Denosumab e rischio fratturativo nel trapianto di rene

Abstract

Introduzione: I pazienti con trapianto di rene hanno un elevato rischio di sviluppare malattia ossea. L’anticorpo monoclonale denosumab (Den) legando RANKL, riduce l’attività osteoclastica e aumenta le densità minerale ossea (BMD), riducendo il rischio di fratture. Abbiamo studiato l’efficacia e la sicurezza di Den in pazienti con trapianto di rene che hanno sviluppato fratture ossee.
Pazienti e metodi: Tredici pazienti con trapianto renale (età 50-79 7 M e 6 F), con una media di 9,9 anni di trapianto, con funzione renale sostanzialmente conservata (eGFR 62±15 ml/min/1.73m2) che hanno sviluppato fratture low-energy (21 dorsali e 1 lombare) dopo il trapianto, sono stati sottoposti a terapia con denosumab e valutati per un periodo di due anni (4 dosi da 60 mg) con DEXA vertebro-femorale e morfometria assorbitiva (MXA).

Nel periodo di osservazione sono state raccolte le altezze vertebrali e il loro rapporto postero-anteriore (P/A) e i valori della BMD vertebrale, femorale e del radio. La terapia immunosoppressiva comprendeva CNI e MMF e 8 su 13 pazienti prendevano prednisone. Inoltre, i pazienti ricevevano una dose di 450.000 UI di colecalciferolo all’anno. Whole-PTH, 25-OH D3, fosfatasi alcalina (ALP) sono stati valutati.
Risultati: Dopo 2 anni di terapia con Den, la DEXA evidenziava un significativo aumento del T-score vertebrale (da -2.12±0.35  a -1.67±0.35; p<0.02), mentre T score femorale e radiale erano immodificati (-1.86±0.21 versus -1.84±0.23 e -3.04±0.42 versus -3.19±0.45, rispettivamente). Abbiamo trovato un ridotto tasso di incidenza di fratture vertebrali/paziente-anno rispetto al periodo pre e post Den 0.17 [95 CI 0.11-0.24] vs 0.07 [95% CI 0.02-0.3] rispettivamente. Nessuna modificazione significativa di Whole-PTH (89.3119.9 pg/ml versus 68.389.8 pg/ml), 25OH D3 (24.022.75 ug/L versus 26.672.29 ug/L) e ALP (78.4612.73 UI/L versus 56.777.14 UI/L) veniva riscontrata. Non si sono verificati effetti avversi.
Conclusioni: Il Den migliora la BMD vertebrale e sembra ridurre il rischio di fratture vertebrali low-energy nel trapianto di rene.

Parole chiave: Denosumab, frattura da fragilità, osteopatia del trapianto

Introduzione

Le fratture scheletriche costituiscono una complicanza severa e disabilitante del trapianto renale (Tx) con un’incidenza fratturativa da 5 a 34 volte (M versus F) superiore a quanto rilevato nel soggetto normale [1].

Il Tx contribuisce solo in parte a migliorare i disturbi del metabolismo minerale, perché la possibile persistenza di elevati livelli di PTH e di FGF-23 [2], l’allungamento dei tempi di mineralizzazione insensibile agli effetti della vitamina D [3] e, soprattutto, l’interferenza degli immunodepressori sul metabolismo osseo [4, 5] inducono una costante perdita della densità e della qualità minerale scheletrica, aumentando il rischio fratturativo.

Il denosumab (Den), un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega con alta affinità al RANKL, bloccando l’interazione tra RANK e RANKL, inibisce l’osteoclastogenesi e l’attività osteoclastica con conseguente aumento della densità minerale ossea, mimando l’effetto fisiologico dell’osteoprotegerina. Il suo utilizzo nell’osteoporosi postmenopausale è ormai consolidato, con un’efficacia superiore ai bifosfonati nel migliorare la densità minerale e nel ridurre il rischio di fratture low-energy [6, 7]. Nei Pazienti sottoposti a trapianto renale, tuttavia, mancano le evidenze di una reale riduzione del rischio fratturativo, a fronte di un sensibile e documentato miglioramento della densità minerale scheletrica [8].

Nel presente studio è stato valutato, oltre alla BMD, il rischio fratturativo mediante morfometria vertebrale con DEXA dopo 2 anni di trattamento con denosumab, somministrato ad una coorte di pazienti sottoposti a trapianto di rene con fratture singole o multiple low-energy del rachide dorso-lombare, ad alto rischio di nuove fratture [9]. 

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Il trattamento del paziente fratturato con insufficienza renale cronica (CKD)

Abstract

Le fratture da fragilità si possono manifestare in tutti gli stadi della malattia renale cronica (CKD) a causa dell’osteoporosi, così come nella CKD-MBD. Come nel caso delle donne postmenopausali e degli anziani, la precoce identificazione dei pazienti con CKD e storia di fratture da fragilità è essenziale per ridurre il rischio di nuove fratture e delle loro conseguenze. Mentre il trattamento dell’osteoporosi nei pazienti con CKD stadio 1-3 non differisce sostanzialmente dai pazienti sani non-CKD, l’approccio farmacologico nei soggetti con CKD stadio 4-5/5D è differente e più complesso. In questi pazienti, prima di avviare una terapia farmacologica è imperativo determinare l’eventuale presenza di CKD-MBD, con un’istomorfometria ossea. Dopo l’implementazione di misure preventive generali non-farmacologiche volte alla riduzione del rischio di frattura e caduta, nel trattamento del paziente con CKD stadio 4-5/5D si può prendere il considerazione l’uso dei bisfosfonati e denosumab, sebbene le evidenze non siano di grado elevato. Sebbene alendronato, risedronato e denosumab abbiano dimostrato di essere efficaci (nel ridurre l’incidenza di fratture), sicuri e ben tollerati in pazienti con CKD stadio 4, il loro uso sistematico necessita ulteriori evidenze. Mentre, l’approccio farmacologico nello stadio 5/5D è stato esplorato unicamente in studi su piccole casistiche, che hanno prodotto evidenze limitate o scarse. In tutti i casi (stadio 4-5/5D), è necessario essere a conoscenza del rischio di potenziali eventi avversi quali l’ipocalcemia e la malattia adinamica dell’osso.

PAROLE CHIAVE: fratture, malattia renale cronica, osteoporosi, bisfosfonati, denosumab

Introduzione

Il trattamento del paziente affetto da osteoporosi con frattura da fragilità (osteoporosi severa) si deve basare sull’implementazione di misure generali di prevenzione non-farmacologiche e su una terapia farmacologica specifica, con l’obiettivo finale di ridurre l’incidenza di nuove fratture da fragilità (1, 2) e, indirettamente, prevenire le complicanze cliniche delle fratture (disabilità, decesso, riduzione della qualità di vita). Questo approccio, che è stato ormai ampiamente definito e caratterizzato per i pazienti affetti da osteoporosi primitiva (postmenopausale o senile) o secondaria, dovrebbe teoricamente essere implementato anche nei soggetti affetti da insufficienza renale cronica (CKD) ed osteoporosi severa con fratture da fragilità (14). In questo contesto, la prescrizione di misure preventive non-farmacologiche, quali l’implementazione di programmi di attività motoria/riabilitazione volti a migliorare le performance muscolari, l’attivazione di procedure per la riduzione del rischio di caduta, e la rimozione dei potenziali fattori di rischio per frattura da fragilità, non pone particolari problemi nel paziente affetto da CKD; mentre la terapia farmacologica specifica deve tener conto della complessità del paziente affetto da CKD, e dei potenziali rischi a essa connessi sul piano della funzione renale residua, della sicurezza scheletrica/osteometabolica e più in generale della sicurezza clinica (14). 

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Terapia dell’osteoporosi da glucocorticoidi

Abstract

L’osteoporosi indotta da glucocorticoidi (GIO) è un’importante causa di osteoporosi secondaria che inizia precocemente nel corso della terapia anche per dosaggi bassi. In nefrologia, i glucocorticoidi vengono utilizzati nel trattamento delle nefropatie a genesi immunologica e nel trapianto renale. Nella pratica clinica sono disponibili diversi algoritmi che consentono di stimare il rischio di frattura osteoporotica nel lungo periodo, ma nessuno di questi è specificatamente rivolto alla GIO. Ad oggi, l’approccio terapeutico alla GIO comprende misure di carattere generale rivolte alla correzione dello stile di vita, dell’apporto di calcio e di vitamina D e farmaci (bifosfonati, teriparatide, terapia ormonale sostitutiva, denosumab) che, mediante meccanismi molecolari diversi, migliorano la densità minerale ossea e l’outcome del paziente.

PAROLE CHIAVE: Osteoporosi indotta da glucocorticoidi, bifosfonati, denosumab, teriparatide, calcio, vitamina D

INTRODUZIONE

L’utilizzo degli steroidi si associa ad una perdita precoce (entro 3-6 mesi dall’inizio della terapia) della densità ossea con conseguente incremento del rischio di fratture, per dosaggi di prednisolone (o suo equivalente) > 2.5-7.5 mg/die (1). In ambito nefrologico, la terapia steroidea viene utilizzata nel trattamento delle nefropatie a genesi immunologica, che colpiscono pazienti sia giovani che anziani, nonché nell’ambito del trapianto renale. In letteratura vi sono pochi lavori che abbiano valutato l’efficacia della prevenzione e della terapia dell’osteoporosi nel contesto delle nefropatie glomerulari (2). Lo scopo di questa review è delineare quali siano le attuali terapie e le indicazioni ad iniziare un trattamento per l’osteoporosi indotta da glucocorticoidi (GIO, glucocorticoid induced osteoporosis).

 

PATOGENESI

I glucocorticoidi, agendo mediante i recettori citoplasmatici tipo 2 presenti negli osteoblasti e nelle cellule stromali, aumentano il riassorbimento del tessuto osseo e ne riducono la formazione. Tale effetto è mediato, almeno in parte, dalla soppressione della produzione di osteoprotegerina (OPG) e dalla sovraproduzione del receptor activator of nuclear factor kappa-B ligand (RANKL): la prima inibisce la differenziazione osteoclastica a partire dalle cellule emopoietiche agendo come “decoy” per il recettore RANK; il secondo rappresenta un fattore fondamentale per la differenziazione osteoclastica legandosi al precedente (3). L’uso di glucocorticoidi a lungo termine riduce prevalentemente la formazione di osso, mediante l’inibizione diretta della proliferazione degli osteoblasti e l’aumento della velocità di apoptosi di osteociti ed osteoblasti maturi: ciò spiegherebbe il motivo per cui i glucocorticoidi possono causare osteonecrosi (4).

I glucocorticoidi, inoltre (56), riducono l’assorbimento intestinale di calcio interferendo con l’azione della vitamina D e riducendo l’espressione dei canali del calcio nel duodeno; incrementano la calciuria; inibiscono la produzione di insulin-like growth factor 1 (IGF-1) e di testosterone; aumentano il catabolismo proteico con conseguente sarcopenia ed aumento del rischio di caduta (Figura 1).

 

DIAGNOSI

In generale, si pone diagnosi di osteoporosi quando:

  • si verifica una frattura di fragilità
  • e/o la densità minerale ossea (BMD), usando la dual-energy x-ray absorptiometry (DXA), mostri un T-score < – 2.5 DS.

Nella valutazione del paziente che deve intraprendere terapia steroidea con una durata prevista di almeno 3 mesi, è necessario stimare il rischio di frattura. Nella popolazione generale, sono stati validati algoritmi di valutazione (FRAX, DeFRA) che consentono di stimare la probabilità di frattura del paziente nel lungo periodo.

Il Fracture Risk Assessment Tool (FRAX), patrocinato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, stima la probabilità a 10 anni di frattura nelle donne non trattate in post-menopausa e negli uomini con età pari o maggiore a 50 anni (7).

Esso considera quali fattori di rischio: età (40-90 anni), sesso (M/F), indice di massa corporea, fratture pregresse, genitori con anamnesi positiva per frattura di femore; fumo; consumo >3 unità alcoliche/die, terapia steroidea, presenza di artrite reumatoide; bone mineral density (BMD) misurata al collo femorale (g/cm3).

 

Combinando i vari parametri richiesti, i pazienti vengono stratificati in 3 classi di rischio per frattura osteoporotica maggiore a 10 anni:

  • Basso rischio: FRAX <10%;
  • Medio rischio: FRAX 11-20%;
  • Alto rischio: FRAX >20% o T score < -2.5 DS.

 

I principali limiti all’uso del FRAX nella GIO sono rappresentati dal fatto che tale punteggio non considera la BMD vertebrale, principale sede di frattura nella GIO; dall’impossibilità di inserire dosaggio, durata ed eventuale uso di boli steroidei nel calcolo del rischio; dalla non applicabilità a pazienti con età inferiore a 40 anni.

Un’evoluzione recente del FRAX adattata alla realtà italiana e recentemente validata, è il DeFRA (FRAX-derived) che sembra migliorare la previsione della probabilità del rischio di frattura a 10 anni. Il principale obiettivo del DeFRA è definire meglio il rischio assoluto di frattura introducendo nell’algoritmo variabili non più dicotomiche ma semiquantitative (fumo, dose di glucocorticoide, unità alcoliche), numero e sede di precedenti fratture di fragilità, altre cause di osteoporosi secondaria (ad es. connettivi) ed infine la BMD sia del femore che della colonna vertebrale (8).

 

MISURE GENERALI E FARMACOLOGICHE PER LA PREVENZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLA GIO

Misure generali

Secondo le linee guida dell’American College of Rheumatology del 2010 (9), nel paziente che inizia una terapia steroidea con durata prevista del trattamento > 3 mesi, si raccomanda di intraprendere il seguente stile di vita e di effettuare le seguenti valutazioni al fine di prevenire la perdita di densità ossea (livello di evidenza C):

  • Sospensione del fumo;
  • Evitare l’assunzione eccessiva di alcol (> 2 bicchieri/die);
  • Effettuare attività fisica con carico;
  • Valutazione dell’apporto di calcio e vitamina D nutrizionale;
  • Valutazione del rischio di caduta ed altezza;
  • DXA al basale;
  • Livelli circolanti di 25-OH vitamina D;
  • Considerare un Rx della colonna vertebrale o un vertebral fracture assessment (VFA).

Calcio e vitamina D. Calcio e vitamina D rappresentano la prima linea terapeutica e preventiva della GIO. Le linee guida dell’ACR 2010 raccomandano nel paziente che deve assumere steroidi per una durata prevista pari o maggiore a 3 mesi, di mantenere un apporto totale di calcio di 1200 mg/die ed un introito di vitamina D pari a 800 UI/die mediante dieta e/o supplementi (livello di evidenza A) (9). Tale raccomandazione deriva dal fatto che i glucocorticoidi riducono l’assorbimento intestinale di calcio ed aumentano la calciuria, generando un bilancio negativo del calcio.

I metaboliti attivi della vitamina D (alfa-calcidiolo, calcitriolo) si sono dimostrati parimenti efficaci nel mantenimento della densità ossea vertebrale nei pazienti che assumono terapia steroidea [effect size (ES) = 0.43, p< 0.001] senza preferenza dell’uno rispetto all’altro (p>0.13) (10). Tuttavia, sono poco utilizzati alla luce dei rischi potenziali di ipercalcemia ed ipercalciuria e per la presenza di terapie ritenute più efficaci, come i bifosfonati (11, 12).

 

Bifosfonati. I bifosfonati rappresentano, dopo calcio e vitamina D, i farmaci di prima linea per la prevenzione ed il trattamento della GIO, dimostrandosi in ciò superiori ai supplementi di vitamina D e calcio (7, 8). I bifosfonati sono analoghi del pirofosfato (PPi): si differenziano per la sostituzione dell’atomo di ossigeno (P-O-P) con un atomo di carbonio (P-C-P) (13). Le cellule di rivestimento dell’osso impediscono al PPi di entrare nella struttura ossea grazie all’azione della fosfatasi alcalina, mentre i bifosfonati sono resistenti all’azione di tale enzima e penetrano nell’osso legandosi alla superficie mineralizzata. Il meccanismo d’azione dei bifosfonati è principalmente dovuto all’inibizione dell’attività osteoclastica mediante il blocco dell’attività di enzimi ATP-dipendenti, della farnesil pirofosfato sintasi e tramite l’interferenza con la via del mevalonato; tutti pathways essenziali per la funzione e la sopravvivenza degli osteoclasti. Dal punto di vista farmacocinetico, i bifosfonati hanno una bassa biodisponibilità orale [alendronato, ibandronato, risedronato (1%), etidronato (3-7%)] e vanno assunti a stomaco vuoto con un bicchiere d’acqua. Una volta assorbiti, circa il 40-60% entra nell’osso mentre il restante viene eliminato immodificato per filtrazione glomerulare e secrezione tubulare prossimale. L’emivita di eliminazione dei bifosfonati è pari a circa 10 anni (13). Si consiglia, da scheda tecnica, l’uso di alendronato, risedronato, ibandronato in pazienti con clearance della creatinina (ClCr) >30 ml/min e di zoledronato in pazienti con ClCr > 35 ml/min. La Tabella 1 riporta la posologia dei principali bifosfonati per la prevenzione ed il trattamento della GIO.

Teriparatide. Teriparatide (PTH 1-34) è indicato come terapia di seconda linea per il trattamento e la prevenzione della GIO per costo, necessità di somministrazione sottocutanea e disponibilità di altri farmaci (9). La somministrazione intermittente di PTH stimola la formazione ossea ed aumenta l’assorbimento intestinale ed il riassorbimento renale di calcio. Nel lavoro di Saag et al. si evidenzia come teriparatide sia più efficace dell’alendronato nell’aumentare la BMD e nel ridurre il numero di fratture della colonna vertebrale, mentre non vi è differenza significativa nell’incidenza di fratture non vertebrali (p=0.36) (14). Tale farmaco viene somministrato per via sottocutanea al dosaggio di 20 mcg/die e non richiede alcun aggiustamento posologico in caso di insufficienza renale; tuttavia, da scheda tecnica, ne viene controindicato l’uso in caso di insufficienza renale grave. Tale terapia non va protratta oltre i due anni per un aumentato rischio di osteosarcoma osservato con trattamenti di durata maggiore in studi preclinici (15).

Denosumab. Denosumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il fattore di differenziazione osteoclastica RANKL: inibisce pertanto la formazione di osteoclasti, riduce il riassorbimento osseo ed il rischio di frattura ed aumenta la BMD (16). Dal punto di vista farmacocinetico, denosumab non è eliminato dal rene; pertanto non vi è attualmente controindicazione all’uso in pazienti con ClCr < 30-35 ml/min. Tuttavia, come per altri farmaci anti-riassorbitivi, nei pazienti con malattia renale cronica vi è un maggior rischio di ipocalcemia: è indicato pertanto fornire vitamina D e calcio al paziente prima di intraprendere denosumab (17). La scheda tecnica del farmaco attualmente non ne prevede una specifica indicazione nel trattamento della GIO; tuttavia in Italia la nota AIFA n.79 contempla l’uso del farmaco come seconda linea in prevenzione primaria e secondaria nei pazienti in terapia steroidea, al dosaggio di 60 mg sc ogni 6 mesi (18).

 

INDICAZIONI ALL’USO DEI FARMACI ANTI-OSTEOPOROTICI PER LA PREVENZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLA GIO

Di seguito sono riportate le raccomandazioni dell’ACR 2010 (9). Tali raccomandazioni suddividono i pazienti in relazione all’età (superiore o inferiore ai 50 anni) e, nelle donne, allo stato menopausale.

Le indicazioni ad iniziare in prevenzione primaria la terapia farmacologica nei pazienti con età >50 anni e nelle donne in postmenopausa sono le seguenti:

  • Soggetti che iniziano o assumono terapia steroidea a qualunque dosaggio per qualsiasi durata, con T score compreso fra -1.0 e -2.5 (osteopenia);
  • Probabilità di alto rischio calcolata mediante FRAX;
  • Punteggio di rischio basso-medio calcolato mediante FRAX ma in soggetti in terapia con >5 mg/die di prednisone o suo equivalente per una durata prevista > 3 mesi.

In pazienti con diagnosi di osteoporosi, è indicato iniziare la terapia in uomini d’età >50 anni e nelle donne in post-menopausa che iniziano o sono già in terapia steroidea indipendentemente da dosaggio e durata del trattamento alla valutazione iniziale.

Circa l’impiego farmacologico, le linee guida dell’ACR suggeriscono:

  • Per i pazienti a basso rischio, l’uso dei bifosfonati (alendronato, risedronato e acido zoledronico) se la dose di prednisone è >5 mg/die.
  • Per i pazienti a medio rischio, l’uso di alendronato e risedronato per qualsiasi dose di steroide; l’acido zoledronico rappresenta una possibilità per i pazienti che ricevono >5 mg/die di prednisone.
  • Per i pazienti ad alto rischio, l’uso dei bifosfonati per qualsiasi dosaggio e durata di terapia steroidea. La teriparatide rappresenta una possibilità nei pazienti ad alto rischio che assumono > 5 mg/die di prednisone per una durata nota < 1 mese e per qualsiasi dosaggio di steroide di durata > 1 mese.
  • Nelle donne in pre-menopausa e nei pazienti maschi d’età inferiore ai 50 anni, è necessario valutare la funzione gonadica: laddove questa sia deficitaria vi è indicazione alla terapia ormonale sostitutiva, rispettivamente estro progestinica o con testosterone. Vista la lunga emivita e la capacità dei bifosfonati di superare la placenta, è necessario considerare i potenziali danni al feto nelle donne in età fertile.

Le linee guida suggeriscono di iniziare la terapia farmacologica in:

  • Donne con precedente frattura di fragilità in terapia con prednisone o suo equivalente pari a 7.5 mg/die per > 3 mesi, che non richiedano terapia estrogenica sostitutiva (funzione ovarica nella norma).
  • Donne senza frattura di fragilità con perdita ossea accelerata (> 4%/anno) in trattamento steroideo.
  • Uomini con precedente frattura di fragilità in terapia con prednisone o suo equivalente pari a 7.5 mg/die per > 3 mesi che non richiede terapia ormonale sostitutiva (testosterone).
  • Uomini senza frattura di fragilità con perdita ossea accelerata (> 4%/anno) in trattamento steroideo.

 

NOTA AIFA n° 79

La prescrivibilità a carico del Sistema Sanitario Nazionale di bifosfonati, teriparatide e denosumab è vincolata dalla nota n°79 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Tale nota, riguardo la GIO, può essere così riassunta:

  • Nei pazienti in prevenzione primaria in donne in menopausa o in uomini d’età > 50 anni a rischio elevato di frattura per un trattamento in atto o previsto per > 3 mesi con prednisone > 5 mg/die, è possibile prescrivere in ordine di scelta:
    • 1° scelta: alendronato (± vit.D), risedronato, zoledronato
    • 2° scelta: denosumab
  • Nei pazienti in prevenzione secondaria con pregresse fatture osteoporotiche vertebrali o di femore, se è presente > 1 frattura ed un trattamento con prednisone o equivalenti > 5 mg/die, è possibile prescrivere in ordine di scelta:
    • 1° scelta: teriparatide
    • 2° scelta: denosumab, zoledronato
    • 3° scelta: alendronato (± vit.D), risedronato, ibandronato, stronzio ranelato

Il passaggio dalla prima scelta di trattamento alle successive richiede la presenza di intolleranza, incapacità di assunzione corretta, effetti collaterali o controindicazioni al farmaco della classe precedente o, nel caso del teriparatide, alla fine del periodo di trattamento massimo consentito. Si considera altresì la modifica della scelta terapeutica anche in caso di frattura osteoporotica vertebrale o di femore nonostante trattamenti praticati per almeno un anno con i farmaci della classe precedente (19).

 

CONCLUSIONI

Rimane, ad oggi, controverso quale sia l’approccio migliore per la prevenzione ed il trattamento della GIO, soprattutto nei pazienti giovani senza evidenti fattori di rischio clinici e/o laboratoristici per osteoporosi. In ambito nefrologico, è stata recentemente condotta dal Gruppo di Nefrologia Clinica Piemontese un’indagine retrospettiva volta a valutare l’approccio alla prevenzione del danno osseo nei pazienti in terapia steroidea in Piemonte e Valle D’Aosta. Tale articolo mette in luce l’ampia variabilità nell’aderenza alle linee guida (ACR 2010 ed altre) e nella prescrizione dei farmaci per l’osteoporosi nonché nel monitoraggio e nella valutazione laboratoristico-radiologica del problema (20). Alla luce del notevole utilizzo in ambito nefrologico della terapia steroidea, sono necessari ulteriori studi che valutino l’impatto di tale problematica nell’ambito delle nefropatie a genesi immunologica.

 

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