Maggio Giugno 2023 - In depth review

Insufficienza renale acuta, acidosi lattica e metformina: due casi clinici e review della letteratura

Abstract

L’acidosi lattica è un potenziale evento avverso collegato alla terapia con metformina. Sebbene l’acidosi lattica associata a metformina (MALA) sia una condizione rara (circa 10 casi/100.000 pazienti/anno), di casi ne continuano ad essere riportati, con una mortalità del 40-50%. Descriviamo due casi clinici con gravissima acidosi metabolica, iperlattacidemia e insufficienza renale acuta, il primo anche con NSTEMI trattati con successo.

Parole chiave: acidosi lattica, metformina, insufficienza renale acuta.

Introduzione

La metformina è un farmaco di prima scelta nel trattamento del diabete mellito tipo 2. Sicura e facile da usare, essa rappresenta l’ipoglicemizzante orale più prescritto al mondo. Immessa in commercio nel 1961, la molecola è ancora oggi indicata dalle linee guida internazionali come il primo antidiabetico da impiegare per la terapia orale del diabete tipo 2 (non-insulino-dipendente) e dunque è considerata sicura, ma una possibile complicanza legata al suo utilizzo è l’acidosi lattica [1]. La metformina è controindicata nei pazienti affetti da severa disfunzione epatica o renale e una velocità di filtrazione glomerulare (VFG) <30 ml/min/1,73m2 rappresenta la soglia per la sua interruzione. Il rischio di acidosi lattica è più alto nei pazienti molto anziani e in quelli con disfunzione circolatoria, come l’insufficienza cardiaca congestizia. Sebbene l’acidosi lattica associata a metformina sia un’evenienza rara (prevalenza di 1-5 casi su 100.000 pazienti) la mortalità è pari al 40-50%. A causa della sintomatologia variegata e aspecifica, l’acidosi lattica associata a metformina è spesso difficile da predire e diagnosticare. È comunque noto che la MALA si verifica in presenza di un alterato rapporto tra aumentata produzione e alterato metabolismo/clearance di lattato [2].

 

Caso clinico n.1

Donna di 76 anni, con diabete mellito tipo 2, trattato con metformina. Non nota I.R.C. Giunge in pronto soccorso tramite il servizio di emergenza e accolta in codice rosso. Si presenta soporosa, ipotesa, anurica. Inoltre, da 7 giorni presentava sintomi di vomito e inappetenza. In anamnesi: ipertensione arteriosa, diabete mellito di tipo 2, fibrillazione atriale e scompenso cardiaco cronico. La creatininemia un mese prima era di 1,14 mg/dl. Al monitor bradicardia spinta con f.c. 20 bpm circa P.A. non apprezzabile, t.c. 33°C, f.r. 13 atti/min., SO2 non apprezzabile, arti freddi. Agli esami: creatinina 11,04 mg/dl, potassio 6,3 mmol/l, glicemia 685 mg/dl, grave acidosi metabolica (pH 7,05, PCO2 27 mmHg, PO2 68 mmHg, HCO3- (c) 9,4 mmol/l, BEecf -19,5 mmol/l, lattati 15.8 mmol/l). La paziente è stata trattata con infusione di liquidi, bicarbonato di sodio e supporto aminico; intubata e ventilata. Inoltre è stato impiantato P.M. temporaneo per via femorale destra ed eseguito PTCA/DES su CDX distale per NSTEMI. Per la persistenza di condizioni gravi, nonostante la terapia medica, il nefrologo chiamato in consulenza urgente ha dato indicazione al trattamento dialitico. Dopo le prime due sedute di bicarbonatodialisi si assisteva al miglioramento dell’emogasanalisi (EGA) e alla ripresa della diuresi; dopo 48 ore l’acidosi metabolica risultava risolta, è stata quindi sospesa la dialisi e la paziente è stata estubata il terzo giorno. Dimessa dopo 14 giorni con valori di creatininemia di 1,5 mg/dl.

Nel caso descritto, in particolare per la gravità dell’acidosi (pH di 7,05), la terapia medica e l’utilizzo della dialisi hanno dimostrato ottima efficacia nel ripristinare l’equilibrio metabolico, con ripristino dei parametri emodinamici ed EGA già dopo 24 ore, fino a completa correzione dopo 48 ore, consentendo l’interruzione della dialisi. La rapidità della diagnosi e dell’inizio del trattamento sostitutivo hanno avuto un importante impatto sulla prognosi della paziente.

Grafico 1: Caso clinico n.1: variazione dei principali parametri ematochimici pre- e post- trattamento dialitico.
Grafico 1: Caso clinico n.1- variazione dei principali parametri ematochimici pre- e post- trattamento dialitico.

 

Caso clinico n.2

Donna di 78 anni con anamnesi di cardiopatia ipertensiva, diabete mellito tipo 2 e pregresso intervento di colecistectomia per litiasi biliare. La terapia domiciliare comprendeva acido acetilsalicilico 100 mg die, ramipril 5 mg die e metformina cp 850 mg due volte/die. Si presenta in P.S. per sintomatologia algica addominale, vomito da circa 5 giorni, calo ponderale e oligo-anuria. I parametri all’ingresso erano i seguenti: P.A. 165/80 mmHg; F.C. 88 bpm; SO2 97% (Aria/Ambiente). Gli esami di laboratorio evidenziavano: urea: 167 mg/dl; creatinina: 8,70 mg/dl; amilasi e lipasi nei limiti della norma; PCR: 9,89 mg/l; leucociti: 18,11 × 10^3/μl. L’EGA segnalava un quadro di gravissima acidosi metabolica: pH 6,64, PCO2 14 mmHg, PO2 120 mmHg, lattati 10,8 mmol/l, BECF -26,7, HCO3-(c) 3,6 mmol/l, HCO3 st 6,3 mmol/l.

La paziente esibisce esami di 1 mese prima che evidenziavano una normofunzione renale con creatininemia di 1,13 mg/dl, urea 15 mg/dl.

È stata trattata con infusione di liquidi e bicarbonato di sodio, ma le infusioni di bicarbonato di sodio all’8,4% (3 × 100 ml) non avevano effetto sui livelli sierici di bicarbonato, mentre il lattato sierico

ha continuato a salire fino a un massimo di 23 mmol/l. Dunque, per l’insuccesso della terapia medica si è rapidamente intrapreso il trattamento sostitutivo della funzione renale in Acetate Free Biofiltration (AFB) con infusione di bicarbonati 2000 ml/h per 4 ore, flusso ematico di 250 ml/min, dopo aver posizionato un catetere temporaneo per emodialisi (HD) in giugulare interna destra sotto guida ecografica; dopo le prime 24 ore si assisteva al miglioramento dell’EGA e alla ripresa della diuresi; dopo 48 ore l’acidosi metabolica risultava risolta, è stato sospeso il trattamento AFB (acetate free biofiltration ). Dimessa dopo 14 giorni con valori di creatininemia di 1,5 mg/dl e miglioramento netto delle condizioni generali. Nel caso descritto, particolare per la gravità dell’acidosi (pH di 6,64), la terapia medica e l’utilizzo dell’AFB hanno dimostrato ottima efficacia nel ripristinare l’equilibrio metabolico, con miglioramento notevole dei parametri emodinamici ed EGA già dopo 24 ore, fino a completa correzione dopo 48 ore, consentendo l’interruzione del trattamento sostitutivo. La rapidità della diagnosi e dell’inizio dell’AFB hanno avuto un importante impatto sulla prognosi della paziente.

Grafico 2: Caso clinico n.2: variazione dei principali parametri ematochimici pre- e post- seduta AFB.
Grafico 2: Caso clinico n.2 – variazione dei principali parametri ematochimici pre- e post- seduta AFB.

 

Discussione

La metformina è una biguanide utilizzata sempre più frequentemente negli obesi affetti da diabete mellito di tipo 2 e nel trattamento della sindrome dell’ovaio policistico.

Un effetto collaterale importante, a seguito del suo impiego, è l’insorgenza di acidosi lattica che porta a morte in circa il 50% dei casi. Questo grave disordine metabolico, considerato raro fino a poco tempo fa, sta diventando ora più frequente vista l’ampia diffusione del farmaco; poiché la metformina viene eliminata per il 90% con le urine, l’insorgenza di insufficienza renale è una delle cause più frequenti del suo accumulo. La metformina causa acidosi lattica attraverso due meccanismi: modificando il metabolismo intracellulare da aerobico ad anaerobico e sopprimendo la gluconeogenesi derivante dal lattato.

L’acido lattico è un normale metabolita, prodotto dalla glicolisi anaerobica per riduzione del piruvato. La sua produzione è dell’ordine di circa 1 mmol/kg/h, pari a oltre 1500 mmol al giorno, per una concentrazione di 0,6 e 1 mmol/l, rispettivamente a livello arterioso e venoso. Sebbene il lattato venga prodotto da tutti i tessuti, i maggiori siti responsabili della sua produzione sono il muscolo scheletrico, il cervello, i globuli rossi e la midollare renale. Il lattato può andare incontro a due destini: riconversione a piruvato oppure escrezione da parte dei reni. Sebbene sia liberamente filtrato dai glomeruli renali, il lattato è perlopiù riassorbito nel tubulo prossimale. Normalmente, meno del 2% viene escreto nelle urine. Il piruvato è il precursore immediato, e unico, del lattato. Esso è prodotto nel citoplasma primariamente dal metabolismo del glucosio nella glicolisi (Fig. 1).

Figura 1: la glicolisi è la via metabolica che converte il glucosio in due molecole di piruvato, generando energia sotto forma di ATP.
Figura 1: la glicolisi è la via metabolica che converte il glucosio in due molecole di piruvato, generando energia sotto forma di ATP.

In presenza di ossigeno, il piruvato entra nei mitocondri ed è sottoposto a decarbossilazione ossidativa, per dare l’acetil-coenzima A e, infine, CO2 e acqua. La piruvato deidrogenasi (PDH) è l’enzima mitocondriale limitante nell’ossidazione del piruvato. Questo processo genera 36 moli di ATP e richiede NAD+. Il piruvato può anche prendere la strada del ciclo di Cori, nel fegato e nella corteccia renale, per essere riconvertito in glucosio. In condizioni di ipossia, il piruvato non può entrare nel mitocondrio e viene convertito a lattato, secondo un equilibrio dinamico fondato sul rapporto NADH/NAD+ e sulla concentrazione del piruvato stesso (Fig. 2). Solo 2 moli di ATP vengono generate da ogni mole di glucosio convertito in lattato.

Il fegato e i reni rispondono del 60% e 30%, rispettivamente, della clearance del lattato, sebbene la clearance dei lattati non correli con la funzione renale.

Figura 2: Ciclo di Cori: il lattato dal muscolo raggiunge per via ematica il fegato dove è riconvertito in glucosio, il quale a sua volta, rilasciato dagli epatociti, raggiunge il muscolo per la produzione di energia. 
Figura 2: Ciclo di Cori – il lattato dal muscolo raggiunge per via ematica il fegato dove è riconvertito in glucosio, il quale a sua volta, rilasciato dagli epatociti, raggiunge il muscolo per la produzione di energia.

L’acidosi lattica si verifica quando la produzione del lattato eccede il suo utilizzo. Crisi di grande male o esercizio fisico intenso sono esempi di incremento transitorio della produzione di lattato, che si associa con acidosi; in queste circostanze, il lattato è prontamente metabolizzato e l’acidosi risolta. Nella maggior parte delle acidosi lattiche clinicamente significative, comunque, non solo si ha una iperproduzione di lattato, ma esiste anche un’alterazione nel suo utilizzo. L’ipossia e l’ipoperfusione determinano un ridotto uptake del lattato a livello epatico, e il fegato diventa un sito di produzione del lattato stesso. Pertanto l’uso del farmaco deve essere guidato dall’estrema cautela sia nelle condizioni  che rafforzano la glicolisi anaerobica (infezioni, scompenso cardiaco e/o respiratorio) sia in quelle che favoriscono l’accumulo nel siero di lattato e/o del farmaco (insufficienza epatica e renale) [3] e ciò anche in considerazione del fatto che la grave acidosi metabolica può precipitare la sindrome coronarica acuta in virtù di un calo dell’utilizzo di energia [4] nonché alterando la contrattilità miocardica e provocando venocostrizione con congestione vascolare centrale, vasodilatazione arteriosa e resistenza agli effetti vasocostrittori delle catecolamine, specialmente quando il pH è 7,10-7,20 [5]. Gli effetti negativi sull’apparato cardiovascolare influenzano l’outcome  e “come validato da studi su modelli animali e su preparati di miocardiociti umani la riduzione della contrattilità cardiaca sembra addebitabile alla compromissione dei legami actina-miosina, all’interferenza nel rilascio di ioni calcio o alla ridotta responsività delle proteine contrattili allo stesso ione” [6, 7].

Il trattamento dell’acidosi lattica da metformina richiede talvolta una terapia di supporto alla stabilità emodinamica ma è fondamentale la correzione dello squilibrio acido-base, l’eliminazione del farmaco e la rimozione delle cause precipitanti.

Sebbene vengano spessissimo utilizzate soluzioni di bicarbonato, il loro uso è ancora controverso in letteratura. Infatti il bicarbonato viene metabolizzato a CO2 e acqua comportando un consumo di protoni cui segue diminuzione del pH intracellulare, aumento del lattato sierico, spostamento a sinistra dell’ossiemoglobina, e inoltre non è noto esattamente se il bicarbonato migliori veramente endpoint clinicamente rilevanti [9, 10].

La terapia sostitutiva della funzione renale si inserisce a pieno titolo nella terapia dell’acidosi lattica da metformina poiché si tratta di una piccola molecola (165 Da) con un basso legame farmaco-proteico e pertanto dializzabile. Inoltre, la terapia sostitutiva della funzione renale comporta diminuzione dei lattati e correzione del pH ematico [11].

Sia l’emodialisi standard a bicarbonato che l’emodialisi veno-venosa continua (CVVHD) possono essere usate, ma la letteratura segnala nella seconda metodica una clearance della metformina inferiore a quella in HD, e pertanto la CVVHD deve essere riservata ai solo pazienti instabili che non tollerano l’HD convenzionale [13].

Per quanto riguarda l’AFB (metodica utilizzata nel secondo caso descritto) abbiamo osservato una più veloce correzione dei parametri già con una seduta e la riteniamo metodica da preferisi poiché permette “l’infusione di grossi quantitativi di bicarbonati in brevissimo tempo, con progressiva correzione dell’acidosi metabolica e successiva stabilizzazione dell’emodinamica cardiaca e dei valori pressori” [12].


Conclusioni

L’acidosi lattica è una acidosi metabolica ad anion gap aumentato spesso associata all’uso della metformina ed a insufficienza renale acuta necessitante di trattamento sostitutivo della funzione renale. Essa è causa di elevata mortalità ed ulteriori studi sull’uomo sono necessari. Negli ultimi decenni, sono state rese disponibili per il trattamento dei pazienti con diabete di tipo 2, compresi quelli con funzionalità renale compromessa, diverse nuove classi di farmaci anti-iperglicemici, e alcuni di questi agenti hanno dimostrato una protezione cardiorenale [8]. Si ritiene quindi utile lo shift dalla metformina ad altri presidi farmacologici antidiabetici a partire dai 70 anni di età al fine di proteggere gli anziani da questa potenziale gravissima complicazione sempre osservata in anziani.

 

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