Maggio Giugno 2019 - In depth review

Ruolo della misurazione ambulatoriale della pressione arteriosa (ABPM) nei pazienti con malattia renale cronica: una review

Abstract

Il 90% dei pazienti con malattia renale cronica (CKD) presenta ipertensione arteriosa; per ridurre il rischio cardio-renale di questa popolazione le principali linee guida internazionali raccomandano il mantenimento di valori pressori inferiori a 130/80 mmHg.

Il gold standard per l’identificazione dei profili e dei pattern pressori, nonché per la valutazione del ritmo circadiano della pressione arteriosa (PA) e della variabilità pressoria è rappresentato dal monitoraggio della pressione arteriosa delle 24 ore (ABPM) la cui corretta interpretazione consente di ottimizzare il trattamento anti-ipertensivo.

Nei pazienti con CKD, l’ABPM risulta superiore in termini di prognosi renale e cardio-vascolare se confrontato con la misurazione clinica della PA. I pazienti con ABPM a target presentano una condizione di basso rischio cardio-renale, indipendentemente dai valori della PA clinica; al contrario, quando la PA clinica è nella norma e l’ABPM non a target tale rischio aumenta significativamente. Inoltre, nella popolazione con CKD, l’assenza di dipping risulta associato ad un rischio maggiore di eventi cardiovascolari e di malattia renale terminale (ESRD) e identificare l’ipertensione notturna è di grande importanza.

Pertanto, l’ABPM rappresenta uno strumento di primaria importanza nel work-out diagnostico e terapeutico dei pazienti nefropatici.

 

PAROLE CHIAVE: ABPM, CKD, ipertensione arteriosa

Introduzione        

La malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease, CKD) coinvolge in Italia circa 2 milioni di persone, con una prevalenza del 7% all’interno della popolazione generale, come osservato nello studio CARHES condotto in Italia nel 2010 [13].

L’ipertensione arteriosa è considerata una delle principali cause di CKD, come recentemente evidenziato da una meta-analisi relativa ad una coorte di 315.321 soggetti senza riduzione della funzionalità renale (GFR) al basale e seguiti in follow-up per una mediana di 6 anni. I risultati di questa meta-analisi mostrano che l’aumento della Pressione Arteriosa (PA) rappresenta un predittore indipendente di una successiva riduzione del GFR [4]. Il significato di tale concetto assume maggiore enfasi se consideriamo che i pazienti con riduzione del filtrato glomerulare stimato (eGFR) e proteinuria, anche lieve, hanno un aumentato rischio cardiovascolare rispetto alla popolazione generale [5, 6]. In CKD, tuttavia, la relazione con l’ipertensione arteriosa risulta più complessa, dato che i valori pressori tendono ad incrementare con il ridursi del GFR [7], ed inoltre la progressione verso gli stadi più avanzati della CKD si associa con uno scarso raggiungimento dei target pressori [8, 9] ed un aumento della prevalenza di ipertensione resistente [10]. Inoltre, la CKD si caratterizza comunemente per una severa disfunzione endoteliale con un rimodellamento della parete vascolare che contribuisce all’ipertensione arteriosa [11]. Recenti meta-analisi hanno dimostrato che uno scarso controllo pressorio si associa ad un incremento del rischio di progressione verso l’End Stage Renal Disease (ESRD) [12] e ad un’aumentata mortalità cardiovascolare [13].

 

Target pressorio nella pratica clinica

Mentre esiste unanime consenso sulla necessità di ridurre i livelli di PA nei pazienti con CKD, non c’è invece unanimità sui livelli target da raggiungere in tali pazienti. Infatti, nel corso degli anni le linee guida hanno dato diverse interpretazioni dei risultati ottenuti dai trials (Tabella I). Le linee guida della Kidney Disease Improving Global Outcomes (KDIGO) raccomandano nella CKD in fase conservativa livelli di PA al di sotto di 130/80 mmHg ed inferiori a 125/75 mmHg se coesiste una proteinuria ≥1g/24h [14]. Tali target si basano fondamentalmente su analisi post hoc e su studi osservazionali che mostrano un miglioramento degli outcome cardio-renali al di sotto di tali livelli pressori [1518] e dall’osservazione di una curva di rischio a J con un aumento di mortalità per livelli di PA Sistolica <100 mmHg in pazienti con CKD [19].

Tuttavia, le più recenti linee guida sull’ipertensione arteriosa dell’American Heart Association [20] e dell’European Society of Hypertension [21] raccomandano PA <130/80 mmHg nella popolazione affetta da CKD. Questi target sono stati raccomandati sulla base dei risultati del recente studio randomizzato SPRINT.

Il trial SPRINT, condotto su 9361 pazienti affetti da Ipertensione Arteriosa, ha infatti dimostrato che nel braccio di trattamento intensivo (PA sistolica <120 mmHg) si registrava una significativa riduzione del rischio di morte per tutte le cause (P <0.001) rispetto al braccio di trattamento standard (PA sistolica <140 mmHg) [22]. Tali risultati sono stati successivamente confermati anche nella sotto-corte di 2646 pazienti affetti da CKD [23]. In questa coorte tuttavia non si registrava un effetto positivo sugli outcomes renali (definiti come riduzione del GFR >50%, necessità di trattamento sostitutivo renale). Inoltre, tenendo fede ai criteri di selezione dello SPRINT (esclusione dei pazienti diabetici, con GFR <20 ml/min/1.73 m2, con severa proteinuria ed affetti da Rene Policistico), l’applicabilità di tale target dovrebbe essere ristretto ad un 20% della popolazione con CKD che normalmente afferisce agli ambulatori di Nefrologia [24]. Infine, la principale “critica” allo SPRINT è l’impiego di uno strumento e di una modalità di misurazione difficilmente applicabile nella pratica clinica. Infatti, si impiegava uno sfigmomanometro automatico oscillometrico e i pazienti praticavano in media 5 misurazioni (separata da un intervallo di due minuti) in un ambiente dedicato, quasi sempre senza l’assistenza di personale sanitario durante la misurazione [25].

 

Ruolo dell’ABPM nella CKD

Sulla scorta dei risultati dello SPRINT si rende evidente la necessità di una misurazione più attendibile rispetto alla misurazione tradizionale dei valori pressori secondo il metodo auscultatorio (Office Blood Pressure, OBP) [26]. Essa infatti presenta alcuni limiti che possono inficiare il corretto inquadramento clinico del paziente iperteso con CKD. In tale popolazione il gold standard può essere considerato il monitoraggio della pressione arteriosa per 24 ore, definito con l’acronimo ABPM (Ambulatory Blood Pressure Monitoring).

L’ABPM è uno strumento diagnostico, non invasivo e di semplice impiego, che permette di misurare la PA del paziente ad intervalli di tempo regolari (15-30 minuti) e, al fine di migliorarne la riproducibilità, l’esame deve essere eseguito durante una giornata lavorativa o ricreativa di routine. Per garantire un miglior svolgimento delle normali attività quotidiane, il bracciale viene posto all’arto non dominante, a meno che non vi siano prove documentate di una differenza nella PA tra le due braccia: in tal caso dovrebbe essere scelto il braccio noto per avere valori di PA più alti [27]. L’ABPM fornisce informazioni utili e peculiari: permette di identificare i profili e gli specifici pattern pressori, nonché di valutare la media dei valori pressori riscontrati nel corso di tutte le 24 ore, il ritmo circadiano della PA, la variabilità pressoria e la durata d’azione dei farmaci antipertensivi eventualmente assunti dal paziente.

Nella valutazione dell’ABPM sono considerati normali i seguenti valori pressori: PA media nelle 24 ore <130/80 mmHg; PA media diurna <135/85 mmHg; PA media notturna <120/70 mmHg [22]. Gli intervalli diurni e notturni sono definiti attraverso la lettura dei periodi di veglia e di riposo che il paziente riporta su un apposito diario; lo stesso diario può essere utilizzato anche per riportare l’orario di assunzione della terapia antipertensiva e per registrare eventuali sintomi accusati dal paziente o gli eventi potenzialmente in grado di influenzare le misurazioni pressorie.

Dal confronto tra ABPM e valori rilevati con il metodo tradizionale è possibile identificare quattro diversi profili pressori:

  • Ipertensione Vera, caratterizzata da una PA clinica normale ed alterata all’ABPM;
  • Ipertensione da Camice Bianco (White Coat Hypertension, WCH), definita da PA clinica alterata ed ABPM normale;
  • Ipertensione Mascherata (Masked Hypertension, MH), con PA clinica normale ed alterata all’ABPM;
  • Normotensione Vera, se la PA clinica ed ABPM risultano normali [22].

Tale confronto risulta particolarmente utile nella valutazione dei pazienti con CKD, poiché all’interno di questa popolazione sono frequenti le alterazioni del profilo pressorio [28]. Il recente studio I-DARES, che ha messo insieme dati provenienti da 5 coorti CKD in tutto il mondo [29], ha mostrato che nel 20% si osservava WCH e nel 16% una MH. Come illustrato in Tabella II, i dati erano estremamente differenti a seconda della provenienza dei pazienti. Infatti, la WCH era molto più frequente della MH nelle coorti europee [30, 31], mentre un risultato opposto era osservato nelle coorti americane del Chronic Renal Insufficiency Cohort (CRIC) Study [32] e dell’African American Study of Kidney Disease and Hypertension (AASK study) [33], nonché in una coorte giapponese [34]. Tale disparità potrebbe essere addebitabile a differenze etniche e/o razziali.

 Uno studio ancillare dello SPRINT ha valutato in 897 soggetti l’effetto anti-ipertensivo sull’ABP nei due bracci di trattamento che avevano con obiettivo la PA clinica <120 e <140 mmHg, rispettivamente. Nel braccio di trattamento intensivo, a distanza di circa due anni, si osservava una maggiore riduzione della pressione diurna e notturna rispetto al braccio di trattamento standard, ma l’effetto anti-ipertensivo era di minor entità, rispetto a quello osservato con la misurazione clinica; infatti, la pressione diurna all’ABPM risultava di 6.5 mmHg più alta rispetto alla PA clinica nel braccio intensivo e di 3.3 mmHg nel braccio standard, con una scarsa correlazione tra la misurazione clinica ed ABPM. Questo studio suggerisce pertanto che per una miglior definizione del profilo pressorio durante il trattamento anti-ipertensivo sarebbe auspicabile l’effettuazione dell’ABPM [35].

In linea teorica, le alterazioni del profilo pressorio, come la WCH e la MH, possono essere diagnosticate con la misurazione a domicilio (Home Blood Pressure, HBP), sebbene l’impiego del monitoraggio domiciliare dovrebbe essere eseguito secondo un attento protocollo ed essere effettuato con apparecchi validati [20, 21].

Una caratteristica distintiva dell’ABPM è invece la possibilità di caratterizzare le eventuali alterazioni del profilo circadiano della PA. Sulla base delle alterazioni del profilo circadiano della PA, l’ABPM permette di individuare 4 differenti alterazioni del profilo circadiano. È generalmente concordato che, in condizioni normali, la PA notturna diminuisca più del 10% rispetto ai valori diurni; pertanto, al rapporto PA notturna / PA diurna è stato assegnato come cut-off il valore di 0,9, al di sotto del quale i pazienti vengono definiti “dippers”. Se i valori sono al di sopra di 0.9 il profilo viene definito “non-dipper”; quando si osserva l’inversione del rapporto D/N >1.0, i pazienti vengono definiti “reverse dippers”. Infine, quando il valore di riduzione supera il 20% (D/N <0.8), si configura il profilo di “extreme dipper” [27].

Le alterazioni del profilo pressorio circadiano sono frequenti nei pazienti con CKD, essendo riportato in oltre il 50% dei casi il fenomeno del non-dipping [36]. Il profilo dipper nei pazienti affetti da CKD è più frequente negli anziani ed è influenzato dall’introito di sale e dalla proteinuria [37], nonché dal timing della somministrazione della terapia anti-ipertensiva. In uno studio di intervento condotto su 32 pazienti non-dipper con eGFR <90 ml/min/1,73m2 e PA diurna a target (<135/85 mmHg) si dimostrava che spostando l’assunzione di un farmaco anti-ipertensivo dalla mattina alla sera veniva ripristinato il ritmo circadiano della PA nell’87,5% dei casi. La riduzione della pressione arteriosa sistolica (PAS) e pressione arteriosa diastolica (PAD) notturna non risultava associata all’aumento dei valori pressori diurni ed era indipendente dalla classe del farmaco spostato [38].

 

Valore prognostico dell’ABPM

Nei pazienti con CKD, l’ABPM risulta superiore in termini di prognosi renale e cardio-vascolare se confrontato con la misurazione clinica della PA. Uno studio prospettico multicentrico italiano condotto su 436 pazienti, seguiti per un follow-up mediano di 4,2 anni, ha evidenziato inoltre che l’incremento dei valori pressori monitorati con l’ABPM si associava ad un aumento del rischio di eventi cardio-renali, indipendentemente dagli altri fattori noti, mentre la misurazione tradizionale non risultava predittiva [36]. La più accurata stima del carico pressorio in CKD, attraverso l’identificazione della WCH e della MH, permette una definizione più precisa del profilo di rischio del paziente con CKD. In particolare, pazienti con ABPM a target presentano una condizione di basso rischio cardio-renale, indipendentemente dai valori della PA clinica (WCH); al contrario, i pazienti con PA clinica nella norma e ABPM non a target (MH) presentano un maggiore rischio, non dissimile da quello dei pazienti con entrambe le misurazioni al di sopra del target [31]

Nella popolazione con CKD, il non-dipping status risultava associato ad un rischio 2 volte maggiore di eventi cardiovascolari, accompagnato da un incremento del rischio di malattia renale terminale (ESRD) rispettivamente del 62% e 72% rispetto ai pazienti con normale profilo pressorio. Indipendentemente dal profilo circadiano, avere un’ipertensione notturna (ABP sistolica notturna >120 mmHg) è associato ad un maggior rischio di eventi cardio-renali, dimostrando che la PA notturna ha un maggior potere predittivo rispetto alla componente diurna [36].

In pazienti con PA scarsamente controllata, la rivalutazione dell’ABPM può essere utile, permettendo di riclassificare i pazienti a rischio dal 15% al 22%. In particolare, i pazienti con CKD che non raggiungono il target al secondo ABPM presentavano una peggiore prognosi renale, mentre pazienti inizialmente non in target, ma che lo raggiungono al secondo ABPM, non erano esposti a maggior rischio di eventi renali [39].

Tali informazioni risultano ancora più utili nella popolazione con CKD ed ipertensione resistente, definita dal mancato target pressorio nonostante l’impiego di più di tre farmaci (comprensivo di un diuretico) [10]. La CKD è infatti la causa più frequente di ipertensione resistente e la prevalenza aumenta con il ridursi del GFR [40]. Uno studio longitudinale ha dimostrato che l’ABPM permette di identificare l’ipertensione resistente vera, che presenta una prognosi renale e cardiovascolare peggiore rispetto alla pseudo-resistenza ed ai pazienti ipertesi non resistenti [41]. Identificare una vera ipertensione resistente è cruciale per stabilire il più corretto trattamento; oltre all’intensificazione dei trattamenti farmacologici che prevedono il corretto utilizzo dei farmaci inibenti il sistema renina angiotensina [42, 43], un’altra possibile opzione è rappresentata dalla denervazione renale; tuttavia, una recente review ha evidenziato che esiste una scarsa evidenza dell’effetto di tale intervento sui valori di pressione arteriosa misurata mediante ABPM [44].

L’ABPM può fornire, infine, informazioni supplementari circa le fluttuazioni intra-individuali dei valori pressori nelle 24 ore, nota come variabilità della pressione arteriosa (Blood Pressure Variability, BPV) a breve termine, calcolata generalmente come deviazione standard dei valori di pressione diurna e notturna, normalizzati per le ore di veglia e di sonno [45]. Sebbene dati del registro spagnolo abbiano dimostrato che la BPV aumenta progressivamente dallo stadio 1 allo stadio 5 della CKD [46], un recente studio ha osservato che nei pazienti con CKD la BPV a breve termine risulta indipendente dall’entità della proteinuria e del GFR, e non predittiva di progressione della malattia renale [47];ciò è contrario a quanto osservato nella stessa coorte impiegando la long term variability, ovvero la variabilità dell’OBP tra una visita e l’altra, che si associava ad un incremento del rischio di eventi avversi CV [48].

 

Conclusioni

Alla luce dei risultati dello SPRINT, le più recenti linee guida internazionali raccomandano di raggiungere una PA clinica inferiore a 130/80 mmHg nella popolazione con CKD; è inoltre raccomandato un più ampio impiego dell’ABPM negli ambulatori di Nefrologia, vista la superiorità rispetto alla misurazione tradizionale nella stratificazione del rischio dei pazienti con CKD (Figura 1). I target pressori di riferimento sono <135/85 mmHg durante le ore di veglia e <120/70 durante il sonno. Inoltre, l’ABPM è l’unico strumento che consente di identificare l’ipertensione notturna (PAS >120 mmHg) e lo stato di non-dipper, predittori di eventi cardio-renali avversi. Infine, permette di identificare profili pressori alterati come WCH e MH e di adeguare conseguentemente la terapia anti-ipertensiva. Considerato che l’ABPM non è sempre disponibile presso tutti i centri, si potrebbe suggerirne l’impiego: nei pazienti in cui si sospetta una ipertensione da camice bianco o una ipertensione mascherata; nei pazienti con ipertensione resistente, per distinguerla dalle forme di pseudoresistenza ed ottimizzare la terapia anche in relazione agli orari di assunzione; nei soggetti a più alto rischio cardiovascolare, per identificare e correggere lo status di non-dipping.

 

 

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