La trombosi del catetere venoso centrale tunnellizzato per emodialisi: dalla patogenesi alle strategie terapeutiche

Abstract

La trombosi del catetere venoso centrale (CVC) è una complicanza non infettiva generalmente associata a malfunzionamento e inadeguatezza dialitica. I CVC si suddividono in non tunnellizzati e tunnellizzati, la cui scelta dipende dalle condizioni cliniche del paziente e dall’iter diagnostico-terapeutico intrapreso. Il nefrologo si avvale del CVC tunnellizzato (tCVC) qualora sia controindicato allestire una fistola arterovenosa o come accesso primario nei pazienti con prognosi infausta a breve termine.
La disfunzione del CVC è definita dall’incapacità di mantenere un adeguato flusso ematico nel corso della seduta emodialitica prescritta.
Tra le complicanze non infettive determinanti il malfunzionamento del tCVC, la trombosi è la più frequente e si classifica in forme trombotiche intrinseche (trombosi endoluminale, pericatetere o associata a fibrin sleeve) ed estrinseche (trombosi murale o atriale).
L’iter diagnostico richiede esami strumentali quali radiografia torace/addome, cateterografia, ecocardiografia e tomografia computerizzata. La terapia farmacologica include l’utilizzo di farmaci trombolitici locali, e, in caso di trombosi estrinseca, anticoagulazione sistemica, eventualmente associata alla sostituzione del tCVC.
La prevenzione di complicanze trombotiche si basa sull’appropriato posizionamento ed utilizzo del tCVC, dove l’impiego di locking solution con proprietà anticoagulanti e/o antimicrobiche svolge un ruolo cruciale. In caso di trombosi estrinseca, a seconda delle dimensioni del trombo, è possibile optare per un approccio conservativo con anticoagulazione sistemica, oppure chirurgico mediante trombectomia o tromboaspirazione ed eventuale rimozione del tCVC.
In conclusione, la disfunzione tardiva del tCVC è principalmente causata da trombosi, con diagnosi e terapia che richiedono esami strumentali e farmaci specifici. La prevenzione è fondamentale per limitare le complicanze.

Parole chiave: Catetere venoso centrale, trombosi, accessi vascolari, emodialisi

Introduzione

La trombosi del catetere venoso centrale (CVC), insieme alla stenosi venosa e alla disfunzione meccanica, rientra tra le complicanze non infettive, il più delle volte tardive, del CVC ed è associata a malfunzionamento, bassi flussi ematici e inadeguatezza dialitica [1]. Si tratta di una complicanza tra le più frequenti nella comune pratica clinica di emodialisi. Pertanto, compito essenziale del team degli accessi vascolari è quello di prevenire, riconoscere e trattare tempestivamente le cause del malfunzionamento, in particolare la trombosi del CVC, spesso associata ad eventi fatali. Il nefrologo utilizza due tipologie di CVC: i non tunnellizzati (ntCVC), detti anche cateteri temporanei, non cuffiati, il cui utilizzo è limitato a un massimo di 15 giorni dal posizionamento e i cateteri tunnellizzati (tCVC), cuffiati, adatti a un uso più prolungato in assenza di accessi vascolari alternativi. La scelta del tipo di catetere è determinata dalle condizioni cliniche generali del paziente e dalla valutazione prognostica effettuata in prima istanza. Generalmente, si ricorre al tCVC come accesso vascolare (AV) di scelta qualora non vi sia un patrimonio vascolare adeguato all’allestimento di una fistola arterovenosa (FAV) nativa o protesica, oppure come prima opzione in presenza di controindicazioni al confezionamento di un AV alternativo (e.g. scompenso cardiaco di grado severo) o nei casi in cui l’aspettativa di vita sia inferiore a un anno. Il ntCVC, invece, viene prevalentemente utilizzato nell’ambito del trattamento dell’insufficienza renale acuta, nei pazienti late referral in caso di urgenza all’avvio a terapia dialitica o, per brevi periodi, come bridge in attesa della maturazione dell’AV definitivo. Occorre ricordare che, come suggerito dalle linee guida KDOQI, i ntCVC devono essere tenuti in situ per un periodo di tempo non superiore alle due settimane a causa dell’elevato rischio di infezioni, specialmente se posizionati in vena femorale e in soggetti obesi [2]. In questa Review metteremo a fuoco gli aspetti patogenetici, clinici e terapeutici peculiari della trombosi correlata al tCVC per emodialisi. 

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Un nuovo prototipo di registro degli accessi vascolari per emodialisi

Abstract

Allo scopo di migliorare il management degli Accessi Vascolari (AV) abbiamo sviluppato un nuovo sistema di registrazione degli AV dei pazienti della nostra ASL. Abbiamo registrato tutti gli AV dei pazienti prevalenti al 31/12/2017. Degli AV erano registrati tipologia, sede, vasi coinvolti, numero di accessi avuti dal paziente e tipo di anastomosi. Dei CVC, oltre la sede e le caratteristiche, era registrata la motivazione del posizionamento.

Risultati: I pazienti erano 726 (63% maschi), con età media 66+15 anni. Le fistole artero-venose con vasi nativi (FAV) erano 609 (84%), di cui il 65% localizzate al 1/3 distale dell’avambraccio (DF), il 10% al 1/3 medio (MF), il 5% al 1/3 prossimale dell’avambraccio (PF) e il 4% al braccio (AM). Le fistole protesiche (AVG) erano 12 (1.7%). I CVC erano invece 105 (14.5%). Nelle donne vi era un maggior numero di CVC (p<0.005) e di FAV al braccio (p<0.05). Gli over 75 avevano meno FAV al braccio (p<0.05) e Graft (P<0.05). I diabetici avevano un maggior numero di CVC (p<0.05) ma erano più vecchi rispetto al resto della popolazione (p<0.003). I pazienti rientrati in dialisi per perdita del trapianto renale avevano più FAV al braccio (p<0.001) e Graft (p<0.001) e meno FAV al DF (p<0.001). Il confronto dei dati tra il 2013 e il 2017 dimostra una stazionarietà della prevalenza degli AV.

Conclusioni: Il nuovo sistema di registrazione degli accessi vascolari ci ha permesso di evidenziare numerose informazioni rilevanti sia dal punto di vista clinico che epidemiologico.

Parole chiave: accessi vascolari, registro, sede delle FAV, emodialisi

Introduzione

Le linee guida internazionali sono concordi nell’indicare nella fistola con vasi nativi (FAV) l’accesso vascolare da perseguire nella maggior parte dei pazienti [1]. La FAV, infatti, è preferita rispetto a Graft e CVC perché garantisce una sopravvivenza migliore, sia del paziente che dell’accesso vascolare, e solitamente causa minori complicanze [14]. Le principali linee guida concordano anche nell’indicare la FAV distale radio-cefalica come accesso vascolare da preferire e suggeriscono di dare, comunque, preferenza a tutte le opzioni possibili di confezionamento di una fistola con vasi nativi [1,5,6,7]. Recenti osservazioni, tuttavia, rilevano che in tutto il mondo, escluso il Giappone, vi è un aumento delle FAV al braccio rispetto a quelle all’avambraccio; ciò viene considerato un indice negativo, in quanto le FAV con l’arteria brachiale sono spesso causa di steal syndrome, sindromi da iperafflusso, degenerazione aneurismatica delle vene efferenti e stenosi venose centrali [1,4,812]. Emerge pertanto l’esigenza di conoscere non solo la natura di un AV, se si tratta di una FAV, un Graft o un CVC, ma anche la sua sede. A questo proposito, registrare se una FAV è localizzata all’avambraccio piuttosto che al braccio è importante ma, a nostro avviso, non sufficiente, perché riteniamo utile conoscere anche se la FAV è distale, middle-arm o se è localizzata al 1/3 prossimale dell’avambraccio. Inoltre, un altro interessante dato clinico è il numero di interventi subiti da ogni paziente. Come suggerito dal Gruppo di Studio degli Accessi Vascolari (AV) della Società Italiana di Nefrologia [13], abbiamo messo a punto un sistema di raccolta e archiviazione dati, gran parte dei quali obbligatoriamente registrati alla fine di un intervento chirurgico di allestimento di un AV, che possa poi permettere importanti analisi cliniche ed epidemiologiche e consentire un miglior management degli AV. In questo lavoro ripotiamo i dati ricavati con questo nuovo sistema di registrazione.

  

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Survey degli accessi vascolari nel Triveneto: analisi dei dati relativi all’anno 2017

Abstract

Nel 2017 la Società Italiana di Nefrologia del Triveneto ha voluto indagare, mediante un questionario distribuito ai vari centri nefrologici, se nelle regioni del Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto vi fossero differenze nei modelli organizzativi, nella scelta dialitica e nella modalità di allestimento e gestione degli accessi vascolari. Viene qui presentato ciò che è emerso dall’analisi dei dati raccolti.

Parole chiave: questionario, Triveneto, accessi vascolari, analisi dati

Introduzione

Un accesso vascolare ben funzionante, affidabile nel tempo e che non presenti complicanze è essenziale per il corretto svolgimento della terapia dialitica. La scelta dell’accesso vascolare, così come del tipo di dialisi, dipende da numerosi aspetti: innanzitutto l’età e le caratteristiche cliniche del paziente (comorbilità, malattia di base), poi il time referral del paziente al nefrologo, l’esperienza e competenza dell’equipe chirurgica del centro a cui si rivolge il paziente, le preferenze dello staff del centro di dialisi e, naturalmente, la scelta del paziente. 

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