Abstract
La diffusione della metodica peritoneale non può essere qualcosa di avulso dal contesto organizzativo reale e la sola direttiva regionale non è l’unico mezzo atto ad incentivarne la diffusione. Si è, quindi, intuita la necessità di fornire livelli di assistenza efficaci e sostenibili attraverso un supporto clinico-scientifico e di condivisione delle best practices. Il fine è, da un lato, dare ausilio da parte dei centri con maggiore expertise nella metodica, fungendo da punti di riferimento; dall’altro iniziare a stabilire K.P.I. (key performance indicator) condivisi per valutare l’efficacia clinica e misurare gli obiettivi da raggiungere, attraverso modalità di valutazione per sancirne la reale applicabilità. A tale scopo è stato costituito un board scientifico, rappresentato dai responsabili delle UU.OO. che offrono dialisi peritoneale, al fine di stabilire quali aspetti indagare e identificare i fattori migliorativi dell’offerta erogata. Il metodo scelto è stato quello dell’audit clinico. L’analisi dei dati del 2011 ci ha permesso di fotografare la situazione della dialisi peritoneale nel Lazio. Il percorso formativo ha permesso di condividere ed uniformare le procedure ed i protocolli terapeutici, ed inoltre di identificare i punti di forza legati ai servizi di dialisi peritoneale nella Regione Lazio e nel contempo definire degli indicatori (KPI), attraverso i quali confrontare e monitorare i centri nel corso del tempo. L’analisi conclusiva dell’audit ha permesso di individuare una serie di atti operativi da intraprendere comunemente, allo scopo di migliorare la situazione della dialisi peritoneale nel Lazio. Nei prossimi anni verranno varate delle survey atte a verificare l’andamento dei KPI.
Introduzione
L’insufficienza renale cronica (IRC) rappresenta una condizione patologica che può progredire fino ad uno stadio terminale (ESRD) che richiede, per continuare a sopravvivere, un trattamento renale sostitutivo (dialisi o trapianto renale). I trattamenti dialitici disponibili sono l’emodialisi (HD) e la dialisi peritoneale (PD). L’ HD si effettua generalmente in ospedale, mentre la PD utilizza come membrana dializzante il peritoneo e, generalmente, viene effettuata a domicilio. Per i pazienti che si trovano in uno stadio terminale di insufficienza renale si prospetta la necessità di scelta della metodica, sempre dopo aver valutato la possibilità di fare un trapianto di rene senza iniziare il trattamento dialitico. Attualmente non vi sono grandi differenze in termini di sopravvivenza tra l’HD e la PD [1] (full text) [2] (full text) [3]. Non esistendovi un considerevole scostamento né in termini di outcomes clinici né in termini di controindicazioni, se non in particolari condizioni, sarebbe auspicabile una quanto più ampia partecipazione del paziente stesso nello scegliere la terapia sostitutiva che meglio soddisfa le sue esigenze. Vi sono numerosi studi che esaminano i fattori chiave che spingono i nefrologi a scegliere l’una o l’altra modalità, ma si sa molto poco, invece, riguardo le determinanti nella scelta vista dall’ottica del paziente [4]. Le due modalità di trattamento disponibili non devono essere interpretate come dicotomiche, ma rappresentano modalità complementari, integrative e non in competizione tra loro, attraverso le quali, i pazienti, a seconda delle condizioni cliniche, possono mantenere idonee condizioni fisiche. La scelta e il percorso di cura, inoltre, risultano influenzati non soltanto dal parere medico, ma molto spesso sono vincolati da aspetti concreti quali le modalità organizzative di assistenza o dai costi da sostenere, oltre agli aspetti personali e psicologici in grado di impattare fortemente sul benessere complessivo del paziente come, ad esempio, l’autonomia, l’autostima, l’equilibrio delle relazioni familiari e sociali. Molto spesso, dunque, l’accesso ad un percorso di cura rispetto ad un altro è ascrivibile, a parità di condizioni clinico-terapeutiche, alle caratteristiche dell’offerta disponibile nella regione, o più nello specifico, al territorio di residenza del paziente. Si tratta di un’articolazione dei servizi e prestazioni dialitiche che in taluni casi risulta slegata non solo da considerazioni di tipo strettamente clinico relative alla preservazione e tutela della qualità della vita del paziente, ma che scaturisce da valutazioni di tipo economico, in merito al contenimento dei costi, che invece, costituiscono un aspetto sempre più centrale dell’organizzazione complessiva dei servizi della sanità [5]. Tuttavia, persiste ancora oggi una barriera organizzativo-culturale nei confronti della PD sia nei medici che nei pazienti: i primi spesso non ricevono adeguata formazione e/o sono vincolati ad approcci tradizionali per motivi di organizzazione. D’altro canto, invece, l’accesso del paziente in IRC in fase di acuzie e/o emergenza non favorisce una adesione consapevole da parte dello stesso circa i diversi programmi-modalità terapeutiche disponibili. Non affrontando un percorso educazionale, i pazienti sono privi di consapevolezza e pertanto dell’opportunità di scelta rispetto alle diverse opzioni terapeutiche. A tal proposito, è stato dimostrato che quando il paziente viene informato attraverso un percorso strutturato di predialisi circa le due modalità dialitiche, nel circa 50% dei casi sceglie proprio la PD [6] [7]. Paradigmatica è l’esperienza francese del Renal Epidemiology and Information Network Registry (REIN) in cui risulta palese la forte differenza che intercorre tra una programmazione dell’ accesso dei pazienti in dialisi (early referral) versus un ingresso che non risulta né gestito né programmato (late referral). Nel primo caso si verifica un ingresso in PD di ≈21% dei pazienti, quota che si riduce di oltre la metà ≈ 7%. Negli U.S.A. una quota variabile che va dal 76% al 93% dei pazienti incidenti non risulta avere particolari controindicazioni per la dialisi peritoneale, ma soltanto una piccola quota dei pazienti, circa il 25%-33% inizia la terapia [8] (full text). In Italia, seppure non vi sia necessità di particolari investimenti in apparecchiature, strutture o incremento del personale sanitario la percentuale di pazienti trattati in PD è solamente del 10% (Censimento Gruppo Studio Dialisi Peritoneale).
La sensibilità della Regione Lazio nei confronti della dialisi peritoneale è documentata già dal lontano 1998, anno in cui la Regione si prefigge come obiettivo: ”Lo sviluppo della dialisi peritoneale per raggiungere l’utilizzazione di questa metodica in almeno il 30% dei nuovi accessi al trattamento dialitico nel terzo anno di realizzazione del piano e con l’obiettivo di 300 casi prevalenti in trattamento con dialisi peritoneale al termine del triennio pari al 10% dei casi prevalenti” [9]. Ad oggi, nonostante siano trascorsi quasi venti anni da quella delibera la percentuale di pazienti incidenti in PD si attesta intorno a ≈11% mentre la quota dei prevalenti risulta essere poco superiore al 7% [10].
Partendo dal presupposto per cui la diffusione della metodica non potesse essere qualcosa di avulso dal contesto organizzativo reale e che una direttiva regionale non fosse l’unico mezzo atto ad incentivare la diffusione della PD si è intuito che ci fosse la necessità di fornire livelli di assistenza efficaci e sostenibili attraverso un supporto clinico-scientifico e di condivisione delle best practices. Il fine è quello di poter dare ausilio da parte dei centri con maggiore expertise nella metodica fungendo da punti di riferimento, da un lato; dall’altro iniziare a stabilire K.P.I. (indicatore key performance) condivisi per valutare l’efficacia clinica e misurare gli obiettivi da raggiungere attraverso modalità di valutazione atte a sancirne la reale applicabilità. A tale scopo è stato costituito un board scientifico, rappresentato dai responsabili delle UU.OO. che offrono dialisi peritoneale, al fine di stabilire quali aspetti indagare e quali potessero essere fattori migliorativi dell’offerta erogata. Il metodo scelto è stato quello dell’audit clinico. In ogni ambito della medicina tale strumento si è imposto come utile e affidabile metodo di raccolta di informazioni, atte a definire meglio i criteri di applicabilità di una linea guida clinica e nel contempo misurarne l’efficacia “sul campo”. Nel 2002, il National Institute for Clinical Excellence del Regno Unito, definendo gli standard per un Audit Clinico, ricordava che per essere valido e portare a dei miglioramenti, deve essere basato su dati di evidenza, correlato ad aspetti pratici di terapia e, soprattutto, misurabile [11] (full text).
Definito il percorso dell’audit, come primo passo è stato somministrato un questionario con risposta multipla per raccogliere informazioni utili alla definizione della popolazione in trattamento dialitico peritoneale della regione Lazio, così come delle pratiche comuni di gestione del paziente, dalle modalità informative alle più comuni attività di gestione clinica. Il questionario è stato caricato su una piattaforma web per permetterne la compilazione da parte dei centri dialisi; i dati, raccolti in forma aggregata, resi anonimi e protetti da password personali in possesso di ciascun centro, rimanevano in forma visibile solo dal centro stesso. Ogni centro era identificato da un codice numerico. Le risposte al questionario, che ha costituito la prima fase di raccolta dati dell’AUDIT, hanno riguardato la quasi totalità dei centri e dei pazienti PD nel Lazio, permettendo di rendere coerenti i risultati derivanti dalla parte dello stesso questionario più strettamente riguardante la pratica clinica dei singoli centri e gli outcomes. Contemporaneamente alla raccolta dati, sono stati organizzati degli incontri monotematici itineranti, ospitati negli ospedali che effettuano dialisi peritoneale nella Regione Lazio, nel corso dei quali sono stati discussi argomenti sia clinici che organizzativi, cui hanno partecipato medici ed infermieri. Nel corso di tali giornate sono state evidenziate alcune criticità, che a loro volta sono state utilizzate per definire gli indicatori di performance (KPI, key performance indicator). I KPI costituiscono la fase operativa dell’Audit, in quanto la loro risomministrazione permetterà di misurare l’efficacia delle procedure adottate ed avere una misura concreta del cambiamento secondo parametri oggettivi e condivisi.
Un ottavo ed ultimo incontro, tenutosi nel 2013, ha visto presentati i risultati dell’audit e si sono identificati degli indicatori di performances (KPI, Key Performances Indicator), individuati fra i risultati che presentavano le maggiori difformità tra i diversi centri. In questo lavoro verranno presentati solamente i risultati dell’Audit che sono stati individuati come KPI.
Scopo del lavoro: evidenziare punti di forza e punti di debolezza della dialisi peritoneale nel Lazio. Uniformare le procedure operative attraverso un percorso di formazione e revisione della letteratura. Individuare degli indicatori di performance e definire le linee di attività per il prossimo futuro. Una raccolta dati relativa al 2014 evidenzierà l’effetto del percorso intrapreso su indicatori predefiniti.
Materiali e metodi
Il percorso di audit comincia con la costituzione di un board scientifico costituito da tutti i responsabili delle UU.OO dotate di un centro di dialisi peritoneale, per definire e condividere il progetto.
Il primo passo consiste in una analisi dei dati di incidenza, prevalenza, complicanze ed outcomes sulla dialisi peritoneale nel Lazio nel 2011.
Segue un percorso di formazione e condivisione attraverso 6 incontri scientifici effettuati con cadenza bimestrale a rotazione in alcuni centri ospedalieri laziali. Durante tali incontri argomenti di pratica clinica predefiniti dal board verranno trattati da medici ed infermieri del centro ospitante, alla presenza di tutti gli altri partecipanti al progetto (Figura 1).
Dopo circa 12 mesi, concluso l’iter formativo, sulla base di quanto emerso nei vari incontri, sono stati definiti degli indicatori di performance (KPI) ed adottati eventuali strumenti comuni.
Una nuova analisi sui dati di incidenza, prevalenza, complicanze ed outcomes verrà effettuata nel 2015 sui dati del 2014 per valutare l’efficacia di tale percorso formativo e l’adozione degli strumenti condivisi.
L’analisi dei dati del 2011 è stata condotta utilizzando come base un questionario con risposta multipla, stilato prendendo spunto da quello precedentemente utilizzato dal Gruppo di studio di Dialisi Peritoneale (GSDP) della Società Italiana di Nefrologia, adattato allo scopo di raccogliere informazioni utili alla definizione della popolazione in trattamento dialitico peritoneale della regione Lazio, così come delle pratiche comuni di gestione del paziente, dalle modalità informative alle più comuni attività di gestione clinica.
Il questionario è stato caricato su una piattaforma web per permetterne la compilazione da parte dei centri dialisi; i dati, raccolti in forma aggregata, resi anonimi e protetti da password personali in possesso di ciascun centro, rimanevano in forma visibile solo dal centro stesso. Ogni centro era identificato da un codice numerico.
Il questionario, somministrato nel corso del 2013, ha riguardato pazienti incidenti e prevalenti per l’anno 2011; sono stati considerati incidenti i pazienti che iniziavano il trattamento PD o HD nel corso dell’anno, con esclusione dei pazienti che rientravano dal trapianto renale o che provenivano per trasferimento da altri centri extra regionali. Sono stati considerati prevalenti i pazienti in trattamento PD o HD al 31-12-2011. I dati di incidenza e prevalenza sono stati confrontati con i dati relativi del Registro Regionale di Dialisi e Trapianto (RRDT) del Lazio, pubblicati con riferimento al 2011.
Raccolti ed elaborati i dati, in un incontro conclusivo con tutti i partecipanti all’audit ed alla presenza di un ricercatore del CENSIS, si sono analizzati i punti di forza e di debolezza della dialisi peritoneale nel Lazio, definendo degli indicatori di performance (KPI) e indicando possibili strumenti per incrementare i numeri di prevalenza e migliorare gli outcomes. I KPI sono stati definiti assumendo per ogni valore la media di quanto riportato da tutti i centri. Ad esempio come KPI per gli episodi di peritonite si considera come indice di performance il valore medio del numero di peritoniti riportate in tutti i centri. In questo modo ogni centro si colloca facilmente al di sopra o al di sotto del valore medio (KPI).
Risultati
Il questionario è stato compilato e restituito da tutti i 16 centri che effettuano dialisi peritoneale nella Regione Lazio, tutti pubblici, che rappresentano il 17,5% del totale dei centri dialisi della Regione Lazio (inclusi centri accreditati che, per definizione, effettuano solo emodialisi); i dati sono comunque relativi al 93% dei pazienti prevalenti ed al 100% dei pazienti incidenti in trattamento dialitico peritoneale nel 2011 (fonte RRDT 2011). I centri sono stati classificati tenendo conto del numero di pazienti prevalenti in PD come: piccolo (1-15 pazienti), medio (16-30 pazienti), grande (31-55 pazienti).
I pazienti incidenti in HD rilevati dall’Audit rappresentano il 24,8% del totale dei pazienti incidenti in trattamento dialitico nella Regione Lazio per il 2011, mentre quelli incidenti in PD ne rappresentano l’11,9%; considerando i soli pazienti dei centri sede dell’Audit, la percentuale degli incidenti in PD sale al 28,1% (110/339), con una suddivisione tra le metodiche APD e CAPD del 60% e 40% rispettivamente.
I dati dei pazienti prevalenti in trattamento HD, censiti dall’Audit, rappresentano il 24% del totale dei pazienti prevalenti in trattamento dialitico della Regione Lazio nel 2011, mentre quelli in PD ne rappresentano il 6,6%. Considerando ancora e solamente i pazienti prevalenti nei centri sede dell’Audit, il 78,5% risultava in trattamento HD, mentre il 21,5% veniva trattato con PD (306/1421).
La percentuale di utilizzo della PD nei pazienti prevalenti mostra però delle grandi differenze tra centro, con valori estremamente variabili, dal 4,5% al 50,5%; tali percentuali non sono correlate alla dimensione numerica della popolazione prevalente in trattamento dialitico nel singolo centro.
La parte di questionario successiva a quella relativa ai dati demografici è stata realizzata per definire gli aspetti clinico-gestionali della PD nel Lazio. In particolare si è valutato lo shift tra le metodiche, il late referral, la presenza del caregiver e la sua tipologia, cui sono stati aggiunti degli indicatori tipici per la dialisi peritoneale come il tasso di peritoniti e di infezioni dell’exit site, la gestione del catetere peritoneale, il tasso di ospedalizzazione per cause diverse, l’esecuzione dei test di valutazione della funzionalità peritoneale, la profilassi atb.
Nel corso del 2011 16 pazienti sono stati trasferiti dalla CAPD alla APD, pari al 15,2% dei pazienti prevalenti in CAPD; la ragione principale (11/16) era legata ad una scelta del paziente o del suo caregiver, mentre in 3 casi il deficit depurativo era stato indicato come causa principale; nei casi restanti era stata indicata una sopraggiunta generica impossibilità a continuare questo tipo di trattamento. Il dato non si modifica sostanzialmente se si prende in considerazione la dimensione del centro, salvo mostrare un certo incremento del deficit depurativo come causa di shift nei centri di minore dimensione.
Il dropout da PD ad HD ha interessato, nel 2011, 29 pazienti; la causa principale in oltre la metà dei casi (20 pazienti, 68,8%) sono state la peritonite, l’insufficienza depurativa o ultrafiltrativa mostrate dalla metodica. 5 pazienti hanno scelto autonomamente di passare alla HD mentre altri 5 shift sono stati giustificati da una generica impossibilità a proseguire il trattamento. Anche nel trasferimento da PD ad HD, i centri di minori dimensioni sembrano indicare in misura maggiore il deficit depurativo, mentre i centri di maggiori dimensioni registrano nella peritonite il motivo più frequente.
Sono stati considerati pazienti late referral i pazienti incidenti “nuovi ingressi”, quelli cioè che non hanno effettuato trattamenti dialitici per malattia renale cronica e sono stati presi in carico da un nefrologo non più di tre mesi prima dell’immissione nel trattamento attuale: sono stati quindi esclusi i pazienti che rientrano da trapianto, i pazienti provenienti da altro centro ed i pazienti che provengono dalla HD o dalla PD, rispettivamente. I “nuovi ingressi” in PD rilevati dall’Audit sono stati 99, di questi 14 sono late referral; il dato confrontato con i late referral della HD (70/208), mostra una differenza significativa (14,1% vs 33,7%; p=0,0003).
I pazienti prevalenti dei centri sede di Audit, effettuano nella totalità dei casi la dialisi presso il proprio domicilio, il 10,6% con la presenza di un’assistente. L’assistente è, in oltre l’80% dei casi, un familiare, mentre nei restanti casi si tratta di una figura non professionale, come le badanti. Nessun paziente risulta supportato da figure istituzionali (infermiere professionale, ausiliari, etc.).
Le peritoniti sono state conteggiate sia come numero totale che come numero di pazienti che hanno avuto almeno un episodio di peritonite nel corso del 2011; sono stati riportati 108 episodi di peritonite in 64 pazienti, pari al 20,9% dei pazienti prevalenti. In APD l’incidenza è leggermente più elevata (22,4%) rispetto alla CAPD (18,1%), anche se la differenza non è significativa (p=0,380). Anche il rapporto tra numero di episodi ed il numero di pazienti colpiti non è diverso tra CAPD e APD (rispettivamente 1,74 vs. 1,66 episodi/paziente). Il tasso di incidenza di peritonite, calcolato come numero di episodi/anno di trattamento dei pazienti prevalenti ha mostrato valori di 0,396 per la APD e di 0,372 per la CAPD (p=0,927); non vi sono correlazioni tra dimensioni del centro e tasso di incidenza di peritoniti.
I test di funzionalità peritoneale vengono effettuati una volta ogni 12 mesi in 7/16 centri; 2 centri li effettuano ogni 6 mesi, mentre i restanti 7 centri li effettuano in base alle necessità cliniche del singolo paziente.
L’operatore che effettua il posizionamento del catetere è stato (pazienti incidenti) in oltre il 64% dei casi il nefrologo; l’affiancamento del chirurgo al nefrologo è avvenuto nel 24% dei casi, mentre il solo chirurgo ha posizionato il catetere nel 7,5% dei casi. In 5 casi è stata riportata la tecnica video laparoscopica, senza precisa indicazione del tipo di operatore.
La profilassi antibiotica delle infezioni dell’exit site viene effettuata nel 22% dei pazienti prevalenti; l’atb usato nella quasi totalità dei casi è stata la mupirocina.
La morbilità si attesta a 1625 giornate totali di ricovero sul totale dei 306 pazienti prevalenti in PD nel 2011, con un tasso di 5,3 gg/paziente; valori superiori si rilevano in particolare in centri di piccole dimensioni (n=4), anche se 2 centri di grandi dimensioni riportano tassi >8 gg/paziente.
Nell’analisi effettuata nella giornata conclusiva si confermava che: “La dialisi peritoneale presenta vantaggi di tipo socio-familiare ed economico, a parità di sicurezza ed efficacia clinica nei confronti della emodialisi.
La dialisi peritoneale può e deve essere proposta alla quasi totalità dei pazienti che desiderano effettuarla”.
Discussione
La terapia sostitutiva cronica della funzione renale è considerata dalla maggior parte dei sistemi sanitari dei paesi occidentali una grande sfida, sia per gli aspetti clinici che per gli aspetti legati all’alto uso di risorse umane ed economiche, dedicate ad un numero relativamente ridotto di pazienti. Negli USA, l’introduzione di sistemi di rimborso “bundled” da parte di Medicare per il programma ESRD, ha permesso di ridurre l’impatto dei costi relativi al trattamento di questi pazienti, registrando per il 2011 ed il 2012 un incremento inferiore all’incremento dei costi totali Medicare e portando l’incidenza dei costi ESRD dal 6,1% del 2006 al 5,6% del 2012 [12]. Un aspetto clinico legato a questo risultato è stato l’incremento dell’utilizzo della dialisi peritoneale. La prevalenza di pazienti in PD è passata dal 5,5% del 2010 al 6,3% del 2012; i pazienti incidenti in PD sono passati dal 6,6% del 2010 al 8,3% del 2012.
La Regione Lazio ha posto l’accento sui trattamenti dialitici domiciliari già da alcuni anni ed in particolare ha deliberato nel 1998 un progetto di potenziamento della nefrologia e dialisi, comprendente in particolare la dialisi peritoneale che, secondo tale delibera, avrebbe dovuto raggiungere nel triennio 1998-2001 gli obiettivi di una incidenza del 30% ed una prevalenza di almeno il 10% dei pazienti in trattamento dialitico [13].
La necessità di fornire livelli di assistenza efficaci e sostenibili (good practice) definisce ogni progetto di governo clinico, il quale a sua volta deve basarsi su procedure definite e su modalità di valutazione e misurazione atte a sancirne la reale applicazione. In quest’ottica, la stesura di linee guida per la pratica clinica precede e consegue all’utilizzo di strumenti che ne siano in grado di valutare il livello di implementazione e ne misurino l’efficacia.
Nel corso degli incontri monotematici itineranti, in seguito all’evidenziarsi delle diverse criticità, sono stati stabiliti e condivisi i diversi indicatori di performance presentati in questa pubblicazione:
- KPI1 – Incidenza e Prevalenza della PD
Nella regione Lazio i livelli attuali di utilizzo della dialisi peritoneale sono inferiori alla media nazionale se vengono presi in considerazione tutti i centri dialisi incluso i centri privati accreditati (che non possono fare dialisi peritoneale). La percentuale passa al 21.5% se consideriamo solo i centri pubblici (verso il 78.5% di emodialisi); i dati del registro nazionale della Società Italiana di Nefrologia (SIN) per il 2009, mostrano una prevalenza del 10% di pazienti in trattamento PD, che sale al 16,9% se si considerano i centri che possono proporre il trattamento [14] (full text). Il dato si conferma rispetto al censimento del Gruppo di studio di dialisi peritoneale (GSDP-SIN) condotto nel 2008 su centri pubblici che effettuano PD, che mostrava in questi una prevalenza del 16,7% [15]. Secondo i dati dell’Audit presentato in questo articolo, il Lazio presenta una considerevole difformità a livello territoriale dell’offerta PD, in quanto solo nei centri pubblici vi è questa opzione; ciononostante la capacità di offerta in questi centri è notevolmente superiore alla media nazionale attestandosi al 21,5% dei pazienti prevalenti ESRD.
Per aumentare la prevalenza della dialisi peritoneale occorre che almeno tutti i centri pubblici ospedalieri siano in grado di eseguire questa tecnica aumentandone, ove possibile, l’offerta. I Direttori Generali devono essere coinvolti in questo aspetto.
La mancata correlazione tra dimensioni del centro e percentuale di prevalenza in PD riflette un dato già rilevato anche dal censimento GSDP del 2012 (Figura 2, Figura 4).
Un recente studio osservazionale condotto su dati del Renal Registry del regno Unito, ha identificato una popolazione di 3273 pazienti che ha iniziato un trattamento RRT cronico, come “home dialysis” (123 HD, 3150 PD), tra il 2007 ed il 2008. I principali fattori di scelta del trattamento “home” sono stati identificati nella convinzione del medico al raggiungimento di un numero ideale di pazienti, nella esistenza di un programma di pre-dialisi strutturato con disponibilità di materiale educativo audiovisivo e di un programma predefinito di visite domiciliari eseguite in team [16]
- KPI 2- Switch CAPD-APD
La suddivisione tra metodiche APD e CAPD, con netta prevalenza della prima, anticipa una tendenza già in atto da diversi anni su tutto il territorio nazionale, che vede un progressivo spostamento verso l’utilizzo delle metodiche automatizzate nei pazienti incidenti e prevalenti. I dati dell’ultimo censimento nazionale effettuato dal GSPD evidenziano un maggior utilizzo di CAPD nei pazienti incidenti (55% CAPD, 45% APD), a fronte di una maggior frequenza di pazienti APD (55%) nella popolazione dei prevalenti. Questo è in parte giustificato dal significativo e più alto tasso di switchover da CAPD ad APD, che rifletterebbe una maggiore flessibilità dei centri nei confronti della metodica e contemporaneamente una manovra di contenimento del tasso di dropout dalla PD stessa. I dati dell’Audit in questo senso rilevano uno spostamento di 16 pazienti da CAPD ad APD, pari al 17,5% dei pazienti prevalenti in CAPD e nessun paziente da APD a CAPD; nella maggior parte dei casi si trattava di una esplicita richiesta del paziente, legata a necessità personali, non cliniche.
- KPI 3 – Dropout PD-HD
Il tasso di dropout verso la HD, per ogni causa, è sensibilmente più basso rispetto al dato nazionale rilevato nel censimento GSDP del 2012 (3,45 vs 12,3 eventi/100 aa-paziente). Le cause di dropout non sono percentualmente diverse da quelle rilevate nello stesso censimento e confermate dalla letteratura internazionale; le dimensioni minori del centro non sembrano essere correlate ad un maggior numero di eventi dropout, come invece rilevato nei dati dei censimenti nazionali del 2005 e del 2008.
- KPI 4 – Late referral
I pazienti late referral presentano maggiori problemi di gestione e sono gravati da maggiori tassi di dropout dalla metodica e maggiore mortalità rispetto agli early referral. I dati dell’Audit rilevano un tasso di utilizzo della PD, nei late referral incidenti, superiore al dato nazionale del 2008 (14,1% vs 11,3%), anche se sensibilmente inferiore ai dati rilevati dalla letteratura internazionale [17]. Il considerevole minor grado di late referral nei pazienti incidenti in PD rispetto ai pazienti HD, può ancora essere spiegato con un maggior grado di selezione che viene tutt’oggi effettuato su questi pazienti e sulla frequente necessità di iniziare un trattamento depurativo in tempi non compatibili con la maturazione dell’accesso peritoneale. Va tuttavia sottolineato che l’approccio ai pazienti late referral è considerevolmente cambiato nel corso degli anni, anche in considerazione della maggiore età dei pazienti ESRD. Una recente review, ha rilevato come l’inizio della PD non pianificato e non rispettoso dei tempi di maturazione nei pazienti late referral sia gravato da maggiori problematiche meccaniche ma non da un incremento del rischio infettivo; i pazienti late referral con catetere venoso centrale temporaneo presentano invece un aumentato rischio infettivo e meccanico, rispetto ai pazienti che iniziano con una fistola a/v od un catetere permanente. Quando comparati, i pazienti PD non pianificati presentano gli stessi tassi di sopravvivenza dei pazienti HD non pianificati.
- KPI 5 – Sede e partner del trattamento
I pazienti laziali effettuano in circa il 90% dei casi in maniera autonoma il trattamento; il dato è sorprendentemente più elevato rispetto a quanto rilevato a livello nazionale, dove oltre il 24% dei pazienti censiti nel 2012 è affiancato da un assistente, quasi sempre un familiare [17]. Nel Lazio non esistono attualmente forme di supporto economico atte a riconoscere l’impegno di un assistente, anche se sarebbe ipotizzabile che un maggiore ricorso a figure di assistenza domiciliare potrebbe favorire una maggiore penetranza della metodica; in effetti attualmente la selezione è fortemente orientata alla scelta di pazienti con buon grado di autosufficienza.
In alcuni casi potrebbe essere utile offrire la dialisi peritoneale in residenze assistite (RSA, Hospice)
- KPI 6 – Peritoniti e valutazione delle performances della membrana peritoneale
I KPI costituiscono la fase operativa dell’Audit, in quanto la loro risomministrazione permetterà di misurare l’efficacia delle procedure adottate.
Il dato rilevato dall’Audit è ampiamente al di sotto del valore raccomandato dalle più recenti linee guida della International Society of Peritoneal Dialysis (ISPD) e in linea con il dato nazionale rilevato nel censimento 2012 (0,38 e 0,28 episodi/anno-paziente, rispettivamente); non vi è differenza significativa tra CAPD ed APD. Gli episodi di peritonite con coltura negativa rappresentano il 5,6% di tutti le peritoniti, un dato inferiore a quello rilevato a livello nazionale, che si attesta attorno al 16%.
La profilassi antibiotica delle infezioni dell’exit site nei pazienti con carriage di Staph aureus viene effettuata nel 22% dei pazienti prevalenti, con una discreta variabilità tra i diversi centri; la mupirocina è la molecola maggiormente utilizzata. I dati più recenti confrontabili a livello nazionale sono quelli del censimento GSDP 2008, nel quale risultavano effettuare terapia atb il 29% dei pazienti per i quali si aveva una distribuzione delle molecole quasi paritetica tra mupirocina, gentamicina od altro [15].
La valutazione delle performances della membrana peritoneale viene effettuata con PET; 9 centri sui 16 censiti opta per un programma definito temporalmente, mentre i restanti 7 preferiscono effettuare il PET solo dietro indicazione clinica. Non vi è in letteratura una raccomandazione univoca: le Best practices del GSDP raccomandano una frequenza almeno annuale ed ogniqualvolta si presenti una problematica legata ad inadeguata depurazione o ultrafiltrazione, mentre le DOQI guidelines, vista la sostanziale stabilità nel tempo del trasporto peritoneale, almeno nella maggior parte dei pazienti, consigliano l’esecuzione del test solo in presenza di una indicazione clinica. Ambedue ricordano di eseguire il PET almeno un mese dopo la risoluzione di un evento peritonitico. Il dato conferma comunque la grande variabilità presente nei centri dialisi del Lazio per quanto riguarda la gestione della pratica clinica.
- KPI 7 – Posizionamento del catetere peritoneale
Vi è una discreta variabilità tra i centri che hanno risposto all’Audit, anche se la figura del nefrologo da solo od in affiancamento ad un chirurgo rende conto della pratica in oltre l’80% dei centri laziali che effettuano PD. Anche in questo caso il dato è superiore a quanto riportato a livello nazionale dal censimento 2010 del GSDP, dove la figura del chirurgo senza il nefrologo effettua l’inserzione in circa il 30% dei centri [14] (full text). In letteratura il dato è abbastanza controverso; la correlazione è più evidentemente legata alla reale esperienza dell’operatore che alla sua provenienza [16].
Una rete predefinita di riferimento per il posizionamento del catetere peritoneale, verso centri con elevata esperienza e disponibilità, aiuterebbe ad avviare la dialisi peritoneale in quegli ospedali ancora sprovvisti.
- KPI 8 – Morbidità
Il tasso di ospedalizzazione, calcolato sui pazienti prevalenti, riporta una media di 5,3 gg/paziente/anno. Il dato potrebbe non essere del tutto corretto, poiché la raccolta dati è stata fatta in forma aggregata per ciascun centro e non è possibile escludere che siano state computate giornate di ricovero di pazienti che sono estranei al gruppo dei prevalenti.
Conclusioni
L’analisi dei dati del 2011 ci ha permesso di fotografare la situazione della dialisi peritoneale nel Lazio con i suoi punti di forza e di debolezza.
Il percorso formativo ha permesso di condividere ed uniformare le procedure ed i protocolli terapeutici, ed inoltre di identificare i punti di forza legati ai servizi di dialisi peritoneale nella Regione Lazio e nel contempo definire degli indicatori (KPI) attraverso i quali confrontare e monitorare i centri nel corso del tempo. Sono emerse realtà di forte committment nei centri che attualmente offrono un servizio attivo di dialisi peritoneale, ma è emersa anche una forte necessità di creare strumenti di condivisione delle conoscenze, accanto ad un forte bisogno di strutturare l’offerta sanitaria.
La analisi conclusiva dell’audit ha permesso di individuare i seguenti atti operativi da intraprendere comunemente allo scopo di migliorare la situazione della dialisi peritoneale nel Lazio:
- La nota informativa consegnata dal nefrologo al paziente, che deve essere avviato al trattamento sostitutivo, deve contenere in modo chiaro e uniforme per tutta la regione la descrizione delle tre opzioni che il paziente ha a disposizione: Trapianto, Dialisi peritoneale ed emodialisi.
- Redazione di un questionario sulle motivazioni che hanno spinto il paziente ad effettuare la scelta. Esso potrà essere di utilità alla comunità scientifica per individuare meglio le barriere che ostacolano la scelta della dialisi peritoneale nel Lazio.
- Stilare un documento di farmaco-economia (HTA) che mostri la eventuale cost-effectiveness della dialisi peritoneale versus la emodialisi.
- Definire una rete per l’invio di pazienti finalizzata al posizionamento del catetere peritoneale (in buona parte già esistente)
- Individuare, di concerto con gli amministratori regionali, forme di assistenza integrata per i pazienti non autosufficienti (come ad esempio dialisi peritoneale nelle RSA o in hospice) dove questa venga regolarmente rimborsata.
- Incentivo da parte della Regione per direttori Generali di ASL o Aziende Ospedaliere assegnando, tra gli altri, l’obiettivo di incrementare la prevalenza della dialisi peritoneale.
Attualmente è in corso la seconda raccolta dati riferita all’anno 2015, che sarà oggetto di rivalutazione Audit e di analisi socioeconomica, oggetto di prossima pubblicazione.
Bibliografia
[1] Weinhandl ED, Foley RN, Gilbertson DT et al. Propensity-matched mortality comparison of incident hemodialysis and peritoneal dialysis patients. Journal of the American Society of Nephrology : JASN 2010 Mar;21(3):499-506 (full text)
[2] Barone RJ, Cámpora MI, Gimenez NS et al. Peritoneal Dialysis as a First versus Second Option after Previous Haemodialysis: A Very Long-Term Assessment. International journal of nephrology 2014;2014:693670 (full text)
[8] Mehrotra R, Kermah D, Fried L et al. Chronic peritoneal dialysis in the United States: declining utilization despite improving outcomes. Journal of the American Society of Nephrology : JASN 2007 Oct;18(10):2781-8 (full text)
[9] Regione Bollettino Ufficiale della regione Lazio-N.14. 20-05-1998
[10] Registro Regionale Dialisi e Trapianto Regione Lazio. 2011
[11] Briggs V, Davies S, Jenkins S et al. Getting more out of clinical practice guidelines. Peritoneal dialysis international : journal of the International Society for Peritoneal Dialysis 2011 Nov-Dec;31(6):631-5 (full text)
[12] Annual Data Report System. The United States Renal Data. 2014
[14] Marinangeli G, Cabiddu G, Neri L et al. Old and new perspectives on peritoneal dialysis in Italy emerging from the Peritoneal Dialysis Study Group Census. Peritoneal dialysis international : journal of the International Society for Peritoneal Dialysis 2012 Sep-Oct;32(5):558-65 (full text)
[15] Censimento Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale 2012