FGFR4 a livello dei miocardiociti provoca ipertrofia ventricolare sinistra [15], sostenuta anche dall’aumento della volemia causata dalla modulazione dell’espressione di ACE2 esercitata da FGF23 [16]. A livello vascolare e dei tessuti molli, l’aumento dei livelli di fosforo e dei livelli di calcio (questi ultimi in genere su base iatrogena per l’assunzione di farmaci a base di calcio o con azione che favorisce l’instaurarsi di ipercalcemia) promuove la calcificazione delle strutture extrascheletriche [17]. Inoltre, la riduzione dei livelli di vitamina K, implicata in processi di carbossilazione di proteine come la Matrix Gla Protein e l’osteocalcina, provoca a sua volta una riduzione delle forme attive carbossilate di entrambe queste molecole, la cui funzione, tra le altre, è l’inibizione della calcificazione dei tessuti molli e vascolari, concorrendo alla promozione di meccanismi di calcificazione extrascheletrica [18].
Queste conseguenze della CKD-MBD rendono indispensabile una diagnosi precoce, in modo da prevenire l’insorgere delle complicanze più gravi di questa sindrome, come le fratture da fragilità e gli eventi cardiovascolari, associati ad aumentata morbidità e mortalità [19].

Ad oggi il gold standard per la diagnosi delle anomalie ossee causate dalla CKD-MBD è la biopsia ossea e la relativa analisi istomorfometrica, che permette di valutare gli elementi cellulari dell’osso (osteoblasti, osteoide, osteoclasti), la microarchitettura trabecolare, e i parametri statici e dinamici di volume, mineralizzazione e turnover dell’osso [20]. Tuttavia, la sua invasività, i costi e la ridotta expertise sul territorio ne hanno fortemente limitato l’uso [21].Per questo motivo spesso si utilizzano metodi diagnostici meno invasivi, ma con diverse limitazioni, perché danno informazioni limitate sulla bone quantity (BQT) o sulla bone quality (BQL). Per esempio, l’assorbimetria a raggi X (Dual Energy X-ray Absorptiometry, DXA) permette di valutare la Bone Mineral Density (BMD: g/cm2): parametro indicativo della BQT, mentre il Trabecular Bone Score (TBS) è un parametro indicativo della BQL che fornisce informazioni sulla microarchitettura trabecolare dell’osso e rappresenta un indicatore indipendente di rischio fratturativo nei pazienti con IRC nelle fasi più avanzate [22, 23] e nei pazienti trapiantati [24]. In ogni caso la DXA non è in grado di fornire informazioni sulla qualità dell’osso, né sui parametri di microarchitettura, mineralizzazione e turnover osseo; quindi, non informa sul tipo di osteodistrofia renale sottostante (OR): infatti uguali valori di BMD possono essere associati a diverse forme di OR [12, 25, 26] . Un recente software permette di elaborare immagini in formato tridimensionale (3D-DXA mediante 3D-SHAPER®, https://www.3d-shaper.com/en/index.html) e quindi di misurare la BMD volumetrica corticale (mg/cm³), lo spessore corticale (mm), la BMD superficiale corticale (mg/cm²), la BMD volumetrica trabecolare (mg/cm³) ed infine, parametri ossei geometrici, permettendo dunque di ottenere maggiori informazioni sullo stato della salute ossea [27].
La tomografia computerizzata quantitativa periferica ad alta risoluzione (HR-pQCT) permette di valutare tridimensionalmente la densità ossea e di analizzare la qualità dell’osso corticale e trabecolare [28]. Tuttavia, la HR-pQCT non fornisce informazioni sul turnover e sulla mineralizzazione, limitandone l’uso per valutazione diagnostica in CKD-MBD ed osteoporosi; inoltre è disponibile solo in pochi centri a livello nazionale ed internazionale.
Di conseguenza, stabilire con precisione il tipo di OR e la conseguente migliore terapia per prevenire e/o curare il disturbo sottostante è difficile senza l’esecuzione di una biopsia ossea. Tuttavia, di recente, il focus diagnostico si sta spostando su una serie di molecole, i bone turnover markers (BTM), generati dal tessuto osseo durante il processo di rimodellamento, e la cui presenza in circolo, a seconda dei valori, potrebbe informare sul tipo di turnover osseo presente. Com’è noto, l’osso va ciclicamente incontro a processi di formazione di tessuto, a carico degli osteoblasti, seguiti da processi di riassorbimento, ad opera degli osteoclasti [12, 29] . Distingueremo quindi BTM di formazione osseo, BTM di riassorbimento osseo e Biomarkers di metabolismo osseo (Tabella 2).

CLASSE DI BIOMARCATORI CLEARANCE RENALE CLEARANCE EMODIALITICA CUT-OFF PER ALTO
TURNOVER
CUT OFF PER BASSO
TURNOVER
CUT- OFF PER FRATTURE DELL’ANCA
METABOLISMO OSSEO Salam Jørgensen Salam Jørgensen Maruyama** Iimori***
PTH (pg/ml)         Sì Sì (Frammenti) > 327 > 143.5 < 183 < 90.5
FORMAZIONE OSSEA
 ALP (U/L) >102 >97 <88 <87 >405**
bALP (mcg/L) No >31 >33.7 <21 <24.7 >27.4***
P1NP/P1CP (ng/ml) No >107 >120.7 <57 <49.8
RIASSORBIMENTO OSSEO
TRAP-5b (U/L) No No >4.6 > 5.05 < 4.6 < 3.44
CTX/NTX (ng/ml) >2.39 < 0.84
Tabella 2. Classi di Biomarcatori dell’Osso
Range di normalità: Salam 10-65 pg/mL, Jørgensen 3-40 pg/mL
PTH: paratormone, ALP: fosfatasi alcalina, bALP: fosfatasi alcalina ossea, P1NP: propeptide aminoterminale del procollagene di tipo 1, P1CP: propeptide carbossiterminale del procollagene di tipo 1, TRAP-5b: isoforma 5b della fosfatasi acida resistente al tartrato. CTX: telopeptide reticolato carbossi-terminale del collagene di tipo 1, NTX: telopeptide a legame amminico-terminale del collagene di tipo 1.  

 

BTM di formazione ossea

Il propeptide aminoterminale del procollagene di tipo 1 (P1NP) è un frammento rilasciato quando il collagene viene depositato nella matrice ossea e viene pertanto considerato un marker di formazione ossea. La sua forma trimerica non ha clearance renale, pertanto è considerato un BTM affidabile nei pazienti con IRC [30], mentre la monomerica è metabolizzata dal rene: non distinguere le due forme potrebbe portare a una sovrastima dei suoi livelli nei pazienti con IRC. Nello studio di Salam et al. [31] P1NP intatto si è mostrato un biomarcatore predittivo per la definizione di un basso turnover osseo (area under the curve, AUC = 0.794 per P1NP < 57 ng/ml), significativamente più affidabile del PTH (AUC = 0.563 per PTH < 183 pg/ml). Anche Jørgensen et al. [32] hanno confermato il dato di P1NP nella diagnosi di basso turnover osseo, con un’AUC di 0.83 per P1NP < 49.8 ng/ml, ma anche nella definizione di alto turnover osseo, dove è risultato significativamente migliore rispetto a PTH (AUC = 0.850 per P1NP > 120.7 ng/ml vs AUC = 0.780 per PTH > 143.5 pg/ml). Inoltre, Ueda et al. hanno mostrato come i valori sierici di P1NP nei pazienti in emodialisi fossero correlati negativamente con i valori di BMD nel terzo distale del radio: i soggetti con valori sierici di P1NP più elevati avevano una maggiore perdita ossea [33] (Tabella 2).
L’osteocalcina (OC) o Bone GLA Protein, è una proteina vitamina K-dipendente rilasciata dagli osteoblasti; la forma precorritrice (decarbossilata) dell’OC subisce un processo di carbossilazione, mediato dalla vitamina K, a tre diversi siti (i residui glutammici 17, 21 e 24) che la converte nella sua forma attiva in grado di legarsi ai cristalli di idrossiapatite dell’osso, dove regola la mineralizzazione [34]. Le sue principali funzioni sembrerebbero l’inibizione della mineralizzazione ossea e la successiva regolazione dei processi di maturazione del tessuto osseo neo-deposto: a sostegno di questa tesi uno studio di Ducy et al. ha dimostrato che topi knock-out per OC sviluppano quadri di iperostosi [34, 35]. Il suo coinvolgimento nella definizione del turnover osseo ha mostrato una buona sensibilità nella discriminazione di pattern ossei a basso turnover [36] [37]. Tuttavia, l’OC sembrerebbe avere un ruolo anche a livello delle calcificazioni vascolari [38] [39]. Lo studio VIKI (Vitamin K Italian Study) ha analizzato la correlazione tra livelli di OC e fratture vertebrali e calcificazioni vascolari su 387 pazienti in emodialisi provenienti da 18 centri italiani, evidenziando livelli di OC significativamente inferiori nei pazienti con calcificazioni vascolari a livello aortico ed iliaco (-36%, 164 vs. 262.1 mcg/L, p = 0.0003 and 162 vs. 206 mcg/L, p = 0.0108, rispettivamente) e nei pazienti con fratture vertebrali (-29%, 151 vs. 213 mcg/L, p = 0.0091) [40]. Inoltre nello studio MINOS, studio monocentrico prospettico su 774 uomini francesi in follow-up per più di 10 anni, è stata riscontrata una riduzione della calcificazione vascolare aortica ed una ridotta mortalità per tutte le cause a 10 anni entrambe associate a valori più alti di OC in modo statisticamente significativo [41] (Tabella 2).
La fosfatasi alcalina ossea (bALP), è una proteina omodimerica presente sulla superficie degli osteoblasti; durante il processo di mineralizzazione viene clivata da una fosfolipasi, e secreta a livello sierico [42]. Non ha clearance renale, pertanto è anche lei un BTM affidabile nell’IRC. Nello studio di Salam et al. bALP è risultata promettente nella discriminazione di pazienti con basso turnover (AUC 0.824 per bALP < 21 mcg/L), rispetto al PTH (AUC = 0.563 per PTH < 183 pg/ml). Tale dato è stato confermato sia da Bervoets et al., in uno studio condotto su 84 pazienti macedoni con IRC non in dialisi [36], dove bALP ha mostrato una sensibilità dell’83% nella definizione di pazienti con osso adinamico, e da Jørgensen et al. [32], che ha evidenziato un’AUC di 0.82 per bALP < 24.2 mcg/L rispetto all’AUC di PTH di 0.770 (per PTH < 90.5 pg/ml). Nei pazienti con alto turnover l’AUC è risultata di 0.750 per bALP > 31 mcg/L, sovrapponibile a quella di PTH (0.760 per PTH > 327 pg/ml) nello studio di Salam et al. [31] e di 0.830 per bALP > 33.7 mcg/L vs AUC del PTH di 0.780 (per PTH < 143.5 pg/ml) nello studio di Jørgensen et al. [32]. Nei pazienti trapiantati, Jørgensen et al. [32] hanno riscontrato un AUC di bALP di 0.800 vs AUC di PTH di 0.760 nella discriminazione dei pattern ad alto turnover e di 0.940 vs 0.820 nella diagnosi di pattern a basso turnover.
Inoltre, l’ALP sembra avere anche un ruolo nel predire il rischio fratturativo dei pazienti con IRC: Maruyama et al. [43], analizzando i dati del registro giapponese su pazienti con IRC in dialisi, hanno dimostrato che in 185.277 pazienti i livelli di ALP erano indipendentemente associati alla mortalità e all’incidenza di fratture dell’anca. Allo stesso modo, Imori et al [44] hanno dimostrato, in uno studio di coorte monocentrico su 485 pazienti in dialisi, che bALP è risultato un indicatore utile per predire il rischio di frattura di qualsiasi tipo (AUC = 0.766, p < 0.0001) (Tabella 2).

 

BTM di riassorbimento osseo

Il telopeptide reticolato carbossi-terminale del collagene di tipo 1 (CTX), che ha origine dagli osteoclasti, aumenta a livello sierico durante i processi di riassorbimento osseo. La clearance di CTX è renale e vi è quindi una correlazione tra l’aumento dei livelli di CTX e il peggioramento della funzione renale [45]. In uno studio su 69 pazienti con IRC stadio 4-5D [31] l’AUC di CTX per la diagnosi di basso turnover osseo è risultata 0.766 (per CTX <0.84 ng/ml), con una sensibilità del 60% e una specificità dell’84%; nella discriminazione di alto turnover osseo CTX ha presentato un’AUC di 0.762 (per valori > 2.39 ng/ml) con una sensibilità del 53% e una specificità del 96%. Inoltre, uno studio di Okuno et al. ha confermato l’ipotesi che i valori sierici di CTX possano fornire importanti informazioni sul grado di perdita ossea; in particolare, valutando il terzo distale del radio nei maschi in trattamento emodialitico, si è visto che aumentati livelli di CTX erano associati a perdita ossea [46]. Anche il telopeptide a legame amminico-terminale del collagene di tipo 1 (NTX), un altro prodotto della degradazione del collagene, si accumula nel plasma dei pazienti uremici in modo proporzionale all’aumento dell’IRC [47]. Tuttavia uno studio condotto su 37 pazienti con IRC stadio 1-4 [48] ha sottolineato la possibile utilità di questo BTM, se monitorato nel tempo nella sua escrezione urinaria, per valutare la progressione dell’osteodistrofia renale in pazienti con IRC non in dialisi. Tuttavia, essendo NTX anche un marker di osteoporosi, bisogna eseguire una corretta diagnosi differenziale tra le varie patologie ossee [48].
L’isoforma 5b della fosfatasi acida resistente al tartrato (TRAP-5b) è un enzima prodotto dagli osteoclasti nel processo di degradazione della matrice ossea; di conseguenza, alti livelli di TRAP-5b nel siero sono il riflesso di una elevata attività osteoblastica e di riassorbimento osseo. Nello studio già descritto di Salam et al. [31] è stata evidenziata un AUC di 0.799 per TRAP-5b < 4.6 U/L nella diagnosi di osteodistrofia a basso turnover confermato nello studio di Jørgensen et al. condotto su 80 pazienti con IRC stadio 4-5D e 119 pazienti trapiantati, con AUC di 0.84 per TRAP-5b < 3.44 U/L, quest’ultima significativamente migliore rispetto a PTH (= 0.770 per PTH < 90.5 pg/ml) [32]. Nello studio di Chu et al. [49] è stata dimostrata una correlazione positiva con parametri istomorfometrici dell’osso come il bone formation rate (BFR/BS o bone surface) con un coefficiente di correlazione di Spearman di 0.906. TRAP-5b, inoltre, si è dimostrato un fattore predittivo di perdita ossea sia nello studio di Malluche et al. [50], condotto su 81 pazienti americani in dialisi, dove i valori di TRAP-5b si sono rilevati alti nel 73% dei pazienti con perdita ossea alla Tomografia Computerizzata Quantitativa (QCT) del bacino, sia nello studio di Nickolas et al. [51], condotto su 82 pazienti con IRC in stadio predialitico, dove i livelli di TRAP-5b si mostravano più alti del 29% in pazienti con frattura ossea. Invece, in uno studio monocentrico coinvolgente 58 pazienti in emodialisi, è stata riscontrata una relazione significativa tra l’aumento sierico dei valori di TRAP-5b e la perdita di massa ossea corticale [52]. Inoltre, TRAP-5b sembrerebbe avere una correlazione anche con la prognosi cardiovascolare dei pazienti con IRC non in dialisi: Manghat et al. [53], in uno studio condotto su 145 pazienti con IRC stadio 1-4 ha evidenziato una correlazione tra i valori di bALP, i valori di TRAP e il rapporto TRAP/bALP con la rigidità di parete arteriosa.
Di conseguenza, TRAP-5b, metabolizzato per via non renale, sembrerebbe uno dei più promettenti BTM nella definizione del turnover osseo, del rischio di frattura e del rischio cardiovascolare.

 

Biomarkers di metabolismo osseo 

PTH è il prodotto finale della conversione di un propetide a catena singola di 115 amminoacidi, dal quale deriva il proparatormone, mediante scissione di 25 residui amino-terminali, e successivamente il paratormone (PTH 1-84), dopo ulteriore scissione di 6 aminoacidi. La maggior parte del PTH viene normalmente degradato dalla proteolisi prima di poter essere secreto e da questa proteolisi derivano frammenti come il PTH 7–84 [54]. La versione attiva di PTH (1-84) è un ormone secreto dalle paratiroidi, non definibile BTM in quanto non prodotto direttamente dalle cellule ossee durante i processi di riassorbimento e formazione. Nonostante ciò, per la sua diffusione e facilità di reperimento in tutti i laboratori, è ancora oggi la molecola più utilizzata per stabilire lo stato dell’osso nei pazienti con IRC. Tuttavia, il PTH presenta non poche variabili che ne alterano l’affidabilità. Innanzitutto, è estremamente variabile a seconda di sesso, età, etnia, indice di massa corporea e apporto di calcio nella dieta del paziente; varia poi a seconda del sito di campionamento (nei pazienti in dialisi con fistola artero-venosa o catetere venoso centrale), del ritmo circadiano e della stagionalità [55]. Esiste inoltre una variabilità analitica tra i kit di dosaggio utilizzati per stabilire i valori di PTH [56]: il primo kit in commercio è al momento inutilizzato in quanto impreciso, dal momento che analizzava tutti i frammenti C-terminali di PTH, sovrastimandone i livelli ematici; i kit di seconda generazione, tuttora in uso, sono comunque imprecisi in quanto, anche se riducono l’interferenza dei frammenti C-terminali, leggono i frammenti 7-84, portando comunque a una sovrastima dei livelli di PTH; i kit di terza generazione, invece, leggono solo la molecola 1-84 e al momento sono i kit più affidabili per la stima dei livelli di PTH (Tabella 2).
Con l’instaurarsi della CKD-MBD e dell’iperparatiroidismo secondario si possono osservare livelli sempre più alti di PTH nella popolazione con IRC [57], con un aumento direttamente proporzionale alla perdita della funzione renale nei pazienti con IRC stadio 3-5 [57] [58]. Al momento, però, non ci sono valori raccomandati di PTH nella popolazione con IRC non in dialisi, sebbene non sia raccomandata una normalizzazione totale; nei pazienti con IRC in dialisi le linee guida KDIGO raccomandano livelli compresi tra 2 e 9 volte i limiti superiori di norma [59, 60], invece le linee guida KDOQI consigliano di mantenere i valori di PTH tra 150 e 300 pg/ml [61]. Una recente survey del gruppo Fusaro et al. [22] ha indagato l’utilizzo dei BTM in una popolazione di 106 nefrologi italiani e ha evidenziato come questi ultimi tendano a fare maggior riferimento alle linee guida KDOQI rispetto alle KDIGO per il range di mantenimento dei valori di PTH (52% vs 38%).
PTH è uno dei driver fondamentali del metabolismo osseo. Tuttavia, la sua grande variabilità precedentemente descritta non lo rende un marker preciso dello stato dell’osso. In diversi studi è stata valutata la capacità di PTH di predire un basso o un alto turnover osseo rispetto a quella dei BTM risulta essere inferiore nel basso turnover e comparabile all’alto turnover, come descritto precedentemente (Tabella 2).
In precedenza, Barreto et al. [62] avevano già evidenziato come, per i valori consigliati dalle linee guida KDOQI, PTH non fosse in grado di discriminare in modo esauriente tutti i pazienti con alto e basso turnover osseo: infatti, su 97 pazienti analizzati e sottoposti a biopsia ossea, 58 sono risultati pazienti a basso turnover osseo, 36 pazienti ad alto turnover e 3 pazienti con turnover normale. I pazienti con PTH < 150 pg/ml sono risultati 35, con PTH tra 150-300 pg/ml sono risultati 22 e con PTH > 300 sono risultati 40. L’analisi ha dimostrato che i valori di PTH non sempre combaciavano con il turnover osseo atteso. Tuttavia, valori estremi di PTH correlano in modo significativo con un aumentato rischio di frattura: Coco et al. hanno evidenziato, su 1272 pazienti in dialisi, che valori di PTH < 195 pg/dl correlavano significativamente con un aumentato rischio di frattura, mentre pazienti con valori più alti di PTH non sembravano altrettanto esposti al rischio [63]. Al contrario, in un altro studio condotto su 12.782 pazienti in dialisi, valori di PTH > 900 pg/ml correlavano significativamente con un aumentato rischio di frattura [64]. Nello studio di Jansz et al., condotto invece su 146 pazienti trapiantati, i valori di PTH hanno mostrato una correlazione a U con un aumentato rischio di frattura: quest’ultimo era maggiore per valori molto bassi di PTH (< 7 pmol/L) e per valori molto alti (> 50 pmol/L) [65]. In conclusione il PTH non sembra essere un valido marker nella predittività del rischio fratturativo in pazienti con IRC a differenza di ALP (Tabella 2).
FGF23 e α-Klotho, come già visto, sono due molecole fondamentali nella gestione del metabolismo minerale e osseo. Inoltre, sembra che FGF23 abbia anche un’azione, diretta e indiretta, a livello dei miocardiociti, provocando l’insorgenza di ipertrofia ventricolare sinistra. Infatti è stata dimostrata in vitro l’esistenza di una via di segnalazione, mediata dal recettore FGFR4 per FGF23 [15], indipendente da α−Klotho, che vede l’attivazione della via di segnalazione fosfolipasi Cγ − calcineurina − fattore nucleare delle cellule T attivate, la quale stimola l’ipertrofia dei miocardiociti e lo sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra [66]. Questo meccanismo è inoltre sostenuto dall’effetto di FGF23 sulla modulazione dell’espressione di ACE2, che aumenta i livelli di sodio e calcio sierici, provocando una conseguente ipervolemia e un quadro di ipertensione arteriosa, che sostiene e amplifica il rimodellamento ipertrofico cardiaco [16]. La somministrazione di etelcalcetide post-dialitica, studiata su 62 pazienti europei in emodialisi, ha dimostrato la capacità di ridurre la progressione del danno cardiaco causato da FGF23 [67].

La sclerostina è una proteina prodotta dagli osteociti ed è promotrice dell’inibizione della via di segnalazione Wnt/β-catenina tramite il legame con il suo recettore presente sugli osteoblasti. In questo modo inibisce l’attività osteoblastica e conseguentemente la formazione ossea [68]; in pazienti con IRC stadio 3-4 alti livelli di sclerostina potrebbero indurre un precoce quadro di basso turnover osseo [69-71].
Inoltre, sembrerebbe esserci una correlazione tra sclerostina e calcificazioni vascolari: dallo studio di Kanbay et al. [72], condotto su 173 pazienti con IRC stadio 3-5, è emersa una correlazione tra alti livelli di sclerostina ed eventi cardiovascolari fatali e non fatali.
L’importanza di questo BTM necessita di ulteriori approfondimenti sia dal punto di vista del suo ruolo a livello osseo e cardiovascolare, sia sulla determinazione dei suoi livelli. Infatti, al momento, sono disponibili diversi kit di dosaggio di questo marcatore, che presentano discrepanze tra loro e la cui concordanza tra i risultati è ancora da stabilire, di conseguenza anche in quest’ambito sono necessari ulteriori studi comparativi per uniformare i metodi di dosaggio della sclerostina e rendere i risultati ottenuti più affidabili per una corretta interpretazione clinica [73].

 

Conclusioni

In conclusione, per i pazienti con IRC è raccomandabile una migliore valutazione del turnover osseo effettuata, oltre che con PTH, anche con il panel dei BTM sopra elencati, sia per l’alto che per il basso turnover, soprattutto ai fini di individuare la migliore terapia per l’OR. Nonostante queste evidenze, l’utilizzo dei BTM non è ancora omogeneamente diffuso come evidenziato dalla nostra recente survey [30] in cui l’utilizzo di BTM come P1NP, TRAP-5b, bALP e CTX rimane marginale, anche per la difficoltà di richiedere questi dosaggi al proprio laboratorio di riferimento.
La capacità diagnostica di queste molecole e il loro potenziale necessitano comunque di ulteriori studi, ma è fondamentale che i clinici includano i BTM nell’iter diagnostico della CKD-MBD.

 

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Osteoporosi e malattia renale cronica: vecchie e nuove strategie terapeutiche allo stato dell’arte

Abstract

L’Osteoporosi incide su una fascia di popolazione in cui è grandemente rappresentata anche la Malattia Renale Cronica. I pazienti nefropatici possono presentare delle caratteristiche anomalie biochimiche che definiscono il quadro di Mineral and Bone Disorder, anomalie legate alle complicanze dell’iperparatiroidismo secondario che nei casi più avanzati finiscono per configurare i quadri istomorfologici identificabili alla biopsia e tipici della Osteodistrofia Renale. Le Linee Guida delle Società scientifiche di endocrinologia raccomandano la terapia per i pazienti con Osteoporosi sulla base della velocità di filtrazione glomerulare, precludendo l’impiego di alcuni farmaci per le classi più avanzate di nefropatia. Non è tuttavia chiaro l’indirizzo terapeutico raccomandato nei pazienti in cui concomitano le complicanze della malattia metabolica dell’osso nel nefropatico. In questo paper proponiamo una revisione della letteratura, presentando le strategie terapeutiche disponibili a seconda degli stadi di Malattia Renale Cronica e dell’eventuale complicanza caratterizzata dalla Mineral and Bone Disorder.

 

Parole Chiave: bifosfonati, CKD-MBD, malattia metabolica dell’osso, osteodistrofia renale, osteoporosi

Introduzione

Quotidianamente il Nefrologo si confronta con le problematiche relative alla salute dell’osso, come dimostrato dall’elevato numero di contributi sull’argomento, rintracciabili nelle riviste specialistiche e sui principali motori di ricerca [1]. Questo confronto è legato, in prima battuta, alle caratteristiche epidemiologiche del “fenomeno” osteoporosi che, notoriamente, incide su una popolazione prevalentemente anziana con molteplici fattori di rischio per nefropatia cronica (quali, ad esempio, il fumo di sigaretta, il diabete mellito, lo scompenso cardiaco).  

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