Settembre Ottobre 2020 - Articoli originali

Il monitoraggio informatizzato dell’accesso vascolare: uno studio pilota

Abstract

Il monitoraggio della fistola arterovenosa (FAV) è vitale per la sua sopravvivenza e per quella dei pazienti dializzati, ma c’è ancora confusione sulla sua effettiva utilità, su chi debba effettuarlo (medico o infermiere), con quale cadenza, e su quale sia il test funzionale migliore. Il nostro studio retrospettivo riporta un’esperienza di monitoraggio della FAV basato sul concetto di integrazione medico-infermieristica e su parametri clinico/funzionali, realizzata con l’ausilio di un Software Monitoraggio Accessi Vascolari (SMAV) progettato da noi. L’analisi confronta l’incidenza di trombosi e di angioplastiche (PTA) su un gruppo di 100 pazienti, 13 mesi prima dell’entrata in uso di SMAV, e su altri 100 pazienti, 19 mesi dopo la sua entrata in uso. Di questi, 13 pazienti erano presenti in entrambi i gruppi e, dunque, fungevano da controlli di sé stessi. Il numero di trombosi e di PTA degli accessi vascolari si riduceva nei 19 mesi di utilizzo dello SMAV rispettivamente da 10 (10%; 0.008 trombosi/pz mese) a 1 (1%; 0.0005 trombosi/pz mese) (p <0.01) e da 49 (49%; 0.037 PTA/pz mese) a 27 procedure (27%; 0.014PTA/pz mese) (p < 0.05). Nei 13 pazienti controlli di sé stessi si osservava una riduzione del numero di procedure di PTA del 70% (da 26 a 8). SMAV ha consentito l’integrazione dei vari parametri funzionali, facilitato la condivisione delle informazioni, facilitato il lavoro di gruppo, potenziato le competenze professionali e favorito il raggiungimento della gestione ottimale della FAV. Questo ha comportato una riduzione degli eventi trombotici e, sorprendentemente, una riduzione della necessità di ricorrere alla PTA, grazie ad una maggior cura nella fase di valutazione e puntura della FAV.

 

Parole chiave: fistola artero-venosa, monitoraggio, SMAV

Introduzione

A fronte di un continuo aumento della prevalenza dell’insufficienza renale cronica terminale (ESRD), conseguenza sia dell’aumento della popolazione anziana con patologie cardiovascolari legate a diabete mellito ed ipertensione arteriosa sia dell’invecchiamento demografico [1], l’emodialisi costituisce la metodica più frequentemente scelta, dai clinici e dai pazienti, tra le modalità di terapia sostitutiva nei diversi paesi del mondo [2]. Nel 2010 c’erano 2.618.000 di persone al mondo trattate con metodiche emodialitiche [3]. In Italia, secondo i dati del Registro Italiano Dialisi e Trapianto, nel 2017 la prevalenza di emodializzati era di 42.500 [4]. In Lombardia, secondo i dati del Registro Lombardo di Dialisi e Trapianto del 2018 [5], a fronte di una prevalenza di dializzati di 7739 pazienti ed un’incidenza annuale di 1744 pazienti (173,35 per milione di abitanti), si registra che l’83% dei pazienti effettuava un trattamento di emodialisi (1471 pazienti). Di questi pazienti il 62% dializzava tramite una fistola su vasi nativi e il 7% con una protesi; una significativa percentuale di pazienti, il 31%, dializzava tramite un catetere venoso centrale (https://www.nefrolombardia.org/registro/). La fistola su vasi nativi (AVF) è l’accesso vascolare di prima scelta per il trattamento emodialitico, per un maggior tasso di pervietà rispetto alle fistole protesiche (AVGs) [6, 7], un minor rischio infettivo e di mortalità rispetto ai cateteri venosi centrali [8], e per le performances funzionali. Tuttavia, nonostante i notevoli progressi tecnologici dei materiali delle protesi vascolari e l’affinamento della nefrologia interventistica, la frequenza del suo utilizzo è piuttosto variabile tra i vari centri dialisi, in parte per difficoltà di confezionamento dovuto allo scarso patrimonio vascolare di pazienti anziani e pluricomorbidi [9], ma anche per prassi e consuetudini eterogenee (che vanno dalla tempistica del referral alla ottimale gestione della terapia conservativa) e per l’esperienza chirurgica del team nefrologico. Tali criticità sono state pienamente recepite dalla Regione Lombardia [10], che ha dato mandato alle varie ASST di costituire per ogni Nefrologia un team multidisciplinare (nefrologo, chirurgo vascolare, radiologo interventista e infermiere) dedicato al confezionamento e alla gestione degli accessi vascolari. A proposito di quest’ultimo aspetto, è vitale la gestione medico-infermieristica dell’accesso vascolare, effettuata con il monitoraggio mediante esame obiettivo e la sorveglianza con esami strumentali [9, 11]. L’utilità del monitoraggio/sorveglianza della fistola artero-venosa è però alquanto dibattuta. Se da un lato vi sono linee guida che enfatizzano il monitoraggio, più che la sorveglianza, dall’altro i vari studi non hanno consentito di produrre forti evidenze di grado 1-A a favore dell’uno o dell’altro. Inoltre, non ci sono indicazioni chiare su chi deve effettuarli (il medico o l’infermiere?), con quale tempistica e, soprattutto, quale parametro funzionale dell’accesso vascolare è da ritenersi il più predittivo della sua sopravvivenza, o se non sia piuttosto meglio integrare le informazioni date da più test funzionali. 

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