Luglio Agosto 2019 - Nefrologo in corsia

Insufficienza renale acuta in corso di sindrome da differenziazione: una possibile complicanza in corso di terapia con agenti differenzianti per la leucemia acuta promielocitica. Descrizione di un caso clinico

Abstract

La sindrome da differenziazione (SD), precedentemente nota anche come sindrome da acido retinoico, sindrome ATRA (all-trans retinoic acid) o ATO (arsenic trioxide), è una complicanza fatale della terapia di induzione con agenti differenzianti (ATRA e/o ATO) nei pazienti con leucemia acuta promielocitica (LAP). Quest’ultima rappresenta un sottotipo raro di leucemia acuta mieloide ed è un’emergenza ematologica. Dopo l’inizio della terapia con agenti differenzianti, la SD si manifesta clinicamente con febbre, non spiegabile con altre cause, distress respiratorio acuto con infiltrati interstiziali polmonari, ipotensione, edemi periferici, scompenso cardiaco congestizio e insufficienza renale acuta. La terapia specifica prevede l’utilizzo precoce di desametasone ad alte dosi per via endovenosa, al fine di contrastare la tempesta citochinica responsabile della sindrome. Nell’ambito della terapia di supporto della SD, quando insorgono complicanze renali, vengono utilizzate la furosemide (spesso, nell’87% dei pazienti) e la dialisi (nel 12% dei pazienti), nei casi di sovraccarico idrico o nei casi di insufficienza renale refrattaria alla terapia.

Presentiamo un caso di insufficienza renale acuta, trattata con emodialisi, in un giovane paziente affetto da LAP che ha manifestato, in seguito alla terapia di induzione, una forma severa di sindrome da differenziazione. Nel trattare tale condizione, di per sé non molto frequente e quindi poco nota ai nefrologi, la tempestività è fondamentale ai fini della prognosi.

Parole chiave: insufficienza renale acuta, dialisi, leucemia promielocitica acuta, sindrome da differenziazione, acido retinoico, desametasone

Introduzione

La sindrome da differenziazione (SD), precedentemente nota anche come sindrome da acido retinoico, sindrome ATRA (all-trans retinoic acid) o ATO (arsenic trioxide), è una complicanza fatale della terapia di induzione con agenti differenzianti (ATRA e/o ATO) nei pazienti con leucemia acuta promielocitica (LAP). Clinicamente si manifesta con febbre non spiegabile con altre cause, distress respiratorio acuto con infiltrati interstiziali polmonari, ipotensione, edemi periferici, scompenso cardiaco congestizio e insufficienza renale acuta. La LAP è un sottotipo raro di leucemia acuta mieloide, più frequente tra i giovani e con peculiarità morfologiche, citogenetiche e molecolari. Nella maggior parte dei casi l’esordio è caratterizzato da leucopenia, più raramente leucocitosi, e da una tipica coagulopatia da consumo (CID) [1, 2].

Presentiamo di seguito un caso di insufficienza renale acuta trattata con emodialisi in un giovane paziente affetto da LAP che ha manifestato, in seguito alla terapia di induzione, una forma severa di sindrome da differenziazione.

 

Caso clinico

Un ragazzo di 35 anni si recava al pronto soccorso ospedaliero del proprio paese ove veniva sollevato il sospetto di porpora trombotico-trombocitopenica a causa della comparsa di ematomi diffusi al torace e agli arti inferiori, in assenza di alcuna causa traumatica. Data la mancanza del reparto di Ematologia nel suddetto ospedale, il paziente veniva trasferito all’Ematologia della nostra struttura il giorno successivo al suo ingresso in PS.

Gli esami ematochimici all’ingresso evidenziavano: azotemia 35 mg/dl, creatinina 0.85 mg/dl, sodio 135 mmol/l, potassio 3.9 mmol/l, LDH 470 UI/l, AST 20 UI/l, ALT 23 UI/l, bilirubina totale 0.6 mg/dl, Hb 11.1 g/dl, piastrine 13.000/microL, globuli bianchi 17.200/microL, neutrofili 21.1%, linfociti 6%, monociti 72.8%, eosinofili 0.0%, basofili 0.1%, PT 15.95 sec, INR 1.87, APTT 24.6 sec, fibrinogeno 93 mg/dl, antitrombina 110%, D-Dimero 13.5 mg/l. L’ecografia dell’addome non mostrava alterazioni degli organi addominali, ad eccezione di una moderata falda fluida nello scavo pelvico. Il paziente veniva subito trattato con infusioni di plasma e piastrine e di acido tranexamico; eseguiva poi un esame morfologico del sangue periferico, un agoaspirato midollare (non diagnostico) e un prelievo per biologia molecolare e citogenetica su sangue periferico che poneva diagnosi di leucemia promielocitica acuta con traslocazione 15;17. Su questa base, si iniziava terapia con tretinoina 10 mg, prednisone 25 mg e idrossicarbamide 500 mg.

Nei tre giorni a seguire, i parametri coagulativi miglioravano (riduzione dell’INR a 1.33 e incremento del fibrinogeno a 313 mg/dl e dell’antitrombina a 101%) con conseguente riduzione degli ematomi e in assenza di manifestazioni emorragiche. Tuttavia, l’LDH incrementava fino a far riscontrare, il terzo giorno, valori di 10973 UI/l; l’AST arrivava a 413 UI/l, l’ALT a 110 UI/l, e la creatinina a 4.1 mg/dl, con gli elettroliti sierici nella norma. I globuli bianchi raggiungevano valori di 100.500/microL, le piastrine di 32.000/microL, e l’emoglobina di 7 g/dl. Contemporaneamente si osservava febbre con emocolture negative, un notevole incremento ponderale progressivo, fino ad un totale di 10 Kg dopo 3 giorni, una riduzione della diuresi (in particolar modo dopo due giorni) e la comparsa di dispnea ingravescente con riduzione della saturazione periferica prima a 91% (per cui iniziava O2 terapia a 1.5 lt/min) poi a 88% (con necessità di incremento graduale del flusso di O2 fino a 15 lt/min con maschera di Venturi). L’EGA arterioso, subito prima di iniziare l’O2 terapia, era il seguente: pH 7.44, pCO2 30 mmHg, pO2 45 mmHg, bicarbonati 20.4 mmHg, lattati 5.3 mmol/l, SpO2 83%. L’ecocardiogramma evidenziava un lieve scollamento pericardico e un lieve rigurgito mitralico, in presenza di una normale funzione diastolica e contrattilità globale conservata. 

A causa del sospetto di SD, il paziente iniziava terapia con desametasone 10 mg per via endovenosa due volte al giorno, mentre l’acido retinoico veniva sospeso. Il terzo giorno veniva richiesta una consulenza nefrologica. Il paziente aveva già iniziato terapia con furosemide 20 mg ev e amlodipina 10 mg per os e, in un primo momento, veniva incrementata la posologia della furosemide (prima 100 mg ev in bolo e a seguire altri 100 mg in infusione continua). Dopo circa 4 ore però, non avendo osservato alcuna risposta diuretica e soprattutto a causa del peggioramento della dispnea, veniva richiesta in nottata una nuova consulenza nefrologica. Alla visita il paziente si presentava molto sofferente, dispnoico e con una saturazione periferica intorno a 89%, nonostante l’O2 terapia a 15 lt/min, sudato ma apiretico, anurico e con PA 150/100 mmHg. L’EGA arterioso mostrava quanto segue: pH 7.42, pCO2 31 mmHg, pO2 58 mmHg, bicarbonati 20.1 mmol/l, lattati 5.1 mmol/l, SpO2 90%. Una TC torace eseguita subito prima della visita evidenziava un impegno interstiziale ilo-parailare bilaterale con aspetto a vetro smerigliato con versamento pleurico declive parieto-basale bilaterale di spessore subcentimetrico. Non vi era liquido in addome né componente ostruttiva renale ma era presente un’imbibizione del pannicolo adiposo superficiale. Si decideva, pertanto, di iniziare il trattamento emodialitico in urgenza dopo il posizionamento di un catetere venoso centrale avvenuto senza complicanze, nonostante la piastrinopenia.

Veniva prescritto un trattamento emodialitico (bicarbonato dialisi) della durata di 3 ore, senza utilizzo di anticoagulante né nel circuito per dialisi né per via sistemica e con un calo ponderale netto di 3 kg. Il bagno di dialisi era il seguente: Na+ 140 mmol/l, K+ 3 mmol/l, Ca++ 1.5 mmol/l, bicarbonati 30 mmol/l, temperatura 36°C. Durante la dialisi, veniva somministrata una unità di emazie concentrate. Già dopo la prima ora di trattamento, e soprattutto al termine, si osservava un netto miglioramento della dispnea e della saturazione periferica (94%), che permetteva di ridurre il flusso di O2 gradualmente da 15 a 5 lt/min. I valori di pCO2 all’EGA venoso erano di 72 mmHg dopo due ore e di 58 mmHg al termine della dialisi; quelli dei bicarbonati erano di 29.5 mmHg dopo due ore (per cui la bicarbonatemia nel bagno di dialisi veniva ridotta a 28 mmol/l) e 24.9 mmHg al termine della dialisi; i lattati erano 3.4 mmol/l alla fine del trattamento. Terminata l’emodialisi, intorno alle 6.30 del mattino, il paziente veniva rimandato nel reparto di Ematologia con l’indicazione a ripetere un EGA arterioso (che era il seguente: pH 7.40, pCO2 24 mmHg, pO2 40 mmHg, bicarbonati 14.9 mmHg, lattati 8.4 mmol/l, SpO2 75%) e gli esami ematochimici, nonché a continuare la terapia diuretica ad alte dosi nel tentativo di ripristinare la diuresi, oltre alla terapia cortisonica per la SD e quella antipertensiva. Al mattino, poche ore dopo l’emodialisi, veniva ricontattato il reparto di Ematologia per chiedere informazioni sulle condizioni cliniche del paziente e sull’eventuale necessità di un’ulteriore seduta di emodialisi. Purtroppo, appuravamo che, dopo un apparente e breve miglioramento della sintomatologia (con regressione della sudorazione e della dispnea), era stato necessario contattare il rianimatore in emergenza in quanto il paziente aveva presentato delle scosse tonico-cloniche seguite da marcata depressione dello stato di coscienza e da arresto cardiocircolatorio.

 

Discussione

Oramai accade sempre più spesso a noi nefrologi di trattare pazienti affetti da malattie ematologiche, sia all’esordio sia durante il trattamento chemioterapico, e ci stiamo abituando a conoscere tutte le complicanze della terapia e purtroppo anche la fase finale della malattia stessa.

La LAP è una leucemia acuta mieloide relativamente rara (10% di tutte le leucemie acute mieloidi), più frequente nei giovani e con un esordio caratterizzato da leucopenia e CID. All’esame morfologico del sangue periferico e/o del midollo osseo si osserva un quadro di leucopenia con presenza di promielociti anomali, nel cui citoplasma si notano granuli azzurrofili e corpi di Auer [1, 2]. Una diagnosi rapida è fondamentale perché l’inizio tempestivo di una terapia con ATRA e il supporto con concentrati piastrinici e plasma, somministrati già in base al sospetto morfologico, sono in grado di modificare sensibilmente la prognosi e la mortalità precoce per emorragia cerebrale, che rappresenta la principale causa di fallimento della terapia [3, 4]. La diatesi emorragica è correlata alla deplezione piastrinica e dei fattori della coagulazione, probabilmente dovuta alla lisi delle cellule leucemiche e al successivo rilascio in circolo di fattori procoagulanti e fibrinolitici [5]. Per la diagnosi rapida di LAP è disponibile un test in immunofluorescenza, basato sull’utilizzo di un anticorpo monoclonale anti-promielociti; dal punto di vista citogenetico è invece caratteristica la presenza di una traslocazione reciproca bilanciata tra i cromosomi 15 e 17, che determina una fusione tra il gene PML (promyeloytic leukemia) e quello del recettore dell’acido retinoico (RARalpha) [6]. Riconoscere la presenza del gene ibrido PML/RARalpha, responsabile del blocco della differenziazione emopoietica a livello promielocitario, è fondamentale al fine di prevedere l’efficacia della terapia con ATRA e/o arsenico e per il monitoraggio della risposta molecolare alla terapia [1]. La terapia d’induzione della LAP si basa sull’utilizzo combinato di ATRA e chemioterapia; rispetto alla sola terapia con ATRA, ciò consente il raggiungimento di una remissione mantenuta nel tempo. Inoltre, la terapia combinata è più efficace nel controllo della leucocitosi indotta da ATRA che, molto spesso, è un indice dell’insorgenza della SD [1]. Esiste, inoltre, una variante ancora più rara di LAP che si associa frequentemente a leucocitosi e a complicanze da ATRA quali lo pseudotumor cerebri [7].

La SD è una complicanza potenzialmente letale che si verifica tipicamente durante la fase di induzione della terapia con ATRA e/o ATO, quando i blasti leucemici sono presenti in quantità massicce; non si verifica invece mai durante la fase di consolidamento e mantenimento della terapia [1, 2]. I meccanismi eziopatogenetici sottostanti non sono completamenti noti, anche se potrebbe esserne responsabile una tempesta citochinica in coincidenza della differenziazione dei blasti durante la terapia di induzione, con conseguente migrazione cellulare, attivazione endoteliale, rilascio di interleuchine e fattori vascolari responsabili del danno tissutale [2]. L’incidenza è variabile (2.5-30% dei pazienti con LAP) a seconda dei criteri diagnostici utilizzati così come variabili sono i tempi di insorgenza dopo la terapia d’induzione. Lo studio PETHEMA ha evidenziato un pattern bimodale di incidenza della SD, con il 47% dei pazienti che mostravano un esordio precoce, entro la prima settimana, e il 48%, invece un esordio tardivo, durante la terza settimana o oltre. Tale picco bimodale di incidenza riguardava sia i quadri clinici severi di SD sia quelli moderati [8]. La maggior parte dei casi severi e precoci richiedevano la ventilazione meccanica o la dialisi ed erano associati ad una maggiore frequenza di infiltrati polmonari ed incremento ponderale e ad una mortalità elevata (fino al 40%) rispetto ai casi con SD tardiva [8]. 

La SD è caratterizzata clinicamente da febbre non spiegabile con altre cause, insufficienza respiratoria acuta con impegno interstiziale polmonare o versamento pleuro-pericardico, aumento ponderale, edemi periferici da alterazione della permeabilità capillare, ipotensione arteriosa non spiegabile con altre cause, scompenso cardiaco congestizio ed insufficienza renale acuta (anche questa, verosimilmente, in conseguenza del danno a carico dei podociti provocato dal rilascio delle citochine a livello degli endoteli dei capillari renali) [9]. La diagnosi, dunque, è basata sulla insorgenza di almeno uno di questi sintomi durante la terapia di induzione con agenti differenzianti nell’ambito di una leucemia mieloide acuta e sull’esclusione di altre potenziali cause. Frequentemente, all’esordio o durante la SD, si nota un incremento dei globuli bianchi che ne supporta la diagnosi ma che talvolta può portare a confonderla con sepsi e tossicità da ATRA [10, 11]. 

Nel caso del nostro paziente, l’esordio della leucemia era caratterizzato da leucocitosi anziché da leucopenia, come si verifica più frequentemente nella LAP variante spesso associata a SD, e da un quadro di CID. Il paziente non solo presentava il corredo sintomatologico al completo ma rappresentava, purtroppo, un caso di SD severa e precoce. La sua sintomatologia era caratterizzata, dopo tre giorni dall’inizio della terapia con ATRA, da un incremento ponderale progressivo di circa 10 Kg, edemi periferici (ed edemi del sottocute visibili anche alla TC), incremento dei globuli bianchi (fino a 100.500/microL), dell’LDH e delle transaminasi, febbre e sudorazione marcata con emocolture negative, versamento pericardico e pleurico, insufficienza respiratoria con infiltrati polmonari nell’interstizio, ed insufficienza renale acuta oligurica. L’unico sintomo non presente era l’ipotensione arteriosa; al contrario il paziente era iperteso (con valori intorno a 160/100 mmHg), probabilmente per il notevole incremento ponderale accumulato rapidamente. I fattori che predicono lo sviluppo della SD non sono completamente noti, ma in alcuni casi comprendono un rapido incremento dei leucociti, come si è verificato nel nostro paziente, e l’espressione di specifici antigeni di superficie [7]. Quando compare anche uno solo dei sintomi precedentemente descritti, la terapia specifica prevede l’utilizzo di desametasone 10 mg per via endovenosa due volte al giorno, al fine di contrastare la tempesta citochinica. Alcuni autori utilizzano l’ARA-C 500 mg in presenza di alta conta di globuli bianchi (>100.000/microL) anche se ciò incrementa il rischio di mielotossicità; la sospensione temporanea di ATRA e/o ATO è indicata nel caso di SD severa o in presenza di insufficienza respiratoria o insufficienza renale acuta. In ogni caso un intervento precoce con steroidi per via endovenosa ad alte dosi, effettuato già alla comparsa dei primi sintomi e ancor prima di escludere altre cause della sintomatologia, sembra avere ridotto la mortalità dal 30% a meno dell’1% in alcuni recenti trials [1214]. Nel nostro caso, la terapia con ATRA è stata sospesa dai colleghi ematologi e si è iniziata quella con desametasone subito dopo la comparsa dei primi sintomi della SD, senza però modificare l’esito infausto della patologia. Non è da escludere che il ritardo diagnostico (accesso ad un PS senza reparto di Ematologia e successivo trasferimento presso un altro ospedale) possa aver condizionato la prognosi.

Fondamentale è anche la terapia di supporto della SD. Nei protocolli dello studio PETHEMA la furosemide è usata nell’87% dei pazienti per trattare l’insufficienza renale acuta, l’incremento ponderale, gli edemi periferici e quello polmonare. La dialisi o l’ultrafiltrazione continua sono richieste nei casi di insufficienza renale refrattaria alla terapia o nei casi di sovraccarico idrico (nel 12% dei casi); la ventilazione meccanica o non invasiva sono indicate nei casi di insufficienza respiratoria acuta che non risponde agli alti flussi di ossigeno (26% dei pazienti) [10, 15]. Tutte queste terapie di supporto sono solitamente richieste nei casi di SD severa. Nel nostro paziente, l’unica terapia di supporto a cui non è stato fatto ricorso è stata la ventilazione meccanica poichè è stato raggiunto un discreto compenso respiratorio con l’ossigeno ad alti flussi (SpO2 90%). Non è ancora noto se l’utilizzo del cortisone in via profilattica, insieme alla terapia d’induzione della LAP, sia efficace nel ridurre il rischio di SD; ciò deve essere validato da studi controllati, anche se il rischio infettivo non sembra essere aumentato dal cortisone [2]. Allo stesso modo, l’efficacia dell’utilizzo di strategie terapeutiche e profilattiche basate sulla presenza di presunti fattori predittivi di SD severa (conta dei GB >5×109/L o valori alterati di creatinina sierica) necessita di ulteriori studi [2]. 

Sarebbe molto interessante conoscere le alterazioni istologiche che si verificano in corso di insufficienza renale acuta durante la SD. Mentre, da un lato, sono stati descritti alcuni casi di glomerulonefriti (Gn) con sindrome nefrosica diagnosticati mediante biopsia renale in pazienti con LAP (Gn a lesioni minime, glomerulosclerosi focale e segmentale, sindrome nefrosica da infiltrazione macrofagica o da depositi di immunocomplessi, Gn membranosa, Gn proliferativa) [16], dall’altro lato non vi sono dati di istologia renale in corso di IRA da SD in letteratura. Al contrario, la biopsia renale è sconsigliata al fine di ridurre il rischio emorragico in questi pazienti [13]. 

Nonostante il riconoscimento della SD e l’inizio precoce della terapia con desametasone siano fattori cruciali nel modificare la prognosi, la mortalità di questa condizione rimane elevata, soprattutto nelle forme severe. Nei protocolli PETHEMA la mortalità era dell’11% nei pazienti con SD severa e del 16% nei pazienti con forma precoce e severa [10, 15]. In particolare, nei pazienti con SD severa, la mortalità associata a fenomeni emorragici è più elevata ed è probabilmente ciò che è accaduto nel nostro caso. Infatti, il giovane paziente ha avuto delle scosse tonico-cloniche seguite da uno stato di coma, verosimilmente legate all’insorgenza di emorragia cerebrale, subito prima dell’arresto cardiocircolatorio.

 

Conclusioni

Il caso clinico descritto rappresenta un’emergenza ematologica nell’ambito di una patologia sicuramente ben nota agli ematologi, pur trattandosi di un sottotipo raro di leucemia acuta mieloide, ma meno nota ai nefrologi. Ancora più raro è il ricorso al trattamento dialitico (circa il 12% dei casi), o comunque l’intervento del nefrologo nel corso di una complicanza come la SD, insorta dopo la terapia d’induzione con ATRA e/o ATO.

Pertanto, il motivo che ci ha spinto a discutere questo nostro caso è quello di diffondere tra i nefrologi la conoscenza di una condizione clinica rara in cui la tempestività del trattamento, sia della terapia specifica che di supporto, è fondamentale ai fini della prognosi. 

 

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