“Nuovi antigeni” nella glomerulonefrite membranosa: uno sguardo sulla complessità

Abstract

La glomerulonefrite membranosa (MN) si caratterizza per la presenza di depositi di immunocomplessi a livello dello spazio subepiteliale. Tradizionalmente è distinta in una forma primitiva (80% dei casi) quando non è associata ad altre patologie e una forma secondaria (20% dei casi) se correlata a malattie autoimmuni, infezioni o neoplasie. Il principale passo in avanti per la comprensione della patogenesi è stato l’identificazione di anticorpi diretti contro antigeni podocitari. Nel 2009 è stato identificato il recettore della fosfolipasi A2 (M-type phospholipase A2 receptor, PLA2R) e nel 2014 il recettore della trombospondina con dominio 7A (THSD7A), che rappresentano gli antigeni bersaglio in circa il 70% di tutti i casi di MN primitiva. Negli ultimi anni, grazie all’utilizzo di metodiche diagnostiche innovative, come la microdissezione laser con spettrometria di massa (MS/MS), è stato possibile identificare nuove proteine/antigeni bersaglio, tra cui la EXT1/2, NELL-1, NCAM1, SEMA3B, PCHD7, HTRA1, TGFBR3. Alcune di queste proteine sono state riscontrate sia in MN primitive sia in MN secondarie, così da rendere più labile il confine fra le due forme. Diversi studi sono ancora in corso e altri sono necessari per andare a definire e comprendere meglio i meccanismi fisiopatologici, l’espressione clinica, la risposta al trattamento e il monitoraggio, associati ai diversi antigeni. Scopo di questa review è analizzare più da vicino i nuovi antigeni identificati in questi ultimi anni e di comprendere come la loro scoperta possa modificare la classificazione della MN.

Parole chiave: Glomerulonefrite membranosa, Istopatologia renale, antigeni podocitari, spettrometria di massa

Introduzione

La glomerulonefrite membranosa (MN) è un’entità clinico-patologica che si caratterizza per la presenza di depositi di immunocomplessi a livello subepiteliale, in particolar modo immunoglobuline e/o componenti del complemento, con conseguente ispessimento più o meno omogeneo della membrana basale glomerulare (MBG). Tradizionalmente la classificazione della MN distingue tra MN primitiva o idiopatica, in assenza di patologie associate, e una MN secondaria, quando insorge in corso di neoplasie, infezioni (fra le più comuni da HBV) o malattie autoimmuni. Si segnala inoltre la glomerulonefrite membranosa alloimmune, più frequentemente nelle forme di MN post trapianto, dovuta ad una risposta immunitaria contro un antigene precedentemente sconosciuto.

La MN primitiva, che comprende l’80% dei casi complessivi, è la causa principale di sindrome nefrosica negli adulti caucasici non diabetici, con un picco di incidenza dopo i 50 anni e con maggior prevalenza negli uomini rispetto alle donne. La prevalenza è di circa 12 casi ogni milione di abitanti l’anno; l’incidenza di End-Stage Renal Disease (ESRD) dovuta a MN negli Stati Uniti è di circa 1,9/milione all’anno [1, 2].

 

Istologia

Alla microscopia ottica la MN si caratterizza per la presenza di un ispessimento della membrana basale glomerulare che conferisce un aspetto rigido alle anse capillari, dovuto alla presenza dei depositi di immunocomplessi a livello subepiteliale. Con la colorazione immunoistochimica di Jones (nota anche come impregnazione argentica), lungo le anse capillari si può osservare la presenza di “spikes”; si tratta di protrusioni della MBG, da reazione agli immunodepositi. All’immunofluorescenza l’aspetto tipico è la positività per IgG con pattern granulare lungo la MBG (principalmente IgG4 nella MN primitiva). Sono presenti anche depositi di C3 e, più raramente, IgM o IgA (Figura 1). La microscopia elettronica (ME), che non è necessaria per la diagnosi di MN, conferma la presenza di depositi elettrondensi confinati nello spazio subepiteliale dei glomeruli (Figura 2) (Tabella I) [3].

Figura 1: Alla microscopia ottica la glomerulonefrite membranosa è caratterizzata dall’ispessimento della membrana basale glomerulare
Figura 1: Alla microscopia ottica la glomerulonefrite membranosa è caratterizzata dall’ispessimento della membrana basale glomerulare che assume un aspetto rigido. Nella forma primitiva solitamente non vi sono alterazioni a carico del mesangio (a, PAS 40x). L’immunofluorescenza (b, 40x) mostra positività per IgG con il tipico pattern granulare lungo la membrana basale glomerulare.
Figura 2: La microscopia elettronica conferma la diagnosi di glomerulonefrite membranosa
Figura 2: La microscopia elettronica conferma la diagnosi di glomerulonefrite membranosa evidenziando la presenza di depositi (frecce) nello spazio compreso fra le cellule epiteliali (*) e la membrana basale glomerulare (MBG), definito spazio subepiteliale. CB: Capsula di Bowman; #: cellula endoteliale.
Caratteristiche istopatologiche distintive MN primitiva vs MN secondaria
Primitiva Secondaria
Microscopia ottica
– Ispessimento e aspetto rigido MBG

– Spikes e Holes a livello della MBG (visibili soprattutto con l’impregnazione argentica)

Oltre alle caratteristiche della primitiva:

– lesioni proliferative a livello mesangiale/endocapillare/extracapillare

Immunofluorescenza
– IgG predominante e C3; pattern granulare lungo le anse capillari con coinvolgimento globale

– IgG4>IgG1, IgG3

IgG1, IgG3>IgG4; pattern granulare lungo le anse capillari con coinvolgimento segmentale
IgA, IgM assenti IgA, IgM possono essere presenti +/- pattern full-house
Depositi mesangiali assenti Depositi mesangiali spesso presenti
C1q negativo o debole C1q positivo
Microscopia Elettronica
Depositi subepiteliali

-Depositi subepiteliali +/- depositi mesangiali +/- depositi subendoteliali

-Inclusioni tubuloreticolari endoteliali

Raramente depositi mesangiali Depositi lungo la TBM
Tabella I: Caratteristiche istopatologiche suggestive di Glomerulonefrite Membranosa primitiva e secondaria.
MBG: Membrana Basale Glomerulare; TBM: Membrana Basale Tubulare.

Patogenesi

Alla base della patogenesi della MN vi è la formazione di immunodepositi per la presenza di anticorpi contro epitopi di antigeni nativi della membrana podocitaria (nella MN primitiva) o contro antigeni “planted”, ovvero antigeni normalmente non espressi a livello della membrana glomerulare, ma presenti in circolo e che solo successivamente si depositano a questo livello. A causa di questi meccanismi vi è l’attivazione del complemento: le IgG4 attivano la via della lectina o la via alternativa, mentre non sono in grado di attivare la via classica. L’attivazione della cascata del complemento innesca la produzione del Membrane Attack Complex (MAC), che depositandosi sulle membrane podocitarie, insieme agli immunocomplessi presenti, porta a danno cellulare con alterazione del citoscheletro dei podociti, compromissione della permeabilità di membrana e conseguente proteinuria.

La patogenesi della MN è sempre stata di grande interesse nella ricerca nefrologica: nel 1959 il modello sperimentale della nefrite di Heymann avanzò l’ipotesi che la formazione di immunocomplessi in situ nella MBG fosse la conseguenza dell’interazione fra anticorpi circolanti e antigeni presenti o “planted” a livello della membrana podocitaria. Questi studi furono condotti su modelli murini che esprimevano il recettore per la megalina a livello della membrana glomerulare e del tubulo. Somministrando anticorpi contro il recettore della megalina si osservò nelle cavie lo scatenarsi di una nefrite, con danno podocitario e proteinuria [4]. È controverso se la megalina sia presente nelle cellule podocitarie nell’uomo [5], e comunque fino ad oggi non è stata mai osservata una “nefrite di Heymann” nell’uomo. Tuttavia, sulla base di questi studi sul modello di Heymann fu avanzata l’ipotesi che anche nell’uomo potesse essere presente un antigene tale da produrre una risposta simile. Ronco e Debiec, con la scoperta dell’endopeptidasi neutra podocitaria (NEP) nel 2004, confermarono questa ipotesi. La NEP è responsabile di una forma di MN alloimmune congenita che si sviluppa nei figli di donne geneticamente carenti di questo enzima, per la formazione di anticorpi anti-NEP in seguito a immunizzazione dovuta a una precedente gravidanza o dopo un aborto (Figura 3). Tali anticorpi, nell’ultimo trimestre di gravidanza, attraversano la placenta e reagendo con la NEP podocitaria fetale inducono una sindrome nefrosica congenita [6].

Figura 3: La glomerulonefrite membranosa si caratterizza per la presenza di immunodepositi IgG
Figura 3: La glomerulonefrite membranosa si caratterizza per la presenza di immunodepositi IgG a livello dello spazio compreso tra epitelio podocitario e membrana basale glomerulare (MBG). I meccanismi responsabili possono essere di tre tipi: deposizione di immunocomplessi preformati presenti in circolo, formazione in situ di immunocomplessi costituiti da anticorpi diretti con antigeni endogeni podocitari (es. Megalina, PLA2R, THSD7A) oppure diretti contro antigeni “planted” che non sono presenti normalmente a questo livello (HBV antigen).

 

PLA2R

Lo studio di Beck et al. nel 2009, dimostrando che circa il 70% dei pazienti con MN idiopatica presenta autoanticorpi circolanti diretti contro il recettore 1 della fosfolipasi A2 (PLA2R1) localizzato sulla superficie dei podociti umani, ha segnato un momento di svolta nella ricerca e nella clinica nefrologica. Questi anticorpi circolanti non si riscontrano normalmente in MN secondarie, ad eccezione di rari casi associati a Epatite B, FANS o sarcoidosi [79]. Alla biopsia renale la colorazione immunoistochimica specifica per anti-PLA2R mostra una specificità > 90% e una sensibilità di circa 80% per la diagnosi di MN primitiva. Questi anticorpi appartengono principalmente alla sottoclasse IgG4 e, come si evince dal codeposito nel glomerulo di C3, sono in grado di attivare la via lectinica del complemento [2]. Il dosaggio sierologico degli anticorpi diretti (Ab) contro i PLA2R, attualmente, riveste un ruolo fondamentale nella diagnostica e nel monitoraggio dei pazienti con MN PLA2R positiva. Studi hanno evidenziato come i livelli sierici di Ab anti PLA2R abbiano non solo un valore diagnostico, ma anche prognostico: alti livelli anticorpali all’esordio di malattia sarebbero correlati ad una minore probabilità di remissione e risposta alla terapia [10]. Nelle recenti linee guida KDIGO dedicate alle malattie glomerulari è stato sottolineato come la presenza di livelli elevati di Ab anti PLA2R correli con un alto rischio di progressiva perdita della funzione renale [11]. In letteratura è stato evidenziato come il monitoraggio del titolo anticorpale è importante sia per valutare la risposta alla terapia che per la diagnosi di recidiva di malattia, in quanto variazioni dei livelli anticorpali sierici precedono modifiche della proteinuria [12].

 

THSD7A

Nel 2014 il gruppo di Tomas e Beck ha segnato un ulteriore passo avanti nella conoscenza della patogenesi della MN, identificando gli anticorpi diretti contro la trombospondina di tipo 1 contenente il dominio 7A (THSD7A), in una popolazione di pazienti affetti MN PLA2R negativi. La THSD7A è una proteina transmembrana espressa a livello podocitario con caratteristiche strutturali e biochimiche molto simili ai PLA2R. Gli anticorpi sierici anti THSD7A appartengono alla sottoclasse IgG4. Questi anticorpi sono stati riscontrati in circa il 3-5% dei casi di MN primitiva, maggiormente frequente nel sesso maschile, con pazienti > 60 anni [13].

Studi successivi, su casistiche più ampie, hanno in realtà evidenziato come vi sia in questo gruppo di pazienti un’incidenza più alta di patologia neoplastica rispetto a pazienti con MN PLA2R positivi [14]. Servono altre indagini per verificare la presenza di un’effettiva correlazione tra questi anticorpi e le forme paraneoplastiche di MN.

 

Nuovi antigeni

Fino al 2019 sulla base del target antigenico, la MN si poteva suddividere in tre gruppi PLA2R +, THSD7A + e PLA2R/THSD7A –, rappresentando quest’ultimo gruppo circa il 20%. PLA2R/THSD7A – si osserva sia in forme primitive che secondarie di MN. Questo dato fa supporre l’esistenza di altri antigeni responsabili di MN. Grazie agli studi di Sethi alla Mayo Clinic, condotti con l’utilizzo della microdissezione laser e la spettrometria di massa (MS/MS), è stato possibile identificare nuovi antigeni associati alla MN.

La spettrometria di massa è una tecnica che consente di eseguire lo screening di un gran numero di proteine permettendo un’analisi quantitativa e quindi evidenziare eventuali “eccessi” anomali; in ambito istopatologico, ad esempio, viene utilizzata per la tipizzazione di alcune forme di amiloidosi di difficile interpretazione.

In un gruppo di pazienti con MN PLA2R negativo, con l’utilizzo della microdissezione laser, fu possibile isolare dei glomeruli e, mediante l’applicazione della spettrometria di massa, ricercare proteine sovraespresse a livello glomerulare. Una volta identificata la “proteina anomala”, fu utilizzata l’immunoistochimica per confermare l’accumulo antigenico e la sua localizzazione. Infine, mediante la microscopia confocale, si dimostrò come lo staining per la “proteina anomala” e per le IgG si sovrapponeva con il tipico pattern granulare lungo la membrana basale glomerulare [15].

Discuteremo nel dettaglio le caratteristiche dei nuovi antigeni identificati.

 

EXT1/EXT2

Esostosina1 e Esostosina2 (EXT1/EXT2) sono stati i primi antigeni individuati dal gruppo di Sethi. Sono delle glicosiltransferasi localizzate a livello del Golgi e successivamente secrete. Si tratta di enzimi eterodimerici, motivo per cui sono sempre riscontrati in associazione. È importante precisare che non sono stati ancora riscontrati degli anticorpi diretti contro EXT1/EXT2, quindi in questo caso è improprio definirli antigeni in quanto rappresentano al momento dei biomarcatori (Figura 4).

EXT1/EXT2 erano le più comuni tra le proteine analizzate con MS/MS nella coorte di pazienti MN PLA2R-negativo. I casi di MN associati a EXT1/EXT2 coinvolgono prevalentemente il sesso femminile con rapporto 4 a 1 ed età media di 35,7 anni. È stata evidenziata una stretta correlazione con le malattie autoimmuni; infatti, il 70% dei pazienti studiati presentava positività per anticorpi ANA, anti-DNAds, anti-SSA/SSB. Il 35% dei pazienti risultava affetto da Lupus Eritematoso Sistemico e il 12% presentava un disturbo misto del tessuto connettivo [16].

La biopsia renale mostrava nell’84% dei pazienti caratteristiche suggestive di MN secondaria. Alla microscopia ottica si osservava ispessimento della MBG con quadri proliferativi mesangiali ed endocapillari, e all’immunofluorescenza staining lungo le anse capillari per IgG, C3 e C1q, in alcuni casi con pattern full house. In particolare IgG1 era la sottoclasse anticorpale maggiormente rappresentata all’immunoistochimica, a differenza delle forme di MN primitive solitamente associate a IgG4. Alla microscopia elettronica erano presenti depositi subendoteliali e mesangiali ed inoltre inclusioni tubulo reticolari endoteliali. Complessivamente questi risultati suggeriscono che EXT1/EXT2 rappresentino potenziali biomarcatori o antigeni bersaglio nelle forme di MN secondaria associata a patologie autoimmuni [16, 17].

Figura 4: La microscopia ottica (a, PAS 40 x) mostra una classe V pura di Nefrite Lupica con positività all’immunoistochimica per EXT (b, EXT2 40 x)
Figura 4: La microscopia ottica (a, PAS 40 x) mostra una classe V pura di Nefrite Lupica con positività all’immunoistochimica per EXT (b, EXT2 40 x). Immagine gentilmente concessa dal Dr. Sanjeev Sethi (Mayo Clinic, Rochester, Minnesota).

 

NELL-1

Il neural epidermal growth factor-like 1 protein (NELL-1) è il secondo antigene ad essere stato individuato dal gruppo della Mayo Clinic (Figura 5). I pazienti con MN NELL-1 positiva presentano un’età media di 63 anni e vi è una uguale incidenza tra i due sessi. L’analisi di questo gruppo di pazienti non ha evidenziato associazioni con cause secondarie e anche l’aspetto istologico non mostra caratteristiche suggestive di forme secondarie. L’immunofluorescenza presenta positività per IgG e C3 lungo le anse capillari. Aspetto interessante è il riscontro di IgG1 come sottoclasse dominante, a differenza delle forme di MN PLA2R positive in cui la sottoclasse dominante è IgG4. Sono stati riscontrati anticorpi circolanti diretti contro questo antigene [16]. Studi più recenti hanno mostrato la presenza di patologia neoplastica nel 10-33%, percentuale variabile a seconda dell’età; in questi pazienti sembrerebbe che la diagnosi di MN preceda quella della neoplasia.

I casi di MN NELL-1 positivi, in assenza di associazione con cause secondarie, rappresenterebbero circa il 2,5% delle forme primitive [18, 19].

Figura 5: L’immunoistochimica specifica per NELL1 risulta positiva lungo le membrane basali glomerulari.
Figura 5: L’immunoistochimica specifica per NELL1 risulta positiva lungo le membrane basali glomerulari. Immagine gentilmente concessa dal Dr. Sanjeev Sethi (Mayo Clinic, Rochester, Minnesota).

 

SEMA3B

Le semaforine sono una famiglia di proteine secrete e transmembrana. Ne sono state identificate almeno una ventina. In particolare la semaforina 3 e i relativi recettori, a livello renale, sono stati riscontrati nelle cellule endoteliali, podocitarie e nelle cellule epiteliali tubulari. Il sottotipo 3A avrebbe un ruolo regolatorio a livello dello slit diaphragm podocitario così come la podocina. Il ruolo della semaforina 3B a livello renale è invece ancora ignoto ed al momento non è nota alcuna malattia renale in cui sia sovraespressa.

La MN associata semaforina 3B è tipica dell’età pediatrica con riscontro nel 50% dei casi al di sotto dei 2 anni di età. Talvolta, può presentarsi anche in giovani adulti con età media di 36 anni. È possibile che vi sia una componente genetica, essendo stata riscontrata in gruppi familiari. Sono stati riscontrati anticorpi circolanti diretti contro SEMA3b nei pazienti con malattia clinicamente attiva, non più dosabili con la regressione del quadro clinico.

L’importanza clinica del monitoraggio anticorpale è stata recentemente evidenziata; è stato, infatti, descritto il primo caso di recidiva di MN associata a SEMA3b, in un paziente pediatrico di 7 anni con comparsa di sindrome nefrosica, a distanza di un mese dal trapianto. La recidiva di sindrome nefrosica era stata trattata con rituximab, assistendo ad una risoluzione del quadro clinico a 5 mesi dal trapianto, con contestuale riduzione dei livelli anticorpali. La presenza di anticorpi anti SEMA3B, al momento del trapianto, sarebbe correlata ad un maggior rischio di recidiva di MN. È stato, perciò, suggerito che il monitoraggio di questi anticorpi potrebbe essere utile nella gestione terapeutica di questi pazienti [20].

All’esame bioptico non vi sono caratteristiche tipiche delle forme secondarie, i depositi di immunocomplessi sono localizzati unicamente a livello subepiteliale. L’immunofluorescenza mostra il caratteristico pattern granulare lungo la MBG per IgG e C3; la sottoclasse anticorpale dominante è IgG1. Interessante è il riscontro all’immunofluorescenza di positività per IgG oltre che a livello della MBG, anche lungo la membrana basale tubulare (TBM). La positività per SEMA3b è invece limitata ai glomeruli (Figura 6).

La diagnosi di MN associata a SEMA3b potrebbe essere sottostimata, in quanto solitamente i pazienti in età pediatrica con sindrome nefrosica cortico-sensibile non vengono sottoposti a biopsia renale [21].

Figura 6: L’immagine mostra un caso di glomerulonefrite membranosa semaforina positiva con staining lungo le anse capillari con pattern granulare (frecce).
Figura 6: L’immagine mostra un caso di glomerulonefrite membranosa semaforina positiva con staining lungo le anse capillari con pattern granulare (frecce). Immagine gentilmente concessa dal Dr. Sanjeev Sethi (Mayo Clinic, Rochester, Minnesota).

 

NCAM1

Neural cell adhesion molecule 1 (NCAM1) è una glicoproteina appartenente alla superfamiglia delle immunoglobuline. Risulta normalmente espressa, ad alta concentrazione, a livello del sistema nervoso centrale e periferico, ma anche a livello delle cellule del sistema emopoietico. Nel rene, NCAM1 è espresso soprattutto durante l’embriogenesi a livello del mesenchima metanefrogenico, riducendosi poi con lo sviluppo. Nel rene adulto l’espressione di NCAM1 è limitata alle cellule interstiziali, in prossimità della giunzione corticomidollare e in minima parte a livello podocitario. Nella fibrosi interstiziale i livelli di espressione risultano aumentati.  Studi recenti presso gli Arkana Laboratories hanno individuato NCAM1 come possibile antigene bersaglio, in un sottogruppo di pazienti affetti da nefrite lupica. La metodica di studio utilizzata è stata la stessa di quella del gruppo di Sethi, basata sulla microdissezione laser con spettrometria di massa. Nel gruppo di pazienti con nefropatia lupica è stato riscontrato un livello di espressione anomalo di questa proteina. Con l’immunoistochimica si è confermata la presenza di anticorpi diretti contro NCAM1 a livello della MBG con tipico pattern granulare. Circa il 25% dei casi presentava una classe mista con presenza di una componente proliferativa.

Aspetto interessante è che il 40% di questi pazienti è affetto da disturbi neuropsichiatrici LES relati. Meno del 10% dei pazienti affetti da MN NCAM1 positiva non presentava criteri diagnostici per LES. Sono necessari ulteriori studi per verificare possibili correlazioni fra i livelli sierici anticorpali anti NCAM1 e attività di malattia e risposta alla terapia [22].

 

PCDH7

La protocaderina 7 (PCDH7) appartiene alla famiglia delle caderine, un’ampia famiglia di proteine transmembrana coinvolte nel riconoscimento cellulare. Nel gruppo di pazienti studiato da Sethi, la MN associata a PCDH7 si presenta principalmente nei pazienti più anziani (età media 61 ± 11 anni) e non sembrerebbe associata ad un’aumentata incidenza di malattie autoimmuni o neoplastiche. Interessante è il riscontro di una minima o assente attivazione della cascata del complemento, evidenziato sia a livello bioptico che mediante la spettrometria di massa. La biopsia renale non mostra alterazioni compatibili con forme secondarie di MN. La casistica limitata non consente di individuare se via sia una chiara dominanza di una delle sottoclassi IgG. Nei pazienti con malattia clinicamente attiva è stato possibile riscontrare anticorpi circolanti anti PCDH7. In alcuni dei pazienti appartenenti a questo gruppo è stata registrata una remissione spontanea, in assenza di terapia immunosoppressiva. Sono però necessari ulteriori studi per definire se la MN PCDH7 positiva appartenga a forme di MN a prognosi favorevole con risoluzione spontanea [23].

 

HTRA1

In un recente studio, combinando le più convenzionali tecniche diagnostiche come la western blot e l’immunoprecipitazione (approcci usati in passato per l’identificazione del PLA2R e THSD7A) con l’approccio più innovativo con MS/MS, è stato possibile identificare un nuovo antigene associato a MN. Si tratta dell’High Temperature Recombinant Protein A1 (HTRA1), una serin proteasi che non presenta nell’uomo una distribuzione specifica. La MN associata a HTRA1 rientrerebbe fra le forme di MN primitiva, in base al mancato riscontro di una storia clinica positiva per malattie autoimmuni, infettive o neoplastiche. Questo è supportato anche dalle caratteristiche istopatologiche: assenza di depositi subendoteliali e mesangiali, con depositi esclusivamente subepiteliali alla ME, predominanza della sottoclasse IgG4 (come nella MN PLA2R e THSD7A positiva) e assenza di depositi C1q e full house pattern all’immunofluorescenza. La MN associata a HTRA1 interesserebbe una popolazione più anziana rispetto le altre forme primitive, con un’età media di incidenza di 67 anni.  Rappresenta circa il 4% delle forme primitive non classificate (PLA2R, THSD7A, Nell-1 negative) e circa l’1-2% di tutte le MN. È possibile che la carica anticorpale anti HTRA1 circolante correli con l’attività di malattia, analogamente alla MN PLA2R positiva; sono comunque necessari ulteriori studi su un campione di popolazione più ampio per meglio caratterizzare questo antigene [24].

 

TGFBR3

Il Trasforming Growth Factor Beta Receptor 3 (TGFBR3) è un proteoglicano transmembrana legante il TGF-β3 espresso nei podociti glomerulari, nelle cellule mesangiali ed in quelle endoteliali. I pazienti con MN associata a TGFBR3 hanno una storia di malattia autoimmune. In particolare nell’82% hanno una diagnosi di lupus eritematoso sistemico, al momento della biopsia renale. Una componente proliferativa concomitante (classe III o IV) è stata identificata nel 29,4% dei casi. Si tratta prevalentemente di donne con età media attorno ai 40 anni. La MN associata a TGFBR3 mostra caratteristiche cliniche e istopatologiche simili alle forme associate a NCAM1 e EXT1/2. Infatti i pazienti con queste tre forme di MN hanno un’età media più giovane, con maggior probabilità di esprimere più reagenti immunitari all’interno dei depositi subepiteliali (IgA, IgM, C3, C1q, pattern full-house), dovute alla stretta correlazione con malattia autoimmune, in particolar modo al LES. Analogamente a EXT1/EXT2 il TGFBR3 non può essere ancora definito un antigene target, ma solo un biomarcatore in quanto non sono stati riscontrati anticorpi sierici diretti contro questa proteina [25].

 

CONTACTIN-1

La contactina 1 (CNTN1) è una proteina di membrana ancorata al glicosilfosfatidilinositolo, espressa soprattutto a livello neuronale. È stato riportato un solo caso in letteratura di MN associato alla presenza di anticorpi anti CNTN1, in un paziente affetto da polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (CIDP). L’esame bioptico mostrava un quadro tipico di membranosa, in assenza di lesioni proliferative. All’immunofluorescenza si riscontrava positività per IgG, con classico pattern granulare, lungo le anse capillari e la sottoclasse dominante risultava IgG4; per quanto riguarda il complemento, era C1q negativa e il C3 non veniva valutato. La microscopia confocale aveva permesso di evidenziare la colocalizzazione di CNTN1 e IgG4 a livello degli immunodepositi. Erano stati riscontrati anticorpi anti CNTN1 anche a livello sierico, che progressivamente si erano ridotti in seguito a trattamento con rituximab. In letteratura era stata già riportata l’associazione tra MN e CIDP secondaria ad anticorpi IgG4 anti CNTN, ma non era mai stata dimostrata la loro presenza a livello degli immunodepositi sottoepiteliali. L’espressione di CNTN a livello glomerulare non è riportata in letteratura: è possibile che l’epitopo antigenico, riconosciuto dall’anticorpo specifico, non sia accessibile in condizioni normali. Sebbene al momento ne sia stato identificato un unico caso, è possibile che CNTN1 sia uno degli antigeni target coinvolto in un sottogruppo di MN [26].

 

Conclusioni

La scoperta di questi nuovi antigeni associati alla MN rappresenta un momento storico per la nefrologia, in quanto permette di andare oltre la tradizionale suddivisione dicotomica della MN in forma primitiva e secondaria. La MN non dovrebbe essere più considerata come una singola entità nosologica ma, piuttosto, come uno spettro di diverse condizioni patologiche (a seconda dell’antigene coinvolto), con un comune pattern di alterazioni istopatologiche, così come è avvenuto con la classificazione della glomerulonefrite membranoproliferativa.

L’individuazione di questi nuovi antigeni non solo consentirebbe un “aggiornamento” classificativo, ma permetterebbe sempre più di personalizzare l’approccio clinico-terapeutico, così come permetterebbe il monitoraggio non invasivo della malattia, attraverso il dosaggio sierico degli anticorpi coinvolti. È ragionevole ipotizzare, in un futuro, che il dosaggio anticorpale, unitamente alla clinica, possa guidare l’indicazione bioptica, e in alcuni casi selezionati sostituire la biopsia renale stessa. Sebbene questi risultati siano incoraggianti, anche grazie all’utilizzo di metodiche innovative, sono necessari ulteriori studi per caratterizzare ulteriormente gli antigeni individuati, per definire i fenotipi clinici associati e valutare approcci terapeutici specifici a seconda dell’antigene coinvolto (Tabella II).

Tipo di proteina Sito di localizzazione renale Anticorpi circolanti Sottoclassi IgG dominante Età media MN associata Associazione
PLA2R glicoproteina transmembrana podocita SI IgG4 50-60 70% forme idiopatiche
THSD7A glicoproteina transmembrana podocita SI IgG4 50-60 neoplasia
EXT1/EXT2 glicosil transferasi/proteina di secrezione reticolo endoplasmatico podocitario NO IgG1 36 malattie autoimmuni
NELL-1 protein chinasi C citoplasma epitelio tubulare SI IgG1 63 10% associato a patologie neoplastiche
SEMA3B proteina transmembrana/di secrezione cellule endoteliali, podocita, cellule epiteliali tubulari SI IgG1, no IgG4 7 tipica dell’età pediatrica
NCAM1 glicoproteina transmembrana podocita SI IgG1 e altre sottoclassi 34 Lupus
PCDH7 glicoproteina transmembrana podocita SI IgG1 e altre sottoclassi 61 mancata associazione con neoplasie o malattie autoimmuni
HTRA1 serin proteasi podocita SI IgG4 67 mancata associazione con neoplasie o malattie autoimmuni
TGFBR3 proteína transmembrana podocita NO assenza di sottoclasse dominante 40 Lupus
CONTACTIN-1 glicoproteina transmembrana podocita SI IgG4 60 polineuropatia infiammatoria
Tabella II: Caratteristiche degli antigeni noti associati alla Glomerulonefrite Membranosa.

 

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Glomerulonefrite membranosa, ongoing studies

Abstract

La glomerulonefrite membranosa rappresenta il 20% dei casi di sindrome nefrosica dell’adulto, con una incidenza annuale di 1/100.000 pazienti/anno. Negli ultimi 10 anni è stato identificato nel podocita il vero responsabile del processo patologico. In risposta a possibili triggers ambientali in pazienti geneticamente predisposti, il podocita espone epitopi antigenici (recettore della fosfolipasi A2, trombospondina tipo 1) che diventano bersaglio di autoanticorpi in grado di attivare il complemento e determinare danno della membrana basale glomerulare. Rimane incerto il meccanismo effettivamente patogenetico in queste complesse interazioni.
Da queste acquisizioni sono derivati nuovi trattamenti focalizzati sui meccanismi specifici di blocco delle vie di attivazione della malattia con l’ipotesi di superamento dei farmaci convenzionali ad attività meno specifica.
ll rituximab (Rtx), anticorpo monoclonale diretto contro il CD20 espresso dai linfociti B, è utilizzato in numerosi trials con lo scopo di bloccare la produzione di anticorpi. Il presupposto degli studi in corso deriva dal GEMRITUX trial, in cui Rtx si è dimostrato in grado di indurre remissione della sindrome nefrosica in circa il 65% dei pazienti senza un maggior rischio di eventi avversi; resta da definire lo schema terapeutico e posologico più efficace. Altri trials evidenziano nuovi orientamenti della ricerca su meccanismi di blocco specifico (belimumab) ed aspecifico (ACTH) e più occasionali segnalazioni prendono in considerazione nuove possibili opzioni terapeutiche quali l’ofatumumab, il bortezomib e l’eculizumab. Queste novità in campo patogenetico e terapeutico hanno determinato un impulso alla ricerca sui processi patologici implicati nella genesi delle nefropatie glomerulari ed avviato nuove prospettive di trattamento.

Parole Chiave: Glomerulonefrite membranosa, Rituximab, ECULIZUMAB

Background

La glomerulonefrite membranosa (GMN) è diagnosticata nel 20% dei casi di sindrome nefrosica dell’adulto, la sua incidenza annuale è di 1 caso ogni 100.000 per anno, vengono diagnosticati quindi 10.000 nuovi casi all’anno in Europa (1).

Negli ultimi 10 anni ne sono stati definiti i precisi meccanismi patogenetici che hanno aperto nuovi scenari di trattamento.

Cosa c’è quindi di nuovo e sostanziale nella nefropatia membranosa?

In sintesi la novità degli ultimi anni è che tale glomerulonefrite è una malattia del podocita che, probabilmente in risposta a stimoli ambientali non ancora chiaramente identificati e su una potenziale predisposizione genetica, espone epitopi di antigeni che diventano bersaglio di anticorpi che determinano attivazione del complemento.

Queste acquisizioni hanno avviato dal punto vista della ricerca una serie di vie per la comprensione dei meccanismi caratterizzanti lo sviluppo della malattia. Sono diventati quindi oggetto di studio i marcatori podocitari in grado di attivare il sistema immunitario, le cellule che producono anticorpi diretti contro gli antigeni esposti e la via di attivazione del complemento (23).
 

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