Luglio Agosto 2019 - Nefrologo in corsia

Sindrome da ipoperfusione periferica e sindrome monomielica: dalla diagnosi al trattamento. Descrizione di un caso clinico con revisione della letteratura

Abstract

La Sindrome Ischemica è una complicanza severa, ma poco frequente, che può presentarsi dopo l’allestimento di un accesso vascolare (AV) e causare in casi gravi danni ischemici irreversibili. La fisiopatologia è multifattoriale e rappresenta la base per una diagnosi precoce al fine di una gestione corretta del paziente.

Negli anni, vari termini sono stati utilizzati per indicare la sindrome da furto e/o ischemica in soggetti portatori di AV, tanto da creare una certa confusione. Attualmente si utilizzano due nuove denominazioni: Haemodialysis Access-Induced Distal Ischaemia (HAIDI) e Distal Hypoperfusion Ischaemia Syndrome (DHIS).

Clinicamente distinguiamo la Sindrome da Ipoperfusione Periferica (SIP) e la Sindrome Monomielica (SM). Le due entità sono caratterizzate da quadri clinici ben distinti, che il nefrologo deve riconoscere al fine di poter attuare un trattamento adeguato.

Riportiamo il caso di un paziente uremico, diabetico, vasculopatico, portatore di fistola arterovenosa (FAV) brachio-cefalica che ha sviluppato una sindrome da ipoperfusione periferica tanto da rendere necessaria la chiusura dell’AV. La descrizione del caso è seguita da una revisione della letteratura sull’argomento.

Parole chiave: mano ischemica, accesso vascolare, ecocolordoppler, emodialisi

Case Report

Descriviamo il caso di un uomo di 58 anni con una storia di diabete mellito di lunga durata, ipertensione arteriosa e vasculopatia periferica. Il primo accesso vascolare (AV) allestito era una FAV brachio-cefalica al braccio sinistro. Subito dopo l’intervento, però, si assisteva alla comparsa di lieve dolore, parestesie e debolezza della mano, sintomatologia che è andata via via scomparendo nei giorni successivi. La FAV seguiva un normale periodo di maturazione e la sua portata veniva monitorata con ecocolordoppler (ECD) fino al raggiungimento del valore di 1200 ml/min, quando veniva regolarmente utilizzata per la venipuntura. Ad un follow up dopo 6 mesi, il paziente non lamentava alcuna sintomatologia e la FAV era ben funzionante.

Tuttavia, dopo circa 20 mesi all’esame fisico, si notava una diminuzione del soffio all’auscultazione, thrill discontinuo, ed il collasso della FAV durante la manovra di elevazione del braccio. All’ECD veniva evidenziata una stenosi dell’inflow con un declino della portata dell’AV (400 ml/min) e veniva pertanto effettuata immediatamente un’angioplastica transluminale percutanea (PTA) per la correzione della stenosi, con un buon risultato.

Nello stesso periodo, il paziente lamentava una sintomatologia caratterizzata da intorpidimento e parestesie, formicolio e sensazione di bruciore a livello del pollice e delle altre dita, in particolare l’indice e l’anulare (distribuzione del nervo mediano); veniva dunque precocemente sottoposto ad intervento di neurolisi del nervo mediano nel canale carpale, usando un approccio mini invasivo.

Subito dopo queste procedure, la PTA e la neurolisi del nervo mediano, il paziente sviluppava rapidamente un forte dolore a riposo, parestesie, disfunzione motoria e necrosi delle dita con perdita di tessuto. In aggiunta, era presente una limitazione funzionale delle dita ed era necessario l’uso di oppioidi per il controllo del dolore. L’esame fisico mostrava ulcerazioni sulla punta del secondo e del terzo dito in assenza di polso radiale, mentre il polso ulnare e brachiale era iposfigmico. Allo studio Ecodoppler dell’arto superiore sinistro, si evidenziava la presenza di calcificazioni e stenosi dell’arteria brachiale, radiale e ulnare.

Dopo aver consultato un chirurgo vascolare, il paziente veniva sottoposto ad immediata chiusura chirurgica della FAV e a successiva PTA, al fine di trattare le stenosi focali arteriose. Per la prosecuzione del trattamento dialitico veniva posizionato un catetere venoso centrale in vena giugulare. Dopo la legatura della fistola il dolore diminuiva gradualmente e le lesioni ischemiche scomparivano. Ad un anno di follow-up, il paziente non lamentava più alcun dolore e si osservava la guarigione completa delle lesioni.

 

Introduzione

Un AV nativo o protesico è indispensabile per poter effettuare il trattamento emodialitico con flussi ematici ottimali, al fine di garantire una adeguata efficienza dialitica. La FAV è l’AV più utilizzato per consentire il trattamento emodialitico e l’arto superiore non dominante è, in genere, la sede di prima scelta per la costruzione della FAV. La Sindrome Ischemica è una complicanza severa, ma poco frequente che può presentarsi dopo l’allestimento di un AV e causare danni ischemici anche irreversibili in casi gravi. La terminologia usata per anni per riferirsi a questa complicanza è stata recentemente abbandonata a favore di due denominazioni: Haemodialysis Access-Induced Distal Ischemia (HAIDI) o Distal Hypoperfusion Ischemic Syndrome (DHIS) [8, 9].

Da un punto di visto clinico si possono distinguere due sindromi: 1) la Sindrome da Ipoperfusione Periferica (SIP), che può portare fino alla gangrena delle dita della mano e 2) la Sindrome Monomielica (SM), la cui incidenza è molto bassa (0,5%-3%) e che è caratterizzata dalla comparsa di disfunzioni neurologiche, talora anche permanenti [10].

In relazione ai tempi di insorgenza del quadro clinico HAIDI o DHIS, può anche essere classificata come acuta (entro 24 ore dall’allestimento dell’AV), subacuta (dopo 24 ore, ma entro 1 mese) e cronica (dopo più di un mese dall’allestimento). La forma più drammatica è quella acuta, che richiede un intervento correttivo immediato; quella più comune, invece, è la forma cronica [8].

Il caso clinico descritto evidenzia alcuni elementi importanti: 1) l’importanza di differenziare tra SIP e SM; 2) la sovrapposizione della sintomatologia tra SIP ed altre patologie, come la sindrome del tunnel carpale; 3) l’importanza, di fronte ad una SIP, di identificare tutte le sue possibili cause (che nel nostro caso sono l’incremento della portata e l’arteropatia obliterante) poiché l’approccio terapeutico può cambiare [1]; 4) l’importanza di ricorrere ad interventi chirurgici alternativi alla chiusura della FAV, che possono consentire il salvataggio dell’AV e la risoluzione dell’ischemia.

 

Discussione

L’anastomosi artero-venosa è, in sostanza, una comunicazione tra un sistema ad alta pressione ed uno a bassa pressione, con riduzione delle resistenze ed un aumento della portata (QB). L’aumento maggiore del QB si realizza nelle 24 ore successive all’allestimento della FAV, con un ulteriore e graduale crescita nell’arco delle successive 4 settimane. Poiché una percentuale variabile del flusso arterioso viene deviata verso la vena efferente, si ha una conseguente sottrazione di tale flusso, ai territori arteriosi più distali.

È ben noto che una percentuale del flusso sanguigno della FAV può anche esser fornito dall’arteria ulnare attraverso l’arcata palmare. Infatti, sia nelle FAV distali di tipo latero-terminale sia nelle FAV prossimali, il flusso dall’arteria ulnare può refluire verso il tratto distale dell’arteria radiale, attraverso il circolo profondo della mano, contribuendo in questo modo alla portata della FAV e contemporaneamente, sottraendo ulteriore flusso ai tessuti distali. Inoltre, in presenza di una stenosi od occlusione della arteria radiale si può verificare una condizione in cui una gran parte o la totalità della portata dell’AV può essere sostenuta dalla sola arteria ulnare, tramite questo flusso di ritorno (FR) (Figura 1).

Nella maggior parte dei casi il furto non si evidenzia clinicamente. Solo in piccola percentuale, variabile a seconda delle casistiche dal 1,6 all’8%, può dare manifestazione di sé e divenire una complicanza devastante quando determina ischemia. Gli AV distali sono quelli che presentano il rischio più basso (1-2%), mentre quelli prossimali sono a maggior rischio (5-10%); in particolare, sono a rischio quelli tra arteria brachiale e vena basilica o vena ascellare, a causa dell’alta portata che questi AV possono presentare [26]. È però importante sottolineare che un FR è stato individuato nelle FAV radio cefaliche fino al 73% dei casi e dopo allestimento di una protesi tra arteria brachiale e vena ascellare fino al 91% dei casi, pur in assenza di sintomi. Non basta quindi la presenza di furto per portare alla comparsa di una ischemia e del danno conseguente, ma sicuramente subentrano altri fattori di rischio [7]. Ad esempio, può essere anche correlata a lesioni arteriose stenosanti in assenza del furto (Figura 2).

Casi di ischemia dovuti all’aumento della portata si sono inoltre verificati dopo trombectomia di protesi e/o angioplastica della vena efferente, come conseguenza della buona riuscita della manovra con aumento del QB, senza evidenza di embolizzazione periferica [8].

 

Sindrome da Ipoperfusione Periferica

La maggior parte degli accessi vascolari presentano un furto, ma solo pochi sviluppano una sintomatologia [3, 11]. Come già sottolineato, un’inversione del flusso è stata documentata nella maggior parte degli AV senza che questo comporti la comparsa di una sintomatologia evidente [7]. Il furto, da solo, non è sufficiente a produrre un’ischemia della mano, grazie allo sviluppo di meccanismi di compenso, quale la comparsa di circoli collaterali a livello delle arterie più distali, al fine di sostenere un’adeguata perfusione.

Viceversa, alcune patologie (aterosclerosi, vasculiti, sindrome di Burger, diabete mellito) ed il fumo [11] possono determinare steno-occlusioni a livello dei vasi arteriosi del braccio e dell’avambraccio, o anche dell’arcata palmare e/o delle arterie interdigitali, e causare ischemia. Una patologia steno occlusiva prossimale si osserva nel 20-30% dei pazienti con SIP [3].

La SIP si manifesta con dolore che insorge spontaneamente, che compare in presenza dello stimolo freddo, o ancora durante il trattamento emodialitico. La dialisi, infatti, riduce il ritorno venoso al cuore, con conseguente riduzione della gittata ed ipotensione; a questa conseguono vasocostrizione e ridotta pressione di perfusione periferica a livello dei vasi della mano [3, 11]. La mano si presenta fredda rispetto alla controlaterale, pallida e/o cianotica e può presentare delayed capillary refill time e debolezza muscolare [3, 7, 8].

In caso di compressione della fistola, il flusso distale aumenta con attenuazione o scomparsa temporanea del dolore. Nei casi più gravi si sviluppano ulcere trofiche e necrosi delle dita della mano, e/o sepsi fino alla gangrena, con rischio di amputazione. Negli accessi prossimali, i polsi distali sono assenti o ridotti e possono ricomparire se si esegue la manovra di compressione della FAV. Negli AV distali con FR, è presente un soffio dolce olosistolico a livello dell’arteria ulnare; la compressione della arteria radiale distalmente all’anastomosi migliora il quadro poiché interrompe tale FR.

Nelle FAV native la comparsa dei sintomi può essere ritardata perché il flusso tende ad aumentare gradualmente nel tempo, man mano che la vena efferente si dilata e si arterializza. Viceversa, nelle protesi l’insorgenza è più precoce perché il flusso, non essendoci un aumento di calibro del vaso, tende a raggiungere il massimo immediatamente dopo l’allestimento; a volte la portata può diminuire successivamente per il possibile sviluppo di una stenosi a livello dell’outflow [2].

Sono riportati, inoltre, casi in cui la SIP si manifesta in presenza di un AV protesico dopo ripristino del flusso tramite trombectomia e successiva angioplastica dell’outflow, come già segnalato in precedenza in conseguenza dell’aumento del QB [7].

La classificazione di Fontaine, utilizzata nell’arteriopatia degli arti inferiori (AOCP) può essere adottata anche per la SIP. Questa classificazione, estesa agli emodializzati, permette di valutare ed identificare il grado di severità, l’indicazione al trattamento conservativo/chirurgico e consente di monitorare l’efficacia della terapia attuata [3].

  • Grado 1: il paziente è asintomatico. Si possono osservare solo segni di lieve ischemia (iniziale cianosi del letto ungueale, freddezza lieve della cute della mano, pulsazioni arteriose ridotte al polso e riduzione della pressione sistolica delle dita).
  • Grado 2a: il paziente lamenta dolore durante le sedute di dialisi o l’uso intenso della mano. Il dolore è tollerabile, possono associarsi crampi, parestesie, intorpidimento o freddezza alle dita.

Nel grado 1 e 2a è indicato il trattamento conservativo.

  • Grado 2b: il dolore è presente durante le sedute di dialisi o l’uso della mano ed è intollerabile; si associa la comparsa di crampi, parestesie, intorpidimento o inquietezza, le dita sono fredde. È indicato un trattamento combinato sia conservativo che invasivo (endovascolare o chirurgico).
  • Grado 3: è presente dolore a riposo e/o disfunzione motoria delle dita. È indicato un trattamento invasivo urgente associato a misure conservative.
  • Grado 4a: è presente perdita limitata di tessuto (ulcerazione, necrosi). È quindi indicato un trattamento invasivo urgente associato a misure conservative. La funzione della mano può essere ripristinata solo se si risolve l’ischemia.
  • Grado 4b: lesioni dei tessuti irreversibili con impossibilità di preservare la funzione della mano. In tali casi si rende necessaria l’amputazione (Figura 3).

È possibile anche utilizzare la classificazione di Sidaway o la stadiazione di Tordoir come riportato nella Tabella 1.


Sindrome Monomielica
 

La SM è un evento fortunatamente raro nella pratica nefrologica, ma è di grande importanza per il nefrologo e per lo specialista che si occupa degli AV sospettarne la presenza al suo insorgere al fine di un trattamento immediato, pena danni permanenti all’arto.

Nella SM sono coinvolte le strutture nervose distali dell’arto, con perdita assonale che interessa sia i rami motori che sensitivi. Si suppone sia la conseguenza di una transitoria riduzione del flusso sanguigno che causa ischemia dei vasa nervorum. Verosimilmente, non si produce una necrosi del tessuto cutaneo e muscolare perché l’ischemia non è prolungata a sufficienza e/o si ha apertura di circoli collaterali con maggior capacità regolatoria e minor consumo di ossigeno [10].

Le manifestazioni cliniche compaiono in presenza di un AV prossimale, in genere protesico, soprattutto nell’ immediato post-operatorio, ma possono presentarsi entro un mese, anche se meno frequentemente. Fattori predisponenti sono il diabete e la malattia vascolare aterosclerotica. Il quadro clinico è in genere drammatico, con perdita completa della sensibilità, debolezza e paralisi dei muscoli dell’avambraccio e della mano, dolore acuto a riposo che risulta intollerabile, mano calda e polso radiale variamente presente. È necessario intervenire in modo rapido con la chiusura dell’AV, ma la lesione ai nervi può non essere reversibile nonostante un intervento precoce [9, 11].

Alcuni autori ritengono che esista anche una forma indolente di presentazione di SM, in cui i sintomi si sovrappongono e si confondono a quelli di una SIP. In questi casi, la diagnosi può essere più difficoltosa. Mentre nella SM acuta sono coinvolti in modo sovrapponibile i nervi sensitivi e motori, nella forma cronica predomina il danno ai nervi sentitivi [10].

 

Fattori favorenti

Sono stati identificati fattori di rischio in grado di favorire la comparsa dell’HAIDI. Essi includono: diabete mellito presente da lungo tempo, AOCP, occlusione unilaterale della carotide, malattia coronarica, LES, vasculiti, M. di Burger, età maggiore di 60 anni, sesso femminile, presenza di FAV prossimali e protesiche [3, 7, 11]. Pazienti con storie di AV plurimi sono più a rischio di sviluppo, se confrontati con pazienti al loro primo allestimento [9]. Possono contribuire alla patogenesi anche disturbi del metabolismo minerale, chelanti del fosfato contenenti calcio, vitamina D usata per il trattamento dell’iperparatiroidismo secondario, aumento del colesterolo LDL, incremento dello stress ossidativo e iperomocisteinemia [6].

Per quanto concerne le FAV protesiche, alcuni studi suggeriscono che l’uso progressivo di protesi da 4 a 7 mm può diminuire il rischio di SM; altri studi però lo negano e ribadiscono che la SM può manifestarsi a prescindere dalla loro posizione, configurazione o dall’uso di protesi di piccolo calibro [6, 12].

 

Iter diagnostico pre-operatorio

L’allestimento di un AV, soprattutto se protesico e prossimale, può essere a maggiore rischio di sviluppo di HAIDI. Oltre ad un’attenta anamnesi che mette in evidenza i fattori di rischio già elencati in precedenza, l’esame obbiettivo è fondamentale nella valutazione di un’iposfigmia o assenza del polso radiale e/o ulnare, oltre ad una differenza di temperatura tra le due mani. Alcune indagini sono molto utili prima di procedere all’allestimento dell’AV. In primo luogo, la misurazione della pressione arteriosa serve ad evidenziare una eventuale differenza tra i due arti; se quest’ultima è maggiore di 20 mmHg vi è il sospetto di una stenosi prossimale, la cui presenza controindica l’allestimento dell’AV stesso. Va però tenuto ben presente, come dimostrato da Calligaro et al, che pressioni arteriose uguali nei due arti non escludono la presenza di una stenosi emodinamicamente significativa a livello dell’arteria ascellare e/o succlavia, poiché tale problematica può essere mascherata dallo sviluppo di circoli collaterali [6, 13].

L’ECD degli arti superiori offre molteplici informazioni:

  • permette di evidenziare l’integrità dell’albero vascolare arterioso o la presenza di calcificazioni condizionanti stenosi od occlusioni;
  • valuta l’integrità dell’arcata palmare (un’arcata palmare incompleta predispone allo sviluppo di HAIDI);
  • valuta l’elasticità vasale attraverso il test dell’iperemia reattiva e la misurazione dell’indice di resistenza (IR).

Con il test di Allen possiamo evidenziare la partecipazione dell’ulnare alla vascolarizzazione dell’arcata palmare profonda. Tale test, però, non sembra dare indicazioni circa l’eventuale sviluppo di HAIDI poiché, in quasi tutti i pazienti, si rivela nella norma [7, 9]. Nelle donne, l’indice di pressione sistolica digito-brachiale (DBI), se inferiore a 1, è associato ad un più alto rischio di HAIDI. L’arteriografia o altri esami di secondo livello con metodiche radiologiche pesanti possono essere effettuati per confermare una diagnosi sospettata dalle indagini di primo livello.

 

Iter diagnostico post-operatorio

Anche nel post operatorio abbiamo a disposizione molteplici indagini che ci aiutano nell’individuare i pazienti a rischio o che possono aiutarci nel diagnosticare HAIDI. Un marker prognostico molto grave, predittivo di sviluppo di HAIDI, è la scomparsa del polso radiale e/o associato ad un DBI che scende sotto il valore di 0,6 post allestimento [9, 11].

Altri strumenti di diagnosi sono: la pletismografia digitale, la saturazione transcutanea dell’ossigeno, lo stesso ecocolordoppler, e l’indice di pressione sistolica, cioè il rapporto tra la pressione a livello dell’avambraccio dell’AV ed il controlaterale [11]. Un valore inferiore a 0,57 per l’indice di pressione sistolica è più comune nei pazienti con sindrome da furto [3].

Un altro esame utile è l’analisi della perfusione cutanea (skin perfusion pressure measurement) (SSP) mediante l’acquisizione del segnale di flussimetria con una sonda laser Doppler, racchiusa all’interno di un bracciale avvolto intorno al lato palmare della falange prossimale del dito. Questo esame può essere utilizzato soprattutto in presenza di calcificazioni della media, a differenza dell’indice DBI che risulta poco attendibile perché un vaso calcifico può rendere difficoltosa la valutazione dei valori pressori [14].

In casi dubbi si può rendere necessario l’uso di metodiche più invasive quali la risonanza magnetica nucleare, l’angiotomografia assiale computerizzata e l’arteriografia.

 

Diagnosi

Mentre la diagnosi della SIP può essere piuttosto agevole, talvolta quella della SM può presentare maggiori problemi, poiché va differenziata da altre patologie con quadro clinico similare. Infatti, la diagnosi differenziale viene posta con la sindrome del tunnel carpale, come nel nostro paziente, l’artropatia distruttiva, la reflex sympathetic dystrophy syndrome, la neuropatia diabetica e la compressione nervosa ab estrinseco [11].

Nella sindrome del tunnel carpale la sintomatologia è causata dall’intrappolamento del nervo mediano. È presente, in genere, un coinvolgimento di entrambi gli arti, con dolore che può essere anche molto intenso ed associato ad ipotrofia dell’eminenza tenar. L’EMG è di aiuto nella diagnosi poiché l’evidenza del coinvolgimento del singolo nervo è proposto come criterio per escludere la SM.

L’artropatia distruttiva è un’entità non ancora completamente chiarita che conduce a deformazioni delle articolazioni falangee con instabilità e debolezza, obliterazione dello spazio articolare ed erosioni subcondrali. Nella reflex sympathetic dystrophy syndrome, che compare in genere dopo un trauma, è presente dolore e gonfiore delle estremità. Più semplice, infine, è la diagnosi differenziale con il dolore all’arto secondario a compressione nervosa ab estrinseco e con il dolore per il coinvolgimento isolato di un nervo nella neuropatia diabetica.

 

Trattamento

Il trattamento della HAIDI è volto ad aumentare il flusso sanguigno a livello della mano. Nelle forme lievi può essere indicato un trattamento di attesa, mantenendo la mano al caldo, utilizzando farmaci vasodilatatori periferici, riducendo l’attività dell’arto e modificando, se necessario, l’eventuale terapia ipotensiva [8].

È riportato in letteratura un caso di risoluzione delle lesioni ischemiche alla mano e preservazione dell’AV, con l’utilizzo di una medicazione compressiva posizionata sull’anastomosi nel periodo interdialitico e l’uso contemporaneo di acenocumarolo per evitarne la trombosi [15].

Al fine di stabilire il trattamento più idoneo è necessario considerare tutte le varie cause che hanno portato all’insorgenza dei sintomi. Infatti, in caso di presenza di una stenosi localizzata a livello dell’inflow (arteria succlavia, ascellare, brachiale), un trattamento con PTA può permettere la scomparsa del quadro clinico. Anche la correzione con PTA di una stenosi localizzata sul decorso della arteria radiale in una FAV distale con portata sostenuta prevalentemente dall’arteria ulnare, tramite un FR, può permettere di risolvere la sintomatologia e mantenere l’integrità dell’AV. Ancora, una PTA può essere risolutiva in presenza di una stenosi a carico dell’ulnare e/o radiale che riduce il flusso a livello distale [16]. L’efficacia delle PTA nella SIP è stata documentata da numerosi Autori con una percentuale di risoluzione del quadro ischemico fino al 70% [16, 17, 18].

La cosiddetta palmar arch shunt steal, causata da una ipertrofia dell’arcata palmare [16] con secondaria SIP, può essere trattata con una riduzione della bocca anastomotica, che migliora il flusso sanguigno distale, reindirizzandolo dalla fistola alla mano; in alternativa, può essere trattata legando od embolizzando l’arteria radiale distalmente all’anastomosi [3] .

In assenza di stenosi dell’inflow e in presenza di un AV prossimale, si possono realizzare vari interventi correttivi al fine di ridurre la portata, se questa risulta elevata o inadeguata in particolari condizioni. Questo può verificarsi ad esempio in pazienti diabetici con una arteriopatia a carico dei vasi distali della mano, in cui la patologia aterosclerotica impedisce o riduce lo sviluppo di un adattamento del letto vascolare arterioso dell’avambraccio alla presenza dell’AV stesso. Tali procedure sono:

  • la chiusura della vena perforante;
  • la cosidetta Distal Revascularization and Internal Ligation (DRIL) (Figura 4a);
  • la prossimalizazione dell’anastomosi (PAI) (Figura 4b);
  • la distalizzazione dell’anastomosi (Figura 4c);
  • la cosiddetta Revision Using Distal Inflow (RUDI) (Figura 4d);
  • il banding [620].

La procedura DRIL aumenta il flusso distale, impedendo il flusso retrogrado verso la bocca anastomotica. Per ottenere l’aumento del flusso, un tratto protesico viene interposto a ponte tra l’arteria brachiale, 4-5 cm prima dell’anastomosi, e la stessa arteria brachiale a valle della preesistente anastomosi. L’arteria brachiale è poi legata sopra la nuova anastomosi. In tal modo il flusso arterioso si divide in due a livello della arteria brachiale; una parte defluisce, come in precedenza, attraverso la vecchia anastomosi ed una parte viene convogliata attraverso la protesi verso l’avambraccio bloccando il flusso retrogrado. Il ponte protesico agisce come una via a bassa resistenza e, deviando il flusso verso i tessuti distali, è in grado di migliorare il quadro clinico nel 90% dei casi e preservare l’AV nel 73-100% dei pazienti [3-19].

Nella PAI la preesistente anastomosi è chiusa. Si prossimalizza l’anastomosi della vena efferente (o il graft) interponendo un segmento di protesi generalmente di piccolo calibro (4 mm) tra la vena stessa, recisa in prossimità dell’anastomosi arteriosa e l’arteria ascellare od il tratto prossimale dell’arteria brachiale. Il tratto protesico, offrendo una maggiore resistenza al flusso, porta ad una riduzione della portata, una interruzione del flusso retrogrado e ad un miglioramento del flusso dell’avambraccio.

Nella distalizzazione dell’anastomosi a livello prossimale la bocca anastomotica è eliminata. Un tratto protesico è posto a ponte tra la arteria brachiale e l’arteria radiale. In questo modo il flusso distale aumenta per le maggiori resistenze offerte dal ponte protesico e il minor calibro della arteria radiale rispetto alla arteria brachiale determina una riduzione della portata interrompendo così il flusso retrogrado.

La procedura RUDI consiste nel legare l’AV poco dopo la bocca anastomotica, allestendo successivamente un ponte protesico tra l’arteria radiale od ulnare alla loro origine e la vena o il tratto protesico a monte della legatura [3]. In tal modo si determina un aumento del flusso indirizzato verso la mano (Figura 4).

Nel banding, attraverso l’applicazione di una stenosi artificiale con vari sistemi, possiamo ridurre la portata dell’AV deviando il flusso in basso verso l’arteria nativa. Si possono utilizzare delle hemoclip in titanio, dei segmenti di protesi di piccolo calibro o delle strisce non riassorbibili. Tale procedura però può mettere a rischio la sopravvivenza dell’AV favorendone la trombosi, così come evidenziato da vari autori [3]. Nel 2006 Miller ha provato una tecnica mini invasiva di banding che consiste nell’introdurre nell’AV un palloncino di 4-5 mm che viene, poi, gonfiato. Una sutura non riassorbibile è legata stretta attorno alla vena con il palloncino al suo interno, in modo da produrre una riduzione del diametro del vaso definito dal calibro del pallone stesso [21].

Vari autori hanno utilizzato l’ecocolordoppler intraoperatorio per valutare ed ottimizzare la riduzione della portata della FAV durante queste procedure [2123]. In alcuni casi, tuttavia, può essere necessaria la legatura dell’AV per la risoluzione della sindrome ischemica. Per il trattamento della Sindrome Monomielica, ad esempio, il trattamento di scelta è la chiusura immediata dell’accesso vascolare. Le procedure descritte sopra ed utilizzate in presenza di SIP non sembrano sortire effetti benefici nonostante un intervento tempestivo [10].

 

Conclusioni

È probabile che l’invecchiamento della popolazione uremica e la presenza di molteplici comorbilità renderanno i pazienti emodializzati portatori di AV più predisposti al rischio di sviluppare HAIDI.

Le Linee Guida Europee (9.1 e 9.2) [24] raccomandano opzioni terapeutiche come la riduzione del QB, procedure di rivascolarizzazione distale e, in caso di fallimento, la legatura dell’AV. La Canadian Society of Nephrology [25] raccomanda inoltre di monitorare tutti i pazienti, in particolare quelli ad alto rischio.

È indispensabile che il nefrologo identifichi HAIDI precocemente poiché solo una diagnosi tempestiva può stabilire un trattamento adeguato. È anche importante che il nefrologo conosca le varie possibilità di trattamento per essere in grado di interfacciarsi con il chirurgo vascolare e identificare insieme il percorso terapeutico appropriato per ogni paziente. La gestione di questa patologia rappresenta una sfida importante per tutto il team coinvolto nell’accesso vascolare, a causa degli obiettivi contrastanti di preservare la fistola e trattare l’ischemia [26].

 

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