Abstract
La diffusione dell’ecografia in ambito nefrologico ha portato all’utilizzo di apparecchiature sempre più performanti, che hanno garantito una migliore qualità delle immagini. Questo a discapito di un rapporto segnale/rumore più sfavorevole a cui dobbiamo gli artefatti, ossia segnali spuri o falsi, originati dal rumore, che generano immagini non corrispondenti alla realtà.
L’interazione degli ultrasuoni con le strutture biologiche genera una serie di fenomeni fisici: la riflessione, la dispersione, l’assorbimento e la diffrazione. Essi sono alla base non solo della formazione dell’immagine, ma anche della formazione degli artefatti. Dette immagini, non corrispondenti alla realtà anatomica, possono essere legate all’estrema differenza di impedenza acustica delle strutture in esame, o da un’errata impostazione delle funzioni B-Mode e colordoppler. Gli artefatti possono realizzarsi sia nell’ambito dell’esame B-Mode che nel colordoppler. Può capitare siano dannosi e complicare una diagnosi, ma più spesso sono utili e patognomonici di una struttura o di una lesione. È fondamentale, quindi, che l’ecografista sappia discernere quello che è vero da quello che è artefatto: vale la regola per cui è vero tutto ciò che si ripete in tutte le scansioni con angoli di insonazione differenti, mentre può essere un artefatto ciò che non si ripropone in tutte le scansioni.
Parole chiave: Artefatti B-Mode, artefatti colordoppler, ecografia in nefrologia