Abstract
La mancanza di una diagnosi conclusiva della causa di insufficienza renale nei pazienti in trattamento renale sostitutivo ha una frequenza del 16-17% nelle casistiche europee e americane. Questo può avere implicazioni importanti per le morbidità che i pazienti possono sviluppare nel caso di malattie sistemiche con coinvolgimento extrarenale o di malattie renali recidivanti nel paziente trapiantato. La conoscenza della malattia di base può avere importanti ripercussioni prognostiche e terapeutiche. In questo studio abbiamo valutato la quota di pazienti uremici che possano beneficiare di un approccio diagnostico genomico. I pazienti passibili di un futuro approfondimento diagnostico genomico sono stati selezionati sulla base di 2 criteri: (i) l’età di ingresso in dialisi inferiore o uguale a 55 anni, (ii) l’identificazione di una diagnosi non conclusiva. Sulla base dei dati estratti dal registro REGDIAL, sono stati analizzati 534 pazienti in trattamento sostitutivo renale. Abbiamo identificato 300 soggetti con età di ingresso in terapia sostitutiva precedente ai 55 anni (56.2% della popolazione generale). Tra questi, abbiamo identificato 107 pazienti con diagnosi mancante o non conclusiva, pari al 20% della popolazione complessiva. In questi pazienti il 32.8% riferisce una anamnesi familiare positiva per patologia renale. Questo studio conferma come una frazione rilevante dei pazienti in trattamento sostitutivo renale non abbia una diagnosi eziologica e sia passibile di un possibile approfondimento genomico. Con l’aumentare della disponibilità della tecnologia di sequenziamento genomico e col calo dei costi, i nefrologi saranno sempre più inclini ad incorporare test genetici clinici nel loro armamentario diagnostico. Esiste la necessità di approfonditi studi multicentrici per sviluppare linee guida basate sull’evidenza, per fornire indicazioni e indagare l’utilità dei test genetici in nefrologia.
Parole chiave: insufficienza renale cronica, epidemiologia, nefroangiosclerosi