Marzo Aprile 2021 - Nefrologo in corsia

Intossicazione da solfato di litio trattata con emodialisi in paziente con normofunzione renale: caso clinico

Abstract

Il litio rappresenta la pietra miliare nella terapia dei pazienti psichiatrici, in particolare nel disturbo bipolare. Nonostante la sua elevata efficacia terapeutica esistono problematiche legate alla comparsa di effetti collaterali (renali, tiroidei, paratiroidei e dermatologici) e problematiche di gestione legate al suo ristretto range terapeutico, che espone i pazienti ad un elevato rischio di tossicità.

Il nostro lavoro descrive il caso clinico di un paziente affetto da disturbo bipolare in terapia con solfato di litio che ha sviluppato una severa intossicazione acuta su cronica. Presentatosi alla nostra osservazione in stato soporoso e con litiemia superiore a 3 mEq/L, è stato sottoposto ad emodialisi.

In considerazione dell’elevata tossicità da litio, che può determinare un deterioramento cognitivo e neurologico persistente e può talora essere letale, è importante una tempestiva e corretta scelta terapeutica per migliorare l’outcome del paziente. In tale contesto, tenendo in considerazione i valori della litiemia, la funzionalità renale e lo stato clinico del paziente, bisogna valutare l’impiego di trattamenti extracorporei, di cui il più idoneo è l’emodialisi.

Parole chiave: litio, intossicazioni, dialisi, disturbo bipolare

Introduzione

Dal 1949, data della sua scoperta, ad oggi il litio è la pietra miliare nel trattamento di disturbi psichiatrici, in particolare nella terapia del disturbo bipolare. Tuttavia, a fronte della sua elevata efficacia terapeutica, il litio presenta problematiche legate alla comparsa di effetti collaterali (renali, tiroidei, paratiroidei e dermatologici) e problematiche di gestione per la necessità di controllare in modo regolare il dosaggio plasmatico, dato il suo range terapeutico molto ristretto, che espone i pazienti ad un elevato rischio di tossicità [1]. L’incidenza della intossicazione da litio è infatti di 1/100 pazienti trattati per anno. Bisogna inoltre sottolineare che i valori di litiemia non sempre correlano con la clinica, pertanto i sintomi e la gravità dell’intossicazione ed il conseguente atteggiamento terapeutico variano a seconda di un’intossicazione acuta, acuta su cronica o cronica, in base alla dose assunta nonché alla presenza di fattori (sostanzialmente renali) che possono modificare la clearance del litio [1,2].

Scopo del nostro lavoro è descrivere un interessante caso clinico presentatosi presso la nostra struttura, un paziente psichiatrico con intossicazione acuta su cronica da litio.

Caso clinico

Un uomo di 55 anni con disturbo bipolare in trattamento con solfato di litio 83 mg 1cp/2/die giungeva in Pronto Soccorso, trasportato dal 118, in stato soporoso. In anamnesi erano descritti diversi tentativi di suicidio, di cui l’ultimo nel 2018. All’ingresso presentava i seguenti parametri vitali: P.A. 125/70 mmHg, F.C. 110 bpm, SaO2 in A.A. 96%. Il fratello del paziente riferiva che lo stesso avrebbe assunto 10 cp di solfato di litio da 83 mg, 10 cp di quietiapina da 300 mg e 10 cp di lorazepam da 2,5 mg, motivo per cui il medico del 118 aveva somministrato 2 fiale di flumazenil.

Il Centro Antiveleni da noi contattato consigliava di praticare idratazione, litiemia e monitoraggio ECG per il rischio di insorgenza di aritmie da prolungamento di QT. Inoltre, il paziente veniva sottoposto a lavanda gastrica mediante sonda orogastrica con 50 mg di carbone attivo; dopo 1 ora, venivano somministrate 2 bustine di selg in un litro di acqua e, contemporaneamente, veniva idratato con soluzione fisiologica.

Gli esami ematochimici all’ingresso in Pronto Soccorso erano: creatinina 1 mg/dl, glicemia 106 mg/dL, Na+ 135 mEq/L, K+ 3,4 mEq/L, GOT 14 U/l, GPT 10 U/l, troponina 0,10 ng/ml, PT 87%, PTT 30 sec, INR 1,10, GB 9300/mmc, GR 5320000/mmc, PLT 284000/mmc, Hb 15,5 gr/dl, Htc 46%, ECG nei limiti e QTc normale. Il paziente rimaneva in osservazione in Pronto Soccorso con monitoraggio dei parametri vitali e in terapia idratante e, dopo 4 ore, venivano rivalutati gli esami ematochimici. Essi evidenziavano: creatinina 0,8, azotemia 15, glicemia 89, Na+ 136, K+ 3,8, GOT 15 U/l, GPT 9 U/l, troponina 0,10 ng/ml, Hb 13,7, GR 4610000/mmc, GB 7300/mmc e PLT 268000/mmc.

Dopo circa 13 ore, il dosaggio della litiemia è risultava pari a 3,18 meq/l, la diuresi valida, Creatinina 0,9 mg/dl, Azotemia 20 mg/dl, Na+ 136 mEq/L, K+ 3,7 meq/L. Il Centro Antiveleni consigliava di continuare l’idratazione con soluzione fisiologica ed elettrolitica reidratante, nonché l’osservazione clinico strumentale. Dopo 19 ore si osservava un incremento della litiemia pari a 4,20 mEq/l, con creatinina 1 mg/dl, Azotemia 19 mg/dl, Glicemia 63 mg/dl, Na+ 136 meq/L, K+ 3,5 meq/L, GOT 9 U/l, GPT 7 U/l , Hb 14,5. I parametri vitali del paziente erano: PA 110/75 mmHg, FC 100 bpm, diuresi valida; persisteva uno stato soporoso, ma il paziente era risvegliabile agli stimoli verbali. Visto l’ulteriore incremento della litiemia in un paziente con normofunzione renale e con diuresi valida, veniva richiesta la consulenza rianimatoria e nefrologica.

Il paziente, pur persistendo uno stato soporoso, apriva gli occhi agli stimoli verbali; il riflesso fotomotore era conservato, la mobilità agli arti era presente, ma debole, ed era in respiro spontaneo con Maschera di Venturi al 40%. All’ECG si evidenziava regolare Rs con FC 110 bpm e,normale intervallo di conduzione AV. In considerazione della gravità della situazione clinico-laboratoristica, il consulente nefrologo decideva di sottoporre il paziente a trattamento emodialitico, pur in presenza di normofunzione renale e nonostante la litiemia non fosse superiore a 5mEq/L. Il trattamento emodialitico standard a bicarbonato è stato effettuato con dializzatore in polietersulfone Revaclear 300, avente superficie di 1,4 mq. Al termine di tale trattamento emodialitico, della durata di 3 ore senza ultrafiltrazione, il paziente era lievemente più vigile. Veniva traferito in terapia intensiva ormai sveglio, cosciente, collaborante, con mobilità presente ai quattro arti, in respiro spontaneo con Maschera di Venturi al 40%, apiretico. La diuresi era presente e valida, EAB in compenso.

Dopo circa 12 ore dal trattamento emodialitico, il paziente era di nuovo in stato soporoso ma facilmente risvegliabile; era sempre collaborante, apiretico, con motilità presente e volontaria ai 4 arti ed in respiro spontaneo con Maschera di Venturi al 40%. La diuresi era presente e valida. Gli esami ematochimici evidenziavano: creatinina 0,9 mg/dl, azotemia 15 mg/dl, Na+ 143 mEq/L, K+ 3,2 mEq/L, cloro 101 mEq/L, Ca++ 8.6 mg/dl, GOT 12, GPT 8, bilirubina totale 2 mg/dL, diretta 1,5 mg/dL, CPK 262, PCR 4,85, albumina 4,4 gr/dl, Hgb 14,8 gr/dl, GB 10000/mmc, GR 5050000/mmc, Htc 44,1%, PLT 251000/mmc, litiemia 3,19 mEq/l. All’ECG veniva rilevata tachicardia sinusale con FC 117 bpm e normale conduzione AV mentre l’asse elettrico risultava deviato a sin. con turbe diffuse del recupero. Qtc 391 msec (nei limiti). Pertanto, il paziente veniva sottoposto ad un secondo trattamento emodialitico della durata di 5 ore e trenta senza ultrafiltrazione, proseguendo anche con l’idratazione (1,5 litri di soluzione fisiologica e 500 ml di elettrolitica reidratante durate la dialisi).

Dopo il trattamento emodialitico il paziente è tornato in terapia intensiva in stato soporoso ma risvegliabile ed in respiro spontaneo, con diuresi sempre valida. La litiemia era diminuita dopo la dialisi (0,71 mEq/l), la creatinina era di 0,8 mg/dl, Na+ 136 mEq/L, K+ 3,0 mEq/L, Cloro 98 mEq/L, Ca++ 8,4 mg/dl, fosforo 2,5 mg/dl e in compenso all’EGA di controllo. Dopo 6 ore dal secondo trattamento emodialitico, il paziente era sveglio, cosciente e ben orientato nel tempo e nello spazio. Proseguiva la terapia idratante con soluzione fisiologica allo 0,9% a 80 ml/h e Glucosio al 5% a 20ml/h. Il giorno successivo si assisteva ad un ulteriore decremento della litiemia (0,53 mEq/l). Dato il successo terapeutico dopo i due trattamenti dialitici, il paziente veniva trasferito in psichiatria per altri 5 giorni. Alla dimissione, gli ultimi esami ematochimici evidenziavano una litiemia di 0,04 mEq/l, creatinina 0,9mg/dl, Na+142 mEq/L, K+ 4,7 mEq/L. Da un punto di vista clinico, il paziente era tranquillo, collaborante e veniva dimesso con la seguente terapia: Amlodipina 5 1 cp/die, Quietiapina 50 mg/die, Oxcarbazepina 300 mg/die.

 

Richiamo alla farmacocinetica del litio

Farmacologicamente il litio si presenta in forma di compresse di carbonato e solfato di litio a rilascio prolungato. La via di somministrazione è orale. Il litio è assorbito completamente dal tratto intestinale superiore in circa 8 ore, con picco sierico 1-2 ore dopo l’assunzione. Non c’è legame con le proteine plasmatiche e la distribuzione avviene nell’acqua corporea totale (volume di distribuzione 0,7-0,9 ml/Kg). La velocità di distribuzione è maggiore per alcuni organi, quali rene e tiroide, e minore per altri, quali fegato, muscoli, ma soprattutto il cervello, dove l’equilibrio viene raggiunto dopo circa 24 ore dall’assunzione [14].

Il litio viene escreto quasi esclusivamente per via renale per filtrazione glomerulare. A livello del tubulo prossimale viene riassorbito per circa l’80%, la rimanente parte viene riassorbita nei segmenti tubulari successivi. Il riassorbimento può essere parzialmente inibito da furosemide e amiloride, che sono in grado di aumentarne l’escrezione. L’emivita di eliminazione è fra le 12 e 27 ore dopo una singola somministrazione ma può aumentare fino a 58 ore nei pazienti anziani o in quelli in terapia cronica con litio.

Nel nostro caso, il paziente era in terapia con compresse contenenti 83 mg di litio sotto forma di 660 mg di litio solfato (diversamente dalle altre formulazioni presenti in Italia a base di lito carbonato), equivalenti a 12 mmol di Li+; infatti, 600 mg di litio carbonato a pronto rilascio, come equivalenza pura, corrispondono a 1 cp+1/2 cp di solfato di litio [4,5]. La forma a rilascio prolungato porta i seguenti vantaggi rispetto a quella a pronto rilascio: minore frequenza di somministrazioni giornaliere con maggiore compliance, il raggiungimento più veloce della posologia ottimale e dello steady-state, assenza di picchi plasmatici del farmaco e concentrazione media più stabile, minore variabilità della farmacocinetica, minori effetti collaterali e risposta terapeutica più stabile. Generalmente gli effetti indesiderati si manifestano con maggiore frequenza quando si raggiungono livelli plasmatici superiori a 1,5 mEq/L, ma possono verificarsi anche per concentrazioni di 1 mEq/L, in particolare negli anziani. Per questi motivi, sebbene le concentrazioni plasmatiche ritenute ragionevolmente sicure rientrino nell’intervallo 0,4-1,25 mEq/L, è preferibile mantenere la litiemia all’interno dell’intervallo 0,4-1 mEq/L [5].

L’emodialisi è il trattamento di scelta per la rimozione del litio con una clearance compresa tra 50-180 ml/min contro i 30-40 ml/min della CVVH (Continuous Veno-Venous Hemofiltration). Nei soggetti senza insufficienza renale, si raccomandano sessioni della durata di 6-8 ore. Infatti, a causa della distribuzione intracellulare, con sessioni più brevi si potrebbe assistere al rebound post dialitico del litio e potrebbero rendersi necessarie multiple sessioni di terapia emodialitica [5,6].

Le metodiche CRRT (Continouus Renal Replacement Therapy) o SLED (Sustained Low Efficiency Dialysis) sono indicate nei pazienti con severa instabilità emodinamica. Possono infatti impedire gli incrementi da rebound del litio nell’intervallo tra le sedute dialitiche, per il passaggio elettrolitico dal distretto intracellulare a quello plasmatico, e la persistenza degli effetti tossici cerebro-renali [1,4,7].

 

Discussione e conclusioni

Le intossicazioni da farmaci rappresentano un’importante causa di morbilità e mortalità, determinando un numero di morti superiori a quelle attribuibili agli incidenti stradali [8]. Nel corso degli ultimi decenni le intossicazioni da litio, insieme a quelle da metanolo, glicole etilenico e salicilati, sono stati tra le prime cause di avvelenamento per cui si è reso necessario il trattamento con depurazione extracorporea.

Distinguiamo tre tipi di intossicazione da litio: acuta, acuta su cronica e cronica.

  • L’intossicazione acuta si verifica nei soggetti che non sono in terapia con litio. Può interessare persone (spesso bambini) che vivono nello stesso nucleo familiare del paziente in terapia con litio. L’assunzione, nella maggior parte dei casi, è accidentale, ma può anche essere volontaria a scopo suicida. In questo tipo di intossicazione prevalgono i sintomi gastrointestinali (nausea, vomito e diarrea) (si veda Fig. 1) e, mancando una distribuzione tissutale, la sua eliminazione è più rapida rispetto ai pazienti in terapia cronica. Bisogna valutare la litiemia e in alcuni casi, specialmente se il paziente presenta insufficienza renale, potrebbe essere indicata l’emodialisi [1,47].
  • L’intossicazione acuta su cronica si verifica in pazienti già in terapia con litio che ne assumono una dose eccessiva, spesso in modo intenzionale (pazienti con disturbo bipolare in fase depressiva con intento suicida). Questo tipo di intossicazione è più grave dell’intossicazione acuta poiché l’eliminazione del litio è più lenta. Quando la litiemia supera i 3-4 mEq/L è spesso associata ad una sintomatologia grave ed in genere è necessario il ricorso all’emodialisi [1, 57].
  • L’intossicazione cronica si verifica in pazienti già in terapia con litio la cui posologia è stata da poco aumentata o in cui l’eliminazione è improvvisamente diminuita. Ne deriva un aumento graduale della litiemia ed una elevata distribuzione tissutale. In questi casi i valori di litiemia correlano molto bene con la sintomatologia clinica, che è prevalentemente neurologica. Il tipo di intossicazione si definisce lieve per litiemia tra 1,5-2,0 mEq/L, moderata tra 2,0-2,5 mEq/L, grave per valori >2,5mEq/L. Anche in questo caso può essere necessario il ricorso alla terapia dialitica [1,6,7].
Figura 1: Sintomatologia clinica nell’intossicazione da litio. Da Pastori, Gentile. G Ital Nefrol 2016; 33(3)
Figura 1: Sintomatologia clinica nell’intossicazione da litio. Da Pastori, Gentile. G Ital Nefrol 2016; 33(3)

Per una corretta gestione terapeutica, nella valutazione dei pazienti affetti da intossicazione da litio bisogna inoltre considerare i fattori che aumentano il rischio di tossicità quali: anoressia, fibrosi cistica, riduzione del volume effettivo circolante, cirrosi, scompenso cardiaco, sindrome nefrosica, diabete insipido, diabete mellito, riduzione di sodio nella dieta, gastroenteriti, infezioni, inibitori del sistema renino-angiotensina (aumentano la litiemia), corticosteroidi (aumentano la litiemia), ciclosporina, diuretici dell’ansa e tiazidici (riducono l’eliminazione di litio), diuretici risparmiatori di potassio (non aumentano la litiemia), diuretici osmotici, acetazolamide, amiloride e triamterene (aumentano l’escrezione di litio), amminofilline e mannitolo (danno una diminuzione della litiemia), calcioantagonisti (verapamil e diltiazem aumentano il rischio di neurotossicità), FANS (ibuprofene, diclofenac, indometacina, naproxene, kerotolac, piroxicam) e inibitori selettivi delle cox2, tetracicline, overdose, insufficienza renale, schizofrenia, antipsicotici (clozapina, aloperidolo e fenotiazine aumentano il rischio effetti avversi extrapiramidali), antidepressivi (venlafaxina ed inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), antiepilettici (fenitoina, fenobarbital e carbamazepina aumentano il rischio di neurotossicità), metoclopramide (aumentano il rischio di effetti extrapiramidali), metildopa aumenta la tossicità, metronidazolo (aumenta la litiemia), interventi chirurgici, deplezione.

Nel caso da noi riportato non c’era stato un aumento recente nella posologia del litio, ma in anamnesi erano noti multipli episodi di tentato suicidio. In Pronto Soccorso il fratello del paziente ci aveva riferito l’assunzione di 10 compresse di solfato di litio da 83 mg, 10 compresse di quietiapina da 300 mg e 10 compresse di lorazepam da 2,5 mg. Pertanto, escluso altre più o meno comuni cause neurologiche, abbiamo posto diagnosi di intossicazione acuta su cronica in paziente in terapia con litio. Non erano presenti alterazioni elettrocardiografiche di rilievo e, nonostante il paziente presentasse normofunzione renale e diuresi conservata, è stato scelto di praticare la terapia dialitica alla luce della gravità del quadro clinico neurologico. La terapia emodialitica è stata preferita rispetto alla CRRT, data la stabilità emodinamica del paziente. Dopo due sedute dialitiche (la prima di 3 ore e la seconda di 5 ore e mezza) non abbiamo ritenuto opportuno effettuarne altre, dato che la litiemia era rientrata nel range terapeutico (<1 mEq/L) con miglioramento delle condizioni cliniche del paziente.

La nostra scelta terapeutica basata sul trattamento emodialitico è andata oltre le raccomandazioni del gruppo EXTRIP (Extracorporeal Treatments in Poisoning), che riconosce l’emodialisi come terapia di scelta nell’intossicazione da litio in pazienti con normofunzione renale solo quando i valori della litiemia sono superiori a 5mEq/L e, in caso di alterazione della funzionalità renale, quando i valori di litiemia sono superiori a 4mEq/L. La nostra scelta è stata guidata dalla gravità della sintomatologia clinico-neurologica resistente alla terapia medica, come suggerito anche da alcuni autori, secondo i quali la sintomatologia neurologica rappresenta già un’indicazione al trattamento emodialitico, indipendentemente dai valori di litiemia (che tra l’altro possono non correlare con la sintomatologia neurologica) [9,10].

Riportiamo pertanto che, quando la funzione renale è compromessa, il trattamento extracorporeo dialitico è raccomandato se la litiemia è >4 mEq/L, in presenza di alterazione dello stato di coscienza, in caso di convulsioni e/o aritmie indipendentemente dalla litiemia [9]; è suggerito se la litiemia è >5 mEq/L, se è presente confusione mentale, se si prevede un tempo >36 ore per ottenere una litiemia <1 mEq/L con trattamento ottimale [9] (Tab. 1).

trattamento extracorporeo dialitico RACCOMADATO

– litiemia >4 mEq/L con funzione renale compromessa

– indipendentemente dalla litiemia, in presenza di alterazione dello stato di coscienza, in caso di convulsioni e/o aritmie

trattamento extracorporeo dialitico SUGGERITO

– litiemia >5 mEq/L

– in caso di confusione mentale

– se si prevede un tempo >36 ore per ottenere una litiemia <1 mEq/L

Tabella I: Raccomandazioni dell’EXTRIP workgroup sull’utilizzo di metodiche extracorporee nell’intossicazione da litio

La sospensione della terapia è indicata al raggiungimento di litiemia <1mEq/L, oppure per un evidente miglioramento clinico dopo un minimo di 6 ore, se la litiemia non è ottenibile con facilità [9]. Sulla base di queste raccomandazioni è necessario dosare la litiemia ogni 12 ore dopo la sospensione della terapia extracorporea, per verificare l’entità del rebound post-trattamento, che può essere migliorato dalla CRRT [8,9].

In conclusione, l’intossicazione acuta su cronica da litio è una problematica più grave rispetto all’intossicazione acuta, a causa della rallentata eliminazione che si verifica nei pazienti già cronicamente in terapia con litio. Pertanto, il ruolo del nefrologo e la tempestiva decisione di ricorso al trattamento dialitico sono fondamentali anche nei pazienti in normofunzione renale con quadro clinico compromesso e resistente alla terapia medica, come nel caso da noi presentato, al fine di ottenere un rapido rispristino della litiemia e recupero della sintomatologia. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi, come suggerito anche da altri autori, per valutare il miglioramento dell’outcome in caso di intossicazione da litio trattata con emodialisi su un numero più alto di pazienti [11,12].

 

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