La sclerosi sistemica (sclerodermia)
La sclerosi sistemica (SSc) o sclerodermia è una malattia autoimmune ad andamento cronico, caratterizzata da lesioni cutanee indurative, alterazioni vascolari (fenomeno di Raynaud, ulcere ischemiche), calcinosi sottocutanea e da molteplici impegni viscerali: polmonare, cardiaco, renale e gastroenterico [1–3].
L’eziologia della SSc rimane sconosciuta, anche se si ritiene che diversi elementi capaci di indurre un danno endoteliale (sostanze chimiche, agenti infettivi), possano innescare le alterazioni del microcircolo che caratterizzano la malattia in soggetti che abbiano una predisposizione genetica all’autoimmunità [4–6].
La disfunzione endoteliale determina la liberazione di endotelina, potente vasocostrittore, e di chemochine stimolanti l’attivazione di cellule immunocompetenti (B e T linfociti); questa provoca inoltre un’attivazione delle piastrine, che producono mediatori (PDGF) stimolanti i fibroblasti. Anche le T cellule liberano mediatori (TGFbeta, CTGF) che determinano la trasformazione dei fibrociti in miofibroblasti. Queste cellule esplicano una sintesi non controllata di collagene e di altre componenti della matrice extracellulare, che porta alla fibrosi dei tessuti [7].
La SSc si caratterizza per una espressività clinica molto eterogenea. In base alla estensione del coinvolgimento cutaneo si riconoscono principalmente due subset di malattia [8, 9]:
- forma cutanea diffusa (20-25% dei casi) caratterizzata da una rapida evolutività, da lesioni cutanee indurative estese che oltre agli arti coinvolgono il tronco, da impegni viscerali frequenti e precoci e quindi da una prognosi più severa;
- forma cutanea limitata (70-75% dei casi) caratterizzata da sclerosi cutanea limitata alle zone acrolocalizzate (mani e volto), da calcinosi sottocutanea, teleangectasie da coinvolgimenti viscerali poco frequenti, a parte l’apparato digerente e tardivamente l’ipertensione arteriosa polmonare; questa forma ha quindi una prognosi più favorevole.
La SSc viene classificata fra le malattie rare. La malattia può manifestarsi in tutte le età, ma il picco d’insorgenza è tra i 40 e i 50 anni. Colpisce più le donne che gli uomini, con un rapporto F:M da 6 a 8:1 nelle principali casistiche.
Sintomo di esordio della SSc è in oltre il 90% dei pazienti il fenomeno di Raynaud. Rilevanti ai fini della diagnosi precoce sono la positività di anticorpi antinucleo specifici (anti-centromero, anti-topoisomerasi I, antiRNApolimerasi III) [10] e la presenza di caratteristiche alterazioni del microcircolo alla capillaroscopia [11, 12]. I diversi anticorpi specifici sono anche correlati con le diverse forme di SSc, con l’evolutività della malattia e con gli impegni d’organo [13].
Ritornando alle manifestazioni cliniche, alcune sono una evidente espressione della microangiopatia dovuta alla disfunzione endoteliale: il fenomeno di Raynaud, le teleangectasie, le ulcere digitali, la crisi renale sclerodermica, l’ipertensione arteriosa polmonare. Alla disregolazione immunitaria sono riconducibili lesioni infiammatorie quali l’artrite, la miosite e le tendiniti. Dovute alla fibrosi sono l’indurimento cutaneo tipico della malattia, l’ipoperistaltismo della parete del tubo digerente, la fibrosi polmonare e la cardiomiopatia sclerodermica.
Fra gli impegni viscerali il più frequente è quello polmonare, seguito da quelli gastro-enterico, cardiaco e renale [14].
Il rene sclerodermico
Il coinvolgimento renale nella SSc può manifestarsi con diverse modalità (Figura 1) [15]. Anche se studi autoptici hanno mostrato alterazioni renali, soprattutto vascolari, nel 60-80% dei pazienti, nella maggior parte dei casi la nefropatia rimane subclinica [16]. Tra queste sono descritte una riduzione isolata del filtrato glomerulare, una proteinuria non significativa, la “stiffness” delle arterie intrarenali all’ecografia, una nefropatia associata agli anticorpi antifosfolipidi. Sono invece causa di nefropatia severa la cosiddetta “crisi renale sclerodermica” e la vasculite renale ANCA-associata.
Molti pazienti presentano una nefropatia cronica a lenta progressione, con una riduzione del GFR di lieve entità e con valori di creatinina sierica mantenuti entro i limiti di norma.
Una proteinuria non significativa (inferiore a 1 g/die), è stata descritta nel 20-25% dei pazienti con SSc [17].
Studi ultrasonografici longitudinali hanno dimostrato una aumentata stiffness dei vasi intrarenali nei pazienti, nella maggior parte dei casi senza una decurtazione della funzione [18].
Gli anticorpi antifosfolipidi sono positivi in una percentuale molto variabile di pazienti sclerodermici, ma pochi sviluppano le manifestazioni trombotiche dovute a questi anticorpi [19]. È stata segnalata la correlazione tra la positività di tali anticorpi e la riduzione del filtrato glomerulare [20].
Meno del 10% dei pazienti con SSc presenta una vasculite ANCA-associata (di solito correlata agli anticorpi anti-MPO, raramente agli anti-PR3). Sono quasi tutti affetti dalla forma limitata di SSc, e la complicanza renale insorge tardivamente, dopo molti anni di malattia. Si tratta di una glomerulonefrite dovuta alla interazione degli ANCA con l’endotelio del polo vascolare e alla conseguente lesione infiammatoria del glomerulo [21]. Clinicamente la vasculite si manifesta con una insufficienza renale progressiva a decorso subacuto e con ipertensione arteriosa di lieve entità, che non risponde agli ACE-inibitori. Gli esami di laboratorio mostrano un progressivo incremento della creatinina sierica, con proteinuria e microematuria. Per la diagnosi è indispensabile la biopsia renale, che mostra un quadro di glomerulonefrite extra-capillare, con necrosi focale segmentaria, infiltrati infiammatori e semilune [22].
La crisi renale sclerodermica
La forma più tipica di nefropatia nella SSc è la cosiddetta “crisi renale sclerodermica” (SRC). Si tratta di una insufficienza renale ad esordio acuto e ad evoluzione rapidamente progressiva, in circa il 90% dei casi accompagnata da ipertensione arteriosa severa (“maligna”) e nel 40-50% da microangiopatia [23–25].
Questa è dovuta ad un danno endoteliale che determina un ispessimento intimale ed un restringimento del lume nelle arterie renali interlobulari ed arcuate. Alla ipoperfusione intrarenale contribuiscono anche episodi di vasospasmo (cosiddetto fenomeno di Raynaud “renale”). La riduzione del flusso porta ad iperplasia dell’apparato iuxtaglomerulare, con aumentata liberazione di renina ed ipertensione arteriosa ingravescente. L’iper-reninemia è a sua volta causa di vasocostrizione e di ischemia renale [26]. La vasocostrizione è dovuta anche all’endotelina-1, i cui recettori sono over-espressi nei pazienti con SRC [27]. Alla patogenesi della SRC possono contribuire anche alterazioni nella attivazione e nel clivaggio di frazioni del complemento [28].
La SRC colpisce il 10-15% dei pazienti con forma cutanea diffusa, mentre è molto rara in quelli con forma cutanea limitata [29]. Un tempo, in era predialitica, costituiva la prima causa di morte nella SSc, negli ultimi anni è diventata progressivamente più rara [30]; si ritiene che alla riduzione della incidenza della SRC abbia molto contribuito l’ampia prescrizione di farmaci vasodilatatori (calcio-antagonisti e prostanoidi) nei pazienti sclerodermici, che potrebbe esplicare effetti benefici sulla circolazione intrarenale [31].
La crisi renale insorge nella forma diffusa di malattia, di solito nei primi quattro anni dalla diagnosi di SSc. Colpisce più spesso i pazienti con anticorpi specifici anti-RNA-polimerasi III, meno quelli con anticorpi anti-topoisomerasi I [32]. Altri fattori di rischio per la SRC sono lo scompenso cardiaco recente, gli scrosci tendinei e le deformità delle mani in flessione. Rischiano inoltre la crisi renale i pazienti sclerodermici trattati con dosaggi di cortisone superiori a 15 mg/die, oppure con la ciclosporina come immunosoppressore [33, 34].
Clinicamente la SRC si presenta con oliguria e con i disturbi provocati dai livelli molto elevati di pressione arteriosa: scompenso cardiaco (edema polmonare acuto, aritmie e versamento pericardico), encefalopatia ipertensiva (cefalea, crisi epilettiche, emorragia cerebrale), retinopatia di grado avanzato. L’ipertensione arteriosa aumenta rapidamente a valori superiori a 150 mmHg di massima e 90 mmHg di minima, spesso raggiungendo valori da ipertensione “maligna” (superiori a 200/120 mmHg).
Gli esami di laboratorio mostrano un rapido incremento della creatinina sierica, con proteinuria (0,5-1 g/24 ore), microematuria e cilindri granulari al sedimento urinario. I pazienti con microangiopatia presentano anemia emolitica (LDH elevata, riduzione della aptoglobina), trombocitopenia e schistociti nello striscio periferico.
In circa il 10% dei pazienti sclerodermici la SRC si verifica senza rialzo dei valori pressori [35, 36], o con un loro modesto aumento. In assenza della sintomatologia da ipertensione arteriosa la diagnosi è spesso tardiva e basata sulle alterazioni di laboratorio. Per una definizione diagnostica è in questi casi indicata la biopsia renale (che invece usualmente non è necessaria nella SRC). L’esame istologico mostra alterazioni caratteristiche a carico delle arterie interlobulari ed arcuate, con ispessimento intimale, proliferazione delle cellule muscolari lisce, fibrosi periavventiziale e restringimento del lume; le arterie assumono un aspetto di onion skinning. Le biopsie mostrano inoltre collasso ischemico dei glomeruli, atrofia dei tubuli e fibrosi interstiziale, iperplasia dell’apparato iuxtaglomerulare [37, 38].
Sono stati proposti diversi set di criteri diagnostici per la SRC, nessuno unanimemente accettato. I più seguiti, quelli dello UK Scleroderma Study Group, identificano come criteri essenziali l’incremento della pressione arteriosa e l’insufficienza renale acuta (>50% di creatininemia rispetto ai valori basali oppure incremento di almeno 26,5 mmol/L) [39].
La prognosi della SRC rimane ancora severa: la mortalità a 5 anni è del 30-40% [40]. Nel 50-65% dei pazienti l’insufficienza renale acuta richiede la dialisi, permanente nel 25-40% dei casi. È descritta anche la possibilità di un recupero della funzione renale anche dopo 12-15 mesi di dialisi, tale da consentire la sospensione del trattamento, ma in meno del 10% dei casi.
I dati del registro europeo ERA-EDTA hanno mostrato che la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti sclerodermici in dialisi è molto minore (38,9%) rispetto a quelli affetti da altre forme di nefropatia cronica (63,6%). La sopravvivenza dei pazienti con SSc a 5 anni dal trapianto è invece risultata elevata (88,2%) e vicina a quella degli altri pazienti nefropatici (89,2%); la sopravvivenza del graft è 74,4% versus 81,5% nei trapiantati con altre patologie renali [41]. I dati di uno studio longitudinale francese hanno mostrato a 5 anni dal trapianto una sopravvivenza dei pazienti del 82,5% e del graft del 92,8% [42].
Il tempo medio per accedere al trapianto di rene è di 2,9 anni, quasi doppio rispetto a quello dei pazienti con altre forme di insufficienza renale in trattamento dialitico; ciò è dovuto soprattutto al fatto che la SSc è una malattia sistemica e i pazienti presentano in molti casi impegni di altri organi che potrebbero compromettere l’outcome del trapianto [43]. Di contro è stato rilevato che i pazienti sclerodermici sottoposti a trapianto renale vanno incontro ad un miglioramento di molte manifestazioni cliniche della SSc, verosimilmente dovuto alla terapia anti-rigetto con farmaci immunosoppressori [44].
La terapia della crisi renale sclerodermica
I risultati della terapia sono tanto migliori quanto più precoce è la diagnosi; in altre parole, se la decurtazione del filtrato glomerulare è già avanzata le probabilità di un recupero della funzione renale sono molto ridotte. Per tale motivo il follow-up dei pazienti sclerodermici, soprattutto quelli con malattia di recente insorgenza e con forma cutanea diffusa, deve prevedere misurazioni pressoché quotidiane della pressione arteriosa e valutazioni frequenti degli indici di funzionalità renale. La diagnosi precoce e l’aggressività nel trattamento della SRC sono infatti cruciali.
Scopo della terapia è la normalizzazione della pressione arteriosa in tempi rapidi (72 ore), anche a rischio di un peggioramento temporaneo della insufficienza renale. La flow-chart di terapia della SRC è riassunta nella Figura 2.
L’outcome della SRC è drasticamente migliorato da quando furono introdotti in terapia i farmaci ACE-inibitori. Uno studio pubblicato nel 1990 dimostrò che la sopravvivenza a un anno dei pazienti trattati con questi farmaci era del 76%, contro il 15% nei soggetti non trattati [45].
Le raccomandazioni dell’EULAR ribadiscono che gli ACE-inibitori sono i farmaci di prima linea nel trattamento della SRC e vanno somministrati aumentando rapidamente la dose fino a raggiungere quella massima tollerata [46]. Nei pazienti intolleranti agli ACE-inibitori o nei casi di microangiopatia, assieme alla terapia farmacologica è indicata la plasmaferesi, applicando un protocollo che prevede due-tre sedute alla settimana per venti giorni e poi una seduta settimanale, fino ad ottenere il miglioramento o almeno la stabilizzazione della insufficienza renale [47]. Qualora con l’ACE-inibitore non si ottenga la normalizzazione dei valori pressori la terapia va potenziata associandovi altri farmaci antiipertensivi: calcio-antagonisti, diuretici o alfa-bloccanti; sono controindicati i beta-bloccanti che potrebbero accentuare il vasospasmo [48]. Se il suddetto trattamento risulta efficace e arresta la progressione della insufficienza renale e i valori del filtrato glomerulare sono sufficienti a evitare la dialisi, la terapia anti-ipertensiva va portata avanti per un lungo tempo, con un monitoraggio frequente della funzione renale. In caso di inefficacia della terapia anti-ipertensiva con ACE-inibitori o con schemi di combinazione sono indicati tentativi terapeutici con farmaci che agiscono su tappe patogenetiche diverse della SRC: gli antagonisti dei recettori dell’endotelina (bosentan) [49], oppure gli inibitori dell’attivazione di fattori del complemento (eculizumab) [50]. Se anche questi tentativi non sortiscono buoni risultati e l’insufficienza renale progredisce è inevitabile il ricorso alla dialisi. Come riportato in precedenza questo trattamento può essere anche transitorio, nel senso che alcuni pazienti possono recuperare una funzionalità renale sufficiente a sospenderlo. Nella maggior parte dei casi invece la dialisi diventa permanente e il paziente viene valutato per l’inserimento nella lista di attesa per il trapianto renale.
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