Un’esperienza di donazione samaritana

Abstract

L’esigenza dei pazienti affetti da insufficienza renale cronica in terapia dialitica di intraprendere un percorso trapiantologico, pone la necessitàdi individuare delle strategie chirurgiche alternative ed efficaci a eludere il numero non sufficiente di donatori cadavere. Ciò allo scopo di permettere alla considerevole popolazione di pazienti in lista d’attesa per trapianto di rene di affrontare il percorso di cura indicato nei tempi e nelle condizioni cliniche più favorevole. In tal senso, in ambito nazionale e internazionale, si diffonde sempre più la donazione di rene da vivente in cui, un familiare o una persona emotivamente significativa per il paziente, decide di donare in favore del proprio caro sofferente. Negli ultimi anni, inoltre, alcune esperienze cliniche documentano e descrivono una peculiare modalità di trapianto di rene da vivente: la donazione samaritana, in cui il donatore non ha nessun tipo di legame, di sangue e/o affettivo, con il ricevente e compie tale gesto come puro atto di generosità senza alcun tipo di remunerazione o contraccambio. Il presente articolo, dopo una breve analisi del fenomeno attraverso la rilevazione di dati emersi da alcuni recenti studi internazionali, si propone di condividere l’esperienza diretta del Servizio di Psicologia Clinica ISMETT nella valutazione psicologica e nell’accompagnamento lungo il percorso clinico di un donatore di rene samaritano. L’esigenza di condividere tale esperienza e attivare delle riflessioni sull’argomento nasce dalla necessità di individuare delle linee guida condivise rispetto all’approccio psicologico con i potenziali candidati alla donazione di rene samaritana.

PAROLE CHIAVE: trapianto di rene, donazione d’organo da vivente, donazione samaritana, valutazione psicologica, altruismo

Introduzione

Il trapianto di rene da donatore vivente è una tecnica chirurgica ormai diffusa in ambito trapiantologico che permette di far fronte alla condizione di insufficienza renale in maniera efficace, evitando di sottoporre il paziente ai rischi psicoclinici connessi a trattamenti emodialitici prolungati. 

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