Marzo Aprile 2016 - In depth review

Utilità dell’sCD14-ST per la diagnosi di sepsi nel paziente con insufficienza renale

Abstract

Da anni gli studiosi cercano di individuare marcatori precoci di sepsi che consentano di guadagnare tempo prezioso per l’applicazione dei protocolli dell’early goal directed therapy nel paziente settico. Finora, tra i biomarker esaminati, la procalcitonina sembrava essere quello più attendibile, sebbene scarsamente specifico e di modesto valore prognostico; gli altri, tra cui le interleuchine, il recettore d’innesco espresso sulle cellule mieloidi (TREM-1) e il recettore solubile del tipo urochinasi attivatore del plasminogeno (suPAR), presentano valore clinico ancora incerto e controverso. Nel 2004 è stato individuato un nuovo biomarker, il soluble CD14 SubType (sCD14-ST, comunemente denominato Presepsin), che sembra avere una migliore sensibilità e specificità per la diagnosi di sepsi. Il Presepsin non solo appare affidabile come indice diagnostico, ma fornisce anche buone prestazioni per quanto riguarda la valutazione della gravità della sepsi e come indice prognostico.

Un punto che appare ancora poco indagato, tuttavia, riguarda il rapporto tra il sCD14-ST e l’alterata funzione renale. Essendo una molecola di appena 1300 Da, il Presepsin viene completamente filtrato dal glomerulo e poi riassorbito e metabolizzato a livello del tubulo contorto prossimale. In che modo l’acute kidney injury, frequente complicanza della sepsi, o una chronic kidney disease pre-esistente, possano modificare i livelli del biomarcatore nel plasma e influenzarne il significato diagnostico e prognostico rappresentano ulteriori, decisivi, campi di indagine che gli studi dei prossimi anni non mancheranno di approfondire.

La presente review si focalizza sulle ultime evidenze circa il ruolo diagnostico e prognostico del Presepsin nella sepsi e dedica particolare attenzione al suo utilizzo nel contesto di una disfunzione renale acuta o cronica. I numerosi articoli censiti e la revisione critica di tutti i più recenti dati riportati in letteratura sul sCD14-ST dalla prospettiva del nefrologo clinico, consentono di attribuire al presente lavoro caratteri di completezza e, allo stesso tempo, di sinteticità e ne fanno un punto di partenza scientificamente attendibile per chi si accosta all’uso del Presepsin.

Parole chiave: biomarcatori, insufficienza renale, presepsin, sCD14-ST, sepsi

 

Introduzione

La sepsi è una sindrome caratterizzata da una risposta infiammatoria sistemica (SIRS) potenzialmente fatale provocata da una grave infezione [1] (full text). Le sue manifestazioni cliniche variano in rapida progressione con un crescendo di gravità che può portare alla sepsi severa, definita dalla presenza di disfunzione d’organo o di ipoperfusione tissutale, e allo shock settico, definito dalla presenza di ipotensione persistente nonostante adeguata fluido-terapia [2].

Negli Stati Uniti la sepsi interessa approssimativamente lo 0.3% della popolazione e, nella sua forma severa, determina più di 200.000 decessi all’anno [3]. Sono coinvolti circa l’1-2% degli ospedalizzati e fino al 25-30% dei ricoverati in terapia intensiva [4]. Nonostante il globale miglioramento delle strategie terapeutiche, dagli anni ‘70 ad oggi l’incidenza della sepsi è aumentata, così come è aumentato il numero di decessi ad essa attribuibili [5] (full text). Le linee guida internazionali del Surviving Sepsis Campaign [2] (cfr. Figura 1) indicano come punti chiave per l’approccio al paziente settico la diagnosi precoce e la precoce istituzione di misure adeguate a combattere l’infezione e ristabilire la perfusione tissutale (early goal directed therapy). Solo in poco più della metà dei pazienti con segni e sintomi di sepsi, però, è possibile ottenere emocolture positive o altre prove microbiologiche di foci infettivi [4]. È d’altra parte noto come segni e sintomi di SIRS possano aversi anche in soggetti non infetti, come nel caso di pazienti con patologie acute quali pancreatite e dissezione aortica. Per tale motivo la diagnosi di sepsi al letto del paziente risulta tutt’altro che agevole, con perdite di tempo che possono influenzare in modo determinante l’outcome.

Da quanto detto si evince l’importanza che potrebbe avere la scoperta di un biomarcatore precoce di sepsi. Numerosi marker biologici, come la proteina C reattiva, la procalcitonina, le interleuchine, il recettore d’innesco espresso dalle cellule mieloidi (TREM-1) e il recettore solubile del tipo urokinasi attivatore del plasminogeno (suPAR), hanno negli ultimi anni suscitato l’interesse di numerosi ricercatori [6] (full text) [7] [8] (full text) [9]. Gli studi per valutare le capacità diagnostiche e prognostiche di questi e altri biomarcatori si sono moltiplicati ma, fatta eccezione per la procalcitonina e la proteina C reattiva, inserite non a caso tra i criteri diagnostici di sepsi delle linee guida del 2012 (cfr. Figura 1), la loro reale validità clinica risulta ancora controversa e incerta. Nel 2004 è stato individuato un nuovo marcatore, il soluble cluster of differentiation 14-SubType (sCD14–ST o Presepsin) [10], che in diverse casistiche riporta performance diagnostiche e prognostiche promettenti.

Il cluster of differentiation 14 (CD14) è un recettore dei complessi lipopolisaccaride (LPS) – proteina legante lipopolisaccaride (LBP), presente sulla membrana delle cellule fagocitarie, in grado di attivare la cascata infiammatoria dell’immunità innata. Un frammento solubile del CD14, il sCD14–ST, è stato riscontrato nel plasma di soggetti infetti e sembra correlare bene non solo con la sepsi ma anche con la gravità della patologia e l’outcome finale del paziente.

Scopo del presente lavoro è fornire al nefrologo tutte le più recenti evidenze a sostegno dell’utilità diagnostica e prognostica del Presepsin e, allo stesso tempo, di focalizzare l’attenzione sulle possibili influenze che le varie forme di insufficienza renale possono esercitare su questo nuovo biomarcatore di sepsi.

Materiali e metodi

È stata eseguita una ricerca su PubMed creando quattro differenti query con le seguenti parole chiave: soluble CD14 AND sepsis, presepsin AND sepsis, soluble CD14 AND kidney, presepsin AND kidney. Per ciascuna query sono stati ottenuti, rispettivamente, 160, 50, 21 e 5 risultati, comprendenti la maggior parte degli articoli pubblicati sull’argomento dal 1991 in poi. Il database, aggiornato fino a luglio 2015, ha consentito di individuare alcuni studi prospettici uni- o multi-centrici, alcuni studi retrospettivi, una metanalisi, qualche case report e numerose review. Tra tutti, abbiamo cercato di censire gli articoli di più immediato interesse clinico per il nefrologo, riprendendo anche, a partire dalle voci bibliografiche più frequentemente citate, alcuni articoli di biologia di base, utili a chiarire il ruolo del recettore solubile CD14 in corso di infezione.

Biologia e fisiologia del Presepsin

Il CD14 è una glicoproteina di membrana codificata dal cromosoma 5q e descritta per la prima volta nel 1991 [11]. Essa rappresenta il recettore dei complessi lipopolisaccaride (LPS) – proteina legante lipopolisaccaride (LBP), presente soprattutto sui monociti/macrofagi e, in misura minore, sui leucociti neutrofili. La sua estremità C-terminale, costituita da glicosil-fosfatidil-inositolo, consente il legame della molecola alla membrana cellulare e presenta il segnale endotossiemico al Toll-like receptor 4, il primum movens dell’immunità innata e dell’endocitosi microbica. L’attivazione delle tirosin chinasi e delle protein chinasi mitogeno-attivate porta alla trascrizione dei geni dell’infiammazione e al rilascio di citochine come l’IL-6, l’IL-8, l’IL-1β e l’INF-γ. La successiva attivazione della cascata infiammatoria secondaria e dell’immunità acquisita stimola ulteriormente i macrofagi, i neutrofili e le cellule endoteliali al rilascio di numerose altre citochine e alla sintesi di molecole di adesione. Tutto ciò può portare a un’intensa risposta infiammatoria sistemica con attivazione dei meccanismi della coagulazione e della fibrinolisi [12]. Il risultato finale di questi meccanismi difensivi può talvolta essere controproducente, determinando l’insorgenza di gravi sindromi come: SIRS, shock settico, coagulazione intravascolare disseminata, disfunzione multiorgano [1] (full text).

Il CD14 presenta, oltre alla forma legata alla membrana dei fagociti (mCD14), una forma solubile (sCD14), derivante da secrezione o da clivaggio da parte delle proteasi plasmatiche [13]. Nel plasma di soggetti sani sono stati riscontrati due tipi di sCD14: uno di 49KDa e uno di 55KDa. Sembra che entrambi svolgano un ruolo nel mediare la risposta immune ai LPS di cellule solitamente indicate come CD14-negative, quali le cellule endoteliali ed epiteliali [14] (full text). Altri autori ipotizzano che le forme solubili del CD14 abbiano un ruolo di modulazione della risposta innata alle endotossine batteriche, in quanto in grado di trasferire i lipopolisaccaridi dalla membrana dei monociti alle lipoproteine plasmatiche [15] (Figura 2A).

Alcuni studi clinici sui sCD14 mostrano che i livelli di queste molecole, normalmente presenti nel plasma del soggetto sano in concentrazioni inferiori ai 6 µg/ml, aumentano significativamente nel paziente settico e che questo incremento è legato alla gravità della patologia [16]. La specificità del dato, tuttavia, risulta scarsa in quanto il livello dei sCD14 aumenta significativamente anche nei soggetti affetti da malattia coronarica, scompenso cardiaco, cirrosi epatica e diabete mellito scompensato.

Il soluble CD14 SubType (o Presepsin), ovvero il frammento N-terminale di sCD14, di peso molecolare 1.3 KDa, derivante dall’attività fagocitaria antibatterica di monociti – macrofagi [17](Figura 2B), è stato individuato come marker attendibile di processo infettivo in corso di sepsi[18].

Modalità di determinazione del sCD14-ST: la chemiluminescenza immunoenzimatica

Fino ad alcuni anni orsono, l’sCD14-ST veniva determinato tramite test ELISA two-step; dal 2011 è disponibile una nuova metodica basata sulla chemiluminescenza immunoenzimatica (Figura 2; PATHFAST®, Mitsubishi Chemical Medience Corporation, Tokyo, Japan) che ha il vantaggio di dare il risultato in circa 15′ e di essere dosato indifferentemente su campioni di sangue intero eparinato, siero anti-coagulato con EDTA, siero eparinato e plasma.

Presepsin in corso di sepsi

Il primo studio sul Presepsin è stato quello di Yaegashi et al. [10] in cui sono riportati valori significativamente aumentati di Presepsin nei soggetti affetti da SIRS e da sepsi rispetto ai soggetti sani, una ottima capacità discriminante tra i due gruppi (area sotto la curva ROC, AUC, 0.817) ed una correlazione significativa con procalcitonina e SOFA score. Gli Autori concludevano suggerendo di utilizzare il nuovo biomarcatore per la diagnosi precoce di sepsi e per il monitoraggio della severità della malattia.

Nel 2011 Shozushima et al. [19] non solo hanno evidenziato la possibilità di dosare il Presepsin tramite chemiluminescenza immunoenzimatica, ma soprattutto hanno riportato i valori di Presepsin tra i pazienti con SIRS (333.5±130.6 pg/ml), infezione localizzata (721.0±611.3 pg/ml), sepsi (817.9±572.7 pg/ml) e sepsi severa (1992.9±1509.2 pg/ml).

Spanuth et al. [20], in uno studio prospettico controllato monocentrico hanno riportato che valori elevati di Presepsin al momento del ricovero correlavano significativamente con la mortalità a 30 giorni, rispetto a quanto ottenuto con gli altri biomarcatori (PCT, PCR, IL-6) e gli altri indici clinici (MEDS, SOFA e APACHE II) generalmente usati.

Sulla scia di queste evidenze, Endo et al. [21] nel 2012 hanno riportato i dati derivanti da uno studio prospettico multicentrico con 206 pazienti con sospetta sepsi, di cui 185 completavano il follow-up. Anche in questo caso i soggetti con infezione batterica, sistemica o localizzata, presentavano livelli di Presepsin significativamente più elevati dei soggetti con sindrome da risposta infiammatoria sistemica da qualsivoglia causa non infettiva. Il Presepsin mostrava un’ottima capacità discriminanti (AUC 0.908), addirittura superiori all’IL-6 (AUC 0.825) ed in linea con la procalcitonina (AUC 0.905). Nel lavoro giapponese veniva individuato un cut-off ideale di 600 pg/ml, con una sensibilità e specificità rispettivamente di 87.8% e 81.4%. Ulteriori dati significativi erano l’indipendenza del sCD14-ST dal tipo di batterio (gram positivo/gram negativo) responsabile di sepsi, e, per contrasto, la scarsa sensibilità (35.4%) delle emocolture.

Recentemente, Liu et al. [22] (full text) hanno riportato in uno studio prospettico controllato coinvolgente 859 pazienti con almeno due criteri diagnostici di SIRS valori significativamente più elevati di Presepsin e procalcitonina (P < 0.0001) rispetto ai controlli sani. I livelli di Presepsin e procalcitonina risultano, inoltre, significativamente più elevati nei gruppi con sepsi, sepsi severa e shock settico rispetto al gruppo con SIRS (P < 0.0001). L’andamento del Presepsin si conferma progressivo con differenze significative tra soggetti con sepsi, sepsi severa e shock settico. Le curve ROC mostrano che l’AUC del Presepsin in fase diagnostica è significativamente migliore rispetto a quella della procalcitonina (0.820 vs 0.724; P < 0.01). La sensibilità e specificità del Presepsin con un cut-off di 317 pg/ml (rispettivamente 70.8% e 85.8%) risultano migliori di quelli della procalcitonina con cut-off di 0.25 ng/ml (rispettivamente 60.0% e 77.7%). Il Presepsin è in grado di migliorare significativamente le prestazioni del MEDS e dell’APACHE II score nel predire la sepsi severa. La capacità di predire la mortalità a 28 giorni, invece, sembra attestarsi su valori paragonabili a quelli della procalcitonina (0.658 vs 0.679; P > 0.05). Sulla base di tutti questi dati gli autori concludono che il Presepsin è un biomarcatore più affidabile della procalcitonina nella diagnosi precoce di sepsi e che esso consente una buona stratificazione del rischio con una valutazione prognostica del paziente settico più che attendibile.

Queste evidenze contrastano in parte con quelle di un altro studio prospettico multicentrico, condotto in Italia da Ulla et al [23] (full text) per valutare le prestazioni diagnostiche e prognostiche di Presepsin e procalcitonina su 106 pazienti con sospetta sepsi o shock settico e 83 pazienti con SIRS senza evidenza clinica di infezione. Se da un lato esso conferma l’andamento incrementale del Presepsin nei vari gruppi di pazienti (dalla SIRS allo shock settico) già riportato in letteratura, dall’altro mostra un’accuratezza diagnostica del Presepsin inferiore a quella della procalcitonina (AUC rispettivamente di 0.701 e 0.875; P < 0.001). Il best cut-off per il Presepsin era 600 pg/ml con sensibilità e specificità rispettivamente di 79.0% e 61.9%; mentre per la procalcitonina il best cut-off era di 0.18 ng/ml con sensibilità e specificità di 89.5% e 75.9%. Un dato importante dello studio italiano riguarda la correlazione significativa tra i livelli iniziali di Presepsin e la mortalità a 60 giorni (P = 0.04), correlazione non evidenziabile per la PCT (P = 0.87). Un ulteriore rilievo interessante del lavoro di Ulla è che il sito primario di infezione, qualora identificato, non ha alcuna influenza sui livelli dell’sCD14-ST.

Nel 2014 Behnes et al. [24] (full text) hanno pubblicato i risultati di uno studio prospettico controllato monocentrico, il Mannheim Sepsis Study, nato per saggiare l’utilità diagnostica e prognostica a breve e lungo termine del Presepsin rispetto alla procalcitonina, IL-6 e proteina C reattiva. Su 116 pazienti con sepsi di vario grado, seguiti per 6 mesi, gli autori riportano l’assenza di correlazione del Presepsin con l’età e con il sesso (P < 0.05), al contrario di quanto affermato da Chenevier – Gobeaux in un precedente lavoro [25]. Dal punto di vista diagnostico, livelli di Presepsin ≥ 530 pg/ml per sepsi, ≥ 600 pg/ml per sepsi severa e ≥ 700 pg/ml per shock settico ottengono una sensibilità minima dell’89% per la diagnosi di ciascun grado di malattia. Il Presepsin, dosato in più momenti durante la permanenza in ICU, mostra un potere diagnostico complessivo pari a quello dell’IL-6 e superiore a quello della procalcitonina. Dal punto di vista prognostico livelli significativamente più elevati di Presepsin vengono riscontrati nei pazienti con outcome infausto rispetto ai sopravvissuti (P = 0.008) sia a 30 giorni che a 6 mesi. Anche da questo punto di vista le prestazioni del Presepsin risultano significativamente migliori rispetto a quelle degli altri marker, fatta eccezione per l’IL-6, che sembra avere una paragonabile capacità di predire la mortalità a 30 giorni e 6 mesi (P < 0.05).

Infine, Masson et al. [26] (full text), in uno studio retrospettivo caso-controllo effettuato a partire dai dati dell’ALBIOS, su 50 pazienti sopravvissuti e 50 deceduti a seguito di sepsi, hanno riportato ulteriori evidenze in merito alle capacità di predizione della mortalità da parte del Presepsin in confronto con la procalcitonina. I valori di Presepsin in prima giornata sono più elevati nei pazienti con outcome infausto rispetto ai sopravvissuti (P = 0.002) mentre non vi è differenza tra i valori di procalcitonina (P = 0.31). L’andamento temporale dei valori di Presepsin è significativamente differente tra i due gruppi, con livelli che si mantengono elevati nei pazienti che vanno incontro ad esito infausto rispetto agli altri. La procalcitonina, invece, si riduce rapidamente e similmente nei due gruppi senza differenze significative.

In sintesi, alla luce di quanto sopra riportato, possiamo dire che appare sempre più evidente l’utilità del dosaggio del Presepsin per la diagnosi dei vari gradi di sepsi e che il potere diagnostico e prognostico del nuovo biomarcatore risulta mediamente superiore a quello di altri indici comunemente usati, come la PCT e la PCR (cfr. Figura 4). Un’ulteriore considerazione a vantaggio del Presepsin è la sua più facile accessibilità rispetto ad altri biomarcatori sperimentali, come l’IL-6, non ancora disponibili per l’uso clinico proprio a motivo della complessità del loro dosaggio.

Significato clinico del Presepsin in corso di disfunzione renale

Rimangono ancora da chiarire alcuni punti che riguardano l’influenza che possono avere sul Presepsin fattori come l’età e, soprattutto, la ridotta funzione renale. Il frammento solubile N-terminale del CD14 è, infatti, una glicoproteina di peso molecolare 13KDa che, teoricamente, dovrebbe essere completamente filtrata dal glomerulo renale e riassorbita e metabolizzata a livello del tubulo contorto prossimale. Di conseguenza, l’AKI che spesso accompagna la sepsi severa o una CKD preesistente potrebbero modificare la concentrazione del Presepsin nei fluidi biologici.

Questo è quanto emerge dallo studio di Chenevier Gobeaux et al. [25] che ha indagato i livelli circolanti del Presepsin in 144 pazienti privi di patologia infettiva afferenti ad un dipartimento di emergenza francese e li ha poi confrontati con quelli di 54 volontari sani. Il risultato è stato, da un lato, il riscontro di livelli significativamente più elevati di Presepsin nei soggetti > 70 anni rispetto a quelli più giovani (470 ng/L vs 300 ng/L; P < 0.001), dall’altro, di valori più elevati nei soggetti con disfunzione renale (eGFR < 60 ml/min/1.73m2) rispetto ai controlli (470 ng/L vs 386 ng/L; P = 0.001). Per tale motivo, potrebbe essere utile individuare specifiche soglie diagnostiche per anziani e nefropatici.

A questo proposito, interessanti ed esplicativi risultano i quattro case report documentati da Kotera et al. [27] (full text), da cui si evince che nei pazienti con disfunzione renale i livelli di Presepsin tendono ad essere più elevati per via della ridotta clearance glomerulare e tubulare. In presenza di sepsi sospetta su paziente con rene disfunzionale, un monitoraggio continuo dei livelli di Presepsin potrebbe consentire di evidenziare le variazioni significative da ascrivere a un’infezione in corso.

Il problema dell’utilità del Presepsin nel paziente con danno renale acuto viene affrontato da Nakamura et al. [28] (full text) in uno studio monocentrico e retrospettivo. In 247 pazienti di terapia intensiva, suddivisi in due gruppi (AKI e non-AKI) secondo i criteri del RIFLE e ulteriormente sottoclassificati in settici e non settici, sulla base della definizione dell’ACCP/SCCM consensus conference committee del 1992, il Presepsin manteneva la sua validità di marcatore di sepsi nelle forme più lievi di danno renale acuto (Risk ed Injury), mentre perdeva di affidabilità in quelle più avanzate (Failure). Il best cut-off era 670 pg/ml tra i soggetti non-AKI e 864 pg/ml tra i soggetti AKI. Nel primo caso la sensibilità e la specificità del biomarker si attestano su livelli non molto differenti da quelli già dimostrati in letteratura (70.3% e 81.3% rispettivamente), nel secondo caso la sensibilità rimane ancora elevata (71.4%) a prezzo di una più bassa specificità (63.8%). Il lavoro giapponese ha tuttavia alcuni limiti, tra cui quello di essere retrospettivo e di includere in ciascuna categoria di danno renale un numero piuttosto esiguo di pazienti. Un altro difetto rispetto agli studi già citati è rappresentato dal mancato dosaggio di marcatori come procalcitonina e IL-6, per cui non è possibile confrontare le rispettive prestazioni diagnostiche nel contesto dell’AKI. Per la diagnosi di sepsi, inoltre, oltre a fare riferimento ai criteri ormai datati del 1992, non viene considerato in alcun modo il risultato delle emocolture.

Nagata et al. [29] (full text) focalizzano l’attenzione, invece, sul rapporto tra Presepsin e danno renale cronico, includendo nel loro studio 71 soggetti, di cui 13 in emodialisi. Tra i pazienti con malattia renale cronica in trattamento conservativo, suddivisi nelle cinque categorie indicate dalle linee guida KDIGO 2012, i valori mediani di presepsin riportati sono: G1 + G2 69.8 pg/ml; G3 107.0 pg/ml; G4 171.0 pg/ml; G5 251 pg/ml. Tra i soggetti in emodialisi, invece, i valori mediani si innalzano significativamente fino a 1160.0 pg/ml, livelli solitamente attribuibili al paziente settico. Le possibili spiegazioni di questo riscontro sono la ridotta/assente clearance della molecola nel paziente dializzato e/o la sua aumentata produzione a causa dell’elevata endotossinemia del nefropatico in emodialisi [30] (full text). In sintesi gli Autori evidenziano che i livelli di Presepsin sono inversamente correlati con il GFR misurato mediante clearance dell’inulina e che gli stessi valori di GFR, insieme ai livelli di emoglobina, sono identificabili come variabili indipendenti predittive dei livelli di sCD14-ST in un modello di regressione lineare multivariato. Un altro rilievo interessante del lavoro di Nagata è che i valori di Presepsin si riducono significativamente post-dialisi da 1510 pg/ml a 753 pg/ml (P < 0.001).

Certamente occorreranno altri studi per chiarire meglio il significato clinico del Presepsin in corso di malattia renale, per il momento resta a nostro parere la necessità di una particolare attenzione da porre nel suo utilizzo in pazienti con disfunzione renale, acuta o cronica.

Presepsin e trattamenti depurativi

In corso di sepsi severa assume grande importanza la terapia di supporto della funzione renale. Le attuali linee guida non stabiliscono una chiara priorità tra metodiche depurative intermittenti e continue, sebbene queste ultime incontrino consensi sempre maggiori nel trattamento del paziente emodinamicamente instabile.

Il monitoraggio giornaliero dei livelli di Presepsin allo scopo di verificare l’efficacia delle terapie, suggerito dallo studio di Masson et al come possibile valore aggiunto del nuovo biomarcatore, dovrebbe tener conto della clearance dialitica della molecola durante il trattamento sostitutivo della funzione renale. Il peso del sCD14-ST, 13KDa, pone infatti il biomarcatore tra le molecole che principalmente vengono rimosse durante i trattamenti di emofiltrazione ed emodiafiltrazione continua.

Nella conoscenza di chi scrive non sono finora presenti in letteratura studi che saggino il rapporto tra le varie metodiche depurative, continue o intermittenti, e i livelli di Presepsin. Le osservazioni di Nagata et al in merito alla riduzione in post-dialisi dei livelli del sCD14-ST, relative esclusivamente ad un gruppo di pazienti in trattamento emodialitico cronico, andrebbero pertanto approfondite ed ampliate studiando la clearance dialitica della molecola sia nei pazienti sottoposti a emodialisi cronica intermittente, sia, soprattutto, nei pazienti sottoposti al trattamento sostitutivo continuo.

Conclusioni

Il frammento solubile N-terminale del recettore di membrana CD14 sembra possedere le caratteristiche adeguate per svolgere l’importante compito di biomarcatore di sepsi nei pazienti con SIRS da sospetta infezione. Diversi studi ormai testimoniano la buona sensibilità e specificità diagnostica del Presepsin nel paziente settico e le sue capacità di indice prognostico per la stratificazione del rischio.

La disponibilità di una nuova e più rapida tecnologia per il dosaggio del sCD14-ST rende questo biomarcatore ideale non solo per i Dipartimenti di Emergenze e le Terapie Intensive, ma anche per reparti ospedalieri ad alto rischio di sepsi, come le Unità Complesse di Nefrologia, Dialisi e Trapianto. Ulteriori studi saranno necessari per stabilire i cut-off di Presepsin più adeguati per certe categorie di pazienti; in particolare occorrerà valutare con precisione l’influenza esercitata sui livelli della molecola da parte del rene disfunzionale, per esempio in corso di danno renale acuto (AKI) e di malattia renale cronica (CKD). Altrettanto utile sarà valutare la cinetica del nuovo marcatore biologico in rapporto alle metodiche di sostituzione della funzione renale (continue e/o intermittenti) sia nel paziente acuto che in quello cronico.

La definizione di un cut-off adeguato al paziente emodializzato potrebbe consentire un migliore management delle sepsi da CVC, permettendo la precoce istituzione di una terapia antibiotica ad ampio spettro per prevenire le complicanze sepsi-correlate. Altrettanto interessante potrebbe essere valutare l’attendibilità del Presepsin nel paziente in dialisi peritoneale e nel trapiantato.

Nel prossimo futuro nuovi studi aiuteranno a chiarire i punti ancora incerti nell’utilizzo del Presepsin quale biomarcatore di sepsi; l’ambito nefrologico sarà a nostro parere chiamato in causa per dare un contributo determinante alla rivoluzione del Presepsin.

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