La causa di insufficienza renale è ignota in un ampio numero di pazienti in trattamento sostitutivo renale: un possibile approccio genomico all’approfondimento diagnostico

Abstract

La mancanza di una diagnosi conclusiva della causa di insufficienza renale nei pazienti in trattamento renale sostitutivo ha una frequenza del 16-17% nelle casistiche europee e americane. Questo può avere implicazioni importanti per le morbidità che i pazienti possono sviluppare nel caso di malattie sistemiche con coinvolgimento extrarenale o di malattie renali recidivanti nel paziente trapiantato. La conoscenza della malattia di base può avere importanti ripercussioni prognostiche e terapeutiche. In questo studio abbiamo valutato la quota di pazienti uremici che possano beneficiare di un approccio diagnostico genomico. I pazienti passibili di un futuro approfondimento diagnostico genomico sono stati selezionati sulla base di 2 criteri: (i) l’età di ingresso in dialisi inferiore o uguale a 55 anni, (ii) l’identificazione di una diagnosi non conclusiva. Sulla base dei dati estratti dal registro REGDIAL, sono stati analizzati 534 pazienti in trattamento sostitutivo renale. Abbiamo identificato 300 soggetti con età di ingresso in terapia sostitutiva precedente ai 55 anni (56.2% della popolazione generale). Tra questi, abbiamo identificato 107 pazienti con diagnosi mancante o non conclusiva, pari al 20% della popolazione complessiva. In questi pazienti il 32.8% riferisce una anamnesi familiare positiva per patologia renale. Questo studio conferma come una frazione rilevante dei pazienti in trattamento sostitutivo renale non abbia una diagnosi eziologica e sia passibile di un possibile approfondimento genomico. Con l’aumentare della disponibilità della tecnologia di sequenziamento genomico e col calo dei costi, i nefrologi saranno sempre più inclini ad incorporare test genetici clinici nel loro armamentario diagnostico. Esiste la necessità di approfonditi studi multicentrici per sviluppare linee guida basate sull’evidenza, per fornire indicazioni e indagare l’utilità dei test genetici in nefrologia.

Parole chiave: insufficienza renale cronica, epidemiologia, nefroangiosclerosi

Introduzione

L’uremia terminale in Europa, secondo dati relativi al Report ERA-EDTA 2014, si caratterizza per un’incidenza di 70.953 nuovi pazienti all’anno (133 persone per milione di abitanti –pmp) ed una prevalenza di 490.743 individui (924 pmp) [1]. Le principali cause riportate sono la nefropatia diabetica (19%), le glomerulonefriti (17%) e la nefropatia ipertensiva (nefroangiosclerosi) (16%), ma è sorprendente che la patologia di base sia sconosciuta nel 17% dei casi (Figura 1). Nella realtà americana incidenza e prevalenza sono superiori rispetto al dato europeo (rispettivamente 378 pmp per l’incidenza, e 2128 pmp per la prevalenza). Dal punto di vista eziologico negli Stati Uniti, le principali cause di IRC terminale sono rappresentate dalla nefropatia diabetica (38%) e dalla nefropatia ipertensiva (25%), ma anche nella popolazione americana il 16% dei pazienti non ha una diagnosi conclusiva: un numero elevato e in linea con il dato europeo (Figura 2). Una considerazione particolare deve essere fatta per quella ampia quota di pazienti che ricevono una diagnosi di nefropatia ipertensiva o nefroangiosclerosi (16% nella popolazione europea, 25% nella popolazione americana). La nefroangiosclerosi è definita come l’esito finale della malattia ipertensiva non adeguatamente controllata da terapie antipertensive efficaci [2]. I soli criteri clinici hanno una limitata specificità e sensibilità, in particolare nella diagnosi differenziale con la glomerulosclerosi secondaria che può essere invece determinata dall’ esito di processi glomerulonefritici. Per aumentare l’accuratezza diagnostica, è necessario associare ai criteri clinici la biopsia renale che però è eseguita molto raramente in questa classe di pazienti [3]. Ne deriva quindi che una porzione consistente di pazienti con diagnosi di nefroangiosclerosi sia in realtà orfana della reale causa patogenetica della propria malattia renale. Da questi dati emerge quindi un quadro poco confortante riguardante la ampia quota di soggetti che iniziano il trattamento dialitico senza una diagnosi eziologica. Questo può avere implicazioni importanti per le morbidità che i pazienti possono sviluppare anche dopo il raggiungimento della insufficienza renale terminale, ad esempio nel caso di malattie sistemiche con coinvolgimento extrarenale o di particolari malattie renali che possono recidivare nel paziente trapiantato [4]. Crediamo che una quota di pazienti senza diagnosi eziologica, ed in particolare la quota di pazienti più giovani, possano essere portatori di malattie con una eziologia genetica e che quindi possano beneficiare di un approccio diagnostico genomico. La finalità di questo studio è stata primariamente effettuare un’analisi epidemiologica delle cause di insufficienza renale cronica nella popolazione in terapia renale sostitutiva nella provincia di Modena e identificare i casi con diagnosi mancante o non conclusiva. Attraverso questa indagine si vuole individuare una popolazione per la quale un approccio genomico possa avere una elevata chance di definizione della reale causa patogenetica.

 

Figura 1: Eziologia dei prevalenti in IRC Terminale secondo i dati dell'European Renal Association del 2014 [5]
Figura 1: Eziologia dei prevalenti in IRC Terminale secondo i dati dell’European Renal Association del 2014 [5]

 

Figura 2: Eziologia dei prevalenti in IRC terminale secondo i dati di United States Renal Data System del 2015 [7]
Figura 2: Eziologia dei prevalenti in IRC terminale secondo i dati di United States Renal Data System del 2015 [7]

Materiali e Metodi

Lo studio è stato autorizzato dal Comitato Etico della Area Vasta Emilia Nord (Pratica C.E. N.170/2019).

I dati sono stati raccolti attraverso un foglio di calcolo Excel (Office 365, Microsoft Corporation). I dati sono stati analizzati descrittivamente con le funzioni incorporate nel foglio di calcolo Excel, oppure con il pacchetto statistico Stata 11.2 (Copyright 1985-2009 StataCorp LP).

 

Estrazione dei dati

La popolazione dello studio è stata individuata attraverso il registro regionale dialisi e trapianto (REGDIAL), che raccoglie i dati della popolazione in trattamento renale sostitutivo della provincia di Modena. I dati sono stati estratti con aggiornamento al 31 dicembre 2016 e riguardano tutti i pazienti affetti da IRC terminale in trattamento con tutte le metodiche disponibili (emodialisi, dialisi peritoneale, trapianto renale).

Sono stati raccolti i seguenti dati: sesso; età all’inizio del trattamento renale sostitutivo; età al 31 dicembre 2016; tipologia di terapia renale sostitutiva iniziale e tipologia in atto al 31 dicembre 2016; etnia, eziologia dell’IRC terminale; biopsia renale; familiarità per nefropatia. La familiarità per malattia renale è stata estratta attraverso la sottomissione ai pazienti del questionario riportato nei materiali e metodi (Allegato 1 materiali supplementari). Come unico criterio di esclusione è stata applicata l’esclusione dei pazienti per i quali non erano disponibili dati clinici nei database elettronici (REGDIAL, ARIANNA) o nelle cartelle cliniche cartacee.

Abbiamo revisionato ogni diagnosi che fosse discrepante tra quanto riportato nel registro REGDIAL e quanto riportato nella restante documentazione clinica. Una commissione formata da RM, FT e DS ha collegialmente ridiscusso la diagnosi ed in caso di mancanza di unanimità nei confronti della diagnosi conclusiva questa è stata decisa attraverso votazione a maggioranza.

 

Classificazione dei casi passibili di eventuale studio genomico

I pazienti passibili di un futuro approfondimento diagnostico genomico sono stati selezionati sulla base di 2 criteri:

  • Età di ingresso in dialisi inferiore o uguale a 55 anni. La scelta dell’età inferiore a 55 anni è stata presa in considerazione dell’età media di ingresso in dialisi della più rappresentativa patologia renale genetica renale: il rene policistico autosomico dominante (ADPKD)[5].
  • Pazienti con diagnosi non conclusiva: mancata diagnosi, nefroangiosclerosi non approfondita biopticamente, CAKUT, nefropatia interstiziale idiopatica.

Queste categorie diagnostiche sono state identificate in quanto condizioni con scarsa caratterizzazione patogenetica e/o maggiore probabilità di una significativa componente eredo-familiare.

 

Risultati

Caratteristiche della popolazione

Sulla base dei dati estratti dal registro REGDIAL sono stati identificati 626 pazienti in trattamento sostitutivo renale nel periodo compreso dall’1/1/2016 al 31/12/2016 pari ad una prevalenza nella provincia di Modena di 438.7 pmp. L’età media dei pazienti in trattamento dialitico è 63 ± 15 anni mentre l’età’ media di inizio dialisi è 54 ± 19 anni. Il 63,5% della popolazione è di sesso maschile. La distribuzione dell’età di inizio della terapia di sostituzione renale presenta un andamento grossolanamente bimodale con un primo picco intorno ai 48 anni e un secondo a circa 72 anni (Figura 3). 363 soggetti sono in trattamento emodialitico (58% della popolazione); 67 soggetti sono in trattamento dialitico peritoneale (10,7% della popolazione) e infine 196 soggetti hanno ricevuto un trapianto renale (31,3% della popolazione).

 

Figura 3: Distribuzione dell’età di inizio trattamento renale sostitutivo della popolazione in esame
Figura 3: Distribuzione dell’età di inizio del trattamento sostitutivo renale della popolazione in esame

 

Eziologia IRC terminale

92 soggetti di 626 (14.6%) in trattamento sostitutivo sono stati esclusi dalle successive analisi per mancanza di dati clinici (Figura 4). Per ogni singolo paziente sono stati analizzati i dati clinici estratti dalle base dati descritte nella sezione dei materiali e metodi. La diagnosi eziologica riscontrata nei documenti clinici è stata confrontata con quella riportata nel registro REGDIAL. 101 diagnosi (18.9%) sono risultate discrepanti nel confronto tra la codifica REGDIAL e quanto riportato nelle cartelle cliniche.

Sulla base della riclassificazione le prime tre diagnosi per incidenza sono: 149 soggetti della categoria eziologica delle glomerulonefriti (24.5%), 83 soggetti della categoria nefropatia diabetica (13.6%), 75 soggetti della categoria nefroangiosclerosi (12.3%). In queste ultime due categorie la diagnosi bioptica è stata condotta in un limitato numero di casi, rispettivamente il 22,9% e il 18,7% e quindi l’accuratezza di queste diagnosi deve essere considerata subottimale. Sempre relativamente alla biopsia renale, essa è stata effettuata nella categoria ‘no diagnosi’ in 9 casi su 55 (16,4%) riscontrando appunto una diagnosi istologica non conclusiva. In 55 soggetti (10.3%) non è stata identificata una causa eziologica della insufficienza renale terminale (Tabella1).

Abbiamo confrontato l’età di ingresso in dialisi in queste categorie eziologiche, in particolare dividendo i soggetti in diagnosi conclusive e non conclusive non si apprezza una differenza statisticamente significativa nei due gruppi: 332 soggetti con diagnosi conclusiva ed età media di ingresso in dialisi 52 anni, 202 soggetti con diagnosi non conclusiva ed età media di ingresso in dialisi 54.2 anni.

 

Figura 4: Diagramma che illustra il processo di classificazione dei pazienti affetti da IRC terminale
Figura 4: Diagramma che illustra il processo di classificazione dei pazienti affetti da IRC terminale

 

CATEGORIA N. ELEMENTI PERCENTUALE
Glomerulonefriti 149 27,90%
Nefropatia a Depositi di IgA 43 28,86%
Gn Membrano-proliferativa 22 14,77%
Gn membranosa 13 8,72%
FSGS 10 6,71%
LES 10 6,71%
Vasculite 9 6,04%
Amiloidosi 6 4,03%
Sindrome Emolitico-Uremica 6 4,03%
Nefropatia a depositi di IgM 5 3,36%
Gn Post-Infettiva 5 3,36%
Gn intra ed extra-capillare 4 2,68%
Gn Necrotizzante 3 2,01%
Gn crioglobulinemica 3 2,01%
Altro 10 6,71%
Nefropatia Diabetica 83 15,54%
Diagnosi bioptica 19 22,89%
Diagnosi clino-laboratoristica 64 77,11%
Nefroangiosclerosi 75 14,04%
Diagnosi bioptica 14 18,67%
Diagnosi Clinica-laboratoristica 61 81,33%
Nefropatie ereditarie 73 13,67%
ADPKD 54 73,97%
Sindrome di Alport 6 8,22%
Nefronoftisi 5 6,85%
Altro 8 10,96%
CAKUT 36 6,74%
Reflusso vescico-ureterale 12 33,33%
Monorene congenito 7 19,44%
Ipoplasia renale 6 16,67%
Stenosi del giunto pielo-ureterale 2 5,56%
Stenosi ureterale congenita 2 5,56%
Altro 7 19,44%
Malattie Tubulo-Interstiziali 36 6,74%
Pielonefrite cronica 14 38,89%
Nefropatia interstiziale 13 36,11%
Nefropatia da farmaci 7 19,44%
Nefropatia interstiziale da S. di Sjogren 1 2,78%
Granulomatosi interstiziale 1 2,78%
Altre alterazioni renali 27 5,06%
Litiasi renale 9 33,33%
Tumore renale 5 18,52%
Iatrogena 2 7,41%
Meningocele 2 7,41%
Stenosi arterie renali 2 7,41%
Altro 7 25,93%
No Diagnosi 55 10,30%
Biopsia renale eseguita 9 16,36%
Biopsia renale non eseguita 46 83,64%
N.B.

· Glomerulonefrite, Altro: 4 glomerulonefriti avanzate e inclassificabili (con immunofluorescenza positiva), 2 da microangiopatia trombotica, 2 glomerulonefriti mesangiali, 1 myeloma kidney, 1 connettivite non meglio definita

· Nefropatie ereditarie, Altro: 4 glomerulonefriti familiari, 2 nefropatie interstiziali familiari, 1 sclerosi tuberosa, 1 malattia di Fabry; “CAKUT, Altro”: 1 ipodisplasia renale, 1 malformazione ureterale, 1 monorene funzionale, 1 estrofia vescicale congenita, 1 malformazione valvole uretrali posteriori, 1 malformazione renale, 1 malformazione apparato escretore congenita

· Altre alterazioni renali: 1 tubercolosi renale, 1 monorene chirurgico, 1 ipertrofia prostatica, 1 nefrocalcinosi, 1 idronefrosi, 1 nefropatia da sofferenza ipossica perinatale, 1 nefrectomia bilaterale per sospetta sindrome di birt-hogg-dubè

Tabella 1: Eziologia dell’IRC terminale nel dettaglio. In questa tabella sono riportati tutti i pazienti indipendentemente dall’età di ingresso in dialisi.

 

Popolazione con diagnosi non conclusiva e probabilità di patogenesi di origine genetica

I criteri di inclusione per la definizione di una popolazione a maggiore probabilità di essere portatrice di una malattia eredo-familiare sono stati riportati nella sezione dei materiali e metodi. In breve, i criteri riguardano la necessità di inizio del trattamento sostitutivo prima dei 55 anni e la mancanza di una diagnosi eziologica conclusiva. I soggetti appartenenti alla popolazione in esame con età di inizio della terapia renale sostitutiva inferiore o uguale a 55 anni sono risultati 300 (56.2%). In questo gruppo di pazienti abbiamo identificato 107 (20%) soggetti con una diagnosi clinica non nota o non conclusiva (Fig.4). Questi pazienti appartengono alle seguenti classi: nefroangiosclerosi (24 pazienti), CAKUT (30 pazienti), no diagnosi (33 pazienti) e malattie tubulo-interstiziali idiopatiche (20 pazienti). Nel gruppo dei pazienti affetti da malattia tubulo-interstiziale sono stati esclusi i soggetti che avevano una chiara causa eziologica della loro nefrite interstiziale: nefrotossicità da farmaci (3 soggetti) e da nefropatia interstiziale secondaria a sindrome di Sjogren (1 soggetto) (Materiali supplementari, Allegato 2). Questi 107 soggetti selezionati possono quindi potenzialmente beneficiare di un approccio diagnostico genomico.

Per valutare il possibile ruolo di una componente eredo familiare nella popolazione selezionata abbiamo valutato la anamnesi familiare per il riscontro di familiarità per nefropatie. I soggetti con familiarità per nefropatia sono risultati 34 (corrispondenti al 32,8% del totale). Tre (39,4%) appartengono alla classe “no diagnosi”, 7 (23,3%) alla classe CAKUT, 8 (40%) alla classe malattie tubulo-interstiziali e infine 7 (29,2%) alla classe nefroangiosclerosi. La presenza di anamnesi familiare positiva nei pazienti di etnia africana è di 3 su 14 pazienti complessivi (21,4%; in due pazienti non è stato possibile raccogliere il dato). La presenza di anamnesi familiare positiva nei pazienti di etnia caucasica è di 32 su 86 pazienti complessivi (37,2%; in 5 pazienti non è stato possibile raccogliere il dato) (vedi Tabella 2 e Materiali Supplementari, Allegato 2). La proporzione di storia familiare positiva per malattie renali non risulta statisticamente significativa rispetto alla etnia caucasica/africana (Fisher’s exact test p = 0.368).

 

CATEGORIA Num tot/% Familiarità per nefropatia/% Assenza di Familiarità/% Assenza del dato sulla Familiarità/%
CAKUT 30 28,04% 7 23,33% 23 76,67% 0 0%
Reflusso vescico-ureterale 11 36,67 2 18,18% 9 81,82% 0 0%
Monorene congenito 6 20% 2 33,33% 4 66,67% 0 0%
Ipoplasia renale 4 13,33% 2 50% 2 50% 0 0%
Stenosi ureterale 2 6,67% 0 0% 0 0% 0 0%
Altro 7 23,33% 1 14,29% 6 85,71% 0 0%
Malattie tubulo-interstiziali 20 18,69% 8 40% 10 50% 2 10%
Nefropatia interstiziale 10 50% 5 50% 3 30% 2 20%
Pielonefrite cronica 9 45% 3 33% 6 66,67% 0 0%
Granulomatosi interstiziale 1 5% 0 0% 1 100% 0 0%
Nefroangiosclerosi 24 22,43% 7 29,17% 15 62,50% 2 8,33%
Diagnosi bioptica 9 37,5% 2 22,2% 7 77,78% 0 0%
Diagnosi clinica-laboratoristica 15 62,5% 5 33,3% 8 53,33% 2 13,33%
No Diagnosi 33 30,84% 13 39,39% 17 51,52% 3 9,09%
Biopsia renale eseguita 6 18,18% 2 33,33% 4 66,67% 0 0%
Biopsia renale non eseguita 27 81,82% 11 40,74% 13 48,15% 3 11,11%
TOTALE 107 100% 35 32,71% 65 60,75% 7 6.54%
N.B.
CAKUT, Altro: 1 ipodisplasia renale, 1 malformazione ureterale, 1 monorene funzionale, 1 estrofia vescicale congenita, 1 malformazione valvole uretrali posteriori, 1 malformazione renale, 1 malformazione apparato escretore congenito
Tabella 2: Eziologia dell’IRC terminale nei pazienti con ingresso in dialisi prima dei 55 anni e diagnosi non conclusiva.

 

Discussione

L’insufficienza renale è una causa di alta mortalità e morbidità. Nella popolazione dialitica la sopravvivenza a 5 anni è del 41,8%. Sebbene in misura minore rispetto alla popolazione dialitica anche la sopravvivenza della popolazione trapiantata è ugualmente ridotta (sopravvivenza a 5 anni del 91,7%) nel confronto con la popolazione generale. Il numero di soggetti che raggiungono lo stadio di insufficienza renale terminale senza che sia stata identificata una diagnosi causale varia dal 16 al 17% nelle statistiche europee e americane rispettivamente [6,1] . Questi valori probabilmente sottostimano la reale dimensione del problema a causa del fenomeno della ‘diagnosi di convenienza’ che viene formulata in un certo numero di casi senza un sufficiente supporto diagnostico eziologico. Questo avviene principalmente nel gruppo di pazienti con diagnosi di nefroangiosclerosi ma non solo (sicuramente anche in un cospicuo numero di casi di nefropatia diabetica). I pazienti con diagnosi di nefroangiosclerosi hanno una storia positiva di ipertensione e non sono sottoposti a particolari approfondimenti diagnostici e nello specifico sono sottoposti a biopsia renale solo in un numero molto limitato di casi. Il sospetto che la etichetta di nefroangiosclerosi mistifichi una diversa diagnosi è forte soprattutto nella popolazione che raggiunge l’insufficienza renale terminale in età giovanile. Lo studio epidemiologico presentato in questo lavoro ha voluto puntualizzare l’entità del fenomeno della mancanza di diagnosi o del rischio di una diagnosi di convenienza nella provincia di Modena. In particolare, rispetto al problema della mancata diagnosi, nella prospettiva dell’utilizzo di un approccio genomico per la disambiguazione diagnostica, abbiamo aggiunto come ulteriore criterio lo sviluppo della insufficienza renale terminale in età precoce. Infatti è notorio che la malattia genetica / eredo familiare è più prevalente nella popolazione pediatrica rispetto a quella anziana [7,8]. Abbiamo in questo senso scelto come valore di cutoff una età arbitraria di 55 anni. A parziale supporto di questa scelta possiamo riportare che 55 anni corrisponde all’età mediana di ingresso in dialisi nella nostra popolazione. Inoltre, l’età di 55 anni corrisponde anche all’età media di ingresso in dialisi dei pazienti ADPKD che costituiscono il principale gruppo di pazienti affetti da nefropatia genetica della popolazione nefropatica.

Nella nostra casistica il numero di soggetti in trattamento sostitutivo renale senza una diagnosi corrisponde a 55 soggetti, il 10.3% della popolazione complessiva, un valore significativamente più basso rispetto ai valori espressi dai registri europei e americani. Ugualmente i valori di soggetti con diagnosi di nefroangiosclerosi e diabete (14% e 15.5% rispettivamente nel nostro centro) sono tendenzialmente inferiori alle statistiche europee e significativamente inferiori ai dati americani. Le motivazioni per queste differenze sono certamente imputabili ad un complesso di fattori: i fattori di ordine geografico, ambientale e di genetica delle popolazioni sicuramente ricoprono un ruolo dominante. Non si può escludere però che anche la propensione all’approfondimento bioptico possa avere un ruolo in queste percentuali contribuendo ad erodere quote che sono tipicamente ad appannaggio delle diagnosi di convenienza. In questo senso il dato riguardante le diagnosi ad eziologia glomerulare del nostro centro (27.9%) è significativamente più elevata rispetto alle stime medie europee e americane. Il dato della provincia di Modena si avvicina molto a quello del registro nazionale australiano dove le malattie glomerulari sono la prima causa di IRC terminale [9]: L’Australia è uno dei paesi che tradizionalmente ha una elevata propensione all’approfondimento bioptico [10]. Abbiamo quindi concentrato la nostra attenzione sui soggetti con diagnosi mancanti o dubbie di età inferiore ai 55 anni in quanto, il potenziale arricchimento in questo gruppo di individui di una eziologia genetica, permetterebbe di applicare metodologie diagnostiche innovative di tipo genomico [11]. I pazienti rispondenti a questi criteri nel nostro centro sono 107 pari al 18% della popolazione totale in trattamento sostitutivo renale.  Poiché la presenza di una storia familiare positiva per malattie renali suggerisce una natura eredo familiare della patologia di base[1214], abbiamo valutato la loro storia familiare attraverso l’utilizzo di uno specifico questionario (Allegato 1 materiali supplementari). I dati hanno mostrato una elevata prevalenza di storia familiare positiva per malattia renale (32.8%) in questa popolazione selezionata. ll confronto tra l’etnia africana e quella caucasica, relativamente alla positività di storia familiare, inaspettatamente riporta una più elevata frequenza nella etnia caucasica (37,2% verso 21.4%). Il nostro dato potrebbe, però, essere stato falsato sia dalla disparità numerica dei due campioni, sia per una più difficoltosa e parziale raccolta anamnestica nel gruppo di etnia africana, dovuta a barriere linguistiche e distacco geografico dalle famiglie di origine.

Gli ultimi due decenni hanno visto una esponenziale crescita delle potenzialità diagnostiche, legate all’analisi delle varianti genomiche, attraverso le tecnologie di sequenziamento super parallelo. Le tecniche di diagnostica riconosciute con i termini di Whole Exome Sequencing (WES) e Whole Genome Sequencing (WGS) permettono la rapida ed economica genotipizzazione dei pazienti [15,16] con costi che sono in continua progressiva decrescita. La recente esperienza ha dimostrato che la ricerca genomica sia un nuovo e potente strumento per l’identificazione di cause di malattia renale che sfuggono agli approcci diagnostici tradizionali. L’analisi genetica ha un’utilità diagnostica eccellente nella nefrologia pediatrica, come illustrato da studi di sequenziamento di pazienti con anomalie renali e urinarie congenite e sindrome nefrosica resistente agli steroidi. Una recente esperienza ha evidenziato una capacità diagnostica significativa attraverso l’approccio genomico anche nella popolazione adulta [17]. Questo approccio può potenzialmente portare alla luce la causa eziologica di una porzione considerevole di soggetti al momento privi di diagnosi. Le motivazioni cliniche per arrivare ad una conclusione diagnostica nei pazienti in trattamento sostitutivo renale sono molteplici. I pazienti sentono la necessità di una conclusione diagnostica che spieghi la causa della loro insufficienza renale terminale. Oltre al bisogno informativo del paziente, la diagnosi in questi pazienti ha significati clinici più stringenti. Alcune patologie genetiche, infatti, determinano alterazioni sistemiche causative di complicanze extrarenali la cui conoscenza è essenziale e determinante nella gestione clinica del paziente affetto.  Un esempio classico in tal senso è la patologia di Fabry che determinando, tra le altre, complicanze cardiache, cerebrali e intestinali richiede di essere tempestivamente diagnosticata e trattata indipendentemente dall’esito dell’insufficienza renale. La diagnosi genetica può portare ad una terapia mirata ed a migliori risultati in termini di sopravvivenza nella popolazione trapiantata. Ad esempio, i risultati di un test genetico in una donna di 67 anni, con insufficienza renale terminale senza diagnosi eziologica e sottoposta a trapianto renale, hanno permesso di giungere alla diagnosi di deficit di adenina fosforibosiltrasferasi, una causa genetica di litiasi renale. L’introduzione in terapia di allopurinolo ha prevenuto la recidiva di nefropatia e la potenziale perdita del rene trapiantato [4]. Infine, la diagnosi di una malattia genetica può avere importanti implicazioni relative al counselling familiare. Il corretto counselling può permettere di diagnosticare precocemente la condizione nei parenti, modificandone positivamente il decorso clinico, o permette di programmare una diagnosi preimpianto nella pianificazione di una gravidanza.

Questo studio conferma come una frazione rilevante dei pazienti in trattamento sostitutivo renale non abbia una diagnosi eziologica. Le tecniche di indagine genomica promettono di essere un prezioso strumento diagnostico in gruppi selezionati di questi pazienti. Con l’aumentare della disponibilità della tecnologia di sequenziamento genomico e dei costi in calo, i nefrologi saranno sempre più inclini ad incorporare test genetici clinici nel loro armamentario diagnostico. Esiste il rischio che queste nuove tecnologie vengano adottate prematuramente, prima che sia stata generata la prova sistematica della loro utilità. Vi è la necessità di approfonditi studi multicentrici per sviluppare linee guida basate sull’evidenza per indicazioni e utilità dei test genetici in nefrologia.

 

Materiali supplementari

 

Allegato 1: Questionario per la valutazione della familiarità per nefropatia in pazienti in terapia renale sostitutiva
Allegato 1: Questionario per la valutazione della familiarità per nefropatia in pazienti in terapia renale sostitutiva

 

Allegato 2: Diagramma riassuntivo delle modalità di selezione della popolazione con diagnosi di IRC terminale non conclusiva e probabilità di patogenesi di origine genetica.
Allegato 2: Diagramma riassuntivo delle modalità di selezione della popolazione con diagnosi di IRC terminale non conclusiva e probabilità di patogenesi di origine genetica.

 

Bibliografia

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  8. Kiryluk K, Li Y, Scolari F, Sanna-Cherchi S, Choi M, Verbitsky M, et al. Discovery of new risk loci for IgA nephropathy implicates genes involved in immunity against intestinal pathogens. Nature genetics 2014; 46(11):1187-96. https://doi.org/10.1038/ng.3118
  9. Jegatheesan D, Nath K, Reyaldeen R, Sivasuthan G, John GT, Francis L, Rajmokan M, Ranganathan D. Epidemiology of biopsy-proven glomerulonephritis in Queensland adults. Nephrology (Carlton, Vic) 2016; 21(1):28-34. https://doi.org/10.1111/nep.12559
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  14. Freedman BI, Soucie JM, McClellan WM. Family history of end-stage renal disease among incident dialysis patients. JASN 1997; 8(12):1942-45.
  15. Sanna-Cherchi S, Kiryluk K, Burgess KE, Bodria M, Sampson MG, Hadley D, et al. Copy-number disorders are a common cause of congenital kidney malformations. American journal of human genetics 2012; 91(6):987-97. https://doi.org/10.1016/j.ajhg.2012.10.007
  16. Belkadi A, Bolze A, Itan Y, Cobat A, Vincent QB, Antipenko A, Shang L, Boisson B, Casanova JL, Abel L. Whole-genome sequencing is more powerful than whole-exome sequencing for detecting exome variants. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 2015; 112(17):5473-78. https://doi.org/10.1073/pnas.1418631112
  17. Aissani B. Confounding by linkage disequilibrium. Journal of human genetics 2014; 59(2):110-15. https://doi.org/10.1038/jhg.2013.130

Iperossaluria primitiva: caso clinico e prospettive terapeutiche

Abstract

L’iperossaluria primitiva (PH) è una malattia genetica rara a trasmissione autosomica recessiva, caratterizzata da una elevata produzione endogena, e conseguente eccessiva escrezione urinaria di ossalato (Ox). Essa causa accumulo di cristalli di ossalato di calcio in vari organi e tessuti tra cui ossa, cuore, arterie, cute e, soprattutto, nel rene dove si verificano condizioni di nefrolitiasi ossalo-calcica, nefrocalcinosi ed insufficienza renale cronica (IRC) progressiva. Oltre ad alcune forme secondarie a malattie enteriche, da farmaci o dietetiche, si conoscono tre forme di PH (PH1, PH2 e PH3), causate da differenti difetti enzimatici.

Oggi la diagnosi precoce, con l’ausilio di indagini biochimiche e genetiche, consente di prevenire le complicanze, instaurando una strategia terapeutica che comprende il trapianto di fegato e di fegato-rene, con miglioramento della prognosi di questi pazienti.

In questo lavoro descriviamo il caso clinico di una paziente affetta da PH1 in trattamento emodialitico extracorporeo e riportiamo gli ultimi risultati della ricerca che potrebbero cambiare la vita dei pazienti affetti da PH.

 

Parole chiave: iperossaluria primitiva, PH, nefrocalcinosi, insufficienza renale cronica

Caso clinico

In questo lavoro descriviamo il caso clinico di una donna di 61 anni di razza caucasica che, 12 anni fa, veniva in consulenza direttamente dal Pronto Soccorso del nostro ospedale con un quadro di insufficienza renale cronica (IRC) terminale. L’anamnesi familiare era positiva per ossalosi renale: un fratello della paziente era infatti deceduto all’età di 33 anni per nefropatia da ossalato di calcio (come da referto della composizione chimica del calcolo), trattata con terapia emodialitica intervallata da due trapianti di rene sia da donatore vivente (la madre), che da donatore cadavere. 

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L’ecografia nell’uropatia ostruttiva nel rene nativo

Abstract

Il termine “uropatia ostruttiva” indica il complesso delle modificazioni strutturali e funzionali conseguenti all’interruzione del normale deflusso urinario e può manifestarsi ad ogni livello delle vie urinarie. In base alle modalità di insorgenza, durata ed entità, le ostruzioni delle vie urinarie si possono distinguere in acute o croniche, mono- o bilaterali, parziali o complete. L’ostruzione può essere localizzata al singolo o a pochi calici, oppure essere estesa all’intero sistema pielo-caliceale e/o all’uretere omolaterale. 

Il termine “idronefrosi” indica la dilatazione della pelvi riscontrata con le tecniche di imaging. Fra le tecniche di imaging, l’ecografia rappresenta il “gold standard” nella valutazione delle dilatazioni delle vie urinarie: essa permette di distinguere tre gradi di dilatazione, in base all’entità della dilatazione stessa e allo spessore del parenchima renale. Il nefrologo si confronta giornalmente con pazienti che manifestano insufficienza renale di nuovo riscontro e necessitano quindi di una rapida diagnosi differenziale fra insufficienza cronica ed acuta e, in quest’ultimo caso, di discernere tra la competenza nefrologica e quella urologica. Questo breve lavoro vuole fornire all’ecografista non esperto una serie di semplici ed utili informazioni per gestire al meglio, con l’ausilio dell’ecografo, una delle più comuni urgenze che il nefrologo deve affrontare.

Parole chiave: insufficienza renale acuta, insufficienza renale cronica, ostruzione delle vie urinarie, ecografia.

Introduzione

L’attività clinica quotidiana prevalente del nefrologo è basata sulla diagnosi e terapia della malattia renale ed il primo quesito che si pone è quello di capire se il paziente è affetto da una malattia renale cronica o acuta. In quest’ultimo caso è di fondamentale importanza distinguere le forme funzionali (pre-renali) ed organiche (renali) dalle forme post-renali, in quanto queste ultime sono nella maggior parte dei casi potenzialmente reversibili e di competenza sostanzialmente urologica.

Il termine “uropatia ostruttiva” indica il complesso delle modificazioni strutturali e funzionali conseguenti all’ostacolo del normale deflusso urinario. Dal punto di vista semantico, i termini uropatia ostruttiva e “idronefrosi” (o dilatazione della pelvi renale) vengono frequentemente utilizzati come sinonimi pur sottintendendo definizioni diverse. Il termine idronefrosi indica infatti la dilatazione della pelvi renale riscontrato con le tecniche di imaging e può essere presente anche in assenza di ostruzione al deflusso di urina. I due termini, pertanto, non possono considerarsi sinonimi (si veda Tab. 1  per alcune utili definizioni). 

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Impatto dell’iperkaliemia e della mancata aderenza a SRAAi nei pazienti con scompenso cardiaco o con insufficienza renale cronica

Abstract

La presenza di iperkaliemia (IK) in pazienti con insufficienza renale e/o insufficienza cardiaca costituisce un fattore di rischio aggiuntivo di morte. Con il presente studio abbiamo valutato: i) l’incremento del rischio di eventi cardiovascolari (CV) e mortalità in pazienti con IK e in terapia con inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAAi), considerando due coorti di pazienti, una affetta da insufficienza renale cronica (IRC) e l’altra da scompenso cardiaco (SC). Inoltre, nei pazienti con IRC si è valutato l’aumento del rischio di dialisi; ii) la stima dell’incremento del rischio di eventi CV e mortalità dovuto ad una aderenza non ottimale a SRAAi in pazienti iperkaliemici in entrambe le coorti SC e IRC. Lo studio è di tipo retrospettivo, basato su database amministrativi di 5 Aziende Sanitare Locali. Sono stati inclusi tutti i pazienti di età ≥18 anni con prima dimissione per SC (ICD-9-CM:428) o IRC (ICD-9-CM:585) tra gennaio 2010 e dicembre 2017 (periodo di arruolamento). La data della prima dimissione per SC/IRC durante il periodo di arruolamento è stata definita data indice (DI). Sono stati inclusi nell’analisi i soli pazienti con SC/IRC che nel primo trimestre successivo alla DI presentavano almeno una prescrizione di SRAAi. I livelli di potassio sono stati rilevati nei 3 mesi prima o dopo la DI; i pazienti con livello ≥5.5mmol/l sono stati definiti iperkaliemici. I pazienti con IK in trattamento con SRAAi presentavano un rischio aumentato del 46%(SC) e del 31%(IRC) di evento CV, del 88%(SC) e 72%(IRC) di decesso e del 458%(IRC) di dialisi. Dopo l’insorgenza della IK, la mancata aderenza al trattamento ha portato ad un rischio di eventi CV aumentato del 65%(SC) e del 34%(IRC) nonché ad un rischio di decesso aumentato del 127% (SC) e 122%(IRC).

Parole chiave: iperkaliemia, inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, insufficienza renale cronica, scompenso cardiaco, farmaci per l’iperpotassiemia, studio real-world

Introduzione

L’iperkaliemia (IK) è un grave disordine elettrolitico, potenzialmente fatale, che si configura con un livello sierico di potassio ≥5.0 mmol/l, superiore al limite massimo del range standard (3.5-5.0 mmol/l) [1, 2]. Tuttavia in generale il quadro clinico si rende manifesto per valori ≥5.5 mmol/l.  

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Gestione della fibrillazione atriale nel paziente con insufficienza renale cronica avanzata e terminale: dalla terapia anticoagulante orale all’occlusione dell’auricola sinistra

Abstract

La fibrillazione atriale (AF) non valvolare è l’aritmia più frequente nella popolazione generale e la sua prevalenza aumenta all’aumentare dell’età. La prevalenza e l’incidenza di AF sono elevate in pazienti con insufficienza renale cronica (CKD).La più importante complicanza associata alla AF, sia nella popolazione generale che in quella con CKD, è lo stroke tromboembolico. Per questo motivo nei pazienti con AF le Linee Guida pongono l’indicazione alla terapia anticoagulante orale (OAT) con antagonisti della vitamina K (VKAs) o anticoagulanti oralidiretti (DOACs) per la prevenzione del rischio tromboembolico. I pazienti con severa CKD e, in particolare , con insufficienza renale cronica terminale (ESRD) sottoposti a terapia renale sostitutiva, hanno spesso un elevato rischio sia tromboembolico che emorragico e presentano quindi sia un’indicazione che una controindicazione alla OAT. Inoltre i pazienti con CKD avanzata o terminale sono stati esclusi dai trials che hanno evidenziato l’efficacia dei diversi farmaci antitrombotici nei pazienti con AF, per cui mancano evidenze dell’efficacia dell’OAT in questa popolazione. In questa review vengono discusse le problematiche relative alla OAT nel paziente con CKD severa o terminale e il possibile impiego della chiusura percutanea dell’auricola sinistra (LAAO), recentemente proposta come alternativa nei pazienti con contoindicazione assoluta all’OAT, in questa popolazione.

Parole chiave

Fibrillazione atriale; terapia anticoagulante orale; tromboembolia; emorragia; insufficienza renale cronica; insufficienza renale terminale; chiusura percutanea dell’auricola sinistra.

Lista delle abbreviazioni

AF Atrial Fibrillation

C-G Cockroft-Gault

CKD Chronic Kidney Disease 

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La terapia dietetica nutrizionale nella gestione del paziente con Malattia Renale Cronica in fase avanzata per ritardare l’inizio e ridurre la frequenza della dialisi, e per il programma di trapianto pre-emptive

Abstract

La nefrologia italiana ha una lunga tradizione ed esperienza nell’ambito della terapia dietetico-nutrizionale (TDN). Questa rappresenta una componente importante della gestione conservativa del paziente affetto da malattia renale cronica, che precede e si integra con le terapie farmacologiche. Gli obiettivi della TDN comprendono il mantenimento di uno stato nutrizionale ottimale, la prevenzione e/o correzione di segni, sintomi e complicanze dell’insufficienza renale cronica e l’allontanamento dell’inizio della dialisi.

La TDN comprende la modulazione dell’apporto proteico, l’adeguatezza dell’apporto calorico, il controllo dell’apporto di sodio e di potassio e la riduzione dell’apporto di fosforo. Per tutte le terapie dietetico-nutrizionali, ed in particolare quelle mirate al paziente con insufficienza renale cronica, l’aderenza del paziente allo schema dietetico-nutrizionale è un elemento fondamentale per il successo e la sicurezza della TDN. Questa può essere favorito da un approccio interdisciplinare e multi-professionale di informazione, educazione, prescrizione dietetica e follow-up. Questo documento di consenso, che definisce 20 punti essenziali dell’approccio nutrizionale al paziente con insufficienza renale cronica avanzata, è stato preparato, discusso e condiviso dai nefrologi italiani insieme con i rappresentati dei dietisti (ANDID) e dei pazienti (ANED).

Parole chiave: Insufficienza renale cronica, Dieta, terapia nutrizionale, trapianto di rene, dialisi.

Abbreviazioni

BMI              indice di massa corporea (Body Mass Index)
CDDP          programma combinato dietetico dialitico
DASH          dietary approaches to stop hypertension
DP               dialisi peritoneale
DPi              dialisi peritoneale incrementale
EAA             aminoacidi essenziali
EPO             eritropoietina
ESA             agenti stimolanti l’eritropoiesi
FRR             funzione renale residua
GFR             velocità di filtrazione glomerulare
IBW             ideal body weight
IDDP           programma integrato dietetico dialitico
KAA             chetoacidi
LEA              livelli essenziali di assistenza
MIS              malnutrition inflammation score
MRC            malattia renale cronica
NNT            numbers needed to treat
PDTA          percorsi di diagnosi, terapia e assistenza
PEW            deplezione proteico-energetica
PTH             paratormone
pmp            pazienti per milione di popolazione
QALY           quality-adjusted life-year
RAPA           rapid assessment of physical activity
SCFA           short-chain fatty acids
SGA             subjective global assessment
SRAA           sistema renina angiotensina aldosterone
sVLPD         supplemented very low protein diet
TDN             terapia dietetico nutrizionale
THD             emodialisi temporanea
VLPD            very low-protein diet

 

Introduzione

La terapia dietetico-nutrizionale (TDN) è una componente importante della gestione conservativa del paziente affetto da malattia renale cronica (MCR) che deve anticipare ed integrarsi con le terapie farmacologiche. Gli obiettivi della TDN comprendono il mantenimento di uno stato nutrizionale ottimale, la prevenzione e/o correzione di segni, sintomi e complicanze dell’insufficienza renale cronica e l’allontanamento nel tempo dell’inizio della dialisi o anche integrandosi con essa permettendo una riduzione della dose dialitica settimanale. I programmi di terapia conservativa e di dialisi incrementale, possono migliorare la qualità della vita e ridurre i costi di assistenza sanitaria. Recentemente è stato anche riportato che corretti stili di vita, che comprendono la DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension) o la nostra “dieta mediterranea”, sono in grado di ridurre l’incidenza di malattia renale cronica ed il rischio cardio-vascolare.

I nefrologi italiani hanno una lunga tradizione ed esperienza della TDN, che ha il suo cardine nella riduzione dell’apporto proteico ma non si limita a questo. Infatti, il concetto di TDN comprende anche un adeguato apporto calorico, il controllo dell’apporto di sodio e di potassio e la riduzione dell’apporto di fosforo. Oltre agli aspetti quantitativi, il supporto dietetico prevede anche la modifica della qualità degli alimenti, in particolare favorendo cibi di origine vegetale che inducono effetti favorevoli sul metabolismo del fosforo e sull’equilibrio acido-base con miglior controllo della pressione arteriosa e dell’emodinamica renale.

Per tutte le terapie nutrizionali, ed in particolare quelle mirate al paziente con insufficienza renale cronica, l’aderenza del paziente allo schema dietetico è un elemento fondamentale per il successo e la sicurezza della TDN. L’implementazione di un approccio interdisciplinare e multi-professionale di informazione, educazione, prescrizione dietetica e follow-up rappresenta un elemento chiave per una maggiore diffusione e successo della TDN in ambito nefrologico.

Questo consensus è un esempio di come sia difficile dimostrare quanto è clinicamente ovvio (l’impiego di tutti i mezzi possibili per ritardare la necessità di dialisi in pazienti che hanno verosimilmente un vantaggio aggiunto, in quanto idonei o in lista d’attesa per un trapianto) e di come vi sia una grande necessità di studi ulteriori per affinare le nostre conoscenze.

La Società Italiana di Nefrologia, attraverso il Gruppo di Studio Trattamento Conservativo della Malattia Renale Cronica, ha inteso definire alcuni punti essenziali riguardanti l’approccio nutrizionale al paziente con insufficienza renale cronica avanzata. È stato preparato un documento di consenso composto da 20 punti, discusso e condiviso anche dai dietisti e pazienti, tramite l’Associazione Nazionale Dietisti (ANDID) e l’Associazione nazionale Pazienti Emodializzati Dialisi e Trapianto (ANED) (Tabella 1). Questo è il primo documento che ha la condivisione della società scientifica nefrologica, dei dietisti e dei pazienti, su alcuni punti essenziali riguardanti l’approccio nutrizionale alla fase avanzata dell’insufficienza renale cronica.

  1. Nel paziente con MRC 4-5, una dieta non controllata nell’apporto di calorie, proteine, sale e fosforo anticipa e aggrava le alterazioni clinico metaboliche proprie dell’insufficienza renale cronica avanzata

Con il progredire della MRC, specialmente negli stadi più avanzati, svariate funzioni del rene tendono progressivamente a divenire sempre più deficitarie ed inefficienti. Infatti, si osserva una progressiva incapacità di eliminare carichi elevati di sodio, acqua, potassio, fosforo e ioni idrogeno (1) con tendenza alla loro ritenzione. Un apporto libero e non controllato di nutrienti e di proteine favorisce la comparsa delle alterazioni metaboliche e cliniche proprie dello stato uremico. In particolare, l’eccesso di sodio e acqua è responsabile della comparsa di ipertensione arteriosa, edemi e scompenso cardiaco, oltre ad incrementare lo stress ossidativo (2). Un bilancio positivo del fosforo causa iperparatiroidismo secondario e calcificazioni arteriose e delle valvole cardiache, con incremento della mortalità cardiovascolare (3). La ridotta capacità di eliminare un carico di acidi fissi, derivati dal catabolismo delle proteine, determina un accumulo di acidi con conseguente acidosi metabolica (4). L’acidosi metabolica è un forte stimolo al catabolismo proteico e muscolare, alla demineralizzazione ossea, all’insulino-resistenza, all’iperpotassiemia, ecc (5). Viene anche meno la funzione di eliminazione delle scorie azotate provenienti dal catabolismo delle proteine con conseguente loro ritenzione insieme a quello di “tossine uremiche”, tra cui urea, composti indolici, cresoli e guanidine (6). L’accumulo di queste sostanze contribuisce alla comparsa di anoressia, nausea e vomito, con conseguente riduzione dell’apporto di calorie, proteine e altri nutrienti (7). L’insieme di questi eventi determina la riduzione delle riserve proteiche ed energetiche dell’organismo, configurando il quadro di protein-energy wasting (PEW) e della cachessia, a loro volta causa di aumentata ospedalizzazione e mortalità (8). Contribuiscono alla deplezione proteico-energetica, la progressiva riduzione dell’attività fisica e uno stato microinfiammatorio, che sono più frequenti nella MRC in fase avanzata (9, 10)

 

  1. Nel paziente con MRC 4-5, una dieta non controllata nell’apporto di calorie, proteine, sale e fosforo può ridurre l’efficacia della terapia farmacologica o richiederne l’aumento di posologia

Un eccessivo apporto calorico può contribuire all’obesità e alla dislipidemia e aggrava la resistenza all’insulina; limita l’efficacia delle terapie antidiabetiche ed ipolipidemizzanti e ne richiede l’aumento della posologia.

Un elevato apporto di sale riduce l’efficacia delle terapie anti-ipertensive e anti-proteinuriche in particolare degli inibitori del sistema renina angiotensina aldosterone (SRAA) con aumento del rischio di progressione della MRC e del consumo di farmaci, in particolare dei diuretici. (11-14).

Un elevato carico dietetico di fosforo riduce l’efficacia dei chelanti intestinali del fosfato e/o ne richiede un aumento di posologia. Contribuisce ad un cattivo controllo dell’iperparatiroidismo secondario riducendo la sicurezza terapeutica dell’uso dei preparati di vitamina D attiva. Un peggior controllo della fosforemia e del paratormone (PTH) si associa ad una ridotta risposta terapeutica ad agenti stimolanti l’eritropoiesi (ESA) e agli ACE-inibitori (15-17).

Un elevato apporto di acidi fissi, associato al consumo di proteine animali, rende arduo prevenire l’acidosi metabolica e obbliga all’uso di maggiori quantità di sodio bicarbonato per la sua correzione (18, 19).

 

  1. Il mancato compenso metabolico con comparsa di segni e sintomi uremici rappresenta un’indicazione all’inizio del trattamento dialitico, a parità e indipendentemente dal livello di funzione renale residua

La dialisi viene intrapresa anche a valori relativamente elevati di GFR in presenza di sintomatologia uremica o per la convinzione che la dialisi dia benefici clinici, migliore qualità di vita e minore morbilità e mortalità (20).

La relazione tra il livello di GFR a inizio dialisi e gli effetti clinici, tuttavia, è controversa. Il trial randomizzato IDEAL ha valutato la sopravvivenza associata a inizio precoce (10-14 ml/min) o tardivo (5-7 ml/min) e non ha mostrato alcun vantaggio o svantaggio associato al livello di GFR di inizio dialisi. Iniziare la dialisi ad un valore di GFR più basso non comporta dunque un rischio maggiore per il paziente (21). La dialisi ha un impatto drammatico sullo stato funzionale del paziente, specialmente se anziano, e dopo un anno solo un paziente su otto conserva la sua capacità funzionale (22). La dialisi, pur migliorando molti sintomi uremici non è in grado di garantire una qualità di vita accettabile in molti pazienti.

L’ottimizzazione del trattamento conservativo della MRC è un’alternativa razionale alla dialisi precoce e la dialisi dovrebbe essere iniziata solo se i sintomi uremici non sono più controllabili, indipendentemente dal grado di funzione renale (23). Infatti, le linee guida indicano che in un range ampio di GFR (6-12 ml/min) sono le caratteristiche del quadro clinico (segni e sintomi uremici ed eventuali comorbidità) che impongono l’inizio della terapia sostitutiva. Il quadro clinico dell’uremia non trattata (anoressia, iperazotemia, iperfosforemia, acidosi metabolica, ritenzione idrosalina, malnutrizione, ecc.) può essere controllato con la TDN (24). Quindi, la TDN è in grado di posticipare l’inizio della dialisi anche in presenza di un GFR molto ridotto, grazie al miglior controllo di segni e sintomi uremici. Quando ben condotta e con apporto calorico adeguato, non ha effetti negativi sullo stato di nutrizione e sulla sopravvivenza, sia durante la fase di MRC sia dopo l’inizio della dialisi (25, 26). Il raggiungimento di un buon compenso metabolico grazie al trattamento nutrizionale permette di posticipare l’inizio del trattamento sostitutivo renale ad una fase più avanzata della malattia, senza rischi per il paziente (27, 28).

 

  1. L’insufficienza renale cronica non trattata conduce alla iponutrizione per la comparsa di inappetenza, nausea e anoressia.

La storia naturale dell’insufficienza renale cronica porta il paziente a ridurre l’apporto dietetico di calorie e proteine con la progressiva riduzione della funzione renale residua (29, 30). Le alterazioni proprie dell’insufficienza renale compromettono l’appetito e lo stato nutrizionale conducendo alla cachessia e alla malnutrizione (31).

Perdita di appetito, anoressia, nausea o vomito possono essere causati dalla tossicità uremica e dallo stato di acidosi metabolica scompensata che sono indicatori per l’inizio del trattamento sostitutivo dialitico.

L’anoressia associata alla MRC era stata attribuita, in passato, alla ritenzione di “medie molecole” (32, 33). Più recentemente, modelli sperimentali di uremia cronica suggeriscono che alla base dell’anoressia ci possano essere alterazioni a carico dei complessi percorsi neuroendocrini che operano principalmente a livello ipotalamico. Infatti, sostanze che si accumulano in corso di MRC avanzata quali ormoni (l’insulina, la leptina, il PYY3-36 prodotto dal colon, grielina) e tossine uremiche (cresoli, indoli, fenoli) potrebbero essere responsabili dell’anoressia attraverso meccanismi neuroendocrini (34) che vedono coinvolto il recettore 4 della melacortina (MC4-R). Un’aumentata stimolazione di questo recettore, sopprimendo l’attività della AMPK (AMP-activated protein kinase), determina una riduzione dell’assunzione di cibo.

Altre condizioni che causano anoressia sono il ritardato svuotamento gastrico (come nella gastroparesi diabetica), le alterazioni del gusto, l’alitosi uremica, la gastrite uremica e l’elevato numero di compresse che i pazienti assumono. L’infiammazione cronica, le comorbidità e la depressione o situazioni socioeconomiche difficili possono contribuire alla malnutrizione.

L’adeguato intervento dietetico-nutrizionale, con l’indicazione alla corretta quantità e qualità dell’apporto proteico accoppiata ad un adeguato apporto energetico ed eventuale aggiunta di supplementi di bicarbonato di sodio (migliorando l’acidosi metabolica e riducendo l’intossicazione uremica) è un presidio terapeutico in grado di ridurre l’anoressia e la deplezione proteico-energetica nei pazienti con insufficienza renale cronica avanzata (35).

 

  1. In considerazione della fisiopatologia della insufficienza renale cronica avanzata, una terapia dietetica nutrizionale corretta prevede:
  • riduzione dell’apporto di proteine
  • riduzione dell’apporto di fosforo
  • riduzione/controllo dell’apporto di sodio
  • controllo dell’apporto di potassio
  • limitazione del carico di acidi fissi

La TDN della MRC avanzata non può che essere basata sulla limitazione dell’introito di proteine in particolare di origine animale, fosforo e sodio, sul controllo del potassio e sul soddisfacimento della richiesta calorica. Tale approccio ha un razionale preciso nella fisiologia umana: se la funzione renale diminuisce deve ridursi conseguenzialmente il carico per permettere ai nefroni residui un controllo ancora adeguato dell’escrezione delle tossine uremiche e degli acidi fissi (24).

Una corretta gestione della TDN per la MRC in fase avanzata prevede una riduzione dell’apporto proteico al di sotto di 0,8 g/kg/die, che corrisponde all’introito raccomandato per la popolazione generale sana (36).

Non vi è alcun razionale scientifico per una dieta iperproteica anche in caso di proteinuria elevata (24). Anzi, esistono evidenze che la riduzione di proteine alimentari abbia effetti anti-proteinurici (37, 17).

Il controllo dell’introito di fosforo dovrebbe iniziare negli stadi iniziali di MRC. Infatti, fisiologicamente il rene sano ha la capacità di regolare l’escrezione urinaria di fosforo all’introito alimentare, ma la perdita progressiva del filtrato glomerulare, conseguenziale alla progressione della MRC, rende razionale una riduzione dell’apporto alimentare di fosforo al di sotto di 700 mg/die, livello raccomandato nella popolazione generale adulta (36). Sicuramente, educare i pazienti ad evitare di assumere il fosforo “nascosto” degli additivi presenti nei cibi conservati è sicuramente utile (38, 39). La selezione di alimenti a minor contenuto di fosforo o l’utilizzo di alimenti di origine vegetale è utile per limitare il carico netto di fosforo (40). Infine, sono importanti anche i consigli circa i metodi di cottura dei cibi (41); è infatti ben noto che la bollitura causa una demineralizzazione dell’alimento.

Il controllo dell’introito di sodio è indispensabile per una popolazione in cui l’ipertensione è pressoché sempre presente. La limitazione dell’apporto alimentare di sodio può migliorare gli effetti protettivi dell’inibizione del SRAA e potenziare la loro azione anti-proteinurica (42). I pazienti con ipertensione e MRC fin dagli stadi iniziali dovrebbero limitare l’introito alimentare di sale a 5-6 g/die (corrispondenti ad una sodiuria delle 24 ore di 90-100 mmol/die) (43, 44). La dieta iposodica deve essere evitata in tutte le condizioni di nefropatie sodio-disperdenti per evitare la deplezione di sodio, l’ipotensione e il peggioramento della funzione renale. Inoltre, la riduzione combinata dell’introito alimentare di sodio-cloruro e del fosforo può avere un effetto sinergico anti-proteinurico nei pazienti in terapia con ACE-inibitori o sartani (17).

Negli stadi avanzati (MRC 4-5) l’introito di potassio dovrebbe essere modulato sulla base dei livelli ematici e dovrebbe essere ridotto se la kaliemia è > 5.5 mmol/l. In questi casi deve essere valutata la possibilità di sospensione o riduzione della posologia dei farmaci che provocano iperpotassiemia (es. ACE inibitori o sartanici, anti-aldosteronici) – dopo aver corretto l’acidosi metabolica – o l’uso di resine intestinali chelanti il potassio.

Un ridotto carico di acidi (derivanti soprattutto dalle proteine di origine animale) è indispensabile per ridurne l’accumulo e quindi per prevenire o correggere l’acidosi metabolica (19). L’alimentazione ricca di vegetali è la via più naturale per fornire basi senza ricorrere a supplementi (18). La riduzione del carico netto di acidi ottenuta con diete vegetariane ha permesso di ridurre del 50% la prescrizione di bicarbonato (19) e di migliorare la resistenza insulinica nei diabetici (45). Altro dato importante è che la correzione dell’acidosi metabolica (ottenuta con la somministrazione di bicarbonato di sodio o con frutta e verdura) può ridurre la velocità di perdita del filtrato glomerulare nei pazienti con MRC (18). Diviene per questo importante l’integrazione di bicarbonato per os e l’assunzione di frutta e verdura, pur mantenendo attenzione ai livelli di potassiemia. Il rischio di iperpotassiemia è soprattutto associato all’assunzione di anti-aldosteronici e/o ACE inibitori.

 

  1. Per assicurare l’adeguatezza della terapia dietetica nutrizionale dell’insufficienza renale cronica è necessario verificare il rispetto delle seguenti condizioni:
  • soddisfacimento del fabbisogno calorico
  • adeguato apporto di amino acidi essenziali
  • correzione dell’acidosi metabolica
  • buon controllo glicometabolico

L’equilibrio del bilancio azotato è elemento essenziale per mantenere un buono stato di nutrizione e di composizione corporea. Nel paziente nefropatico stabile, al di fuori di condizioni acute come febbre, sepsi, ustioni, interventi chirurgici o terapia steroidea, anche a fronte di un ridotto apporto proteico, il bilancio azotato si mantiene grazie ad un meccanismo di adattamento metabolico, che consiste nella capacità dell’organismo di ridurre il catabolismo proteico (46-49). Questo adattamento alla dieta ipoproteica è ostacolato da tutte quelle condizioni che aumentano la richiesta azotata, come quelle analizzate di seguito.

Un apporto calorico inferiore alla richiesta comporta un utilizzo delle proteine a scopo energetico: questa quota sarà tanto maggiore quanto maggiore è la negatività del bilancio energetico. Un elevato apporto calorico permette un risparmio delle proteine e consente una riduzione del loro apporto in sicurezza (50).

Un inadeguato apporto esogeno di aminoacidi essenziali aumenta il catabolismo azotato endogeno. Benché ridotto in quantità, l’apporto proteico deve garantire il fabbisogno di aminoacidi essenziali sotto forma di cibi naturali o di supplementazione farmacologica.

L’acidosi metabolica accelera il catabolismo proteico e aminoacidico muscolare, in particolare stimolando il sistema ubiquitina-proteasoma, che impedisce l’adattamento alla dieta ipoproteica. La correzione dell’acidosi metabolica è quindi un prerequisito essenziale per la sicurezza nutrizionale di un regime normo/ipoproteico (51-53).

L’insulina è un ormone anabolico che stimola l’ingresso di aminoacidi nella cellula, aumenta la sintesi e riduce il catabolismo proteico: ne consegue che in condizioni di insulino-resistenza o di scarso controllo glicometabolico nel paziente diabetico, aumenta la richiesta proteica per mantenere il bilancio azotato (54). Nei nefropatici diabetici, oltre alle tre condizioni sopracitate, è richiesto un ottimale controllo glicometabolico per poter ottenere gli obiettivi terapeutici di una restrizione proteica mantenendo il bilancio azotato e la sicurezza nutrizionale.

 

  1. I prodotti aproteici sono costituiti da carboidrati e pressoché privi di proteine, fosforo, sodio e potassio. Essi consentono di elevare l’apporto energetico lasciando più spazio ad alimenti ricchi in proteine ad alto valore biologico per garantire l’apporto di amino acidi essenziali. Si otterrà così migliore efficacia terapeutica con minor rischio di inadeguatezza nutrizionale

I prodotti aproteici rappresentano un presidio fondamentale per la corretta elaborazione e attuazione di una dieta ipoproteica nell’insufficienza renale cronica. L’uso di prodotti aproteici permette di mantenere un apporto energetico adeguato escludendo/riducendo cereali e derivati che contengono proteine a basso valore biologico e di mantenere il consumo di alimenti animali contenenti proteine ad alto valore biologico. Rappresentano quindi una fonte di energia “pulita”, senza prodotti di scarto azotati e con un contenuto trascurabile di potassio, sodio e fosforo.

Le principali barriere all’ampio utilizzo di questi prodotti sono la scarsa palatabilità e consistenza (55, 56), il costo elevato e una disomogeneità inter-regionale nelle modalità di erogazione. Recentemente, il Ministero della Salute ha revisionato i livelli essenziali di assistenza (LEA) inserendo le malattie renali croniche nell’elenco delle patologie croniche esentate dalla partecipazione al costo. Quindi si attende una omogeneizzazione sul territorio nazionale delle modalità di erogazione (57).

Le differenze organolettiche tra prodotti aproteici e i corrispondenti prodotti comuni sono legate principalmente all’assenza di glutine, proteina che, nonostante il suo basso valore biologico, presenta straordinarie proprietà tecnologiche che costituiscono la base dei processi di produzione e cottura della pasta e dei processi di panificazione (58, 59). L’assenza di glutine limita la consistenza, l’aroma, la fragranza e l’aspetto di questi prodotti ma negli ultimi anni l’industria alimentare ha sviluppato percorsi di produzione alternativi, ottenendo buoni risultati grazie a nuove tecnologie di produzione e aggiunta di ingredienti sostitutivi, quali le fibre (55, 60, 61).

 

  1. Le compresse di aminoacidi essenziali e chetoanaloghi costituiscono una fonte di integrazione aminoacidica nella MRC 4-5 e sono la necessaria supplementazione nella dieta fortemente ipoproteica

Tra i regimi dietetici proposti ai pazienti con MRC 4-5, hanno un ruolo significativo le terapie nutrizionali a ridotto apporto proteico (0.3-0.6 g di proteine/kg di peso corporeo) integrate dall’utilizzo di miscele contenenti aminoacidi essenziali (EAA) e chetoacidi (KAA) (41, 24). Tali trattamenti nutrizionali sono da impiegare in pazienti motivati, che hanno una buona aderenza alla terapia e che non presentano comorbidità severe (62, 26). Per convenzione, una terapia nutrizionale ipoproteica standard è basata su un apporto di 0.6 g di proteine/kg di peso corporeo; una terapia nutrizionale fortemente ipoproteica è caratterizzata da un apporto di 0.3-0.4 g di proteine/kg di peso corporeo e di natura vegetale (63). Una dieta fortemente ipoproteica e vegetariana è di per se stessa inadeguata per l’apporto di aminoacidi e necessita della supplementazione di KAA e EAA (64, 65). L’utilizzo di queste miscele può rendersi utile anche in tutti i casi di insufficiente apporto spontaneo di amminoacidi essenziali.

Nelle supplemented very low protein diet (sVLPD) si utilizza una compressa di KAA e EAA ogni 5 chilogrammi di peso corporeo ideale. Una compressa di KAA e EAA contiene circa 500 mg di miscela e fornisce un apporto di 45 mg di calcio elemento (66).

Infine, la miscela di KAA e EAA ha anche un effetto farmacologico in quanto contiene una significativa quantità di cheto-leucina, che ha un’azione inibitoria sulla degradazione proteica, mentre la leucina è in grado di promuovere la sintesi proteica a livello muscolare (67).

Quindi le compresse di amino e chetoacidi utilizzate nelle terapie nutrizionali a basso o bassissimo apporto proteico soddisfano il fabbisogno di EAA consentendo di limitare al massimo l’apporto di azoto, fosforo e acidi fissi (68, 69).

 

  1. La terapia dietetica nutrizionale nella MRC 4-5 deve essere gestita con le fasi ed i criteri di una qualsiasi altra terapia farmacologica:
  • indicazioni
  • controindicazioni
  • effetti collaterali
  • modifiche della posologia
  • verifica dei risultati
  • follow-up

Indicazioni sono rappresentate dall’esistenza di alterazioni metaboliche e idroelettrolitiche o acidosi metabolica, deplezione proteico-energetica od obesità, segni e sintomi di intossicazione uremica, volontà o necessità di allontanare nel tempo l’inizio della terapia sostitutiva (dialisi o trapianto) (24, 70, 28).

Controindicazioni sono rappresentate dal rifiuto o dalla incapacità del paziente a seguire norme dietetiche per indigenza socio-economica, disagio psicologico, disturbo di masticazione, assenza di motivazione, peggioramento della qualità di vita, ecc.

Effetti collaterali che limitano la durata e l’aderenza del trattamento nutrizionale sono rappresentati dalla perdita di peso legata a riduzione dell’apporto energetico per la scarsa palatabilità e gusto dei cibi, monotonia della dieta o difficoltà nel praticarla, depressione, problemi relazionali (71, 56). Questi, se non risolti, possono e devono portare alla revisione e/o sospensione della TDN.

Modifiche della posologia: le modifiche dell’apporto proteico, energetico o di altri nutrienti come fosforo, sodio e potassio, devono essere adattate secondo le necessità cliniche nello stesso paziente e non aprioristicamente determinate dal livello di funzione renale residua (FRR) (72, 73).

Verifica dei risultati: utilizzando indicatori come urea, fosforemia, PTH, emoglobina, bicarbonatemia, albuminemia, peso corporeo, pressione arteriosa, necessità di dialisi, qualità di vita, ecc. (74).

Follow-up: programmazione dei controlli clinici, biochimici e nutrizionali, sulla base del livello di funzione renale residua, tipologia di TDN e quadro clinico. Interventi educativi interattivi fra le diverse figure professionali coinvolte nella gestione clinica della MRC al fine di migliorare la conoscenza, l’autogestione e i risultati della terapia conservativa dei pazienti con insufficienza renale cronica e di un coinvolgimento diretto del paziente nei processi decisionali diagnostici e terapeutici (75, 76).

 

  1. La regolare valutazione dello stato nutrizionale e funzionale all’inizio e durante il follow-up del paziente con MRC 4-5 è essenziale per la gestione dietetica

La malattia renale cronica in fase avanzata può essere aggravata da malnutrizione, meglio definita come PEW: questa condizione rappresenta un elemento prognostico negativo.

È importante predire, diagnosticare e caratterizzare la malnutrizione e monitorare la risposta alla terapia nutrizionale. Per la valutazione dello stato nutrizionale devono essere utilizzati più parametri compresi in 4 grandi categorie: 1) massa corporea; 2) massa muscolare; 3) dati biochimici; 4) apporti dietetici. Secondo un recente report (8) la diagnosi di PEW viene fatta quando sono presenti 3 segni/sintomi rilevati nelle diverse categorie e documentati per 3 volte in 2-4 settimane consecutive.

Massa corporea: fanno parte di questa categoria il peso corporeo e le sue variazioni, l’indice di massa corporea. Il peso è il più semplice ed efficace indicatore dell’adeguatezza dell’apporto energetico e deve essere rilevato dal paziente a casa ogni giorno e ad ogni visita. Sia il peso che l’indice di massa corporea (BMI) sono influenzati dallo stato di idratazione e non danno informazioni sulla composizione corporea.

Massa muscolare e massa grassa: possono essere stimati attraverso la misurazione di circonferenze e pliche sottocutanee. I limiti della plicometria sono la formazione del rilevatore e la presenza di edemi importanti o anasarca (77). Per la valutazione della composizione corporea può essere utilizzata la bioimpedenziometria. A fronte di un’agevole e ripetibile applicazione clinica, la stima dei compartimenti corporei deriva da algoritmi matematici che limitano la precisione e l’affidabilità del metodo (78).

Dati biochimici: comprendono il monitoraggio dell’albumina, della prealbumina, del colesterolo e della transferrina. Condizioni come l’infiammazione, il livello di funzione renale o l’assetto marziale ne limitano però sensibilità e specificità.

Apporti dietetici: sono monitorati mediante la ripetizione della storia dietetica, il 24 ore recall e i diari alimentari (79). La determinazione dell’urea, sodio e fosforo sulle urine delle 24 ore è di ausilio per la valutazione oggettiva degli apporti dietetici (80) in condizioni cliniche stabili.

Ulteriori metodi di valutazione dello stato nutrizionale comprendono il Subjective Global Assessment (SGA) (81) ed il Malnutrition Inflammation Score (MIS) (82).

Recentemente sono raccomandate, anche valutazioni funzionali e di performance. I test proposti comprendono l’indice di Bartel, la scala di Karnowsky, l’handgrip, il Sit-To-Stand test, il test del cammino di 6-minuti, il Rapid Assessment of Physical Activity (RAPA), contapassi, etc. (83).

La regolare valutazione dello stato nutrizionale e funzionale del paziente permette di intervenire tempestivamente e concordare modifiche della dieta prescritta. Il dietista renale è il professionista sanitario che deve collaborare con il nefrologo di riferimento del paziente per realizzare gli interventi nutrizionali più efficaci e sicuri nel paziente con MRC (84).

 

  1. Una corretta terapia nutrizionale ipoproteica non determina malnutrizione a breve e lungo termine

Nella MRC la quantità minima di proteine alimentari per mantenere il bilancio dell’azoto è circa 0,55 g/kg di peso corporeo (50). Il metabolismo proteico è strettamente legato all’apporto energetico e la richiesta azotata correlata inversamente con quella calorica. La maggior parte dei pazienti con MRC avanzata riesce a mantenere un bilancio dell’azoto neutro o positivo con 0,55 g/kg/die di proteine solo se ha un introito di energia superiore a 30 kcal/kg/die (50). In corso di dieta ipoproteica, se il paziente non soddisfa il fabbisogno energetico, il bilancio dell’azoto diventa negativo con degradazione proteica e perdita di massa magra corporea.

La maggior parte dei pazienti con MRC a cui viene prescritta una dieta ipoproteica ha un effettivo introito di proteine superiore alla prescrizione, mentre l’introito energetico è molto spesso ridotto al di sotto della soglia di sicurezza (85, 86). Questa incapacità di mantenere un apporto energetico sufficiente è dovuta a molti fattori in gran parte legati alla tossicità uremica (es. anoressia, nausea, astenia, depressione, anomalie del gusto e dell’olfatto).

L’aderenza rigorosa alla prescrizione di energia (35 kcal/kg/die nei soggetti di età < 60 anni e 30 kcal/kg/die nei soggetti > 60 anni) è essenziale per mantenere l’equilibrio del bilancio azotato durante una dieta ipoproteica; la prescrizione di una terapia nutrizionale personalizzata, con counseling e stretto monitoraggio nutrizionale da parte di dietisti esperti, consente di individuare tempestivamente anomalie ed errori alimentari e ridurre così il rischio di malnutrizione (24).

In uno studio randomizzato comprendente più di 400 pazienti con MRC stadio 3-5 seguiti per oltre 30 mesi, solo 3 soggetti hanno sviluppato malnutrizione (87), anche con diete a bassissimo contenuto proteico, sia durante la fase pre-dialitica che dopo l’inizio della dialisi (88, 89). Inoltre, una dieta ipoproteica molto rigorosa protratta fino all’inizio della dialisi non aumenta il rischio di morte nel successivo periodo di dialisi (26). Al contrario, circa la metà dei pazienti con MRC avanzata lasciati a dieta libera riduce spontaneamente l’assunzione di proteine ed energia, e per questo ha un rischio elevato di malnutrizione (86, 30).

Una TDN correttamente prescritta e con un attento monitoraggio clinico previene la malnutrizione ed è sicura nel breve e lungo periodo (90).

 

  1. Una corretta terapia dietetica nutrizionale nella MRC avanzata può permettere di ritardare la necessità di terapia sostitutiva. Per questo il suo impiego è particolarmente indicato nel paziente in lista di trapianto pre-emptive, aumentando le possibilità di successo di questo programma

La deplezione proteico-energetica rappresenta uno dei principali determinanti, insieme alla comorbidità cardiovascolare, dell’elevata mortalità dei pazienti in dialisi. È provato che i risultati del trapianto renale sono inversamente proporzionali alla durata del periodo di dialisi pretrapianto (il cosiddetto “dialysis vintage”) e sono migliori nei soggetti con trapianto pre-emptive (91-94).

Lo stato nutrizionale condiziona anche i risultati del trapianto renale, ma i dati sono meno numerosi ed esaustivi (95-97).

In questo contesto, mancano dati in letteratura che combinino le diete ipoproteiche, il trattamento nutrizionale e il trapianto pre-emptive. L’unica eccezione è rappresentata da un lavoro del 2004, su 9 pazienti diabetici in attesa di trapianto rene e pancreas, in 6 dei quali una dieta vegana supplementata con EAA e KAA ha costituito un periodo ponte verso un trapianto combinato (98).

In assenza di dati oggettivi, sono considerazioni generali quelle che portano a cercare di dilazionare l’inizio della dialisi, mediante un approccio nutrizionale integrato, in attesa di un trapianto renale o combinato.

L’approccio seguito dalla scuola italiana consiste, in generale, in una dieta normocalorica, ridotta in proteine e fosforo, associata ad un controllo dell’acidosi, con un apporto sodico limitato e sotto stretto controllo clinico. L’esperienza italiana dimostra, in linea con le differenti esperienze raccolte nel resto del mondo, le potenzialità di una dieta ipoproteica standard, e in casi selezionati fortemente ipoproteica supplementata con EAA e KAA, in differenti popolazioni di pazienti con malattia renale cronica avanzata. Tale approccio non comporta un’aumentata mortalità dopo l’avvio della dialisi (26, 99).

A favore dell’impiego sistematico di un regime adattato a stabilizzare la funzione renale in attesa di un trapianto pre-emptive pesano specificamente due elementi: il primo è il vantaggio di evitare la dialisi (va sottolineato come i dati favorevoli al trapianto pre-emptive siano stati raccolti in dialisi tri settimanali “standard”); il secondo è rappresentato dalla compliance terapeutica che è superiore in pazienti motivati, con una prospettiva “in positivo”. In tal senso, ci si può attendere che una dieta sia seguita con particolare attenzione, in fase pre-trapianto, in linea con esperienze differenti, quali l’attesa della maturazione di un accesso vascolare o una gravidanza (100, 62).

Può essere quindi opportuno offrire una TDN ai pazienti che possono beneficiare di un trapianto in fase predialitica. La carenza di dati rende comunque necessario investire in studi per meglio definire l’efficacia dell’approccio nutrizionale nel trapianto pre emptive.

 

  1. Una corretta terapia dietetica nutrizionale può permettere un programma integrato, dietetico e dialitico, della MRC stadio 5, con riduzione della frequenza delle sedute di emodialisi (una alla settimana)

Negli anni ‘80 e ’90, Giovannetti e Locatelli realizzarono il Programma Integrato Dietetico Dialitico (IDDP) in pazienti con VFG anche < 3 ml/min/1,73 m2, costituito da un’emodialisi mono settimanale integrata da una prescrizione dietetica fortemente ipoproteica pari a 0,3-0,4 g/Kg/die (Very Low-Protein Diet – VLPD) supplementata da aminoacidi essenziali e loro chetoanaloghi, normocalorica, iposodica (101, 102). Già allora si consolidava la percezione che la TDN costituisse un importante mezzo terapeutico per ritardare l’inizio della dialisi (103-105). Numerose segnalazioni dimostrano che durata e/o frequenza del ritmo dialitico producono uno stress citochinico pro-infiammatorio e pro-ossidativo che conduce alla riduzione della FRR (106). Nel 1998, Locatelli et al. sospesero l’IDDP per rischio di malnutrizione e scarsa compliance dei pazienti, riportando un drop-out del 66,6% (107). Un approccio simile, denominato Programma Combinato Dietetico Dialitico (CDDP) (108), ha trattato sino ad oggi oltre 126 pazienti. Il CDDP modificava alcuni aspetti dell’IDDP: apporto proteico 0,6 g/Kg/die con dieta libera il giorno della dialisi, filtrato glomerulare tra i 5-8 ml/min/1,73 m2, comunque ben superiore alle esperienze precedenti. Il calcolo della compliance dietetica veniva effettuato con la formula dell’Urea Nitrogen Appearance e la FRR con la media di tre raccolte settimanali utilizzando la media delle clearance dell’urea e della creatinina. In uno studio controllato, non randomizzato sono stati dimostrati sensibili vantaggi della CDDP rispetto ai pazienti in emodialisi tri settimanale, sul controllo della β2-microglobulina e della fosfatemia e mantenimento della funzione renale e diuresi residua (108). A 24 mesi la sopravvivenza cumulativa tra i 38 pazienti in CDDP ed i 30 in emodialisi temporanea (THD) era identica. Successivamente, i pazienti ancora presenti a 96 mesi di follow-up dimostravano una sopravvivenza cumulativa superiore nella CDDP (p < 0,05) evidenziando anche un notevole risparmio sui costi indiretti (ospedalizzazioni) e costi diretti ridotti del 75% (109, 110). Quindi, benché i dati derivino da uno studio non randomizzato, la CDDP in pazienti selezionati collaboranti potrebbe essere la migliore scelta “bridge” onde iniziare un programma di emodialisi incrementale.

 

  1. Una corretta terapia dietetica nutrizionale può permettere un programma integrato di dialisi peritoneale incrementale

L’utilizzo della dialisi peritoneale incrementale (DPi) è giustificato dalle linee guida vigenti che, stabilendo target minimi depurativi da raggiungere sommando la depurazione peritoneale e la FRR, permettono di iniziare con una dose dialitica ridotta (111).

La DPi non è ad oggi definita in modo conclusivo. La definizione prevalente è di 1-2 stasi giornaliere in dialisi peritoneale (DP) ambulatoriale continua e di un massimo di 4 sedute settimanali in DP automatizzata. Deve essere sottolineato che la DPi non è una dialisi precoce e richiede il controllo mensile della FRR per adeguare tempestivamente la dose dialitica.

A fronte di scarse evidenze in letteratura, la DPi è largamente utilizzata, soprattutto in Italia (112).

La DPi è risultata sicura per il paziente e ha mostrato vantaggi in termini di minore ospedalizzazione, incidenza di peritonite e di velocità di decremento della FRR (113), oltre ad un minore impatto sulla qualità di vita del paziente.

Le indicazioni per la TDN sono ben definite per la MRC 5 (43) e per la DP standard (114). E sono disponibili esperienze di associazione fra TDN ed emodialisi incrementale (109). In merito alla DPi non vi sono, ad oggi, indicazioni specifiche. La TDN in DPi potrebbe ridurre la possibilità di insorgenza di sintomatologia uremica, migliorare il controllo metabolico e contribuire a ritardare il declino della FRR. I principali problemi potrebbero derivare da scarsa tolleranza o aderenza alla TDN o dal rischio di peggioramento dello stato nutrizionale, con necessità quindi di un periodico monitoraggio metabolico e antropometrico (28).

Nel centro di Brescia, l’esperienza in DPi è partita nel 2002. Ad oggi più del 50% dei pazienti inizia in DPi e in prevalenza con metodica manuale. In tutti i casi viene intrapresa o proseguita una TDN con apporti giornalieri di 0,6-0,8 g proteine per kg peso corporeo, 30-35 Kcal/kg peso corporeo e 5 g/die di NaCl.

Al di là della nostra esperienza, studi controllati saranno necessari per confermare che una corretta TDN, associata al monitoraggio dello stato nutrizionale e della FRR, permettono di ottimizzare un programma di DPi. Del resto, è ben nota l’importanza della clearance renale rispetto a quella peritoneale.

 

  1. La malattia renale cronica avanzata è caratterizzata da una disbiosi del microbiota intestinale, che contribuisce all’intossicazione uremica e al danno cardiovascolare. Una terapia nutrizionale ipoproteica, associata a un adeguato introito di fibre può contrastare la disbiosi e ridurre la produzione di tossine uremiche.

Nella fase avanzata della MRC è presente uno stato di disbiosi del microbiota intestinale, con alterazione della permeabilità intestinale e della composizione batterica, sbilanciamento del metabolismo microbico in senso proteolitico, aumentata produzione di tossine uremiche, quali p-cresolo ed indossile solfato (115). Tali tossine, normalmente escrete per via renale, si accumulano nel paziente in relazione allo stadio della malattia e contribuiscono all’accelerata progressione verso la morte renale e alle complicanze infiammatorie e cardiovascolari (116).

La disbiosi è peggiorata nei casi di restrizione dietetica di vegetali e fibre, nel tentativo di controllare i livelli di potassio (117).

Pertanto, la TDN ideale per il paziente con MRC avanzata dovrebbe prevedere una restrizione proteica e un apporto di 20-30 g/die di fibra alimentare, orientando la scelta verso alimenti contenenti meno fosforo e potassio, a parità di contenuto in fibra (117). Le auspicabili ricadute benefiche di tale TDN nella MRC avanzata potrebbero essere:

  1. riduzione della disbiosi intestinale (118, 119 – (dimostrato in soggetti sani/contesti clinici diversi dalla MRC);
  2. riduzione delle tossine uremiche circolanti (118-121);
  3. riduzione di azotemia e creatininemia (122-124);
  4. aumento della fermentazione saccarolitica e di short-chain fatty acids (SCFA) a livello del colon ascendente (dimostrato in soggetti sani/contesti clinici diversi dalla MRC) (119);
  5. aumento del transito intestinale (125) e della massa fecale con aumentata escrezione di composti azotati (122);
  6. riduzione dell’infiammazione (126);
  7. potenziale riduzione della permeabilità intestinale (dimostrato in soggetti sani/contesti clinici diversi dalla MRC) (127);
  8. potenziale rallentamento della progressione della MRC.

 

Tali effetti potrebbero essere potenziati da una periodica somministrazione di integratori probiotici o simbiotici (118).

 

  1. In termini di farmaco-economia, una corretta terapia dietetica nutrizionale permette il risparmio di costi e di risorse nella gestione dei pazienti con insufficienza renale cronica avanzata.

La MRC è un problema sociale (7-8% della popolazione) (128), che deve essere precocemente individuata e trattata in maniera congrua impedendone la progressione verso la dialisi al fine di ridurre morbilità, mortalità e costi individuali e sociali.

Indagini di screening nella popolazione generale non sono state ritenute costo-efficaci (129).

I pazienti con insufficienza renale progressiva che iniziano la terapia sostitutiva renale entro 4 mesi dalla prima visita del nefrologo presentano un aumento dei costi rispetto ai riferimenti precoci (early referral) (130).

La dialisi ha costi molto elevati se comparati alla predialisi (131, 132). Dati del CENSIS 2008 (133) evidenziano che un paziente in dialisi costa circa 50.000 € / anno (35.000 in dialisi peritoneale) compresi i costi sociali.

I dati del Registro Italiano Dialisi e Trapianto riportano un’incidenza di circa 160 pazienti per milione di popolazione (pmp) con stima di circa 9600 pazienti che ogni anno entrano in dialisi e con 40.000 dializzati prevalenti. Se la spesa è di circa 50.000 € per paziente/anno, possiamo stimare che la spesa totale per la dialisi arrivi in Italia a circa 2.000.000.000 € all’anno.

Ritardare di un solo anno l’ingresso in dialisi comporta risparmi notevolissimi: molti pazienti, soprattutto i più anziani, con alta probabilità di decesso entro il primo anno di dialisi, potrebbero arrivare a fine vita senza essere mai sottoposti alla dialisi evitando sofferenze per i pazienti e le loro famiglie e contribuendo alla sostenibilità del SSN.

Il trapianto di rene è la terapia d’elezione per l’insufficienza renale cronica e il trattamento più economico nel lungo periodo. Il costo, in un periodo di osservazione di tre anni, ammonta a 95.247 €; di questi, 52.543 € sono relativi al trapianto stesso, corrispondenti all’intervento chirurgico e alla degenza presso il centro trapianti (134).

Per tutti questi motivi, ritardare l’inizio della dialisi potrebbe comportare un significativo risparmio economico. Una metanalisi della Cochrane ha evidenziato che la riduzione dell’apporto proteico riduce del 31% il rischio di iniziare la dialisi, con un valore NNT (Numbers Needed to Treat) pari a 17. L’uso della TDN, attraverso un’analisi costo efficacia, ha dimostrato un notevole risparmio (135) considerando i QALY (quality-adjusted life-year) guadagnati in successione. Un trattamento conservativo efficace in grado di posporre la dialisi, riduce i costi fino a circa 21.180 € a paziente nel primo anno, 6.500 nel secondo anno e 682 nel terzo anno di trattamento con un significativo beneficio in favore della dieta supplementata con chetoanaloghi anche nei casi peggiori (136).

La VLPD consente un risparmio di circa 20 mila € / anno quale consumo di risorse per eritropoietina (EPO) (137).

Dobbiamo anche considerare i costi dell’intervento nutrizionale che migliorando la qualità assistenziale comporta una riduzione dei costi da ospedalizzazione prima dell’inizio della dialisi e dalla preparazione tempestiva dell’accesso vascolare con risparmio sui cateteri venosi centrali..

 

  1. È necessario implementare modelli organizzativi per una più efficace e più agevole gestione clinica della malattia renale cronica avanzata: integrare diverse figure professionali

La MRC rappresenta un problema di sanità pubblica per l’elevata prevalenza e l’elevato impatto sulla morbilità e mortalità della popolazione (138, 139).

È necessario sviluppare interventi mirati all’inquadramento diagnostico precoce, al rallentamento della progressione del danno e alla prevenzione delle complicanze. Queste attività devono essere coordinate dal nefrologo che si avvale di altre figure professionali (infermiere, psicologo, dietista, ecc.). Lo strumento più efficace a questi fini è rappresentato dalla creazione di percorsi di diagnosi, terapia e assistenza (PDTA) in accordo con gli assessorati alla Sanità delle Regioni.

Percorsi di questo tipo sono stati attivati in alcune Regioni: il progetto PIRP (Prevenzione insufficienza renale progressiva) della Regione Emilia Romagna (140), è attivo dal 2004. Nei centri nefrologici di questa Regione sono stati strutturati ambulatori specifici e un percorso di collaborazione con la medicina del territorio; i dati raccolti rappresentano un importante patrimonio per l’analisi della progressione della malattia renale e si è ottenuta una riduzione dell’incidenza di casi di uremia terminale. La Rete Nefrologica lombarda (141) ha sviluppato programmi di coinvolgimento dei medici di medicina generale. Analoghe esperienze sono presenti in altre aree del Paese.

In Piemonte la rete nefrologica ha strutturato un modello di intervento relativo alla malattia renale avanzata, recepito in un Decreto di Giunta (142). Questo progetto ha contribuito alla creazione, presso tutti i centri di nefrologia, dell’Ambulatorio per la Malattia Renale Avanzata (MaReA). Il nefrologo, referente regionale, coordina un team di cura (infermiere, psicologo, dietista) e stabilisce i tempi, i modi di accesso e i controlli pianificando il processo di avvio del trattamento sostitutivo. I dati dei pazienti trattati sono registrati su un database regionale, collegato al Registro Dialisi e Trapianto. A 4 anni dall’avvio, sono stati evidenziati molti aspetti positivi ma anche alcune problematiche.

È stata data maggior attenzione ai diversi aspetti legati all’avvio del trattamento sostitutivo, si è stimolata una immissione più precoce in lista trapianto anche pre-emptive, si è ridestato un certo interesse verso il trattamento domiciliare (dialisi peritoneale ed emodialisi); sono stati attivati processi di collaborazione con i servizi di dietetica. Questi ultimi sono risultati problematici in alcune realtà, anche per la contemporanea riorganizzazione sanitaria regionale. Una soluzione al problema verrà ricercata in una più stretta collaborazione con la rete regionale della nutrizione clinica.

Per meglio governare il corso della MRC e razionalizzare l’intervento in tutti i suoi aspetti sarà necessario estendere il campo di azione a stadi più precoci di danno renale con necessità di coinvolgimento di figure operanti sul territorio (medici di medicina generale, distretti sanitari).

È necessario cogliere l’occasione offerta dal Piano Nazionale Cronicità (143) che le Regioni devono recepire, sviluppando processi e percorsi che consentano al nefrologo di poter disporre dei corretti strumenti per coordinare l’attività clinica rivolta al paziente con MRC.

 

  1. Livelli di supporto dietetico-nutrizionale:
  • dietista dedicata alla nefrologia a tempo pieno/parziale
  • dietista ospedaliera
  • materiale informativo
  • supporti informatici (internet)

Il dietista impegnato nel trattamento nutrizionale della MRC partecipa, in collaborazione con il nefrologo, al programma dietetico-nutrizionale mediante la valutazione dello stato nutrizionale del paziente e l’elaborazione di un piano dietetico personalizzato. Inoltre, interagisce con gli altri membri del team (psicologo, fisioterapista, ecc.) per identificare e promuovere i fattori individuali che possono favorire l’adesione al piano terapeutico complessivo (144).

La TDN fornita da un dietista è raccomandata per le persone con MRC dallo stadio 1 fino allo stadio 5, inclusi dialisi e trapianto (145). Il dietista, in collaborazione con il nefrologo, coinvolge il paziente e il caregiver, in tutte le fasi del trattamento nutrizionale, dalla storia dietetica alla formulazione, realizzazione e implementazione del piano dietetico. L’attività del dietista prevede un adeguato percorso informativo ed educazionale finalizzato all’autogestione dell’alimentazione secondo obiettivi specifici condivisi.

L’ANDID supporta le raccomandazioni della National Kidney Foundation (NKF) cioè che sia disponibile un dietista esperto ogni 150 pazienti nefropatici (84). La durata degli incontri è un fattore che condiziona la qualità della TDN (144). L’evidenza disponibile riporta che sono necessari 60-90 minuti per il primo incontro e 45-60 minuti per gli incontri successivi (146). Le Linee Guida Europee per l’Assistenza Nutrizionale dei pazienti adulti con MRC evidenziano che non viene prescritto un apporto proteico < 0,8 g/kg di ideal body weight (IBW)/die se non è regolarmente disponibile un dietista renale (147).

Il dietista ospedaliero, full time o part time con la Nefrologia, svolge la propria attività in collaborazione con i professionisti coinvolti nell’assistenza, adeguando la TDN ai differenti stadi della MRC. Svolge attività didattico-educativa e di informazione rivolta rispettivamente al personale di assistenza sanitaria e al personale dei servizi di ristorazione collettiva. Elabora tabelle dietetiche per i differenti stadi della MRC, pianificando capitolati per l’acquisto dei prodotti dietetici aproteici e menu per pazienti di qualsiasi età e cultura. Organizza e coordina i diversi attori coinvolti nei servizi di alimentazione per garantire il rispetto dei protocolli dietetici ipoproteici. Assicura la continuità assistenziale attraverso l’elaborazione di un piano dietetico personalizzato da attuare dopo la dimissione.

La capacità di coniugare nella giusta misura gli aspetti biologici e psico-sociali della storia dietetica costituisce l’abilità centrale del dietista esperto nel trattamento nutrizionale della MRC. Tale abilità consente l’elaborazione di piani dietetici personalizzati che incontrino sia i gusti sia le necessità del paziente (148). Nel caso di pazienti anziani i supporti cartacei vengono illustrati con il coinvolgimento dei familiari o caregivers a garanzia della migliore applicazione pratica possibile. Liste di scambio, brochure informative e indicazioni basate sulle abitudini alimentari tradizionali sono elaborate anche con la collaborazione del team e devono garantire ai pazienti un’ampia varietà di scelta, limitando la monotonia e la sensazione di divieto associata agli approcci tradizionali (149); porre l’accento su quello che si può e si deve consumare piuttosto che su quanto è “proibito”. Un servizio di consulenza telefonica/piattaforma web può costituire un supporto nelle realtà assistenziali in cui non è disponibile un dietista dedicato all’ambito nefrologico. L’istituzione di questo servizio dovrebbe prevedere la prescrizione del piano terapeutico da parte del nefrologo, l’elaborazione del piano TDN da parte del dietista e la successiva validazione da parte del nefrologo che ha in cura il paziente.

Vari sono stati i tentativi di produrre programmi computerizzati per l’elaborazione di piani dietetici ma ciò non garantisce la personalizzazione dei protocolli e ne limita la sicurezza e l’efficacia.

 

  1. L’aderenza alle prescrizioni dietetiche è una criticità così come nelle terapie farmacologiche. La condivisione del programma dietetico mediante una corretta informazione ed educazione rimane alla base di una corretta gestione della cronicità da parte del paziente

Nel documento di indirizzo per la malattia renale cronica emerge l’insoddisfazione dei pazienti per essere scarsamente informati e coinvolti nella propria cura (150). Il decreto sulla cronicità pone come punto fondamentale la presa in carico del paziente. C’è quindi molto da fare per coinvolgere il paziente nefropatico all’aderenza alla cura, che è indispensabile per migliorare i risultati e ridurre i costi in sanità (151-153).

Il termine “compliance” definisce il grado in cui la consapevolezza del paziente coincide con le raccomandazioni fornite dai sanitari (80), ed è spesso usato come sinonimo di “aderenza”. In generale, l’aderenza del paziente a una terapia dietetica nutrizionale è circa del 31%. Il coinvolgimento di un paziente è un percorso sistematico che identifica e qualifica le possibili modalità di relazione della persona, la famiglia, il caregiver con gli operatori sanitari. Il coinvolgimento è funzione di una capacità di scelta graduale delle persone di assumere un ruolo attivo nella gestione della propria salute. Questo processo è influenzato da fattori individuali, sociali, ambientali e socioeconomici.

È molto difficile agire sui processi correlati alla malattia del singolo paziente, più facile è agire sui processi di consapevolezza, informazione, presa in carico e preparazione del team. Il coinvolgimento del paziente e del team di cura deve divenire la regola all’interno della pratica clinica, essere misurato con adeguate scale validate (154) poiché fa parte dei criteri di valutazione e di accreditamento nazionale e certificazione Joint Commission International (JCI) ai punti in cui si richiamano gli aspetti di comunicazione al paziente e di sostegno all’autogestione.

Fondamentale per la riuscita di qualunque tipo di trattamento è la presa in cura (155, 156) che può avvenire solo se si è attuato un corretto coinvolgimento del paziente, della sua famiglia, dei caregiver e dei professionisti sanitari (empowerment). La formazione è fondamentale per lo sviluppo di competenze (157) e deve essere valutata e misurata se si vuole veramente aumentare l’efficacia e l’efficienza degli interventi clinico-assistenziali. L’acquisizione di tecniche di comunicazione è fondamentale e di supporto per una migliore informazione e coinvolgimento del paziente e dei familiari. I sistemi audiovisivi, applicazioni e social favoriscono il processo di engagement (158). I video possono essere strumenti potenti come fonti di medicina narrativa, catturando più facilmente l’attenzione dei pazienti.

 

  1. Gli operatori sanitari coinvolti nella gestione del paziente con MRC 4-5 devono promuovere la regolare attività fisica come parte integrante della terapia dietetica nutrizionale.

L’attività fisica rappresenta uno degli elementi chiave per la prevenzione delle patologie croniche dato che migliora molti aspetti tra i quali il controllo della pressione arteriosa, il metabolismo glicidico e lipidico, lo stato di nutrizione e la funzione endoteliale (159). Al contrario, la letteratura è concorde nell’indicare come la sedentarietà sia associata all’aumento del rischio di morbilità e mortalità (160-162).

Ci sono ormai dati forti a supporto degli effetti favorevoli dell’attività fisica nel paziente affetto da MRC e in dieta ipoproteica (163) inclusi i pazienti anziani (164). In questi pazienti l’attività fisica può rappresentare un importante stimolo anabolico che favorisce l’utilizzazione dei nutrienti e contrasta la perdita di massa magra (163). Nonostante questo, programmi di attività e/o di esercizio fisico sono raramente raccomandati ai pazienti con MRC (165).

Uno dei compiti del nefrologo è quello di superare le barriere che frequentemente si oppongono all’attuazione di programmi “riabilitativi” (166). La scarsa conoscenza e consapevolezza dell’importanza dell’attività fisica nella MRC richiede la necessità di creare gruppi multidisciplinari per implementare programmi di attività fisica adeguati al paziente nefropatico (167).

Gli operatori sanitari coinvolti nella gestione del paziente con MRC dovrebbero promuovere la regolare attività fisica come parte integrante della TDN, soprattutto nelle fasi avanzate della malattia.

Tabella 2 mostra un summary dei 20 punti analizzati in questo Consensus Document.

 

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Sfide e risultati del progetto PIRP (Prevenzione della Insufficienza Renale Progressiva) della Regione Emilia-Romagna

Abstract

Il progetto PIRP è stato ideato in Regione Emilia-Romagna nel 2004, per far fronte all’aumento di diffusione della malattia renale cronica (MRC) conseguente all’invecchiamento della popolazione generale e all’aumento della aspettativa di vita. La prima fase del progetto è consistita nel formare ed informare i medici di medicina generale (MMG) riguardo all’identificazione delle persone a rischio di MRC e all’implementazione di strategie di intervento efficaci nel prevenire o ritardare la progressione della MRC. Nella seconda fase del progetto sono stati instituiti nelle unità di nefrologia degli ospedali dell’Emilia-Romagna ambulatori dedicati, atti a fornire una valutazione specialistica e un’assistenza personalizzata ai pazienti con MRC inviati dai MMG. Il protocollo del progetto definisce le caratteristiche dei pazienti che, dopo una diagnosi di malattia dal punto di vista eziologico, possono essere reinviati ai MMG, quelli che devono essere seguiti nelle UO nefrologiche ospedaliere oppure quelli che possono essere seguiti in co-gestione. Il registro web, istituito nell’ambito del progetto ed implementato per raccogliere i dati demografici e clinici dei pazienti includeva, al 30 giugno 2018, 26.211 pazienti affetti da MRC, con un follow-up mediano di 24,5 mesi. Nel corso dei 14 anni di del progetto, l’età media dei pazienti alla prima visita è aumentata da 71,0 anni a 74,2 anni e il eGFR medio, alla prima visita, è passato dai 30,56 a 36,52 ml/min/1,73 m2. In pratica sono stati reclutati nel tempo pazienti in media più anziani ma con funzionalità renale maggiormente conservata e quindi con maggiori possibilità di sfruttare interventi terapeutici appropriati. La percentuale di pazienti ancora attivi in registro dopo 5 anni di follow-up è risultata superiore al 45%. Le uscite sono prevalentemente da riferire a decesso o all’inizio del trattamento dialitico. L’implementazione e l’articolazione nel tempo del progetto, ha visto ridursi negli ultimi anni il numero di pazienti che arrivano ogni anno al trattamento dialitico in Emilia Romagna (circa 100 unità in meno di pazienti incidenti dal 2006 al 2016). La coorte PIRP è la più grande in Italia e in Europa, e questo la rende ideale per studi basati su confronti internazionali e come modello per i registri nazionali.

Parole Chiave: Insufficienza renale cronica, Registro, Malattia Renale Cronica, MMG, VFG, Proteinuria, Intervento di salute pubblica

INTRODUZIONE

La Malattia Renale Cronica (MRC) è, nell’ambito delle patologie croniche, una condizione molto diffusa, con una prevalenza crescente nella popolazione generale e con una stima a livello mondiale di circa il 10-15% (1). In Italia la prevalenza della MRC è stimata sull’ordine del 7,5% negli uomini e del 6,5% nelle donne sulla base dello studio CARHES (2). Questi dati di prevalenza italiana, sotto certi aspetti consolanti, sono però destinati ad aumentare per diversi ordini di fattori: i) invecchiamento della popolazione; ii) aumentata prevalenza nella popolazione generale di condizioni cliniche ad elevato rischio di danno renale (diabete mellito, sindrome metabolica, ipertensione arteriosa) (3), iii) aumentata sopravvivenza dei pazienti co-morbidi e complessi.

 

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La carbamilazione proteica: cos’è e perché interessa al nefrologo

Abstract

Abstract: La dissociazione dell’urea rappresenta una fonte primaria di carbamilazione proteica all’interno del nostro organismo. E’ noto dagli anni ‘70 che questo fenomeno possa avere ripercussioni in campo clinico e terapeutico. Nei decenni passati un grande interesse è stato posto circa il potenziale valore diagnostico della carbamilazione proteica nei pazienti uremici. Negli ultimi anni è cresciuto soprattutto l’interesse riguardo alla sua possibile patogenicità cardiovascolare che potrebbe spiegare, almeno in parte, l’aumentato rischio cardiovascolare nei pazienti uremici. La terapia nutrizionale, le supplementazioni di amminoacidi e regimi dialitici intensivi rappresentano alcune delle armi terapeutiche che sono state testate per contrastare questo fenomeno nei nostri pazienti.

Parole chiave: carbamilazione proteica, urea, insufficienza renale cronica

Biochimica del cianato e della carbamilazione

Il cianato (acido cianico) è una molecola che deriva dalla dissociazione spontanea in soluzione acquosa dell’urea; la reazione completa porta alla produzione di cianato e ammoniaca e in vitro tale reazione è spostata dalla parte della formazione dell’urea per oltre il 99% (1). Il cianato, dunque, è un composto azotato che si produce fisiologicamente nel nostro organismo, ma solo in piccole quantità e si pone spontaneamente in equilibrio col suo isomero più reattivo isocianato.

La concentrazione plasmatica in individui sani di isocianato è di circa 50 nmol/L (1), un valore che, tuttavia, è circa mille volte inferiore rispetto a quanto previsto dai parametri cinetici di decomposizione dell’urea. La stessa osservazione è stata fatta nei pazienti uremici, dove la concentrazione di isocianato rilevata era sì aumentata (140 nmol/l), ma comunque di gran lunga inferiore a quanto atteso (2). La spiegazione di questo fenomeno è che, poiché come detto l’acido isocianico è molto reattivo, parte di questo composto viene consumato come substrato di altre reazioni chimiche. In particolare il cianato è in grado di cedere il gruppo “carbamoile” (-CONH2) ad una molecola organica e questa reazione è generalmente indicata con il nome di carbamilazione. In realtà il termine chimico più appropriato, e raccomandato dalla “International Union of Pure and Applied Chemistry”, sarebbe carbamoilazione (3), ma nella gran parte della letteratura scientifica è utilizzato il primo termine. 

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I nuovi ipoglicemizzanti orali nel diabetico con CKD in stadio IV: nostre esperienze

Abstract

L’utilizzo dei farmaci ipoglicemizzanti nel diabetico nefropatico in fase avanzata va fatto con molta attenzione. Alcuni farmaci sono controindicati o sconsigliati; la stessa insulina necessita di una riduzione del dosaggio per evitare pericolose crisi ipoglicemiche. Da alcuni anni è stato approvato l’utilizzo degli inibitori del DDP-4 in pazienti con DMT2 con CKD al III e IV stadio, proponendone l’impiego senza limitazioni anche in caso di ESRD.

Abbiamo condotto uno studio osservazionale prospettico su una coorte di 60 soggetti con DMT2 e con CKD in stadio IV, selezionando un campione di 15 soggetti che assumeva un inibitore del DPP-4 e raffrontandolo con chi, pur presentando caratteristiche analoghe di CKD, assumeva una terapia con farmaci “tradizionali”. In entrambi i gruppi abbiamo rilevato: 1) l’efficacia della terapia, mediante la valutazione dell’emoglobina glicata e del profilo glicemico; 2) l’eventuale insorgenza di: “episodi ipoglicemici”, “effetti indesiderati”, accelerazione della progressione della CKD. Tutti i pazienti in trattamento con inibitori del DPP-4 non hanno manifestato crisi ipoglicemiche, né eventi avversi, né effetti negativi sulla progressione della CKD. L’emoglobina glicata ha denotato una maggiore stabilità rispetto al gruppo di confronto. Gli episodi ipoglicemici sono stati presenti solo nel gruppo in trattamento intensivo con insulina. Anche se gli inibitori del DPP-4, salvo qualche eccezione, sono prevalentemente eliminati per via renale e la dose in caso di CKD di grado elevato andrebbe ridotta, si sono dimostrati nella nostra esperienza farmaci vantaggiosi nei diabetici nefropatici.

Parole chiave: diabete mellito, insufficienza renale cronica, ipoglicemizzanti, efficacia, tollerabilità

Introduzione

La gestione terapeutica del paziente diabetico con Chronic Kidney Disease (CKD) è generalmente complessa. Uno degli aspetti da tenere in grande considerazione è che la terapia farmacologica ipoglicemizzante va rapportata al grado di funzionalità renale residua e va adattata “su misura” al singolo paziente. Alcuni farmaci ipoglicemizzanti orali sono controindicati nelle fasi avanzate della CKD, come la metformina, o vengono sconsigliati, come nel caso delle sulfaniluree, per il potenziale rischio di ipoglicemie da “accumulo”. Anche la stessa terapia insulinica necessita di una riduzione del dosaggio nelle fasi avanzate della insufficienza renale cronica, per evitare pericolose crisi ipoglicemiche [1, 2]. 

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Caso di scialoadenite da mezzo di contrasto in paziente emodializzata

Abstract

Razionale
La scialoadenite da mezzo di contrasto iodato (m.d.c.) o iodine mumps (IM) è una rara e tardiva manifestazione benigna che si verifica indipendentemente dalla via di somministrazione endovenosa od endoarteriosa del m.d.c.. Quando la funzione renale è normale, il mezzo di contrasto non raggiunge concentrazioni nelle ghiandole salivari tali da causare scialoadenite. Tuttavia, una riduzione critica del filtrato glomerulare può associarsi ad edema dei dotti salivari con rigonfiamento ghiandolare dopo iniezione di m.d.c. Di seguito riportiamo un raro caso clinico di IM in una paziente in emodialisi cronica.
Casistica e metodi
Una donna di 72 anni affetta da insufficienza renale cronica in trattamento emodialitico trisettimanale veniva sottoposta ad asportazione endoscopica di cancro del retto. Per la stadiazione della malattia veniva eseguita una TC total body con m.d.c. iodato. Al mattino seguente la paziente mostrava una tumefazione bilaterale molle e dolente delle parotidi. L’ecografia delle ghiandole salivari ha consentito la diagnosi definitiva di IM. Veniva tempestivamente avviato un trattamento di emodiafiltrazione online in post-diluizione della durata di 240 min e somministrato betametasone.
Risultati
Entro le successive 24h, seguiva una completa remissione della IM.
Conclusioni
Un ruolo fondamentale, nell’eziopatogenesi della IM nella nostra paziente, potrebbe essere stato svolto dall’esaltata attività del simporto sodio/iodio (NIS) sulle cellule delle ghiandole salivari in compenso alla ridotta escrezione renale del m.d.c. Si conferma l’utilità di effettuare il trattamento emodialitico entro poche ore dalla somministrazione di m.d.c. nel paziente in trattamento sostitutivo anche per prevenire la scialoadenite che rappresenta un epifenomeno dell’accumulo del m.d.c.

Parole chiave: Iodine mumps, insufficienza renale cronica, emodialisi, mezzo di contrasto iodato, cortisonici.

INTRODUZIONE

L’incidenza di complicanze renali ed extrarenali da mezzo di contrasto (m.d.c.) si è ridotta da qualche anno grazie all’impiego sempre più diffuso di mezzi contrastografici a bassa osmolarità (1). Tuttavia, le reazioni anafilattoidi e le reazioni nefrotossiche rappresentano a tuttora le più frequenti complicanze da impiego di m.d.c e sono gravate da elevata comorbidità e mortalità. Nettamente più ridotta è invece oggi l’incidenza di reazioni idiosincrasiche al m.d.c., quali le eruzioni acneiformi, lo iododerma e la scialoadenite o iodine mumps (IM) (2) che, sebbene benigne, sono gravate da segni e sintomi tali da creare disagio e infermità nel paziente. La prevenzione delle complicanze derivanti dall’impiego del m.d.c., pertanto, resta tuttora un obiettivo fondamentale. L’insufficienza renale cronica (IRC) è una patologia in costante crescita, gravata da un notevole impatto socio-economico (35) e caratterizzata da una significativa riduzione della qualità della vita (6). E’ paradossale notare come i pazienti affetti da IRC siano contemporaneamente quelli più a rischio sia di sviluppare complicanze da m.d.c., che particolarmente esposti alla necessità di sottoporsi a procedure contrastografiche, sia a scopo diagnostico che, talora, terapeutico. Tale associazione sfavorevole che grava i pazienti con IRC dipende dalla loro spiccata tendenza a sviluppare complicanze sia cardiovascolari che multi-sistemiche (79). 

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