Nefrite tubulointerstiziale clozapina-indotta

Abstract

La nefrite tubulointerstiziale rappresenta una comune causa di insufficienza renale acuta, nei due terzi dei casi è associata a farmaci (per lo più antimicrobici e FANS), nel 5-10% dei casi è associata a infezioni (batteriche/virali/parassitarie), nel 5-10% dei casi è idiopatica (è il caso della TINU sindrome caratterizzata da nefrite interstiziale e uveite bilaterale, e della sindrome da anticorpi antimembrana basale glomerulare) e infine nel 10% dei casi si associa a malattie sistemiche (sarcoidosi, sindrome di Sjogren, LES). La patogenesi è basata su una risposta immune cellulo-mediata e nella maggior parte dei casi rimuovere l’agente causale è il gold standard della terapia. Tuttavia, una percentuale di pazienti, in un range variabile dal 30% al 70% dei casi, non recupera pienamente la funzione renale, a causa della rapida trasformazione dell’infiltrato cellulare interstiziale in vaste aeree di fibrosi [1].

La clozapina è un antipsicotico atipico di seconda generazione usualmente utilizzato per il trattamento della schizofrenia resistente ad altri tipi di trattamento; può causare severi effetti avversi, tra cui il più noto è una severa e potenzialmente fatale neutropenia, inoltre sono riconosciuti una serie di eventi avversi non comuni tra cui epatite, pancreatite, vasculite. In letteratura sono descritti dei casi di nefrite tubulointerstiziale acuta associata all’utilizzo della clozapina, sebbene tale complicanza sia rara.  È necessario che il personale medico che utilizza questo farmaco sia a conoscenza di questo potenziale e serio effetto collaterale [2].

Descriviamo il caso di uomo di 48 anni che sviluppò insufficienza renale acuta dopo l’inizio della terapia con clozapina.

Parole chiave: Nefrite tubulointestiziale, insufficienza renale acuta, clozapina

Case report

Un uomo di 48 venne ricoverato il primo ottobre 2020 nel reparto di Psichiatria dell’Ospedale di Vizzolo per stato delirante in nota piscosi schizoaffettiva, tale patologia era nota sin dal 2004. Nessun altro problema clinico rilevante segnalato in anamnesi. Veniva impostata all’ingresso terapia con Clozapina (mai assunta prima) titolata sino ad un dosaggio di 200 mg/die, Citalopram e Aloperidolo. In data 15/10 comparivano febbre, faringodinia e sindrome diarroica, accompagnati da rialzo degli indici di flogosi (PCR, fibrinogeno, D-dimero e ferritina). Il paziente veniva trasferito presso l’U.O. di Medicina Interna del nostro nosocomio per approfondimento diagnostico, tuttavia i dati laboratoristici e iconografici non fornivano elementi orientativi di tipo eziopatogenico. Veniva empiricamente impostata terapia con Cefriataxone e fluconazolo. Successivamente il paziente, stabile dal punto di vista clinico, veniva ritrasferito presso il Reparto di Psichiatria per titolazione della terapia con Clozapina. A questo punto si assisteva alla ricomparsa di febbre, accompagnata da marcata astenia, inappetenza e, dato nuovo, progressivo rialzo dei valori di creatinina (in ingresso paria a 0,8 mg/dl) sino ad un picco di 5 mg/dl. A questo punto nel sospetto di tossicità da farmaci la clozapina veniva sospesa e sostituita con Olanzapina.

Ecograficamente entrambi i reni presentavano aumento dell’ecogenicità corticale come nei casi di nefropatia di grado moderato, senza franche lesioni focali apprezzabili né “formazioni calcolotiche”. L’esame urine delle 24 ore mostrava una proteinuria di poco superiore al grammo. Gli esami ematici mirati ad indagare l’eziologia dell’insufficienza renale acuta mostravano esclusivamente p-ANCA positività, ma negatività dell’MPO e del PR3, nella norma il dosaggio di C3, C4 e immoglobuline, negativi ANA ed ENA. Si segnala inoltre negatività del pannello virale per epatite B, C, HIV, CMV, Toxoplasma, EBV; negativi inoltre tutti gli esami colturali effettuati su sangue e urine. Data la pandemia in corso, inoltre, sono stati più volte eseguiti tamponi N/F per ricerca di SARS-CoV-2 e tampone rettale risultati sempre negativi.

Persistendo la sintomatologia febbrile in associazione al rialzo degli indici di flogosi (PCR persistentemente elevata e leucocitosi neutrofila) e in assenza di franchi richiami d’organo, si decideva di effettuare esame PET TAC che escludeva focolai settici o lesioni neoplastiche caratterizzate da elevata proliferazione cellulare. Avendo escluso la natura infettiva/neoplastica della febbre, in considerazione dei valori di creatininemia stabilmente elevati, di proteinuria 1 grammo/24 ore e cilindruria e al sopravvenuto esito di positività di p-ANCA, si decideva di sottoporre il paziente ad agobiopsia renale sinistra ecoguidata. L’esame istologico (microscopia ottica e immunofluorescenza) mostrava una nefrite tubulointerstiziale diffusa di grado moderato-severo in assenza di lesioni glomerulari e vascolari.

Pertanto, in accordo ai colleghi psichiatri, si decideva di avviare terapia steroidea a basse dosi per os (prednisone 25 mg/die) il cui dosaggio è stato gradualmente scalato per un periodo complessivo di 2 mesi. In dimissione la creatinina si attestava su valori pari a 2,32 mg/dl e ai controlli successivi dopo 1 e 2 mesi risultava rispettivamente paria a 1,53 mg/dl e 1,22 mg/dl; si assisteva inoltre di pari passo ad una riduzione della PCR (7 mg/l) e della leucocitosi, ad una negativizzazione della proteinuria (proteinuria delle 24 ore 0,12 grammi). Si concordava con i colleghi psichiatri sulla non reintroduzione della clozapina.

 

Discussione

Ci sono quattordici case report in letteratura riguardanti l’associazione tra glomerulonefrite interstiziale e clozapina [317]. I pazienti dei report in questione sono 9 uomini e 5 donne, l’età varia da 24 a 69 anni e l’analisi dei casi dimostra variabilità nella presentazione dei sintomi dopo l’avvio della terapia in un range temporale compreso tra alcuni giorni e 3 mesi. La posologia di clozapina assunta variava da un minimo di 25 mg ad un massimo di 700 mg/die.  I sintomi comuni includevano febbre, eosinofilia e proteinuria. In sei di questi casi è stata effettuata la biopsia renale che mostrava nefrite interstiziale acuta, la clozapina fu sospesa in tutti i casi e i pazienti vennero trattati con terapia di supporto, steroidi e, in alcuni casi, emodialisi.

Nel caso nel nostro paziente i sintomi sistemici febbre e rialzo degli indici infiammatori (incremento dei globuli bianchi, eosinofilia, incremento della PCR) iniziavano a comparire circa 15 giorni dopo l’inizio della terapia, mentre la comparsa dell’insufficienza renale acuta con proteinuria circa 40 giorni dopo (Tabella e Figura 1).

Dato anamnestico Valore massimo Dopo 4 settimane Dopo 8 settimane Dopo 12 settimane
Proteinuria (g/24h) 1 0,3 0,12 0
Creatinina (mg/dl) 0,8 5 2,32 1,22 1,06
Proteina C reattiva (mg/l) 128 14 7 5
Eosinofili (x103/μl) 1,1 7,5 6,1 3,2 2,4
Tabella 1 – Figura 1. Andamento della funzione renale, della proteina C reattiva e del valore degli eosinofili durante il ricovero e il follow-up.

Ci sono circa 100 farmaci associati in letteratura alla comparsa di nefrite interstiziale acuta che includono anche diversi antibiotici (penicilline, chinolonici, Beta lattamici) che il paziente ha assunto ma successivamente alla comparsa del corteo sintomatologico.

La diagnosi di nefropatia tubulointerstiziale da clozapina sembra essere verosimile (Figura 2), anche il timing di presentazione coincide con quanto riportato in letteratura. I valori di creatinina dopo due mesi di osservazione sono scesi, senza ancora ritornare ai valori basali. Nella letteratura citata in precedenza la funzione renale ritornò al basale in sei casi, migliorò ma non tornò al basale in 5 casi, in un caso non ci furono rialzi della creatinina, mentre in due casi il follow-up non è riportato.

Il nostro caso vuole mettere in luce una seria complicanza, poco conosciuta, di un importante farmaco antipsicotico usato largamente nel trattamento della schizofrenia resistente.

Per quel che concerne la positività dei p-ANCA (con dosaggio quantitativo negativo) segnaliamo in letteratura la presenza di vasculite ANCA associata iatrogena in associazione a diversi farmaci, tra cui compare la clozapina . In particolar modo un case report giapponese [5] riporta la storia di una donna di 48 anni in terapia con clozapina che sviluppò febbre, mialgie, atralgie e rash cutaneo con positività dei p-ANCA con la necessità di avviare terapia steroidea, i cui sintomi regredirono con la sospensione della clozapina e lo steroide venne gradualmente sospeso. Nel caso del nostro paziente segnaliamo esclusivamente la positività degli ANCA senza sintomi clinici corrispettivi e in assenza di segni bioptici suggestivi. Proseguirà follow-up laboratoristico degli ANCA. Il meccanismo patogenetico con cui la clozapina induce danno tubulointerstiziale non è noto [17, 17].

Diversi studi presenti in letteratura analizzano i possibili effetti avversi della clozapina su altri organi/tessuti, in particolar modo in un recente lavoro condotto su topi sottoposti ad una dieta ad elevato contenuto di grassi si è visto che il gruppo sottoposto a terapia con clozapina rispetto al gruppo controllo sviluppava in una percentuale maggiore obesità, insufficienza renale, intolleranza glucidica, fegato steatosico e danno retinico. Inoltre, essi presentavano maggiore espressione di specie reattive dell’ossigeno e di IL-1 ed un minore livello di enzimi antiossidanti (superossidodismutasi, glutatione e catalasi). Per di più si è visto che i topi trattati con clozapina presentavano un bilancio negativo del cromo, elemento che partecipa al metabolismo delle proteine, dei lipidi e dei carboidrati ed ha effetti positivi sui pazienti obesi, nefropatici e diabetici; la maggiore percentuale di cromo è riassorbita a livello del tubulo prossimale renale, ma una certa quantità viene escreta nelle urine, i topi con danno renale mostravano una maggiore quantità di cromo urinario [18].

Figura 2a-2b. Severo e diffuso infiltrato infiammatorio interstiziale, prevalentemente linfomonocitario e plasmacellulare. Focolai di scleroatrofia tubulointerstiziale. Cilindri tubulari proteici.
Figura 2a-2b. Severo e diffuso infiltrato infiammatorio interstiziale, prevalentemente linfomonocitario e plasmacellulare. Focolai di scleroatrofia tubulointerstiziale. Cilindri tubulari proteici.

 

Conclusioni

L’utilizzo prolungato del farmaco è stato associato ad un incremento della sindrome metabolica con un conseguente aumento del rischio cardiovascolare e della mortalità.

 

Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare alla professoressa Manuela Nebuloni del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche, settore Anatomia Patologica dell’università degli studi di Milano, per la disponibilità, l’analisi dei campioni istologici e la creazione delle immagini per il completamento di questo lavoro.

 

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Insufficienza renale acuta, acidosi lattica e metformina: due casi clinici e review della letteratura

Abstract

L’acidosi lattica è un potenziale evento avverso collegato alla terapia con metformina. Sebbene l’acidosi lattica associata a metformina (MALA) sia una condizione rara (circa 10 casi/100.000 pazienti/anno), di casi ne continuano ad essere riportati, con una mortalità del 40-50%. Descriviamo due casi clinici con gravissima acidosi metabolica, iperlattacidemia e insufficienza renale acuta, il primo anche con NSTEMI trattati con successo.

Parole chiave: acidosi lattica, metformina, insufficienza renale acuta.

Introduzione

La metformina è un farmaco di prima scelta nel trattamento del diabete mellito tipo 2. Sicura e facile da usare, essa rappresenta l’ipoglicemizzante orale più prescritto al mondo. Immessa in commercio nel 1961, la molecola è ancora oggi indicata dalle linee guida internazionali come il primo antidiabetico da impiegare per la terapia orale del diabete tipo 2 (non-insulino-dipendente) e dunque è considerata sicura, ma una possibile complicanza legata al suo utilizzo è l’acidosi lattica [1]. La metformina è controindicata nei pazienti affetti da severa disfunzione epatica o renale e una velocità di filtrazione glomerulare (VFG) <30 ml/min/1,73m2 rappresenta la soglia per la sua interruzione. Il rischio di acidosi lattica è più alto nei pazienti molto anziani e in quelli con disfunzione circolatoria, come l’insufficienza cardiaca congestizia. Sebbene l’acidosi lattica associata a metformina sia un’evenienza rara (prevalenza di 1-5 casi su 100.000 pazienti) la mortalità è pari al 40-50%. A causa della sintomatologia variegata e aspecifica, l’acidosi lattica associata a metformina è spesso difficile da predire e diagnosticare. È comunque noto che la MALA si verifica in presenza di un alterato rapporto tra aumentata produzione e alterato metabolismo/clearance di lattato [2].

 

Caso clinico n.1

Donna di 76 anni, con diabete mellito tipo 2, trattato con metformina. Non nota I.R.C. Giunge in pronto soccorso tramite il servizio di emergenza e accolta in codice rosso. Si presenta soporosa, ipotesa, anurica. Inoltre, da 7 giorni presentava sintomi di vomito e inappetenza. In anamnesi: ipertensione arteriosa, diabete mellito di tipo 2, fibrillazione atriale e scompenso cardiaco cronico. La creatininemia un mese prima era di 1,14 mg/dl. Al monitor bradicardia spinta con f.c. 20 bpm circa P.A. non apprezzabile, t.c. 33°C, f.r. 13 atti/min., SO2 non apprezzabile, arti freddi. Agli esami: creatinina 11,04 mg/dl, potassio 6,3 mmol/l, glicemia 685 mg/dl, grave acidosi metabolica (pH 7,05, PCO2 27 mmHg, PO2 68 mmHg, HCO3- (c) 9,4 mmol/l, BEecf -19,5 mmol/l, lattati 15.8 mmol/l). La paziente è stata trattata con infusione di liquidi, bicarbonato di sodio e supporto aminico; intubata e ventilata. Inoltre è stato impiantato P.M. temporaneo per via femorale destra ed eseguito PTCA/DES su CDX distale per NSTEMI. Per la persistenza di condizioni gravi, nonostante la terapia medica, il nefrologo chiamato in consulenza urgente ha dato indicazione al trattamento dialitico. Dopo le prime due sedute di bicarbonatodialisi si assisteva al miglioramento dell’emogasanalisi (EGA) e alla ripresa della diuresi; dopo 48 ore l’acidosi metabolica risultava risolta, è stata quindi sospesa la dialisi e la paziente è stata estubata il terzo giorno. Dimessa dopo 14 giorni con valori di creatininemia di 1,5 mg/dl.

Nel caso descritto, in particolare per la gravità dell’acidosi (pH di 7,05), la terapia medica e l’utilizzo della dialisi hanno dimostrato ottima efficacia nel ripristinare l’equilibrio metabolico, con ripristino dei parametri emodinamici ed EGA già dopo 24 ore, fino a completa correzione dopo 48 ore, consentendo l’interruzione della dialisi. La rapidità della diagnosi e dell’inizio del trattamento sostitutivo hanno avuto un importante impatto sulla prognosi della paziente.

Grafico 1: Caso clinico n.1: variazione dei principali parametri ematochimici pre- e post- trattamento dialitico.
Grafico 1: Caso clinico n.1- variazione dei principali parametri ematochimici pre- e post- trattamento dialitico.

 

Caso clinico n.2

Donna di 78 anni con anamnesi di cardiopatia ipertensiva, diabete mellito tipo 2 e pregresso intervento di colecistectomia per litiasi biliare. La terapia domiciliare comprendeva acido acetilsalicilico 100 mg die, ramipril 5 mg die e metformina cp 850 mg due volte/die. Si presenta in P.S. per sintomatologia algica addominale, vomito da circa 5 giorni, calo ponderale e oligo-anuria. I parametri all’ingresso erano i seguenti: P.A. 165/80 mmHg; F.C. 88 bpm; SO2 97% (Aria/Ambiente). Gli esami di laboratorio evidenziavano: urea: 167 mg/dl; creatinina: 8,70 mg/dl; amilasi e lipasi nei limiti della norma; PCR: 9,89 mg/l; leucociti: 18,11 × 10^3/μl. L’EGA segnalava un quadro di gravissima acidosi metabolica: pH 6,64, PCO2 14 mmHg, PO2 120 mmHg, lattati 10,8 mmol/l, BECF -26,7, HCO3-(c) 3,6 mmol/l, HCO3 st 6,3 mmol/l.

La paziente esibisce esami di 1 mese prima che evidenziavano una normofunzione renale con creatininemia di 1,13 mg/dl, urea 15 mg/dl.

È stata trattata con infusione di liquidi e bicarbonato di sodio, ma le infusioni di bicarbonato di sodio all’8,4% (3 × 100 ml) non avevano effetto sui livelli sierici di bicarbonato, mentre il lattato sierico

ha continuato a salire fino a un massimo di 23 mmol/l. Dunque, per l’insuccesso della terapia medica si è rapidamente intrapreso il trattamento sostitutivo della funzione renale in Acetate Free Biofiltration (AFB) con infusione di bicarbonati 2000 ml/h per 4 ore, flusso ematico di 250 ml/min, dopo aver posizionato un catetere temporaneo per emodialisi (HD) in giugulare interna destra sotto guida ecografica; dopo le prime 24 ore si assisteva al miglioramento dell’EGA e alla ripresa della diuresi; dopo 48 ore l’acidosi metabolica risultava risolta, è stato sospeso il trattamento AFB (acetate free biofiltration ). Dimessa dopo 14 giorni con valori di creatininemia di 1,5 mg/dl e miglioramento netto delle condizioni generali. Nel caso descritto, particolare per la gravità dell’acidosi (pH di 6,64), la terapia medica e l’utilizzo dell’AFB hanno dimostrato ottima efficacia nel ripristinare l’equilibrio metabolico, con miglioramento notevole dei parametri emodinamici ed EGA già dopo 24 ore, fino a completa correzione dopo 48 ore, consentendo l’interruzione del trattamento sostitutivo. La rapidità della diagnosi e dell’inizio dell’AFB hanno avuto un importante impatto sulla prognosi della paziente.

Grafico 2: Caso clinico n.2: variazione dei principali parametri ematochimici pre- e post- seduta AFB.
Grafico 2: Caso clinico n.2 – variazione dei principali parametri ematochimici pre- e post- seduta AFB.

 

Discussione

La metformina è una biguanide utilizzata sempre più frequentemente negli obesi affetti da diabete mellito di tipo 2 e nel trattamento della sindrome dell’ovaio policistico.

Un effetto collaterale importante, a seguito del suo impiego, è l’insorgenza di acidosi lattica che porta a morte in circa il 50% dei casi. Questo grave disordine metabolico, considerato raro fino a poco tempo fa, sta diventando ora più frequente vista l’ampia diffusione del farmaco; poiché la metformina viene eliminata per il 90% con le urine, l’insorgenza di insufficienza renale è una delle cause più frequenti del suo accumulo. La metformina causa acidosi lattica attraverso due meccanismi: modificando il metabolismo intracellulare da aerobico ad anaerobico e sopprimendo la gluconeogenesi derivante dal lattato.

L’acido lattico è un normale metabolita, prodotto dalla glicolisi anaerobica per riduzione del piruvato. La sua produzione è dell’ordine di circa 1 mmol/kg/h, pari a oltre 1500 mmol al giorno, per una concentrazione di 0,6 e 1 mmol/l, rispettivamente a livello arterioso e venoso. Sebbene il lattato venga prodotto da tutti i tessuti, i maggiori siti responsabili della sua produzione sono il muscolo scheletrico, il cervello, i globuli rossi e la midollare renale. Il lattato può andare incontro a due destini: riconversione a piruvato oppure escrezione da parte dei reni. Sebbene sia liberamente filtrato dai glomeruli renali, il lattato è perlopiù riassorbito nel tubulo prossimale. Normalmente, meno del 2% viene escreto nelle urine. Il piruvato è il precursore immediato, e unico, del lattato. Esso è prodotto nel citoplasma primariamente dal metabolismo del glucosio nella glicolisi (Fig. 1).

Figura 1: la glicolisi è la via metabolica che converte il glucosio in due molecole di piruvato, generando energia sotto forma di ATP.
Figura 1: la glicolisi è la via metabolica che converte il glucosio in due molecole di piruvato, generando energia sotto forma di ATP.

In presenza di ossigeno, il piruvato entra nei mitocondri ed è sottoposto a decarbossilazione ossidativa, per dare l’acetil-coenzima A e, infine, CO2 e acqua. La piruvato deidrogenasi (PDH) è l’enzima mitocondriale limitante nell’ossidazione del piruvato. Questo processo genera 36 moli di ATP e richiede NAD+. Il piruvato può anche prendere la strada del ciclo di Cori, nel fegato e nella corteccia renale, per essere riconvertito in glucosio. In condizioni di ipossia, il piruvato non può entrare nel mitocondrio e viene convertito a lattato, secondo un equilibrio dinamico fondato sul rapporto NADH/NAD+ e sulla concentrazione del piruvato stesso (Fig. 2). Solo 2 moli di ATP vengono generate da ogni mole di glucosio convertito in lattato.

Il fegato e i reni rispondono del 60% e 30%, rispettivamente, della clearance del lattato, sebbene la clearance dei lattati non correli con la funzione renale.

Figura 2: Ciclo di Cori: il lattato dal muscolo raggiunge per via ematica il fegato dove è riconvertito in glucosio, il quale a sua volta, rilasciato dagli epatociti, raggiunge il muscolo per la produzione di energia. 
Figura 2: Ciclo di Cori – il lattato dal muscolo raggiunge per via ematica il fegato dove è riconvertito in glucosio, il quale a sua volta, rilasciato dagli epatociti, raggiunge il muscolo per la produzione di energia.

L’acidosi lattica si verifica quando la produzione del lattato eccede il suo utilizzo. Crisi di grande male o esercizio fisico intenso sono esempi di incremento transitorio della produzione di lattato, che si associa con acidosi; in queste circostanze, il lattato è prontamente metabolizzato e l’acidosi risolta. Nella maggior parte delle acidosi lattiche clinicamente significative, comunque, non solo si ha una iperproduzione di lattato, ma esiste anche un’alterazione nel suo utilizzo. L’ipossia e l’ipoperfusione determinano un ridotto uptake del lattato a livello epatico, e il fegato diventa un sito di produzione del lattato stesso. Pertanto l’uso del farmaco deve essere guidato dall’estrema cautela sia nelle condizioni  che rafforzano la glicolisi anaerobica (infezioni, scompenso cardiaco e/o respiratorio) sia in quelle che favoriscono l’accumulo nel siero di lattato e/o del farmaco (insufficienza epatica e renale) [3] e ciò anche in considerazione del fatto che la grave acidosi metabolica può precipitare la sindrome coronarica acuta in virtù di un calo dell’utilizzo di energia [4] nonché alterando la contrattilità miocardica e provocando venocostrizione con congestione vascolare centrale, vasodilatazione arteriosa e resistenza agli effetti vasocostrittori delle catecolamine, specialmente quando il pH è 7,10-7,20 [5]. Gli effetti negativi sull’apparato cardiovascolare influenzano l’outcome  e “come validato da studi su modelli animali e su preparati di miocardiociti umani la riduzione della contrattilità cardiaca sembra addebitabile alla compromissione dei legami actina-miosina, all’interferenza nel rilascio di ioni calcio o alla ridotta responsività delle proteine contrattili allo stesso ione” [6, 7].

Il trattamento dell’acidosi lattica da metformina richiede talvolta una terapia di supporto alla stabilità emodinamica ma è fondamentale la correzione dello squilibrio acido-base, l’eliminazione del farmaco e la rimozione delle cause precipitanti.

Sebbene vengano spessissimo utilizzate soluzioni di bicarbonato, il loro uso è ancora controverso in letteratura. Infatti il bicarbonato viene metabolizzato a CO2 e acqua comportando un consumo di protoni cui segue diminuzione del pH intracellulare, aumento del lattato sierico, spostamento a sinistra dell’ossiemoglobina, e inoltre non è noto esattamente se il bicarbonato migliori veramente endpoint clinicamente rilevanti [9, 10].

La terapia sostitutiva della funzione renale si inserisce a pieno titolo nella terapia dell’acidosi lattica da metformina poiché si tratta di una piccola molecola (165 Da) con un basso legame farmaco-proteico e pertanto dializzabile. Inoltre, la terapia sostitutiva della funzione renale comporta diminuzione dei lattati e correzione del pH ematico [11].

Sia l’emodialisi standard a bicarbonato che l’emodialisi veno-venosa continua (CVVHD) possono essere usate, ma la letteratura segnala nella seconda metodica una clearance della metformina inferiore a quella in HD, e pertanto la CVVHD deve essere riservata ai solo pazienti instabili che non tollerano l’HD convenzionale [13].

Per quanto riguarda l’AFB (metodica utilizzata nel secondo caso descritto) abbiamo osservato una più veloce correzione dei parametri già con una seduta e la riteniamo metodica da preferisi poiché permette “l’infusione di grossi quantitativi di bicarbonati in brevissimo tempo, con progressiva correzione dell’acidosi metabolica e successiva stabilizzazione dell’emodinamica cardiaca e dei valori pressori” [12].


Conclusioni

L’acidosi lattica è una acidosi metabolica ad anion gap aumentato spesso associata all’uso della metformina ed a insufficienza renale acuta necessitante di trattamento sostitutivo della funzione renale. Essa è causa di elevata mortalità ed ulteriori studi sull’uomo sono necessari. Negli ultimi decenni, sono state rese disponibili per il trattamento dei pazienti con diabete di tipo 2, compresi quelli con funzionalità renale compromessa, diverse nuove classi di farmaci anti-iperglicemici, e alcuni di questi agenti hanno dimostrato una protezione cardiorenale [8]. Si ritiene quindi utile lo shift dalla metformina ad altri presidi farmacologici antidiabetici a partire dai 70 anni di età al fine di proteggere gli anziani da questa potenziale gravissima complicazione sempre osservata in anziani.

 

Bibliografia

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  13. Antonio Pontoriero, Antonino Saporita, Carlo Alberto Ricciardi, Biagio R Ricciardi. Metformina e Diabete: ha ancora senso un suo utilizzo nei paz. con IRC II stadio o rappresenta un ulteriore fattore di rischio? G Ital Nefrol 2018 – ISSN 1724-5990 – © 2018 Società Italiana di Nefrologia – Publisher OSC.

Droghe d’abuso e rene

Abstract

Presentiamo un caso di insufficienza renale acuta con necessità di Trattamento dialitico in un paziente tossicodipendente in terapia di mantenimento con Metadone.

Il caso ci consente di analizzare gli effetti renali delle principali droghe di abuso, sottolineando lo spostamento avvenuto dalle quattro “vecchie sorelle” (ovvero Marijuana, Cocaina, Eroina e Anfetamine) alle nuove droghe sintetiche (soprattutto Catinoni e Cannabinoidi sintetici) con i problemi di grande diffusione, facile ottenimento, mancata regolamentazione e difficile riconoscimento analitico che sollevano importanti interrogativi medici e legali. Dal punto di vista del Nefrologo è fondamentale alzare la guardia per fare emergere questo tipo di patologia ed estendere le indagini cercando comunque di riconoscere le sostanze potenzialmente in causa.

Parole Chiave: Danno renale acuto; Insufficienza renale acuta; Droghe d’abuso; Rabdomiolisi

Introduzione

Per definire i rapporti tra droghe di abuso e rene è  necessario innanzitutto caratterizzare e definire le proprietà delle sostanze di cui andiamo a trattare. Come vedremo per alcune di queste i confini tra farmaco e sostanza di abuso sono labili, definiti  talora soltanto dal setting di utilizzo della sostanza.

Cerchiamo allora per un primo inquadramento di utilizzare gli strumenti moderni di ricerca medica  che utilizziamo ogni volta che facciamo una ricerca bibliografica.

Se utilizziamo PubMed con la definizione di ingresso di “street drugs/recreational drugs” il vocabolario MESH ci restituirà “Illicit Drugs” e spiegherà che si tratta di “sostanze prodotte, ottenute  o vendute illegalmente”,  sottolineandone poi la frequente “grossolana  impurità fonte di tossicità inaspettate” [1].  Il termine è stato introdotto fin dal 1977, ma la voce è stata modificata recentemente  (2020) eliminando i riferimenti alle motivazioni che inducono all’ uso in precedenza riportate nella definizione, concentrandosi sulla illiceità di tali sostanze.  Il termine precisa inoltre che la natura illegale può scaturire anche dal fatto di essere farmaci forniti in assenza di prescrizione. Da questo punto di vista nella letteratura si può distinguere in effetti un utilizzo improprio (“misuse” di farmaci prescritti , ad esempio analgesici, in dosi non appropriate) da un abuso  (“abuse” cioè l’uso ai fini di ottenere un effetto psicotropo: euforia o alterato stato mentale o evitare la crisi di astinenza).

Il sito italiano dei Carabinieri, quindi di una capillare forza pubblica impegnata nella prevenzione e repressione del fenomeno, riporta la definizione WHO che definisce sostanze stupefacenti “sostanze di origine vegetale o sintetica che agendo sul sistema nervoso centrale provocano stati di dipendenza fisica e/o psichica” sottolineando quindi l’ effetto centrale ed i fenomeni di dipendenza e tolleranza [2]. A partire dall’ effetto sul SNC ne deriva la suddivisione in droghe deprimenti, stimolanti ed allucinogene (tabella 1).

OPPIACEI

STIMOLANTI DEPRESSIVI ALLUCINOGENI CANNABIS e derivati

Oppio

Cocaina

Barbiturici Mescalina Marijuana
Morfina Amfetamine Tranquillanti L.S.D. Hashish
Eroina Crack 2,5-Dimethoxy-4-methylamphetamine

(DOM)

Olio di hashish
Metadone Ecstasy o M.D.M.A.

Tabella 1 (modificata da http://www.carabinieri.it)

L’alcool etilico ha un ruolo di primo piano essendo una droga legale, socialmente accettata, con una diffusione amplissima ed una severa sequela di patologie principalmente a carico del SNC ed epatiche, ma anche cardiache e, con minore impatto e meno sottolineate, renali [3; 4].

 

Il caso clinico

Maschio di 37 anni seguito dal SERT in trattamento con Metadone.  A domicilio comparsa di febbre ed agitazione psicomotoria con possibile crisi comiziale che lo induce a presentarsi in Pronto Soccorso. Esegue TC cranica priva di reperti patologici. All’ EEG: discreti segni di sofferenza encefalica diffusa; assenza di grafoelementi irritativi tipici. Gli esami urgenti eseguiti evidenziano  glicemia 271 mg/dl, Urea 21 mg/dl, creatininemia 1,1 mg/dl; sodiemia 138 mEq/l, potassiemia  3,64 mEq/l;  bilirubina totale 0,52 mg/dl; AST (GOT)  22 U/l; ALT (GPT) 19 U/l; PCR 3,2 mg/l. Veniva inoltre eseguita una rachicentesi  (rivelatasi un poco indaginosa) che al esame chimico-fisico mostrava un liquor torbido, rosato;  glucosio 96 mg/dl, proteine 107 mg/dl, con 75/ul elementi nucleati per il 72% polinucleati e 28% mononucleati (insieme con la segnalazione di numerose emazie e possibili elementi figurati dal sangue per probabile contaminazione).  Il colturale era poi risultato negativo mentre la colorazione di Gram mostrava emazie (++) e leucociti (+). La Nested Multiplex PCR per batteri (Pneumococco, Meningococco, Streptococcus Agalactiae, Listeria, E.Coli, Haemofilus Influenzae), per virus (CMV, Enterovirus, Herpes Simplex 1 e 2, Human Herpesvirus 6, Human parechovirus, Varicella Zoster)  e Torula Neoformans era negativa.

Le sierologie per Borrelia e per HCV risultavano negative mentre del pattern per il Virus B della Epatite erano positivi soltanto gli anticorpi anti HBsAg ad alto titolo (858 mUI /ml), esito di verisimile vaccinazione.

Ricoverato in Reparto semiintensivo già il giorno seguente,  a diuresi conservata,  la creatininemia saliva rapidamente (5,45 mg/dl); Urea 65 mg/dl; AST (GOT) 133 U/l; ALT (GPT)  33 U/l; PCR 49,9 mg/l; Procalcitonina 0,81 ng/ml; CK totali 12615 U/l; Mioglobina 11414,5 ug/l. Il quadro era a questo punto suggestivo di una sepsi e diagnostico di rabdomiolisi associata inducendo ad iniziare una una CRRT isovolemica previo cateterismo venoso femorale. Un esame a fresco del sedimento urinario da parte del Nefrologo mostrava massiva cristalluria di urati con presenza di cellule tubulari molto danneggiate spesso raccolte a formare cilindri; l’esame chimico-fisico urinario mostrava marcata positività per  emoglobina in assenza di emazie.

Già in Pronto soccorso era stati eseguiti i dosaggi di Benzodiazepine urinarie (1264 ng/ml; coerenti con la terapia della crisi convulsiva), Metadone urinario (>1000 ng/ml; coerente con la terapia cronica in atto), Cannabinoidi urinari (>100 ng/ml; <50 negativo) mentre negative risultavano le ricerche urinarie di Oppiacei, Cocaina, Barbiturici e Anfetamine.

Il giorno seguente gli indici di miolisi apparivano in ulteriore incremento (CPK 75218 U/l; mioglobinemia 11414,5 ug/l; AST (GOT) 565 U/l) con quadro emodinamico stabile e diuresi attiva in terapia con diuretico.

In terza giornata proseguendo CRRT creatininemia 4,43 mg/dl; Urea 64 mg/dl; AST (GOT) 495 U/l; ALT (GPT) 127 U/l; CK Totali 49818 U/l; Mioglobinemia 6910 ug/l. PCR 25 mg/l. Hb 10,1 g/dl; GB 15000/ul.

In quinta giornata proseguendo terapia sostitutiva con HD intermittente veniva trasferito in Nefrologia  ed in 8^ giornata veniva sottoposto ad agobiopsia renale sx ecoguidata real time: la manovra era priva di complicanze.

Questa mostrava frustoli di parenchima renale comprendenti, nei vari livelli istologici esaminati, sino a 27 glomeruli con aspetti ischemici e congesti. Il quadro morfologico era dominato (Fig.1) da fenomeni di necrosi tubulare con aspetti rigenerativi, detriti cellulari endotubulari ed un intenso infiltrato tubulo/peritubulare linfo-monocitario ed eosinofilo in presenza di cilindri pigmentati (mioglobina).  Minima fibrosi interstiziale. I vasi arteriosi, specialmente quelli di piccolo calibro, presentano note di ispessimento parietale. L’esame tramite immunofluorescenza diretta (IFD) ha evidenziato alcuni aspetti aspecifici (deboli depositi capillari di IgA e focali deboli depositi capillari di C3 e IgM) ed è apparso negativo per C1q, C4, IgG e per le catene leggere (Kappa e Lambda). L’insieme dei reperti, anche in considerazione dei dati clinici, appare riferibile ad una necrosi tubulare acuta (esotossica) associata a mioglobinuria.

Seguiva una breve fase poliurica con miglioramento della funzione renale che consentiva la sospensione del trattamento dialitico e la rimozione del cvc femorale. Il decorso ulteriore era complicato da una broncopolmonite basale destra trattata la quale in 20^ giornata veniva dimesso con creatininemia 2,0 mg/dl. A 30 giorni dalla dimissione la creatininemia era 1,24 mg/dl e l’ esame urine era privo di alterazioni.

Il caso presentato è insieme classico di una frequente forma di tossicità renale in corso di abuso di sostanze psicotrope (NTA con cilindruria in corso di mioglobinuria) ma negative erano le ricerche delle droghe d’abuso più classiche coinvolte in questi quadri (Oppiacei, Cocaina, Anfetamine).

Cerchiamo prima di tutto di esaminare le sindromi renali associate all’abuso di droghe.

 

OPPIACEI:

Dalla incisione della capsula immatura del papavero da oppio (Papaver Somniferum), originario della Anatolia, si ottiene un lattice che si rapprende all’ aria formando una massa gommosa brunastra che può essere formata in pani o per ulteriore essicazione trasformata in polvere: è questo l’oppio grezzo il cui primo uso medico era stato il trattamento della dissenteria. L’ oppio grezzo può già essere fumato senza ulteriori trasformazioni e questo utilizzo si era diffuso principalmente in oriente nel XVIII° secolo; esso contiene circa una trentina di alcaloidi naturali, di cui il più potente è la morfina (estratta da Sertürner nel 1806). La sua azione è mediata dal legame a recettori specifici nel SNC (Recettori Oppioidi i cui normali ligandi sono i cosiddetti oppioidi endogeni: endorfine, encefaline e dinorfine) appartenenti a tre tipi diversi (m, il principale;  k e d). La morfina può essere sottoposta ad un processo chimico di acetilazione ottenendo la diacetil-morfina o Eroina che si caratterizza per la maggiore liposolubilità con più rapida penetrazione nel tessuto nervoso con intenso effetto psicotropo. Il Metadone, oppioide sintetico, è caratterizzato da efficacia per via orale analoga alla morfina e lunga durata di azione nella soppressione dei sintomi da astinenza; la crisi da astinenza di questo farmaco è a sua volta caratterizzata da sintomi più lievi ma di maggiore durata.  I farmaci morfinosimili inducono analgesia, sonnolenza, cambiamento del umore e obnubilazione; alcuni provocano euforia. La prima somministrazione di morfina può essere peraltro spiacevole associandosi a nausea e vomito. Sono caratterizzati da tolleranza e dipendenza fisica; la intossicazione acuta da coma, miosi pupillare e depressione respiratoria.

L’ Eroina, principale oppiaceo di abuso, non ha applicazioni terapeutiche; per la sua assunzione può essere sniffata, assunta per os, fumata, iniettata in vena da sola o associata alla cocaina, iniettata sottocute (skinpopping). Data la sua linea di produzione completamente illegale si caratterizza per la impurità sia chimica per la presenza di additivi ed adulteranti (mannitolo, saccarosio, glucosio, lattosio, caffeina etc.) che microbiologica con possibilità di trasmettere nel uso parenterale Epatite B e C, HIV, endocarditi batteriche e fungine, infezioni cutanee e sepsi da piogeni.

Le complicanze renali del uso di oppiacei sono numerose (tabella 2) e comprendono la Rabdomiolisi con insufficienza renale acuta in corso di mioglobinuria; questa è in genere determinata dalla perdita di coscienza con lunga permanenza a terra con ischemia dei muscoli, vasi muscolari e nervi sottoposti a pressione diretta.

Quadri renali associati con l’abuso parenterale di Eroina:

1)  Glomerulosclerosi Focale e Segmentaria (FSGS) 5) Nefrite interstiziale (anche granulomatosa)
2)  Glomerulonefrite Membrano Proliferativa (MPGN) 6) Amiloidosi
3)  Glomerulonefrite a lesioni minime 7) Vasculiti
4)  Glomerulonefrite a depositi mesangiali di IgA 8) IRA mioglobinurica
Tabella 2: Quadri renali segnalati in letteratura come associati al abuso parenterale di eroina

Tuttavia i quadri renali segnalati sono tanti e diversi e tra essi è interessante rivalutare la storia della glomerulonefrite associata (Heroin Associated Nephropathy o HAN), una forma  ampiamente proteinurica con sindrome nefrosica descritta per la prima volta nel 1970 [5]. Nell’abstract erano riportati tre casi (2 eroinomani ed un cocainomane) con apparenti lesioni minime; successivamente ad una seconda biopsia uno sviluppa una glomerulonefrite membranosa.

Le segnalazioni  successive mostrano tuttavia quadri di volta in volta diversi: GNMP con depositi di IgM e complemento, GN con aspetti di GN  acuta, GSFS, glomerulosclerosi  globali.

Dal punto di vista clinico quando strettamente definita si caratterizzava per una massiva proteinuria, più spesso con S. Nefrosica, che compariva  dopo protratto uso di eroina (anni). Si trattava di una forma resistente alla terapia immunosoppressiva, spesso con presenza all’ esordio di IRC e rapida evoluzione verso l’ uremia in 6-48 mesi.

In realtà nel tempo la descrizione della HAN deviava decisamente tra le due sponde del Atlantico.

Negli Stati Uniti viene segnalata con grande prevalenza in questo quadro una  GSFS; si tratta soprattutto di pazienti di razza nera [6]. Il quadro appare  privo di aspetti proliferativi, di solito senza depositi immuni ma talora con IgM e C3 focale e segmentario. Un ulteriore confondente viene ad essere in seguito la positività HIV.

In Europa viceversa a prevalere è una GNMP [7]; si tratta di pazienti di razza bianca, caratterizzati da positività per HCV, talora HBsAg ed HIV.

Nel tempo si è assistito alla scomparsa quasi completa alla fine degli anni ’80 dei casi di HAN. A ciò avrebbero contribuito l’ epidemia di HIV con l’ incremento di casi di HIVAN, le misure igieniche correlate all’ HIV stessa, la migliore purezza della eroina, il riconoscimento che le forme di GNMP in pazienti HCV + erano evidentemente correlate all’ infezione (crioglobulinemiche o meno che fossero) [8].

Dagli studi sperimentali effettuati nel tempo emerge che le cellule mesangiali  non sono in grado di metabolizzare l’ eroina [9]; tuttavia la morfina riduce l’ attività delle 72 kDa metalloproteinasi riducendo la degradazione della matrice mesangiale, stimola la proliferazione delle cellule mesangiali e la sintesi di collagene [10]. Riduce l’ efficacia della fagocitosi delle macromolecole ed aumenta la deposizione di IC nel mesangio [11].

Un’altra rara complicanza renale del abuso parenterale di oppiacei  severamente proteinurica e di solito con IRC evidente già all’ esordio è la Amiloidosi; si tratta di una Amiloidosi AA associata ad infezioni croniche,  soprattutto cutanee negli  “Skin Poppers”. La prognosi è pessima sia dal punto di vista del rene che per quanto riguarda la sopravvivenza complessiva [12] con il 65% dei pazienti in dialisi entro un mese dalla diagnosi ed una mortalità per sepsi vicina al 50% con una mediana di sopravvivenza di 19 mesi.

Un nuovo problema emergente nasce ora dalla prescrizione medica di farmaci psicotropi , benzodiazepine ma anche  oppiacei per il trattamento del dolore,  in pazienti anziani  che tende a trasformarsi successivamente in abuso [13]. Si tratta più spesso di donne anziane, che vivono sole con molteplici problemi di salute e spesso trattate con polifarmacia, talora con precedenti psichiatrici.

La riduzione del filtrato glomerulare in questo quadro può essere un fattore aggravante se si confronta l’uso dei FANS vs l’uso degli oppiacei, associato con un aumento delle ospedalizzazioni e della mortalità complessiva [14].

 

COCAINA:

Estratta dalle foglie di un arbusto sudamericano, più esattamente Boliviano,  (Erytroxylon Coca) è attualmente la droga più usata negli USA.

Si calcola che 23 milioni di americani l’abbiano provata almeno una volta; 3,6 milioni sarebbero i consumatori abituali. Uno studio sulla popolazione universitaria ha mostrato un 6% di users [15].

Possiamo distinguere due forme di Cocaina: la Cocaina Idrocloruro, solubile in acqua e instabile al calore, somministrabile per via orale, endovenosa e per inalazione e la Cocaina alcaloide (Freebase, Crack),  ottenuta per alcalinizzazione del sale,  non idrosolubile e stabile al calore che deve essere fumata. La prima inizia il suo effetto in 1-5 minuti e raggiunge il picco in 20-60 minuti mentre il Crack inizia il suo effetto in secondi raggiungendo il picco in un minuto.

La Cocaina agisce con effetto simpaticomimetico per blocco del reuptake di Dopamina per combinazione col recettore deputato al riassorbimento per cui il mediatore resta nello spazio sinaptico più a lungo prolungando così l’effetto dopaminergico sulla cellula postsinaptica [15].

L’attivazione simpatica si traduce in un effetto stimolante ed euforizzante.

Ne possono conseguire effetti collaterali importanti a livello sistemico (tachicardia, ipertensione arteriosa, tachipnea, ipertermia, midriasi, agitazione, delirio, reazioni psicotiche) Cardiaco (Scompenso ventricolare sx, Endocardite, Miocardite, dissecazione aortica, Infarto, aritmie, arresto cardiaco) Neurologico (agitazione, iperattività, TIA, Ictus, convulsioni)  Respiratorio (edema polmonare acuto, ipertensione polmonare, polmonite interstiziale, emorragie, infarti) del Tratto Gastroenterico (ischemia mesenterica, epatite, necrosi epatica) Vascolari (vasculiti, trombosi, tromboflebiti) e, non ultima, la Rabdomiolisi [16].

A livello Renale gli effetti della Cocaina sono mediati dal rilascio di catecolamine e dal incremento dello stress ossidativo che aumentano il fabbisogno metabolico mentre la contemporanea attivazione del RAS e del sistema delle endoteline e la inibizione della vasodilatazione indotta da Ossido Nitrico induce un vasospasmo e conseguente ischemia; su questo si sovrappone ed integra un effetto procoagulante e di aggregazione piastrinica attivati attraverso incremento del trombossano  e riduzione della antitrombina III.

La cocaina è in effetti un potente vasocostrittore che agisce attraverso la inibizione centrale dell’ uptake sinaptico di catecolamine, il blocco del re-uptake di noradrenalina nelle terminazioni periferiche ed il rilascio di catecolamine dalla midollare surrenale.

Non sorprende allora che nel quadro della tossicità acuta domini essenzialmente la insufficienza renale acuta in cui rabdomiolisi, ipertensione maligna e microangiopatia trombotica fanno la parte del leone anche se talora può esserci anche una più rara nefrite interstiziale acuta [17] a sostenere il quadro.

La possibilità del raro infarto renale deve essere sempre tenuta presente in questo setting,  annunciato da dolore lombare e/o al fianco, macroematuria  incremento della creatininemia e delle LDH [18; 19].

La rabdomiolisi da cocaina  presenta eziologia multifattoriale; il sospetto deve sorgere principalmente in presenza di ipertermia, convulsioni, agitazione o ottundimento del sensorio. La diagnosi si basa sul incremento degli enzimi muscolari (CPK, LDH) nel siero [19]; un’altra chiave diagnostica è il rilievo di positività degli stick urinari per l’emoglobina in assenza di globuli rossi al esame microscopico delle urine, che può corrispondere alla presenza di mioglobina.

Nella Insufficienza Renale Cronica l’uso di cocaina si associa peraltro a scarso controllo pressorio, progressione più rapida delle nefropatie con IRC, aumentata morbilità e mortalità, aumentata incidenza di infezioni nei dializzati [15]. E’ descritto un aumento della sclerosi/fibrosi a livello glomerulare che troverebbe giustificazione nella inibizione della sintesi della metalloproteinasi-2 con ridotta degradazione della matrice mesangiale, incremento dello stress ossidativo per riduzione del contenuto in glutatione nelle cellule renali in coltura e la attivazione del RAS con stimolo della produzione di TGF-b [20].

Infine la cocaina sembra accelerare l’aterogenesi sia a livello renale che a livello sistemico nell’animale da esperimento e nel uomo [15-17; 21-23].

 

CANNABIS:

Al  genere Cannabis appartengono piante di specie diverse (Cannabis Indica, Cannabis Sativa) (Figura 1)  che erano coltivate in passato per ottenerne fibre tessili (Canapa).

FIGURA 1 Coltivazione di Cannabis
Figura1: Coltivazione di Cannabis

Esistono numerose cultivar a diverso contenuto di TetraHidroCannabinolo (THC), che insieme al Cannabidiolo costituiscono i più abbondanti fitocannabinoidi;  dalla resina della pianta si ricava l’ Hashish, più potente, mentre dalle infiorescenze femminili si ottiene la Marijuana. Vengono più spesso fumate con completa combustione oppure riscaldate e vaporizzate, anche attraverso sigarette elettroniche, ed assorbite per via respiratoria ma possono anche essere assunte per ingestione con effetto più lento ma di maggior durata. Gli effetti dei fitocannabinoidi sono mediati da due diversi recettori: CB1 e CB2. Il THC, principale componente psicoattivo della cannabis,  è parziale agonista di entrambi [24]. Il rene presenta recettori CB1 e CB2 i cui effetti fisiologici sono poco conosciuti; CB1 è stato identificato nell’ uomo nelle cellule dei tubuli convoluto prossimale, distale e collettori mentre CB2 è stato identificato in coltura sulle cellule mesangiali, tubulari prossimali ed in alcuni casi sui podociti in coltura [25]. I cannabinoidi avrebbero inoltre un effetto vasodilatatore sulla vascolatura renale non mediato da un meccanismo recettoriale.

Da oltre 10 anni in Italia i medici possono prescrivere preparazioni magistrali contenenti sostanze attive vegetali a base di cannabis per uso medico da prepararsi in strutture preposte; dal 2007 è possibile l’importazione di diversi farmaci registrati altrove contenenti fitocannabinoidi. Dal 2014 lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze produce una canapa indicata come FM2.   Non esistendo indicazioni autorizzate la prescrizione avviene sotto responsabilità del medico che deve raccogliere il consenso informato e indicare sulla ricetta le esigenze particolari che ne giustificano l’utilizzo. Come previsto dal Decreto Ministeriale del 9 novembre 2015 , la prescrizione di cannabis “a uso medico” in Italia è limitata al suo impegno nel dolore cronico principalmente neurogeno e quello associato a sclerosi multipla oltre che a lesioni del midollo spinale; alla nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; come stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa; effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie abituali; riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette [26].  Ne è stato anche preconizzato l’ utilizzo per trattare alcuni sintomi presenti nella insufficienza renale cronica terminale e per ridurre l’ utilizzo di oppioidi in questo quadro [27]. Quanto alla possibile patologia renale acuta o cronica nei consumatori abituali i dati sono al momento attuale non indicativi [28] se si escludono le forme in genere pre-renali secondarie alla peraltro rara “Cannabinoid Hyperemesis Syndrome” [29]. Perfino nel problematico campo del trapianto di rene né l’uso nel ricevente [30] né nel donatore vivente [31] pare avere effetti sulla sopravvivenza del paziente, del donatore o del rene trapiantato.

 

ALLUCINOGENI: LSD E PSILOBICINA:

Se la Dietilamide del Acido Lisergico  (LSD), potente serotoninergico, è attualmente studiata per le sue potenzialità di utilizzo come farmaco psichiatrico [32] tuttavia l’interesse nefrologico appare  trascurabile salvo una segnalazione di rabdomiolisi associata più al uso della camicia di forza come contenimento di uno stato di agitazione dissociativa che alla sostanza  in sé [33].

Più interessanti per il nefrologo appaiono i funghi del genere Psilocybes (Magic Mushrooms) di cui i più noti interessano le americhe essendo famoso lo Psilocybes Cubensis  un fungo sudamericano già conosciuto dagli Aztechi. Sono segnalati infatti casi di rabdomiolisi associata con l’assunzione [34, 35]. Bisogna sapere che in Italia esiste una varietà della specie, spontanea (Psilocybe Semilanceata ) o funghetto comune che ha le stesse proprietà.  Altri prodotti d’ abuso sono i solventi che, sniffati in colle, vernici etc. danno sintomi simili alla intossicazione alcoolica con anche brevi fenomeni allucinatorii. In particolare il Toluene è stato associato a numerose manifestazioni renali  ( principalmente interstiziali dalla Sindrome di Fanconi alla acidosi tubulare distale ma anche forme glomerulari proteinuriche e fino alla sindrome di Goodpasture) [36].

 

ANFETAMINE E ECSTASY:

L’anfetamina (MDA: 3,4 Metilen Dioxy Anfetamina) è un farmaco con proprietà anoressizzanti e psicostimolanti. Agonista indiretto del sistema catecolaminergico, agisce soprattutto a livello centrale inibendo la ricaptazione di noradrenalina e dopamina dalla fessura sinaptica. La sua azione si traduce quindi in una maggiore permanenza di neurotrasmettitore a livello sinaptico.

Molto simile (differisce dalla MDA soltanto per la presenza di un metile sul gruppo amminico) la MDMA  (3,4-metilenediossimetamfetamina),  più comunemente nota come Ecstasy è una metanfetamina dagli spiccati effetti eccitanti ed entactogeni (aumenta la socialità e la emotività), anche se non propriamente allucinogeni [37].

Sono farmaci di sintesi, assunti per via orale, spesso in “rave party” con balli di gruppo protratti; l’iperattività fisica in ambienti caldi può condurre ad ipertermia. Inoltre nell’animale da esperimento l’MDMA può dare febbre. Effetti indesiderati lievi sono anoressia, nausea, vomito, cefalea, trisma, e crampi. Più severi convulsioni, iperpiressia, disfunzione epatica, rabdomiolisi, coagulazione intravascolare disseminata ed IRA.

 

NUOVE DROGHE SINTETICHE: CATINONI E CANNABINOIDI:  

Il qat (Catha edulis), è una  pianta originaria dell’Etiopia diffusa nella penisola Arabica. La sua coltivazione e l’ uso sono molto presenti in Yemen.

Le foglie contengono un alcaloide (Catinone) dall’azione stimolante, che causa stati di eccitazione e di euforia, e provoca dipendenza. La sostanza, simil-anfetaminica, ha spiccato effetto psicotropo, euforizzante e spegne fame e fatica; ha anche un importante effetto analgesico.

I Catinoni sintetici [38] sono sostanze prodotte chimicamente che riproducono questi effetti; ne esistono un numero molto grande (Methcatinone, Methedrone, Methylone etc.) ed anzi per essere più chiari ne vengono sintetizzati continuamente di nuovi. Non sono conosciuti e quindi non sono formalmente illegali; vengono commercializzati per uso animale e comunque non umano, prodotti il più spesso in Asia e facilmente reperibili in Internet  indicati con nomi di fantasia o con nomi generici (Salt Baths). Il fatto di essere sostanze sempre nuove e diverse fa si che non siano comunemente dosate nei liquidi biologici.

La tossicità è per alcuni versi simile a quella delle anfetamine (tachicardia, ipertensione, agitazione psicomotoria, aggressività etc.) mentre a livello renale si possono avere incrementi della creatininemia con quadri di insufficienza renale acuta, iposodiemia, iperpotassiemia, iperuricemia; si può avere un danno muscoloscheletrico fino alla rabdomiolisi.

Allo stesso modo i cannabinoidi sintetici [39] sono anche essi prodotti chimicamente ed interagiscono con i recettori dei cannabinoidi con potenza simile o anche  di molto superiore al prodotto naturale ed hanno strutture diverse tali da non essere rilevati dagli abituali dosaggi. Sono indicati con nomi generici (legal Highs; Erbal Highgs; spices), talora con sigle (K2, K3) o nomi di fantasia e possono essere facilmente ottenuti in Internet, indicati il più spesso come misture di vegetali cui sono stati addizionati “non per uso umano” , che possono essere fumati ma anche come compresse, capsule o polveri ingeribili oppure liquidi da utilizzare nelle “sigarette elettroniche”  [40]. Se ne conoscono oltre 200 e se ne sintetizzano continuamente di nuovi; la loro diffusione è stata ampia soprattutto tra i giovani. Gli effetti sono spesso “individuali” dipendendo da dosi e vie di somministrazione. Comprendono sedazione, atassia, midriasi, tachicardia, euforia, agitazione psicomotoria ma anche allucinazioni, deliri, convulsioni, rabdomiolisi, depressione respiratoria, insufficienza renale acuta [41]. Ancora una volta i comuni esami tossicologici (compreso il dosaggio del THC) risultano negativi.

 

LA KETAMINA:

La Ketamina è un anestetico dissociativo che induce depressione del sistema talamo-corticale e attivazione del sistema limbico; la sua indicazione è principalmente per piccoli interventi  in cui induce una ridotta inibizione respiratoria con anche il mantenimento di riflessi protettivi delle vie aeree (specie uso pediatrico e veterinario).  L’uso è limitato dalla induzione nella fase di risveglio di uno stato sognante vivace (piacevole o spiacevole) fino a veri e propri stati allucinatorii. Ha effetti antidepressivi e sono in corso sperimentazioni per l’utilizzo in psichiatria e del tutto recentemente un suo enantiomero è stato infine approvato dalla FDA per l’ utilizzo nelle depressioni resistenti alle usuali terapie [42].

Con dosi inferiori a quelle per uso anestetico somministrate per via endovenosa, intramuscolare, attraverso la mucosa nasale o aggiunte al fumo può essere utilizzata come droga d’abuso per esaltare l’esperienza sessuale in rave parties e per ottenere effetti di estraniazione (K-hole) con sensazione di “uscita dal corpo” [43]. Gli effetti acuti della Ketamina includono tachicardia, ipertensione, aumento  della frequenza o depressione respiratoria, aumento delle secrezioni bronchiali, nausea e vomito. Può associarsi a rabdomiolisi inducendo ipertono muscolare e agitazione psicomotoria [44].  Nell’uso cronico presenta in particolare una tossicità gastroenterica probabilmente diretta  che si esprime con dolore epigastrico, dilatazione delle vie biliari e colestasi. Per il Nefrologo sono però soprattutto interessanti  i danni a carico del tratto urinario causati dal abuso cronico. Il primo report di una sindrome urologica risale al 2007 [45]; da allora numerosi sono i report in letteratura. I sintomi riportati comprendono disuria, pollchiuria, urgenza, incontinenza e macroematuria. La vescica è l’ organo più spesso coinvolto e la cistoscopia può evidenziare eritema, edema ed ulcerazioni mentre le biopsie possono mostrare infiltrati eosinofili ed infiltrazione di mastcellen. La radiologia può dimostrare una vescica di volume ridotto con parete ispessita con l’ infiammazione che si estende a livello perivescicale.A livello renale vi può essere evidenza di idronefrosi e insufficienza renale. Anche in questo caso prevale l’ ipotesi di una tossicità diretta del farmaco e/o dei metaboliti. Il tempo necessario sarebbe di 1-4 anni.

 

Tornando al caso clinico

Nel tentativo di chiarire il più possibile il quadro del nostro paziente abbiamo esteso i dosaggi alle droghe non comunemente ricercate.

Abbiamo inviato pertanto un campione urinario raccolto al inizio della nostra storia ad un laboratorio specializzato per la ricerca di Catinoni Sintetici; questa risultava negativa; il laboratorio però precisava nel suo referto che le analisi eseguite non potevano essere considerate esaustive per tutti i catinoni continuamente immessi sul mercato clandestino. Inoltre segnalava che nel contesto delle analisi eseguite era emersa invece la presenza di Ketamina e del suo metabolita Norketamina.

 

Conclusioni

Il caso presentato era paradigmatico di come sia mutato il quadro del abuso di sostanze a scopo voluttuario negli ultimi 20 anni; non più solo le sostanze note ben classificate e sottoposte a controlli che possiamo dosare facilmente nei nostri presidi  ma una pletora di nuove sostanze che sfuggono ai controlli e che non risultano nemmeno formalmente illegali. Il problema che ne scaturisce è enorme in quanto si continuano a dosare le quattro “vecchie sorelle”  ovvero Marijuana, Cocaina, Eroina e Anfetamine mancando così di poter rivelare le droghe di abuso più diffuse attualmente.

Se pensiamo soltanto  ai test di controllo obbligatori per molte professioni ci rendiamo conto di quanto sia pericolosa questa condizione di “invisibilità” delle droghe sintetiche. Oltretutto le droghe sintetiche possono rappresentare porte di ingresso a sindromi psichiatriche severe.

Naturalmente gli “abuser” sono il più delle volte consumatori di molteplici sostanze ed anche per questo in presenza di patologie suggestive non ci si deve fermare alle sostanze più “classiche”.

Dal punto di vista più strettamente nefrologico l’ invito deve essere a intensificare il più possibile le ricerche nei casi sospetti di nefrotossicità da sostanze d’abuso in quanto questi pazienti spesso sono esposti a sostanze diverse e molteplici sono i danni possibili correlati ad esse.

 

Aspetti di danno tubulare correlati con mioglobinuria
Figura 2: Aspetti di danno tubulare correlati con mioglobinuria. 1) cilindro ialino endotubulare con detriti cellulari ed assottigliamento di parete in presenza di aspetti infiammatori acuti tubulari e peritubulari. EE 20X. 2) infiltrato linfo-monocitario e granulocitario anche eosinofilo peritubulare con aggressione della parete del tubulo. PAS 40X. 3) cilindri granulari eosinofili (mioglobina) EE 40X. 4) danno tubulare con aree di rarefazione ed assottigliamento epiteliale ed altre di rigenerazione. PAS 40X

 

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Deficit di Carnitin-Palmitoil Transferasi di tipo 2: una rara causa di insufficienza renale acuta da rabdomiolisi

Abstract

I disturbi dell’ossidazione degli acidi grassi sono errori congeniti del metabolismo. Una delle possibili alterazioni comporta il fallimento del trasporto carnitin-based degli acidi grassi a catena lunga nei mitocondri, necessario per il metabolismo muscolare in caso di sforzo fisico prolungato. Sono state descritte tre forme di deficit di Carnitin-Palmitoil Transferasi di tipo 2 (CPT2): una forma miopatica, una forma infantile grave ed una forma neonatale. Il quadro clinico è caratterizzato da attacchi ricorrenti di rabdomiolisi, dolori muscolari e affaticamento, secondari di solito a un esercizio fisico protratto e a volte aggravati da eventi intercorrenti. Gli episodi di rabdomiolisi si associano ad un aumento significativo della creatinfosfochinasi e della mioglobinuria e possono risultare in insufficienza renale acuta (IRA). I pazienti sono di norma asintomatici nei periodi intercorrenti. Pertanto nei casi di IRA da rabdomiolisi insorta dopo intensa attività fisica è necessario ricercare anche la presenza di miopatie metaboliche da deficit enzimatico.

Parole chiave: deficit CPT2, rabdomiolisi, insufficienza renale acuta

Background

La rabdomiolisi può determinare quadri clinici differenti: dalla dismissione subclinica degli enzimi muscolari fino all’Insufficienza Renale Acuta (IRA). Ciò può associarsi a Crush Syndrome, ma in più dell’80% dei casi è presente una causa farmacologica; non vanno dimenticate possibili alterazioni strutturali o disordini metabolici ereditari delle cellule muscolari. Uno di questi è il deficit di Carnitin-Palmitoil Transferasi di tipo 2 (CPT2), anomalia ereditaria autosomica recessiva dell’ossidazione mitocondriale degli acidi grassi a catena lunga (LCFA), necessari per il metabolismo muscolare in caso di sforzo fisico prolungato [1].  

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Protetto: Deficit di Carnitin-Palmitoil Transferasi di tipo 2: una rara causa di insufficienza renale acuta da rabdomiolisi

Abstract

I disturbi dell’ossidazione degli acidi grassi sono errori congeniti del metabolismo. Una delle possibili alterazioni comporta il fallimento del trasporto carnitin-based degli acidi grassi a catena lunga nei mitocondri, necessario per il metabolismo muscolare in caso di sforzo fisico prolungato. Sono state descritte tre forme di deficit di Carnitin-Palmitoil Transferasi di tipo 2 (CPT2): una forma miopatica, una forma infantile grave ed una forma neonatale. Il quadro clinico è caratterizzato da attacchi ricorrenti di rabdomiolisi, dolori muscolari e affaticamento, secondari di solito a un esercizio fisico protratto e a volte aggravati da eventi intercorrenti. Gli episodi di rabdomiolisi si associano ad un aumento significativo della creatinfosfochinasi e della mioglobinuria e possono risultare in insufficienza renale acuta (IRA). I pazienti sono di norma asintomatici nei periodi intercorrenti. Pertanto nei casi di IRA da rabdomiolisi insorta dopo intensa attività fisica è necessario ricercare anche la presenza di miopatie metaboliche da deficit enzimatico.

Parole chiave: deficit CPT2, rabdomiolisi, insufficienza renale acuta

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Sindrome emolitico uremica atipica: esperienza di un centro pediatrico

Abstract

Negli ultimi due anni sono stati ricoverati nella nostra Unità Operativa un totale di 38 bambini per insufficienza renale acuta (IRA). Di questi, sei bambini erano affetti da sindrome emolitico uremica (SEU) atipica. La SEU atipica viene diagnosticata in presenza di microangiopatia trombotica (MAT), insufficienza renale (GFR 5%.

La presentazione clinica dei nostri bambini è stata variegata e così anche la sua evoluzione. I pazienti osservati erano tutti maschi, di età compresa tra 2 a 12 anni, e nessuno aveva una storia familiare di nefropatia. In quattro pazienti è stata documentata un’alterazione dei fattori del complemento (deficienza di MCP e fattore H e presenza di anticorpi anti fattore H). Sono state necessarie ripetute emotrasfusioni in 4 pazienti e in 3 pazienti la conta piastrinica era lievemente ridotta. In 5 pazienti è stata eseguita la plasmaferesi e in 3 pazienti la dialisi (emodialisi e dialisi peritoneale). In tre pazienti in cui la diagnosi non era chiara per quadri sfumati di MAT, è stata eseguita la biopsia renale che ha confermato la diagnosi. L’Eculizumab è stato somministrato in 3 pazienti resistenti a plasmaferesi con rapida risposta sull’anemia emolitica e normalizzazione della conta piastrinica e variabile risposta sulla funzione renale (completa remissione in un paziente, parziale miglioramento in un altro, e mancata risposta nell’ultimo che aveva un quadro bioptico di severa compromissione e aveva sviluppato anticorpi anti eculizumab).

La SEU è una malattia rara, ma probabilmente molto più frequente di quanto riportato. Nei bambini con IRA e anemia microangiopatica è necessario lo studio dei fattori del complemento poichè una diagnosi precoce permette di ottenere una migliore risposta clinica al trattamento farmacologico con Eculizumab.

Parole chiave: sindrome emolitico uremica, pediatrica, insufficienza renale acuta, eculizumab

Introduzione

La sindrome emolitico uremica atipica (aSEU) è una rara forma di microangiopatia trombotica dalle manifestazioni cliniche pleiotropiche. Essa è caratterizzata da insufficienza renale acuta (IRA), anemia emolitica (AE), piastrinopenia, assenza di Shiga-toxin nelle feci (a differenza della SEU tipica) e con livello di ADAMTS-13 superiore al 5%, contrariamente alla porpora trombotica trombocitopenica idiopatica con cui la aSEU presenta delle analogie (1). 

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