Abstract
Il trapianto renale rappresenta la terapia di elezione per i pazienti affetti da insufficienza renale terminale.
Nonostante la riduzione dell’incidenza di rigetto acuto e di perdita precoce del graft, grazie all’introduzione, nelle ultime decadi, di nuovi agenti immunosoppressori, si è assistito ad un limitato progresso nell’allungamento nella vita media del trapianto.
Le principali cause di fallimento tardivo sono la morte del paziente per complicanze infettive, tumorali o metaboliche e il progressivo deterioramento della funzione renale sia a causa di fattori immunologici che non immunologici.
La terapia immunosoppressiva può essere distinta in due componenti: la terapia di induzione che ha lo scopo di attuare un’immunosoppressione intensa ed immediata. La sua utilità è riconosciuta nei trapianti a rischio immunologico superiore allo standard a discapito di un maggior rischio di insorgenza di citopenie e infezioni virali; la terapia di mantenimento, il cui razionale è prevenire il rigetto dell’organo nel tempo, riducendo al minimo la tossicità farmacologica. E’ costituita generalmente dall’associazione di due o tre farmaci con differente meccanismo d’azione.
Lo schema più comunemente utilizzato prevede un inibitore della calcineurina in associazione ad un antimetabolita e basse dosi di steroide.
La terapia immunosoppressiva è correlata ad un maggior rischio di sviluppo di infezioni e di neoplasie.
Ciascuna classe di farmaci si associa ad un diverso profilo di tossicità. La scelta del protocollo terapeutico dovrebbe tenere in considerazione le caratteristiche cliniche del donatore e del ricevente e potrebbe richiedere eventuali modifiche in occasione di variazione delle condizioni cliniche o di insorgenza di complicanze.
Parole chiave: protocolli immunosppressivi, terapia di induzione, terapia immunosoppressiva, trapianto renale