Un paziente con tumore può essere un donatore di organi?

Abstract

La potenziale trasmissione di neoplasie da donatore a ricevente è un rischio noto nell’ambito del trapianto d’organi. Il Centro Nazionale Trapianti (CNT) ha adottato delle linee guida specifiche per la valutazione dell’idoneità di potenziali donatori d’organo con storia di neoplasia. Il CNT fornisce inoltre un servizio di Second Opinion Oncologica per la valutazione dei donatori con storia oncologica e potenziale rischio di trasmissione di neoplasia al ricevente. L’obiettivo del CNT è minimizzare i rischi di trasmissione di malattia da donatore a ricevente.

Secondo le linee guida CNT, il donatore è definito “standard” se non presenta neoplasie attive o in anamnesi al momento della donazione. Donatori non idonei per “rischio inaccettabile” sono quei pazienti che presentano al momento della donazione o in anamnesi una neoplasia con rischio di trasmissione eccessivamente elevato, pertanto inaccettabile. Avere una neoplasia in sé non costituisce una controindicazione assoluta alla donazione, ma ogni caso deve essere valutato singolarmente.

Il CNT ha istituito un registro per eventi avversi (EA) dopo il trapianto. Dal 2012, con 10.493 donatori utilizzati e 34.193 trapianti effettuati, sono stati registrati 283 EA, che corrispondono a circa il 3% dei processi di donazione e l’1% dei trapianti. Il 13% erano EA oncologici. Nella maggior parte dei casi, EA oncologici derivano da una mancata diagnosi al procurement dell’organo, durante la chirurgia da banco o al trapianto.

Le linee guida, il servizio di Second Opinion Oncologica e il registro per EA hanno aiutato a minimizzare il rischio di trasmissione di neoplasie da donatore a ricevente d’organi.

Parole chiave: tumore, donatore d’organo, trapianto

Introduzione

La donazione di organi può comportare, con il beneficio del trapianto, anche il rischio di trasmissione di una patologia presente nel donatore.  Nel caso di donazione da donatore deceduto, il tempo disponibile è limitato a poche ore, e deve essere fatto ogni sforzo per escludere la presenza di quelle patologie che potrebbero costituire un danno al paziente superiore al beneficio del trapianto. Non si tratta solo della presenza di tumori – di cui si tratterà in maggior dettaglio – ma pure di infezioni gravi, patologie immunitarie o genetiche che se presenti nel donatore potrebbero essere di grave danno per i riceventi.

Il divario tra richiesta di organi e l’offerta è, a tutt’oggi, molto elevato. Per quanto sia sempre maggiore l’impegno profuso dalla Rete Nazionale Trapianti, coordinata dal Centro Nazionale Trapianti (CNT), il numero di persone che muoiono in lista di attesa è sempre elevato. Nel 2022 a fronte di 3.887 organi trapiantati, derivanti da 1.830 donatori deceduti/viventi, risultavano ancora in lista al 31.12.22 più di 8.000 pazienti. Per alcuni organi, principalmente il rene, la situazione è sicuramente meno critica considerando le possibilità di terapie alternative, per altri organi invece le difficoltà sono evidenti e questo spinge a dover ampliare sempre di più il pool di donatori e a cercare di utilizzare sempre di più donatori un tempo ritenuti marginali se non addirittura non idonei.

Al fine di ampliare il numero di potenziali donatori, a partire dal 2004 il CNT si è avvalso di una commissione nazionale per la sicurezza che ha il compito di fornire alla Rete Nazionale Trapianti (RNT) un supporto ed un punto di riferimento dal punto di vista medico-legale, infettivologico, anatomo-patologico, immunologico, genetico ed ematologico. Questa task-force di esperti, cosiddetta Second Opinion, garantisce supporto 7 giorni su 7, h24, e contribuisce a rafforzare ulteriormente la qualità e la sicurezza di tutto il percorso della donazione di organi solidi.

In particolare, la Second Opinion Oncologica (SOO) rappresenta lo strumento consultivo cui i Centri Regionali Trapianto (CRT) possono rivolgersi durante la valutazione di idoneità organo/donatore in presenza di un rischio di trasmissione di una neoplasia al ricevente.

La valutazione di idoneità del donatore è un processo dinamico che si basa sia su informazioni clinico-strumentali del donatore in corso di procurement sia sulle caratteristiche cliniche dei potenziali riceventi.

Sono principalmente due i momenti, durante il percorso di donazione, in cui la SOO può essere chiamata in causa, durante il procurement per valutare neoplasie presenti nell’anamnesi del donatore e quindi indicare il rischio oncologico pre-sala, oppure al momento del prelievo degli organi se viene riscontrata una lesione sospetta per neoplasia e si deve valutare la necessità di eseguire un esame istologico estemporaneo e successivamente indicarne il livello di rischio.

 

Le linee guida nazionali di idoneità del donatore d’organi

La rete italiana si è dotata di una normativa di riferimento: “Valutazione dell’idoneità del donatore in relazione a patologie neoplastiche (tumori solidi)” approvata in Accordo Stato-Regioni (ASR 24) nel gennaio 2018 (Rep. atti 17/CSR). Più recentemente queste linee guida sono state aggiornate (Versione 2.0 approvata nella seduta CNT‐Consulta Tecnica Permanente per i Trapianti il 17 marzo 2022, e disponibili al link: https://www.trapianti.salute.gov.it/imgs/C_17_cntPubblicazioni_480_allegato.pdf). Nelle raccomandazioni di questo documento, i due momenti sono, dove possibile, tenuti distinti in linea con quanto suggerito nelle Linee Guida della Comunità Europea, dove è ben evidente la differenza tra neoplasia diagnosticata al momento del prelievo e una neoplasia presente in anamnesi. Nel primo caso, bisogna essere molto scrupolosi ed accurati nei confronti di qualsiasi lesione sospetta per malignità identificata all’esame clinico o con metodiche imaging ed effettuare una verifica attraverso una diagnosi al congelatore in corso del processo donativo. Nel caso di una neoplasia presente in anamnesi si è chiamati ad esprimere un giudizio sul tipo di neoplasia ma si deve tenere ben presenti anche altri fattori, tra cui: intervento chirurgico radicale, stadiazione della neoplasia, follow-up regolare e documentato, eventuali ricorrenze cliniche o biochimiche di malattia. In questi casi è doveroso attendere che siano trascorsi almeno 5 anni dall’intervento chirurgico, tenendo per il momento da parte il carcinoma della mammella ed il melanoma, per i quali probabilmente sarà più prudente attendere un periodo di tempo maggiore, e che siano disponibili quante più possibili notizie inerenti al follow-up svolto dal donatore. In questa revisione delle linee guida è stata introdotta anche un’altra novità inerente al rischio non standard accettabile, infatti all’interno di questa categoria si sono distinte due sotto-categorie: accettabile a basso e ad alto rischio.

 

La valutazione di idoneità del donatore d’organi e di tessuto

Questa procedura è finalizzata a ridurre al minimo il rischio di trasmissione di malattie dal donatore al ricevente in seguito al trapianto. Nelle linee si definisce donatore idoneo o standard un donatore che non presenta, sulla base di tutte le informazioni/evidenze cliniche disponibili al momento della donazione o nella storia anamnestica, segni di neoplasia maligna. Situazione opposta, donatore non idoneo, rischio inaccettabile, quando si identificano al momento della donazione o nel raccordo anamnestico evidenze di un processo neoplastico maligno che comporterebbe un rischio troppo elevato di trasmissione neoplastica e che tale rischio è grandemente più elevato rispetto al rischio connesso al mantenimento in lista di attesa del potenziale ricevente. Tra queste due categorie di donatori esiste un’ampia area intermedia che racchiude una molteplicità di situazioni per le quali il rischio non è completamente assente, ma non è neanche così elevato da dover escludere a priori la possibilità di utilizzo degli organi. Questo gruppo viene definito donatori non standard. Nelle ultime due decadi, grazie ai dati della letteratura e all’enorme lavoro di raccolta di informazioni inerenti i donatori non standard svolto dal CNT, unitamente alle second opinion nazionali e ai vari CRT, è stato possibile rivedere e dettare delle sicure raccomandazioni per l’utilizzo degli organi di questo ampio numero di donatori e si è altresì compreso che non ci sono differenze, per quanto riguarda la qualità dell’organo, tra organi di donatore a rischio standard rispetto a quelli di un donatore a rischio non standard. Con tale affermazione si intende precisare che a parità di caratteristiche cliniche, in genere, la presenza di una neoplasia al momento della donazione o nella storia anamnestica del donatore, non altera la morfologia e la funzione dell’organo. Numerosi dati in letteratura, infatti, dimostrano che, ad esempio, l’utilizzo di organi da donatori con patologia neoplastica pregressa o in atto del sistema nervoso centrale, non inficia in alcun modo la qualità dell’organo e non altera l’outcome del ricevente. Risultati analoghi sono presenti anche per quanto riguarda l’utilizzo di reni con piccole neoplasie, previa la loro escissione radicale, come sottolineato dal gruppo di ricerca australiano [1] o anche dal gruppo di ricerca cinese [2]. Secondo le indicazioni più recenti, i donatori idonei a rischio non standard possono rientrare in una delle seguenti categorie: non standard trascurabile, non standard accettabile a basso rischio (si tratta di un donatore che presenta una neoplasia maligna in anamnesi oppure è stata diagnosticata al momento del prelievo degli organi, per la quale sono definibili con certezza istotipo, grado e stadio) e non standard accettabile ad alto rischio (si tratta di un donatore che presenta una neoplasia maligna in anamnesi che potrebbe avere un rischio di trasmissione dal 4 al 10%. In questa categoria sono contemplati gli organi utilizzabili solo per pazienti in gravi condizioni cliniche). Per ognuna di queste categorie, il trapianto può essere effettuato ma in riceventi che abbiano caratteristiche particolari, per i quali il beneficio del trapianto supera il rischio di trasmissione della patologia neoplastica. Nella Tabella I vengono sintetizzate le tipologie di tumori che rientrano in ciascuna di queste categorie.

Rischio standard Non standard trascurabile Non standard accettabile Rischio inacettabile
Basso rischio Alto rischio
  • i tumori benigni
  • le lesioni precancerose
  • Le lesioni displastiche.
  • Papillomi o adenomi
  • CIN/SIL (cervice uterina);
  • PIN di alto e di basso grado della prostata;
  • qualsiasi lesione precedentemente rimossa con diagnosi di displasia
  • diagnosi di displasia al momento del prelievo organi (esame istologico estemporaneo)

  • carcinoma in situ di qualsiasi organo, escluso quello di alto grado della mammella;
  • carcinoma basocellulare cutaneo;
  • carcinoma spinocellulare/squamoso cutaneo;
  • carcinoma uroteliale papillifero intraepiteliale di basso grado;
  • carcinoma prostatico:
  • micro-carcinoma papillifero della tiroide (dimensioni massime < 1 cm);
  • carcinoma del rene (a cellule chiare/papillifero/cromofobo) a basso grado (grado 1-2) < 4 cm (pT1a sec. WHO 2016) basso stadio
  • IPMN pancreas di basso grado secondo WHO 2019;
  • GIST ≤2 cm con meno di 5 mitosi/50 hpf (vedi tabella GIST);
  • adenocarcinoma polmonare in situ o minimamente invasivo (pT1a-mi) con almeno 5 anni di follow-up;
  • neoplasie cerebrali benigne;
  • neoplasie cerebrali maligne a basso grado di malignità/WHO grado 1-2.
  • carcinoma gastrico EGC-pT1/N0 (trascorsi più di 5 anni)
  • carcinoma intestinale del colon-retto pT1-2/N0, senza invasione vascolare/perineurale (trascorsi più di 5 anni)
  • IPMN pancreas con displasia di alto grado /carcinoma in situ secondo WHO 2019
  • carcinoma prostatico o dopo esame istologico completo durante procurement: ≤pT2 con score di Gleason =7 (4+3); o prostatectomia in anamnesi: dosaggio del PSA <0,2 ng/ml con <pT2 con Gleason score >7 e sono trascorsi più di 5 anni o Rischio pre-sala nei casi che attendono l’esito dell’esame istologico in corso di procurement
  • carcinoide tipico polmonare pT1/N0 (trascorsi più di 5 anni)
  • Melanoma infiltrante ≤0,5 mm (trascorsi più di 5 anni)
  • GIST ≤10 cm con meno di 5 mitosi /50 hpf
  • carcinoma gastrico pT2/N0, senza invasione vascolare perineurale (trascorsi almeno 5 anni e con TAC attuale negativa);
  • carcinoma intestinale del colon-retto pT3/N0 senza invasione vascolare/perineurale (trascorsi almeno 5 anni e con TAC attuale negativa);
  • Carcinoma prostatico o dopo esame istologico completo durante procurement: ≤pT2 con score di Gleason >7 oppure >pT2 e score di Gleason =7 (4+3); o prostatectomia in anamnesi: PSA <0,2 ng/ml con >pT2 e Gleason score >7 e sono trascorsi almeno 5 anni e la TAC attuale è negativa; post-radioterapia: PSA >2 ng/ml nadir con ≤pT2 e Gleason score >7; oppure >pT2 e Gleason score=7 (4+3) e sono trascorsi almeno 5 anni con TAC attuale negativa.
  • carcinoma della mammella;
  • melanoma infiltrante ≤0,8 mm e con linfonodo sentinella negativo (sono trascorsi almeno 5 anni e con TAC attuale negativa);
  • GIST > 10 cm con meno di 5 mitosi /50 hpf (sono trascorsi almeno 5 anni e con TAC attuale negativa).
  • Qualsiasi tipo di neoplasia epiteliale con stadio pT1-4 /N+/- diagnosticata al momento della donazione con esclusione delle neoplasie riportate al punto B1 profilo di rischio trascurabile;
  • carcinoma prostatico dopo esame istologico completo durante procurement: >pT2 e score di Gleason >7; o prostatectomia in anamnesi: PSA >0,2 ng/ml o con >pT2, Gleason score >7 e non sono trascorsi 5 anni; o post-radioterapia: PSA >2 ng/ml nadir con >pT2 e Gleason score >7
  • carcinoma della mammella con meno di 10-15 anni di follow-up
  • IPMN con componente di adenocarcinoma infiltrante
  • GIST con più di 5 mitosi per hpf (vedi tabella GIST)
  • Tumori SNC con neoplasie primitive gliali sec. WHO di alto  grado con almeno uno dei fattori di rischio clinici: carcinomi (ex. carcinoma dei plessi corioidei) / medulloblastoma/ cordomi /tumori embrionari /pineoblastoma
  • melanomi primitivi
  • linfomi
  • tumore fibroso solitario/emangiopericitoma grado 3 WHO/sarcomi delle meningi
  • processi metastatici
Tabella I. Il livello di rischio di trasmissione di un tumore, secondo quanto indicato dalle linee guida nazionali.

 

Quando non viene identificato il rischio oncologico

Pur seguendo le indicazioni della buona pratica clinica, può non essere identificato un rischio oncologico del potenziale donatore. La rete nazionale per questo si è dotato di uno strumento in grado di raccogliere tutti gli eventi non previsti che hanno riguardato la donazione e il trapianto di organi. La gestione del rischio clinico nazionale prevede che ogni CRT debba segnalare Eventi Avversi (EA, che non compartano un rischio di morte per il ricevente) o Reazioni Avverse (RA, che possono essere causa di decesso) che abbiano riguardato il processo di donazione e trapianto. Dal 2012, il CNT ha raccolto 283 segnalazioni di EA/RA. Nello stesso periodo il numero di donatori di organo è stato pari a 10.493, mentre il numero dei trapianti effettuati 34.193. In sintesi, in circa 1% dei trapianti effettuati e in circa 3% dei processi di donazione si è verificata un EA o una RA. Questi rischi non sono diversi da quelli segnalati in letteratura per le varie discipline mediche [3]. La Figura 1 illustra le diverse tipologie di rischio che sono state raccolte: quelle oncologiche rappresentano circa il 13% di tutte le segnalazioni. Il più delle volte la fase del processo nella quale si è generata una EA/RA è quella della chirurgia da banco, o del trapianto o del prelievo. Questo vale anche per le EA/RA oncologiche, è il caso ad esempio un tumore renale non intercettato in fase di monitoraggio del donatore ma di cui ci si accorge solo al momento del prelievo o della chirurgia da banco. Se si intercetta un tumore nella fase della chirurgia da banco o del trapianto di rene, gli altri organi salvavita sono già stati trapiantati. Più di rado, il tumore di origine del donatore viene accertato solo nel follow-up del trapianto, quando più riceventi di organi dello stesso donatore risultano poi ammalarsi dello stesso tumore. È questo il caso, ad esempio, di una leucemia mieloide acuta (LMA) che è stata diagnostica ai 2 riceventi di rene e al ricevente di fegato dello stesso donatore. La LMA non era in alcun modo identificabile nel donatore, che non presentava parametri alterati. Questo caso molto raro di trasmissione di un tumore dal donatore al ricevente è stato approfondito con l’analisi genomica del donatore (utilizzando il campione di DNA a disposizione del CRT) e quello dei riceventi prima e dopo il trapianto, al momento della comparsa della LMA. Queste analisi hanno consentito di comprendere che la LMA era già presente nel donatore, in una quota del 15% circa delle cellule circolanti. Le caratteristiche dei tumori nei riceventi erano quelle del donatore (i profili genetici riconducevano al profilo del donatore), con le stesse mutazioni (ad esempio quella del gene NPM1) presenti nel donatore. Le ulteriori mutazioni del tumore erano però evolute in maniera indipendente nei pazienti trapiantati, come ad esempio la mutazione del gene FLT3, presente in uno solo dei riceventi. Infine, l’analisi genomica ha dimostrato che l’aggressività del tumore nei riceventi trovava spiegazione non solo dalla terapia immunosoppressiva a cui erano sottoposti ma anche dalla delezione di alcuni geni HLA che conferivano al tumore la capacità di sfuggire alla sorveglianza immunitaria [4].

In questo caso non è stato possibile introdurre azioni correttive nella procedura di gestione del donatore, per escludere il ripetersi di questo evento. Infatti, non sono ancora disponibili test molecolari veloci compatibili con le tempistiche della donazione per intercettare potenziali donatori portatori di una LMA che non abbia dato ancora manifestazioni cliniche. In altre situazioni, è stato possibile introdurre elementi correttivi grazie alla raccolta e analisi degli EA/RA. È questo il caso, non in relazione al rischio oncologico, che riguarda la corretta conservazione dei reni durante il loro trasporto. Nella Figura 2 viene illustrato come in 10 anni siano stati segnalati 15 EA per problematiche sorte per un confezionamento non adeguato dei reni, soprattutto in relazione al mantenimento della temperatura di trasporto dell’organo. Per questo il 15 luglio 2021 è stata licenziata una procedura CNT per il confezionamento, conservazione e trasporto dei reni e dei campioni biologici a scopo di trapianto [5].

È interessante notare come da quel momento non siano più stati segnalati dalla rete italiana eventi avversi relativi a questo processo, configurandosi un buon esempio di come la gestione del rischio clinico consenta di apportare azioni correttive importanti e utili.

Figura 1. Eventi o Reazioni avverse che sono state raccolte dal CNT tra il 2012 e il 2021 in relazione alla tipologia di rischio (panel A) o alla fase del processo in cui sono state intercettate (panel B).
Figura 1. Eventi o Reazioni avverse che sono state raccolte dal CNT tra il 2012 e il 2021 in relazione alla tipologia di rischio (panel A) o alla fase del processo in cui sono state intercettate (panel B).
Figura 2. Le reazioni avverse segnalate in 10 anni dalla rete italiana in relazione al confezionamento e/o trasporto dei reni destinati a trapianto.
Figura 2. Le reazioni avverse segnalate in 10 anni dalla rete italiana in relazione al confezionamento e/o trasporto dei reni destinati a trapianto.

 

Conclusioni

La diagnosi pregressa o attuale di un tumore nel potenziale donatore non costituisce di per sé una controindicazione assoluta al prelievo e trapianto degli organi. La rete nazionale trapianti si è dotata di linee guida per facilitare la classificazione dei donatori in relazione al rischio di trasmissione di tumore. Inoltre, mette a disposizione dei “second opinion” per facilitare la valutazione del rischio oncologico. Le analisi preliminari della rete italiana dei trapianti indicano che le sopravvivenze degli organi che provengono da donatori non standard non sono diverse da quelle di donatori classificati come standard. La rete nazionale trapianti si è inoltre dotata di uno strumento per la gestione del rischio clinico, che consente di sorvegliare tutti gli eventi avversi che sono stati segnalati dalla rete. Questo consente una periodica revisione delle linee guida e procedure in atto, per diminuire il rischio di ripetizione degli eventi avversi. Va da sé che le attuali disposizioni in merito al rischio di trasmissione di tumori dal donatore con neoplasia ai riceventi sono dinamiche, e vanno rivalutate alla luce dell’esperienza maturata nella rete e dalla comunità scientifica internazionale. Ad esempio, uno studio recente ha determinato il rischio di trasmissione del cancro associato ai trapianti di organi da donatori deceduti con tumori cerebrali primari. Questo studio ha incluso un totale di 282 donatori con tumori cerebrali primari che avevano reso possibile 887 trapianti. 262 trapianti di essi provenivano da donatori con tumori ad alto grado e 494 da donatori con precedente intervento neurochirurgico o radioterapia. Tra gli 83 tumori maligni post-trapianto che si sono verificati in media dopo 6 anni in 79 riceventi di trapianti da donatori con tumori cerebrali, nessuno era di tipo istologico corrispondente al tumore cerebrale del donatore. La sopravvivenza del trapianto era equivalente a quella dei controlli abbinati. I risultati di questo studio di coorte suggeriscono quindi che il rischio di trasmissione del cancro nei trapianti da donatori deceduti con tumori cerebrali primari era inferiore a quanto si pensasse in precedenza, anche nel contesto di donatori considerati a rischio più elevato. Gli esiti del trapianto a lungo termine sono favorevoli [6].

Questi risultati suggeriscono che potrebbe essere possibile espandere in modo sicuro l’utilizzo di organi da questo gruppo di donatori [7].

 

Bibliografia

  1. DL et al. Kidney from patients with small renal tumors: a novel source of kidneys for transplantation. BJU Int 2008; 102:188–192 https://doi.org/1111/j.1464-410X.2008.07562.x.
  2. Wang X, Zhang X, Men T, et all. Kidneys With Small Renal Cell Carcinoma Used in Transplantation After Ex Vivo Partial Nephrectomy. Transplant Proc. 2018 Jan-Feb;50 (1):48-52. https://doi.org/10.1016/j.transproceed.2017.12.006.
  3. Jena AB, Seabury S, Lakdawalla D, et all. Malpractice risk according to physician specialty. N Engl J Med. 2011 Aug 18;365(7):629-36. https://doi.org/10.1056/NEJMsa1012370.
  4. Marchionni L, Lobo FP, A. Amoroso et all. Donor-derived acute myeloid leukemia in solid organ transplantation. Am J Transplant. 2022 Dec;22(12):3111-3119. https://doi.org/10.1111/ajt.17174.
  5. Centro Nazionale Trapianti – Istituto Superiore di Sanità – 2021 “Procedura nazionale confezionamento, conservazione, trasporto di reni e campioni biologici a scopo di trapianto” https://www.trapianti.salute.gov.it/imgs/C_17_cntPubblicazioni_417_allegato.pdf .
  6. Greenhall GHB, Rous BA, Robb ML, et all. Organ Transplants From Deceased Donors With Primary Brain Tumors and Risk of Cancer Transmission. JAMA Surg. 2023 May 1;158(5):504-513. https://doi.org/10.1001/jamasurg.2022.8419.
  7. Fong Y. Expanding the Donor Pool for Organ Transplant Using Organs From Donors With Cancer. JAMA Surg. 2023 May 1;158(5):513-514. https://doi.org/10.1001/jamasurg.2022.8427.

La Scuola Nefrologica Barese

Abstract

Questo articolo descrive la nascita e lo sviluppo della Scuola Nefrologica Barese che ha nobili origini nella Scuola Medica Italiana. La narrazione comincia con la descrizione della mia passione iniziale per la Medicina Interna e dopo per la Nefrologia, in cui si comprende l’importante ruolo che un docente ha sui propri discenti negli anni di formazione nell’università.

La seconda sezione descrive il disegno maturato e rivisto nel corso degli anni per realizzare la Scuola Nefrologica Barese, ispirandosi principalmente all’esperienza acquisita all’estero e coltivando le relazioni scientifiche con i colleghi a livello internazionale.

Nella terza sessione sono descritte le origini storiche della Scuola Nefrologica Barese, che è notevolmente cresciuta nel corso di 30 anni. Infine, dopo un breve cenno alla mia famiglia, non potevo non nascondere la mia passione per lo sport, vissuto in prima persona come attività podistica, e per il calcio. Il cinema ed il teatro sono un ottimo viatico per meditare.

In conclusione, la mia più viva speranza è che i miei allievi si ricordino sempre di perseguire obiettivi di eccellenza scientifica e, quando dovranno scegliere una persona da formare, quale potenziale futuro giovane ricercatore, osservino sempre i due principi fondanti della Scuola: serietà professionale, basata su un’ottima conoscenza clinica, e serietà scientifica, supportata da un’ottima produzione scientifica.

Parole chiave: Scuola Nefrologica, Nefrologia, Dialisi, Trapianto, Ricerca clinica

La mia vita di nefrologo con la passione per la clinica e la ricerca

La passione per la medicina interna e la nefrologia

La mia passione per la Medicina Interna è iniziata nel 1962 quando fui conquistato dall’approccio didattico del Prof. Virgilio Chini, che svolgeva le lezioni di Clinica Medica al quinto e sesto anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia nell’Università di Bari, presentando e commentando casi clinici complessi. Il Prof. Chini era un allievo del Prof. Frugoni, Clinico Medico, prima nell’Università di Padova e poi in quella di Roma.

In qualità di studente interno venivo da un’attività svolta prima in Anatomia Umana con il Prof. Rodolfo Amprino per 2 anni e dopo in Patologia Speciale Medica con il Prof. Claudio Malaguzzi-Valeri per altri 2 anni.  L’attrazione per la Medicina Interna si concretizzò con un internato di 2 anni in Clinica Medica dove trascorsi molto tempo in corsia. Durante quel periodo preparai una tesi di laurea sulla proteinuria dal titolo “Studio elettroforetico e cromatografico delle proteine urinarie”. In quell’occasione conobbi il mio maestro Prof. Lorenzo Bonomo, allora Aiuto del Prof Chini, che mi introdusse allo studio della immunologia e protidologia. Nel luglio del 1964 conseguii la laurea con il massimo dei voti e la lode e ricevetti il premio di laurea Lepetit per l’ottima tesi sperimentale. Dopo due anni, con l’aiuto del mio maestro, i risultati della tesi furono oggetto della mia prima pubblicazione su una rivista internazionale.

Dopo la laurea frequentai la Scuola di Sanità Militare per Allievi Ufficiali a Firenze, e dopo il Corso fui inviato, in qualità di Ufficiale Medico, prima al Battaglione Sila di Cosenza e dopo all’Ospedale Militare di Bari. Durante la frequenza della Scuola di Specialità in Medicina Interna ero allocato nel piano riservato ai medici della Clinica Medica. Pertanto la mia vita di specializzando fu un lungo periodo vissuto in corsia per l’attività clinica ed in laboratorio per l’attività scientifica. Fu in quel periodo che, praticando anche molta attività interventistica, come svuotamento di toraci con versamento pleurico, addomi con versamento ascitico, biopsie epatiche, e continuando ad occuparmi di proteinuria, fui inviato dal mio Maestro a Roma a frequentare per un trimestre l’Istituto di Patologia Speciale Medica del Policlinico Umberto I di Roma, diretto dal Prof. Cataldo Cassano, dove sotto la guida del suo Aiuto, Prof. Giuseppe Andres, imparai ad eseguire la biopsia renale previa insufflazione di ossigeno creando, in tal modo, un retropneumoperitoneo per visualizzare meglio il rene che doveva essere biopsiato. In quell’occasione imparai anche ad applicare la tecnica dell’immunofluorescenza sul tessuto renale. Al rientro a Bari iniziai ad effettuare le biopsie renali.

Dopo 4 anni di specialità di Medicina interna, prima di conseguire il diploma, fui invitato a partecipare ad un bando nazionale per una borsa di studio per soggiorno di due anni in una università europea. Fu così che nel 1968 iniziò la mia attività clinica e di ricerca presso l’Università Cattolica di Louvain (Belgio), dove sotto la guida di due eminenti figure della Nefrologia (Prof. C. Van Ypersele) e della Trapiantologia (Prof. G. Alexandre) mi fu affidato il compito di seguire i pazienti con trapianto di rene e di studiare la proteinuria in collaborazione con i Proff. E.C. Laterre e J.F. Heremans (illustre protidologo europeo). Il focus dello studio era la beta2 microglobulina urinaria, espressione di danno tubulare, nel trapianto di rene.

La passione per la ricerca clinica in nefrologia

Dopo due anni di attività a Louvain rientrai a Bari e nel 1971, a seguito della apertura della prima Scuola di Specialità in Nefrologia in Italia, mi avviai a conseguire quella specialità che sancì definitivamente la mia vita di nefrologo clinico e ricercatore, studiando oltre alle proteinurie, gli aspetti immunologici delle glomerulonefriti nell’Istituto di Clinica Medica, diretta dal mio Maestro, Prof. Lorenzo Bonomo. In quella sede ho trascorso 20 anni della mia carriera accademica, prima in qualità di libero docente in Patologia Speciale Medica, poi di ricercatore universitario, professore associato ed infine di professore ordinario in Medicina Interna (Terapia Medica Sistematica), per poi passare alla Nefrologia. Un percorso analogo a quello di tanti altri nefrologi che venivano dagli Istituti di Semeiotica Medica, Patologia Speciale Medica e Clinica Medica. La mia presenza in Clinica si alternò con altri periodi di soggiorno all’estero. Pertanto, trascorsi, prima, un anno a Londra presso il Guy’s Hospital dove, sotto la guida dell’amico Stewart Cameron, illustre nefrologo internazionale, studiai alcuni aspetti terapeutici delle glomerulonefriti e, successivamente, andai per alcuni mesi a Cleveland, Ohio (U.S.A.), presso l’Istituto di Anatomia Patologica della Case Western Reserve University, dove con l’amico Steven Emancipator approfondimmo alcuni aspetti immunologici della glomerulonefrite a depositi mesangiali di IgA. Quest’attività di ricerca fu proseguita da alcuni miei allievi che frequentarono per anni quell’istituto. Durante la mia permanenza a Cleveland maturai l’idea che era arrivato il momento di pensare al futuro, ovvero formare un gruppo misto di giovani medici e biologi perché l’esperienza maturata all’estero mi fece capire che per la ricerca era necessaria una stretta collaborazione tra ricercatori medici e biologi.

 

Sviluppo e realizzazione della Scuola Nefrologica Barese

Dopo il mio rientro dall’Università Cattolica di Louvain, invitai alcuni miei collaboratori a trascorrere brevi periodi di soggiorno in Europa. Ma dopo aver conseguito il titolo di professore ordinario e con l’esperienza maturata all’estero, arrivai alla conclusione che un giovane ricercatore per realizzare un progetto, doveva trascorrere un soggiorno di almeno due anni, per imparare nuove tecniche ed ottenere risultati per almeno una pubblicazione scientifica relativa al progetto. L’ideale era inviare giovani che avessero già acquisito una certa esperienza clinica e scientifica. Pertanto un giovane specializzando con tre anni di attività clinica e di ricerca scientifica in laboratorio era la persona ideale per poter realizzare in altra sede un progetto biennale o di maggior durata [1].

Nel 1985, in occasione del 18° Congresso dell’American Society of Nephrology a New Orleans, cominciarono i primi contatti. Nel corso di tre decenni, molti allievi frequentarono università americane ed europee (Tabella 1) ed il Congresso annuale dell’American Society of Nephrology divenne il punto di riferimento dove gli allievi mi relazionavano sulla loro attività scientifica. Ma la mia presenza fisica non si fece mancare in tutte quelle sedi dove, invitato a tenere delle conferenze, trascorrevo alcuni giorni nella sede con l’allievo per programmare le attività future dopo il rientro a Bari. Inoltre, ogni anno, il mio gruppo di lavoro presentava uno o più abstract al Congresso dell’American Society of Nephrology. Sono state queste le occasioni in cui gli allievi hanno presentato i dati dei loro progetti e si sono posti all’attenzione della comunità scientifica internazionale.

ALLIEVO MENTORE ISTITUZIONE
Pastore A. Spath P.J. Central Laboratory, Swiss Red Cross, Bern, Switzerland
Germinario C. Lambert P.H. Centre of Vaccinology, University of Geneve, Switzerland
Russo R. Kazatchkine M.D. Service de Néphrologie and INSERM U28, Hospital Brousias, Paris, France
Grasso C. Lubec G. Dept of Pediatrics, University of Vienna, Austria
Gesualdo L. Emancipator S.N. Institute of Pathology, Case Western Reserve University, Cleveland, Ohio, USA
Grandaliano G. Abboud H.E. Dept of Medicine, University of Texas Health Science Center, San Antonio, USA
Scivittaro V. Emancipator S.N. Institute of Pathology, Case Western Reserve University, Cleveland, Ohio, USA
Ranieri E. Storkus W.J. Dept of Surgery, University of Pittsburg School of Medicine, Pennsylvania, USA
Montinaro V. Rifai A. Dept of Pathology, Rhode Island Hospital, Providence, USA
Castellano G. Daha M.R. Dept of Nephrology, Leiden University Medical Centre, Leiden, The Netherlands
Zaza G. Evans W.E. St. Jude Children’s Research Hospital, Memphis, Tennessee, USA
Rossini M. Fogo A.B. Dept of Pediatrics, Vanderbilt University School of Medicine, Nashville, Tennessee, USA
Strippoli G.F.M. Graig J.C. NHMRC Centre of Clinical Research Excellence in Renal Medicine, University of Sydney, Australia
Pesce F. Falchi M. Dept of Genomics of Common Diseases, Imperial College London, London, UK
Simone S. Abboudh H.E. Dept of Medicine, University of Texas Health Science Center, San Antonio, USA
Fiorentino M. Kellum S. A. Centre of Critical Care Nephrology, University of Pittsburg, Pittsburg, USA
Tabella 1: Elenco degli allievi che hanno frequentato Istituzioni cliniche e di ricerca all’estero.

Durante il periodo di permanenza degli allievi all’estero, il primo elemento da tenere sotto controllo era lo stato di accoglienza ed il lavoro svolto dall’allievo in modo che l’istituto ospite potesse finanziare il secondo anno di permanenza. Secondo punto, era necessario trovare una collocazione al rientro in sede per non perdere l’allievo con l’esperienza acquisita che doveva servire a far crescere il gruppo. Terzo punto, trovare fondi per attrezzare la clinica di nuove strumentazioni che gli allievi avevano già utilizzato in altre sedi. Quarto punto, dare una continuità alla ricerca preparando progetti che potessero essere finanziati in Italia o all’estero con il coinvolgimento dei colleghi che avevano ospitato i miei allievi.

Questo programma, meditato e modificato dal punto di vista organizzativo nel corso degli anni, ha permesso di realizzare una Scuola dove sono stati studiati e approfonditi i diversi campi della ricerca in Nefrologia, Dialisi e Trapianto (Tabella 2). Ovviamente nell’attuare un programma, che si è svolto durante tutta la mia carriera accademica e continua oggi con la ricerca effettuata nella Fondazione Schena, da me costituita nel 2012, ho incontrato anche molte difficoltà che ho dovuto superare.

Glomerulonefriti primitive e secondarie
Immunocomplessi circolanti
Sistema del complemento e angioedema ereditario
Sistema della coagulazione
Pielonefrite
Biopsia renale (istologia ed immunofluorescenza)
Proteinurie
Calcolosi renale
Pre-eclampsia
Cellule staminali renali
Biocompatibilità delle membrane dialitiche
Trapianto renale
Studi clinici randomizzati ed osservazionali
Intelligenza Artificiale in Nefrologia
Revisioni sistematiche e meta-analisi
Tabella 2: Aree di ricerca della Scuola Barese in Nefrologia, Dialisi e Trapianti.

I principi meritocratici della Scuola sono sempre stati: serietà professionale basata su un’ottima conoscenza clinica, e serietà scientifica supportata da un’ottima produzione scientifica con traiettoria costante e consistenza di contenuto. La Scuola ha organizzato Congressi Scientifici Nazionali ed Internazionali in Puglia e ha ospitato, per ben due volte, il Congresso Nazionale della Società Italiana di Nefrologia, festeggiando nel 2007, il 50° anniversario della Costituzione della Società [2].

La Scuola Nefrologica Barese nel corso degli anni ha vinto molti progetti con finanziamenti forniti da istituzioni pubbliche e private in Italia e all’estero (Tabella 3), ed anche dopo ho continuato questo cammino con la Fondazione Schena. L’attività di ricerca è stata svolta sempre nel Policlinico di Bari e per 10 anni anche nel Consorzio C.A.R.S.O. di Valenzano, da me diretto, dove la Scuola e la Fondazione hanno vinto progetti di ricerca per un valore totale di 20 milioni di euro (Figura 1). Successivamente, in qualità di Emerito, sono rientrato nel Policlinico di Bari dove continuo a svolgere attività di ricerca con i miei collaboratori.

CNR
Ministero Pubblica Istruzione
Regione Puglia
Università di Bari
Ministero dell’Università e della Ricerca
Ministero della Sanità e dopo della Salute
Istituto Superiore di Sanità
Extramural Grant Baxter
National Institutes of Health
European Commission
Industrie per studi clinici randomizzati
Tabella 3: Lista delle Istituzioni che hanno finanziato la Scuola Nefrologica Barese e la Fondazione Schena.
 Il gruppo di ricerca della Scuola Nefrologica Barese che lavorava nel Consorzio
Figura 1: Il gruppo di ricerca della Scuola Nefrologica Barese che lavorava nel Consorzio C.A.R.S.O. Da sinistra verso destra: I ricercatori PhD De Palma G, Serino G, Cox SN, il sottoscritto, Sallustio F, Curci C. e Pesce F.

 

Origini storiche della Scuola Nefrologica Barese

La Figura 2 mostra l’albero genealogico della Scuola Nefrologica Barese che, come tutte le specialità, proviene da una delle Scuole di Medicina Interna. Nel nostro caso il fondatore è stato Francesco Orsi (1828-1909), Clinico Medico dell’Università di Pavia, che portò in cattedra due allievi, Pietro Grocco (1856-1916) a Firenze e Carlo Forlanini (1847-1918) a Pavia. Pietro Grocco fu il maestro di tre noti Clinici Medici come Raffaello Silvestrini (1868-1959) a Perugia, Pio Bastai (1888-1975), prima a Padova e dopo a Torino, e Cesare Frugoni (1881-1978) che dall’Università di Padova fu chiamato all’Università di Roma. I primi allievi e futuri cattedratici, furono Guido Melli (1900-1985) a Milano, Flaviano Magrassi (1908-1975) a Napoli e Virgilio Chini (1901-1983) a Bari. Tra gli allievi del Prof Chini, vanno ricordati Claudio Malaguzzi Valeri (1910-1995) prima patologo medico e dopo clinico, Oronzio Schiraldi (1924-2022) infettivologo e Lorenzo Bonomo (1924-2020) clinico medico prima nell’Università di Bari e dopo nell’Università La Sapienza di Roma.

Figura 2: Albero genealogico della Scuola Nefrologica Barese.
Figura 2: Albero genealogico della Scuola Nefrologica Barese.

La Scuola Nefrologica Barese iniziò i primi passi con il Prof. Albero Amerio (1916-2006), nefrologo ed aiuto del Prof Malaguzzi-Valeri. Fu il primo ad istituire in Italia la Scuola di Specialità in Nefrologia, ed il sottoscritto, allievo del Prof. Bonomo, in Clinica Medica, fu uno dei primi a frequentare la Scuola di Specialità negli anni ’70. Oggi, a seguito di quel progetto descritto e realizzato nel corso di 30 anni, la nefrologia pugliese è rappresentata da 5 professori ordinari di cui in questo momento l’ultimo è Giovanni Strippoli, già professore ordinario aggiunto di Epidemiologia Clinica nell’Università di Sydney e oggi ordinario di Nefrologia nell’Università di Bari. Comunque ai Professori Ordinari, Loreto Gesualdo nell’Università di Bari, Giuseppe Grandaliano nell’Università Cattolica di Roma, Giovanni Stallone nell’Università di Foggia e Giuseppe Castellano nell’Università Statale di Milano, si devono aggiungere i professori associati Carlo Manno, Giovanni Battista Pertosa, Gianluigi Zaza ed i prossimi professori associati Francesco Pesce a Roma e Marco Fiorentino a Bari. Tutti questi allievi hanno svolto un ruolo importante dal punto di vista scientifico e clinico nello sviluppo della Scuola Nefrologia Pugliese, come vincitori di progetti di ricerca finanziati e nuove attività cliniche avviate nella Scuola e partecipando a numerosi Congressi Nazionali ed Internazionali (Figura 3).

 Partecipazione della Scuola Nefrologica Barese al Congresso della Società Italiana di Nefrologia (SIN)
Figura 3: Partecipazione della Scuola Nefrologica Barese al Congresso della Società Italiana di Nefrologia (SIN), Rimini, ottobre 2022. Da sinistra verso destra: il sottoscritto, Pontrelli P, Ranieri E, Simone S, Grandaliano G, Pertosa G, Pesce F e Porri MG.

Comunque desidero sottolineare che non si può dimenticare l’importante ruolo svolto dai biologi nella Scuola. È stata molto fertile la collaborazione tra nefrologi e biologi ai fini della ricerca scientifica nel corso degli anni. Pertanto oggi sono presenti nella Scuola biologi che hanno dato lustro dal punto di vista scientifico e che sono progrediti nella carriera accademica, come Elena Ranieri, Professore Ordinario di Patologia Clinica nell’Università di Foggia, Paola Pontrelli Professoressa Associata di Patologia Clinica e Fabio Sallustio, Professore Associato di Scienze Biologiche nell’Università di Bari. Il numero di biologi e biologhe che ha frequentato la Scuola, nel corso degli anni, è stato elevato per l’enorme attività scientifica che è stata e viene tuttora svolta. Questo fertile connubio tra Nefrologi e Biologi ha radici profonde. Su mia proposta negli anni ’90, nella Facoltà di Medicina di Bari, fu istituita la Scuola Diretta a Fini Speciali di Tecnico di Laboratorio Biomedico, trasformata negli anni successivi in Laurea di primo livello e dopo in Laurea magistrale.

Negli anni successivi furono costituiti il Consorzio Europeo per gli studi della IgA nefropatia, supportato da un finanziamento dell’Unione Europea, la Rete regionale di omiche applicate agli esseri viventi, supportato da un finanziamento del Ministero dell’Università, e la rete nazionale di omiche applicate ai Trapianti Renali, supportato da un finanziamento del Ministro della Salute.

Un’altra importante iniziativa, che ha permesso a medici e biologi di collaborare nella ricerca, fu la richiesta, da parte mia, di istituire il Dottorato di ricerca in Scienze Trapiantologiche. Questa richiesta fu da me avanzata dopo aver costituito il Dipartimento di Emergenza e Trapianti di Organi e Tessuti, che diressi per il primo triennio. Inoltre per più di 25 anni sono stato il coordinatore delle attività trapiantologiche in Puglia. Dopo 24 trapianti di rene da donatore vivente, effettuati dal 1973 al 1983, iniziò negli anni ’90 un’intesa attività prima con il trapianto di rene, dopo quello di fegato ed infine quello di cuore. Recentemente, in occasione del Congresso Nazionale della Società Italiana Trapianti di Organi e Tessuti, che si è tenuto a Trieste nel mese di ottobre 2022, mi è stata assegnata una Targa per aver dedicato una vita all’attività dei trapianti di organi (Figura 4). In quell’occasione si è trascorsa una bella serata con i colleghi nefrologi partecipanti al programma nazionale trapianti di reni (Figura 5).

Figura 4: Premio “Una vita al servizio dei Trapianti di Organi”.
Figura 4: Premio “Una vita al servizio dei Trapianti di Organi”. Trieste, ottobre 2022. Da sinistra verso destra: Stallone G, Gesualdo L, il sottoscritto, Grandaliano G, Castellano G e Zaza G.
Una serata a Trieste con alcuni nefrologi coinvolti nel programma trapianti di rene a livello nazionale.
Figura 5: Una serata a Trieste con alcuni nefrologi coinvolti nel programma trapianti di rene a livello nazionale. Da sinistra verso destra: Biancone L (Torino), La Manna G (Bologna), Maggiore U (Parma), Garosi G (Siena), Zaza G (Foggia), Castellano G (Milano), Gesualdo L (Bari), il sottoscritto, Minetti E (Milano), Stallone G (Foggia), Grandaliano G. (Roma).

 

La mia famiglia e l’attività extra-lavorativa

Devo confessare che non sono stato un padre esemplare per la mia scarsa presenza in famiglia; però sono stato fortunato perché questo compito è stato completamente svolto da mia moglie che, in qualità di docente nella scuola, ha saputo seguire con affetto i nostri due figli sino al conseguimento della laurea.  Mio figlio Stefano, oggi, è Professore Associato di Cardiochirurgia nel Medical College of Wisconsin, Milwaukee, USA. Mia figlia Valentina, dopo un lungo periodo trascorso nel mondo della moda, ha deciso da qualche anno di intraprendere una nuova attività costituendo la Puglia Concierge per turisti stranieri.

La mia passione per lo sport

Questa passione è vissuta da molti decenni praticando sport non agonistico, quale una corsa di 8-10 km un paio di volte a settimana prima ed ora una volta a settimana, preferibilmente la domenica. Nel mese di marzo ho partecipato alla Run Like a Deejay di 10 km in pianura a Bari con buon successo (Figura 6). Quindi nel mio libro “Manuale della Dieta Mediterranea” dove consiglio ai pazienti di praticare attività fisica moderata, a seconda dell’età, metto in pratica questo consiglio anche per me stesso ogni settimana. Ho constatato di persona come con l’avanzare dell’età, dopo la corsa, c’è una maggiore velocità di pensiero e ideazione, grazie all’ossigenazione delle cellule cerebrali durante l’attività fisica.

Sono un appassionato di calcio, tifoso della Juventus e del Bari. Vado spesso allo stadio, specialmente quando ci sono squadre che possono esprimere il bel gioco. basato sulla velocità, prestanza fisica ed intelligenza nel saper smarcarsi. I recenti campionati del mondo sono stati una prova testimoniale di questo tipo, intelligente e divertente, di gioco del calcio.

Figura 6: Arrivo al traguardo dopo aver percorso la Run Like a Deejay di 10 km in pianura a Bari nel marzo 2023.
Figura 6: Arrivo al traguardo dopo aver percorso la Run Like a Deejay di 10 km in pianura a Bari nel marzo 2023.

La mia passione per il cinema ed il teatro

Il buio della sala cinematografica mi affascina perché è il luogo ideale per apprezzare e criticare un buon film; d’altronde i film in concorso nei Festival si proiettano solo in sale cinematografiche. Si tratta di un luogo completamente differente da quello di casa dove spesso, alla televisione, si vedono anche buoni film ma non si apprezzano perché, stando in casa, ti ricordi sempre quello che c’è da fare. Pertanto la prova di questa passione è testimoniata dalla frequentazione delle sale cinematografiche quando sono proiettati film interessanti. In conclusione, il film la domenica è quasi d’obbligo.

Frequento meno il teatro, ma sono presente quando ci sono delle buone rappresentazioni teatrali realizzate da artisti di alto livello professionale.

 

Conclusioni

Lo scopo di questo articolo è stato, principalmente, quello di narrare come è nata la Scuola Nefrologica Barese, basata principalmente sul mio impegno e su quello dei miei allievi. La mia più viva speranza è che i miei allievi si ricordino sempre di perseguire obiettivi di eccellenza scientifica e, quando dovranno scegliere una persona da formare, quale potenziale futuro giovane ricercatore, osservino sempre i due principi fondanti della Scuola: serietà professionale, basata su un’ottima conoscenza clinica, e serietà scientifica, supportata da un’ottima produzione scientifica.

 

Bibliografia

  1. Timio M. Professor F.P. Schena: an all-round protagonist of nephrology. G Ital Nefrol. 2010 Nov-Dec;27(6):681-4.
  2. Schena F.P., Fogazzi G.B. Interviste con la Storia della Nefrologia Italiana. pag 165- 174, 2016 Wichtig Editore, Milano.

Immunosuppressive therapy reduction and early post-infection graft function in kidney transplant recipients with COVID-19

Abstract

Background: Kidney transplant (KT) recipients with COVID-19 are at high risk of poor outcomes due to the high burden of comorbidities and immunosuppression. The effects of immunosuppressive therapy (IST) reduction are unclear in patients with COVID-19.
Methods: A retrospective study on 45 KT recipients followed at the University Hospital of Modena (Italy) who tested positive for COVID-19 by RT-PCR analysis.
Results: The median age was 56.1 years (interquartile range,[IQR] 47.3-61.1), with a predominance of males (64.4%). Kidney transplantation vintage was 10.1 (2.7-16) years, and 55.6 % of patients were on triple IST before COVID-19. Early immunosuppression minimization occurred in 27 (60%) patients (reduced-dose IST group) and included antimetabolite (88.8%) and calcineurin inhibitor withdrawal (22.2%). After SARS-CoV-2 infection, 88.9% of patients became symptomatic and 42.2% required hospitalization. One patient experienced irreversible graft failure. There were no differences in serum creatinine level and proteinuria in non-hospitalized patients before and post-COVID-19, whereas hospitalized patients experienced better kidney function after hospital discharge (P=0.019). Overall mortality was 17.8%. without differences between full- and reduced-dose IST. Risk factors for death were age (odds ratio [OR]: 1.19; 95%CI: 1.01-1.39), and duration of kidney transplant (OR: 1.17; 95%CI: 1.01-1.35). One KT recipient developed IgA glomerulonephritis and two ones experienced symptomatic COVID-19 after primary infection and SARS-CoV-2 mRNA vaccine, respectively.
Conclusions: Despite the reduction of immunosuppression, COVID-19 affected the survival of KT recipients. Age of patients and time elapsed from kidney transplantation were independent predictors of death . Early kidney function was favorable in most survivors after COVID-19.

Keywords: COVID-19, kidney transplant, immunosuppressive therapy, graft function, proteinuria, mortality, transplant, SARS-COV-2, reinfection

Ci spiace, ma questo articolo è disponibile soltanto in inglese.

Introduction

Since SARS CoV-2 infection was first identified in December 2019, the pandemic spread quickly around the world, with a disruptive impact on social and economic life. This virus yielded several new challenges to our healthcare systems that had to cope with an increased rate of morbidity and mortality among the most vulnerable populations [1]. Kidney transplant (KT) recipients are a subset of the population at high risk of severe COVID-19 due to the high burden of comorbidities and the cumulative side effects of immunosuppressive therapy (IST) [2]. Data collected so far show that transplant recipients are extremely susceptible to the SARS-CoV-2 infection, much more than the general population [3, 4]. The causes are multiple, but principally revolve around the use of long-term IST.

Despite the great emphasis on early IST reduction to face the potentially lethal consequences of COVID-19, no confirming data supports its beneficial effect in terms of survival or clinical manifestations. Additional uncertainty arises from the recent literature reporting that a tempered immune response is thought to prevent COVID‐19–induced systemic inflammatory syndrome. To date, data regarding early graft outcomes after COVID-19 are scarce [5]. It is worth noting that graft survival may be threatened by non-reversible episodes of kidney injury [6, 7]. Lastly, a concerning issue may be the hyporesponsiveness to anti-SARS-CoV-2 vaccination [8, 9]. Numerous studies have confirmed that KT recipients have a blunted immune response to mRNA vaccines [10]. Only 48% of patients were able to develop a protective serologic response to SARS-CoV-2 [11]. Caillard et al [12] reported that about one-third of kidney transplant patients had severe manifestations, including a fatal outcome, despite COVID-19 vaccination. This group of patients is therefore expected to remain vulnerable to the severe complications of COVID-19 until new strategies will be implemented to reduce the susceptibility of these subjects.

Considering all the uncertainties in the management of KT recipients and the high risk of severe COVID-19 manifestations within this cohort of patients, we report our experience in managing KT recipients with COVID-19. In particular, we focus on the impact of early IST reduction, and early graft function after the resolution of the infection.

 

Material and methods

Kidney transplant outpatient clinic

This kidney transplant outpatient clinic follows more than 500 KT recipients, including combined liver and pancreas-kidney transplantation. Outpatient service was delivered by a senior nephrologist with experience in kidney transplantation, one fellow and three nurses. A 24-h, 7/7 days per week service was available for KT recipients in case of kidney-related pathologic processes (anuria, fluid overload) or infections. This service was also offered to the subjects transplanted in our Center but living far away from it.

During COVID-19 all the patients were instructed to call the clinic in case of COVID-19 symptoms. Despite the reduction of non-essential healthcare services, our outpatient clinic continued to deliver care to KT recipients, adopting all the containment measures (triage at entry, masking, social distancing and hands hygiene) to prevent COVID-19 diffusion. A telephonic triage was performed for all patients before reaching the hospital to intercept paucisymptomatic patients.

Patients with symptoms were invited to perform nasal swabs using RT-PCR and were visited in a dedicated room to assess vital parameters and clinical conditions. According to the severity of the symptoms, patients were sent home or to the emergency room. To reduce the workload of the emergency room, patients were managed as outpatients unless they developed severe symptoms that required hospital admission. The monitoring of noncritical patients was mostly performed via phone calls and emails.

According to our internal protocol and taking into account the opinions of European experts [13, 14], immunosuppression was modulated as follow:

  • for asymptomatic or mild COVID-19 patients (i.e., mild upper respiratory and/or gastrointestinal symptoms, temperature <38°C without dyspnea) in triple therapy (calcineurin-inhibitors [CNI] + mycophenolate acid [MPA]/azathioprine [AZA] + steroids), MPA or AZA was withdrawn, and a dual therapy (CNI + steroid) was continued. If the patients were on dual therapy (CNI + mammalian target of rapamycin inhibitor [mTOR-i] or CNI + MPA), MPA/mTOR was withdrawn and replaced with a low dose of steroids (i.e., methylprednisolone 4 or 8 mg once-daily).
  • for moderate (signs and symptoms of lower respiratory disease or saturation of oxygen [SpO2] ≥94% on room air at sea level) and severe COVID-19 (SpO2 <94% on room air at sea level, a ratio of arterial partial pressure of oxygen to fraction of inspired oxygen [PaO2/FiO2] <300 mm Hg, respiratory frequency >30 breaths per minute, or lung infiltrates >50%) all immunosuppressors, but steroids, were stopped. The prescription of anti-inflammatory and immunomodulant steroid therapy for symptomatic COVID-19 patients (dexamethasone at a dose of 6 mg once daily for up to 10 days) was not part of the anti-rejection therapy and was administered by COVID-19 experts.

COVID-19 population

The study population was comprised of kidney transplant recipients with COVID-19 with a complete follow-up, including death or discharge from hospital.

We retrospectively reviewed the electronic charts of all KT recipients with COVID-19 from March 7, 2020, to June 25, 2021. During this period we performed 144 nasopharyngeal swabs. The diagnosis of COVID-19 was performed through reverse transcriptase-polymerase chain reaction (RT-PCR) assay on a nasopharyngeal swab. We excluded patients aged <18 years. Kidney function was estimated by glomerular fraction rate (eGFR) using the CKD-EPI equation. Occasionally, some data were missing for patients admitted to a hospital located far from our Center.

This study has been authorized by the local Ethical Committee of Emilia Romagna (n. 839/2020). The study protocol complies with the guidelines for human studies and includes evidence that the research was conducted ethically in accordance with the World Medical Association Declaration of Helsinki.

Statistical analysis

Baseline characteristics were described using median (interquartile range [IQR]) or frequencies, as appropriate. The chi-square or Fisher’s test, and student’s t-test were used to compare categorical and continuous variables between groups, respectively. Univariate and multivariate logistic regressions were performed to test the association between mortality and baseline patient characteristics. Variables that were significant on univariate analysis (P=<0.05) were entered into the multivariate model to identify independent predictors. Results were expressed as odds ratios (OR) and 95% confidence intervals (CI). Univariate and multivariate logistic regression analysis determined risk factors for death. A P value of <0.05 was considered statistically significant. All statistical analyses were performed using SPSS® statistical software.

 

Results

Characteristics of COVID-19 population

From the beginning of the COVID-19 pandemic in Italy, 45 KT recipients followed in our center contracted COVID-19. The demographic and clinical characteristics of these patients are detailed in Table I. This group of patients included two (4.4%) combined liver-kidney and one (2.2%) heart-kidney transplant recipient. Seven (15.5%) patients were hospitalized in another structure because they lived far from our Center.

Variable All patients
(n.=45)
Reduced-dose IST
(n.=27)
Full-dose IST
(n.=18)
p-value
Age, year 56.1 (47.3-61.1) 55.9 (47.6-61.2) 56.1 (44.4-62) 0.85
Range 19.2-83.5 19.2-79.8 28.1-83.5
Males, n. (%) 29 (64.4) 18 (66.7) 110 (61.1) 0.75
Race/ethnicity 0.61
White, n. (%) 41 (91.1) 26 (92.6) 16 (88.9
Black, n. (%) 4 (8.9) 2 (7.4) 2 (11.1)
Transplant vintage, year 10.1 (2.7-16.01) 7.8 (2.4-15.2) 11.1 (4.7-21.1) 0.29
sCr pre-COVID-19, mg/dl 1.45 (1.18-1.84) 1.44 (1.18-1.81) 1.28 (1.14-1.82) 0.68
eGFR pre-COVID-19, ml/min 48.4 (36-64) 47.7 (35-64) 49.5 (38.6-67.9) 0.83
24-h proteinuria, mg/dl 87.4 (0.52-188.5) 72 (0.25-183) 145.5 (6.2-205) 0.69
Immunosuppressive therapy, n. (%)
CNI 39 (86.7) 24 (88.9) 15 (83.3) 0.67
mTOR-i 8 (17.8) 4 (14.8) 4 (22.2) 0.69
MPA 31 (68.9) 24 (88.9) 7 (38.9) 0.01
Steroid 36 (80) 23 (85.2) 13 (72.2) 0.44
IS regimen 0.001
Triple therapy 25 (55.6) 21 (77) 4 (22.2)
Double therapy 19 (42.2) 6 (22.2) 13 (72.2)
Monotherapy 1 (2.2) 0 (0) 1 (5.6)
Reduction IS therapy, n. (%) 27 (60) 27 (100) 0 (0) N/A
MPA withdrawal 24 (53.3) 24 (88.9) 0 (0) N/A
CNI or mTOR-i withdrawal 6 (13.3) 6 (22.2) 0 (0) N/A
Increase steroid 9 (5,4) 8 (29.6) 1 (5.6) 0.064
Comorbidities, n. (%)
HIV, HCV or HBV 6 (13.3) 3 (11.1) 3 (16.7) 0.65
Diabetes 5 (11.1) 4 (14.8) 1 (5.6) 0.63
Neoplasia 10 (22.2) 7 (25.9) 3 (16.7) 0.71
Graft rejection 4 (8.9) 1 (3.7) 3 (16.7) 0.13
CVD 12 (26.7) 7 (25.9) 4 (22.2) 77
Autoimmune disease 4 (8.9) 1 (3.7) 3 (16.7) 0.13
Previous severe infection 13 (28.9) 8 (29.6) 5 (27.7) 1
Symptomatic COVID-19, n. (%) 40 (88.9) 27 (100) 13 (72.2) 0.45
Hospitalization, n. (%) 19 (42.2) 14 (51.9) 5 (27.8) 0.13
Graft failure, n. (%) 1 (2.2) 1 (3.7) 0 (0) 1
ICU admission, n. (%) 9 (20) 4 (14.8) 5 (27.8) 0.28
Mortality, n (%) 8 (17.8) 4 (14.8) 4 (22.2) 0.69
Post-COVID-19 follow-up, day 70.5 (51-109) 76  (50.5-116.5) 69 (66-76) 0.57
Notes: eGFR denotes estimated glomerular filtration rate; CNI, calcineurin inhibitor; CVD, cardiovascular disease; HCV, hepatitis C; HBV, hepatitis B; IST, immunosuppressive therapy; MPA, mycophenolate acid; mTOR-I, mammalian target of rapamycin inhibitor; sCr, serum creatinine.
Table I:Demographics and clinical characteristics of KT recipients

The age of patients ranged from 19.2 to 83.5 years and the median was 56.1 (IQR, 47.3-61.1) years. COVID-19 was more prevalent in males than in females (64.4% vs 35.6%) and occurred after a median of 10.1 (2.7-16.01) years from transplantation.

Before the COVID-19 infection, serum creatine (sCr) was 1.45 (IQR 1.1-1.8) mg/dl corresponding to a median eGFR of 48.4 (IQR 36-64) ml/min. At the time of the COVID-19 diagnosis, more than half of the patients were in triple standard IST. Forty patients (88.9%) developed symptoms of COVID-19 and 19 of them (42.2%) required hospitalization. One patient returned to dialysis following acute kidney injury. Overall, nine patients (20%) were admitted to ICU for severe manifestations of COVID-91 and eight (17.8%) died.

Reduced- vs full-dose IST group

The entire population was subdivided into two groups: reduced-dose (n.=27; 60%) and full-dose IST (n.=18; 40%). There were no significative statistical differences in terms of demographic and clinical characteristics between the two groups. Statistical analysis detected significant differences in the prescription of IST. Patients who underwent reduction of immunosuppression (reduced-dose IST) were treated with a higher dose of IST before COVID-19; indeed, the rate of prescribed triple-drug IST was higher in this group than in full-dose IST patients (77% vs. 22.2%; P=<0.001).

In the reduced-dose IST group, MPA (88.8%) and CNI or mTOR-i (22.2%) were the most frequent discontinued agents. Conversely, the dose of steroids was increased in a third of patients and, in all of them, the administration of steroids changed from alternate days (methylprednisolone 2/0 or 4/0) to a daily regimen.

Hospitalization, ICU admission and death rate in patients who underwent IST reduction were 51.8%, 14.8% and 14.8%, respectively. However, despite IST reduction, hospitalization (P=0.13), ICU admission (P=0.28) and death (P=0.69) rates were not different from those of the full-dose IST group.

Outcomes of KT recipients with COVID-19

Univariate and multivariate logistic regression was performed to detect predictors of mortality (Table II). Multivariate analysis found that age (OR=1.19 [95%CI 1.01-1.39]; P=0.034) and years spent on immunosuppressive therapy (OR=1.17 [95%CI 1.01-1.35]; P=0.040) were associated with mortality in this group of patients.

Univariate Multivariate
Variable OR CI (95%) p-value OR CI (95%) p-value
Sex
Male 4.40 0.78 24.81 0.09  
Age (1-yr increase) 1.11 1.02 1.22 0.016 1.19 1.01 1.39 0.034
KT vintage (1-yr increase) 1.10 1.00 1.21 0.053 1.17 1.01 1.35 0.040
Steroid-based IST 1.93 0.21 18.08 0.56
Reduction IST 1.33 0.26 6.869 0.74
Increase of steroid 0.52 0.06 4.85 0.56
Triple IST 0.51 0.10 2.620 0.42
Double IST 1.96 0.38 10.026 0.42
GFR 0.99 0.95 1.026 0.57
GFR< 45ml/min 1.47 0.32 6.80 0.62
GFR 45-59 ml/min 0.68 0.15 3.16 0.62
sCr 1,33 0,26 6.87 0.73
Graft rejection 1.52 0.14 16.91 0.73
Autoimmune disease 0.00 0.00 0.99
HIV/HCV/HBV 2.58 0.38 17.43 0.33
Previous sever infection 0,73 0.13 4.19 0.72
Diabetes 1.11 0.11 11.49 0.93
Neoplasm 1.12 0.19 6.70 0.89
Cardiovascular disease 1.73 0.34 8.76 0.50
Notes: eGFR denotes estimated glomerular filtration rate; HCV, hepatitis C; HBV, hepatitis B; IST, immunosuppressive therapy; MPA, mycophenolate acid; mTOR-I, mammalian target of rapamycin inhibitor; sCr, serum creatinine.
Table II: Univariate and multivariate predictors of mortality through logistic regression analysis

Among the survivors (82.2%), one patient with a CKD stage 4 (GFR=20 ml/min) before SARS-CoV-2 infection developed irreversible graft failure requiring HD. One patient (2.7%) manifested de-novo proteinuria (4100 mg/die) after the resolution of COVID-19 and graft biopsy revealed IgA glomerulonephritis (the lack of data on the cause of CKD did not allow us to classify these histological findings as either de-novo or recurrent IgA glomerulonephritis). Lastly, one patient experienced symptomatic COVID-19 reinfection after the primary infection and another one following the SARS-CoV-2 mRNA vaccine. Early post-COVID-19 follow-up of 25 out of the 37 survivors showed that pre- and post-COVID variations of sCr, eGFR and 24-hour proteinuria were not statistically significant in outpatients after the resolution of COVID-19. A significantly lower sCr level (P=0.019) and eGFR (P=0.028) were measured after hospital discharge in hospitalized patients. No differences were noted in the level of daily proteinuria (Table III). The early follow-up of KT recipients after COVID-19 resolution did not show any new episodes of graft rejection.

Non-hospitalized patients Hospitalized patients
Pre-COVID-19 Post-COVID-19 p-value Pre-COVID-19 Post-COVID-19 p-value
sCr, mg/dl 1.31 (1.2-1.76) 1.33 (1.08- 1.7) 0.85 1.49 (1.1-1.8) 1.21 (0.9-2.1) 0.019
eGFR, ml/min 48.8 (40.5-62.1) 56.7 (41.5-67) 0.25 46.7 (36-64) 56.7 (41.5-67) 0.028
24-h proteinuria, mg/die 102 (6.2-205) 89.4 (37.2-246.4) 0.08 13(2.5-183) 44.7 (10.8-1141) 0.29
Notes: eGFR, estimated glomerular filtration rate; sCr, serum creatinine.
Table III: Early graft function post-COVID-19 in hospitalized and non-hospitalized KT recipients

 

Discussion

Numerous reports have alerted the scientific community regarding the unfavorable outcome of COVID-19 in patients with a reduced immune response [1, 15]. The results of this study confirmed that COVID-19 poses KT recipients at high risk of severe consequences.

In our cohort of KT recipients, COVID-19 carried with it a higher rate of symptoms, hospitalization and mortality compared to the general population [16, 17]. We found that in this cohort (45 KT recipients with COVID-19, median age 56.1), 40% of patients developed severe symptoms requiring hospitalization. Overall mortality was 17.8%, higher than the mortality reported in the general population, which ranges between 0.1-19.2% around the world and accounts for about 2.02% globally [18].

In an attempt to reconstitute the immune system against SAR-CoV-2 infection, we minimized the burden of IST in these patients. All KT recipients who communicated their COVID-19 positivity to our center, were advised to discontinue the antimetabolite agents (i.e., MFA or AZA) (88.9%) and CNI or m-TOR-i (22.2%). In the hospitalized patients, IST was further reduced or suspended, according to the clinical conditions of the patient. Nevertheless, hospitalization and death rates in the reduced-dose IST group were not dissimilar from the full-dose IST group.

At first glance, these results show that the reduction of immunosuppression did not confer any advantage in terms of patient survival. However, some considerations should be considered before drawing firm conclusions. Most patients who underwent IST reduction carried a significantly higher burden of IST compared to KT recipients whose therapy was left unmodified. The higher prevalence of triple-drug immunosuppressive regimen in patients who underwent IST minimization (77% vs. 22.2%; P=<0.001) has probably increased the vulnerability to COVID-19. Conversely, patients with a full-dose IST spent more time (11.2 vs 7.8 years) on kidney transplantation compared to the reduced-dose IST group. Lastly, we believe that the slight increase of steroid therapy (from alternate days to a daily administration) in the reduced-dose IST group (P=0.064) was too small to mitigate the inflammatory response driven by COVID-19.

Although the reduction of IST did not lead to a favorable outcome, it is worth mentioning that the overall mortality in our cohort was tendentially lower than that reported in other studies, where this approached up to 32.5% [1926]. Our results are in line with the population-based data on 1013 KT recipients affected by COVID-19 collected by the French and Spanish national registries, which reported a 28-day mortality of 20% [27]. In Italy, Bossini et al. [24] reported a higher overall mortality rate (28%) during the first wave of COVID-19 in the city of Brescia. Similarly to our therapeutic strategy, they discontinued immunosuppression in all hospitalized patients and introduced or increased the dose of steroids. The causes underlying these different mortality rates are unknown. The different timing of enrollment made the two cohorts not perfectly comparable. All patients in the Brescia cohort were enrolled during the first wave of COVID-19 in Europe, in an overwhelmed and unprepared hospital setting, within a timespan characterized by a high rate of experimental regimens and relative side effects [28, 29]. Lastly, a lower median age (56.1 vs. 60 years) in our cohort of patients probably contributed to the better prognosis.

Multivariate analysis showed that the predictors of death were age and time elapsed on IST, in line with previous studies. Age is widely associated with COVID-19 severity and death in KT recipients [30, 31] as well as in the general population [32]. The Centers for Disease Control (CDC) claims that 8 out 10 COVID-19 deaths in the U.S. occurred in adults over 65 and that the risk of hospitalization and death increases enormously with age [33].

The effect of immunosuppression is still controversial in KT recipients [34]. Immunosuppression is known to dysregulate innate and adaptive immunity, exposing the patients to severe infections. On the other hand, severe COVID-19 infection has been associated with a dysregulated inflammatory response (IL-6, IL-1, and chemokines) leading to ARDS and sepsis. The new insights support a promising role of immunosuppressants (i.e., tocilizumab, steroid) in tempering the immune response of patients with severe manifestations of COVID-19 [35].

Lastly, we report a short-term good graft function in patients who survived COVID-19. These data indicate a stable early graft function (sCr and 24-hour proteinuria) in outpatients who were not hospitalized. Conversely, hospitalized KT recipients had a statistically significant improvement in renal function. As stated also by Dacina et al. [5], we speculate that lower sCr after SARS-CoV-2 is due to the minimization or withdrawn of CNI, a ‘drug holiday’ apparently without dire consequences in terms of graft rejection.

Finally, the limitations of the study should be enumerated. It is a retrospective study, with a small sample size and a short follow-up after COVID-19. The small number of patients and the short observation period may have reduced the probability to observe an underlying difference between these two groups. Long-term follow-up is required to verify if the early improvement of kidney function after COVID-19 is maintained in the survivors. Furthermore, we cannot exclude that, in some cases, the reduction of IST occurred with a short delay after the diagnosis of COVID-19; however, all patients with symptoms underwent nasopharyngeal swabs as fast as possible in an ambulatory setting.

 

Conclusion

In our cohort of patients, the reduction of immunosuppression did not decrease the risk of severe COVID-19 or death. COVID-19 was associated with hospitalization (42%), graft failure (2.2%), IgA glomerulonephritis (2.2%) and death (17.8%). Age and time elapsed from kidney transplantation were independent predictors of death in our patients. Short-term follow-up after COVID-19 showed an excellent graft function in most survivors. Primary infection or vaccination did not exclude the risk of SARS-CoV-2 infection in KT recipients.

 

Authorship credit

Conception: Gaetano Alfano and Francesca Damiano

Collection of data: Camilla Ferri, Francesco Giaroni, Andrea Melluso, Martina Montani, Niccolò Morisi, Lorenzo Tei, Jessica Plessi

Analysis and interpretation of data: Gaetano Alfano, Francesco Giaroni, Francesca Damiano

Drafting the article: Gaetano Alfano, Francesco Fontana, Silvia Giovanella, Giulia Ligabue, Giacomo Mori

Intellectual Contribution: Francesco Fontana Gianni Cappelli, Giovanni Guaraldi

Revising the article: Gianni Cappelli, Giovanni Guaraldi

Approval of the version to be published: all authors

 

Acknowledgments

Special thanks are due to Marco Ballestri, Elisabetta Ascione, Roberto Pulizzi and Francesca Facchini, skilled and experienced nephrologists involved in the “Kidney Transplant Program”, and to Laura Bonaretti and all nurses of the “Kidney Transplantation Outpatient Clinic” at the University Hospital of Modena for their precious support in managing KT recipients.

 

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