La personalizzazione della terapia emodialitica: la dialisi non è una lavatrice

Abstract

Negli ultimi anni la popolazione in dialisi cronica è cresciuta sia in numerosità, ma anche in età ed in frequenza di co-morbidità come le cardiopatie, le patologie vascolari, il diabete, ecc. Un trattamento dialitico scarsamente tollerato può avere effetti collaterali deleteri che richiedono un’intensificazione delle sedute dialitiche e innumerevoli ricoveri. Inoltre i trattamenti dialitici che si complicano, oltre ad essere dannosi per il paziente, diventano economicamente più svantaggiosi rispetto ad altri trattamenti, apparentemente più costosi, ma meglio tollerati. Oggi, grazie agli enormi sviluppi che si sono avuti nella tecnologia della dialisi, abbiamo a nostra disposizione potenti armi che permettono di garantire una dialisi efficace e poco sintomatica alla maggioranza dei pazienti in HD. Nuove membrane, altamente biocompatibili, con cut-off definito e modulare o con capacità di assorbimento di tossine uremiche, forniscono una depurazione adeguata nella maggior parte dei casi. Inoltre i sistemi di monitoraggio e biofeedback attuabili nel corso della seduta di dialisi come i biofeedbacks su volume ematico (BVM), temperatura corporea (BTM) e pressione arteriosa (BPM) possono essere molto utili nel ridurre il rischio di ipotensione e di altri sintomi intra-dialitici. Pertanto la terapia dialitica, al pari di tutte le terapie farmacologiche per i paziente cronici, deve tenere in considerazione la specificità del paziente, basandosi sui suoi problemi metabolici, sulla sua tolleranza generale e cardiovascolare, sulla sua funzione renale residua e sulla sua compliance alimentare e generale. E l’obiettivo fondamentale del nefrologo, deve essere quello di formulare la migliore prescrizione per ogni paziente, utilizzando le modalità di trattamento, il tipo di membrana, la valutazione del peso secco (peso post-dialisi ideale), la frequenza e la durata delle sessioni settimanali, nonché gli strumenti tecnologici innovativi, che rendono più tollerabile la terapia dialitica.

Keywords : adeguatezza dialitica, tolleranza dialitica, biocompatibilità, membrane dialisi, monitoraggio intra-dialitico, biofeedback

In Italia, le persone affette da insufficienza renale cronica sono circa il sette per cento della popolazione generale (1). L’ipertensione, il diabete, insieme con specifiche malattie renali come le glomerulonefriti e le pielonefriti sono le patologie che generano un continuo flusso di pazienti che raggiungono lo stadio terminale della insufficienza renale. Nel 2015, il Registro Italiano di Dialisi e Trapianto della Società Italiana di Nefrologia ha censito 42.375 pazienti in emodialisi, 4.438 in dialisi peritoneale e 23.467 portatori di trapianto renale per un totale di 70.280 pazienti in terapia sostitutiva renale (2). La prevalenza in dialisi nel 2015 è risultata di 770 per milione di abitanti, mentre l’incidenza era di 154 pazienti per milione di abitanti (2). Negli ultimi anni, l’età media di ingresso in emodialisi si è progressivamente elevata, risultando, dai rilievi del Registro Italiano di Dialisi e Trapianto, intorno ai 70-71 anni (2). L’età avanzata, spesso, si porta con sè una serie di importanti co-patologie, in particolare a carico del sistema cardio-vascolare che si aggravano con il progredire del deficit funzionale renale. Ne deriva che, un largo numero di pazienti che iniziano la dialisi è estremamente “fragile” sul piano cardio-vascolare ed emodinamico risultando molto più esposto alle complicanze dello stesso trattamento dialitico (3). Circa 7 milioni di trattamenti vengono eseguiti ogni anno in Italia, con un impegno di spesa annua che va oltre i 2 miliardi di euro dal momento che, un anno di trattamento dialitico, richiede dai 40 ai 50.000 euro per singolo paziente. Dato l’ingente impegno economico, la dialisi, pur essendo una terapia “salva vita”, è sovente, sia sul piano nazionale che in ogni singola Azienda Sanitaria, oggetto di analisi economiche con valorizzazione nei meccanismi di controllo e riduzione della spesa. Inoltre, in periodi di crisi economica come l’attuale, vi è sempre di più il rischio di preferire, nella scelta terapeutica, il principio basato sulla convenienza economica, rispetto al principio basato sulla qualità delle prestazioni. La politica del prezzo più basso ad ogni costo, che si è fatta strada anche nell’acquisizione di beni e servizi in dialisi e che si basa su una presunta razionalizzazione della spesa sanitaria, può portare ad una pericolosa massificazione dei trattamenti dialitici. La standardizzazione terapeutica, non può tenere conto delle esigenze cliniche del singolo paziente che sono influenzate, non solo dal deficit renale – comune a tutti i pazienti in RRT-, ma dalle concomitanti patologie e dalle esigenze metaboliche e biochimiche che variano  da paziente a paziente (Figura 1).

La storia della dialisi, dalla applicazione del primo rene artificiale, ha visto, soprattutto in Italia, un susseguirsi di ricerche in campo tecnologico e clinico volte ad una personalizzazione dalla dialisi ed una ottimizzazione dei trattamenti nel singolo paziente verso la cosidetta “ dialisi di precisione”. L’innovazione in dialisi ha interessato tutte le componenti della dialisi extracorporea, le membrane, le modalità di trattamento che utilizzano diffusione e convezione, i sistemi di trattamento e depurazione delle acque, i ritmi e la frequenza de trattamenti, la tecnologia delle macchine (Figura 2).

Un ruolo centrale nel passaggio da una dialisi esclusivamente depurativa ad una dialisi più fisiologica e meno gravata di effetti collaterali, è stato rappresentato dall’introduzione sul mercato delle membrane sintetiche e di quelle cellulosiche modificate.

Nell’ambito delle tecniche depurative extracorporee, la biocompatibilità è la capacità di causare la minore reazione possibile al sangue che viene a contatto con i materiali artificiali del circuito extracorporeo. La biocompatibilità risulta quindi una caratteristica fondamentale per un dispositivo preposto ad effettuare una depurazione extracorporea in situazioni di cronicità e ripetitività continua. D’altronde, è ampiamente dimostrato come la non-biocompatibilità dei dispositivi impiegati nel circuito extra-corporeo ed in particolare della membrana dialitica, incida negativamente sul piano clinico (4). Da tempo sono note le conseguenze a breve termine dell’emo-bioincompatibilità che scatena uno stato infiammatorio ed accresce lo stress ossidativo (5). Nel medio-lungo termine si realizza la cronicizzazione della infiammazione, e la comparsa di diverse situazioni patologiche come anemia, malnutrizione e severe alterazioni dell’apparato cardio-vascolare (45).

L’avanzamento tecnologico,avvenuto negli ultimi vent’anni, ha portato ad un miglioramento della biocompatibilità ed anche ad un potenziamento delle  performances dei filtri di dialisi in termini di capacità filtrante e di idraulica.

Le membrane ad alta permeabilità idraulica hanno portato all’avvento delle metodiche convettive rappresentate dalle tecniche di emofiltrazione ed emodiafiltrazione che hanno sicuramente allargato l’orizzonte depurativo. Recentemente inoltre vi è stato l’ingresso delle nuove membrane a medio cut-off e non elevata permeabilità idraulica, che potranno rappresentare una nuova frontiera depurativa (6).

Ancora oggi però, non esistono dati conclusivi che suggeriscano una modalità di trattamento come ottimale per tutti i pazienti. L’adeguatezza dialitica è un concetto puramente teorico basato sul raggiungimento di obiettivi quali efficacia di depurazione, correzione dei disordini metabolici ed idrico-elettrolitici, prevenzione degli effetti collaterali e della “non-compliance”. Tuttavia una dialisi intermittente (tri-settimanale con una durata di trattamento di 4 ore o poco più) non riuscirà mai a replicare perfettamente la funzione fisiologica del rene che opera incessantemente per tutto l’arco della giornata, 24 ore su 24, assicurando una omeostasi completa dei prodotti del metabolismo intermedio, degli elettroliti, dei fluidi corporei.

Per anni l’urea è stata considerata l’unico tossico uremico, invece è stato dimostrato che esistono molte altre molecole di medio-alto peso molecolare che sono altrettanto, se non più tossiche, dell’urea. L’emofiltrazione una tecnica che privilegia la rimozione delle medie molecole a scapito delle piccole molecole come l’urea ha dimostrato di assicurare un migliore sopravvivenza anche a pazienti anziani e con elevati gradi di co-morbidità (7). Recentemente è stato dimostrato che si accumulano nell’uremia molecole di medie e grandi dimensioni come il fattore D del complemento, la pentatrexina, il para-cresolo, l’indoxil solfato che possono legarsi alle proteine (PBUT) e che assumono un importante ruolo sul piano fisiopatologico (8). Molte di queste molecole non sono infatti affatto “innocenti” e giocano spesso un ruolo chiave nella genesi di manifestazioni come l’infiammazione cronica, lo stress ossidativo, i disordini della sfera immunologica. Alterazioni che insorgono nella insufficienza renale cronica agli ultimi stadi e che permangono in dialisi cronica.

Diverse medie e grandi molecole (anche con peso molecolare superiore a 55 kDa), non vengono eliminate attraverso i classici meccanismi di filtrazione, diffusione e convezione. E allora bisogna fare ricorso a membrane particolari a medio-alto cut-off o ad altre modalità di rimozione come l’adsorbimento.

Riguardo l’adsorbimento, solo alcune membrane dialitiche hanno anche elevate capacità adsorbenti oltre alle classiche capacità filtranti, permettendo la rimozione di molecole tossiche di elevate dimensioni in seguito all’intrappolamento al loro interno (9).

La rimozione per adsorbimento di molecole ad alto peso molecolare può diventare strategica nel trattamento del paziente nefropatico affetto da alterazione del sistema immunitario e migliorare la risposta immunitaria riducendo la frequenza delle complicanze infettive.

Ad esempio l’adsorbimento da parte di alcune membrane di sCD40, glicoproteina presente nel paziente emodializzato in alta concentrazione e che inibisce le risposte anticorpali, può favorire la competenza immunologica ed accrescere la sieroconversione in corso di vaccinazione come quella verso il virus B dell’epatite (10).

L’alterazione dello stato immunitario nel paziente emodializzato potrebbe anche incidere su patologie correlate quali il prurito uremico istamino-mediato. Come dimostrato nello studio DOPPS, il prurito uremico severo, genera disturbi del sonno e peggiora significativamente la qualità della vita del paziente (11) Particolari membrane adsorbenti, come il polimetilmetacrilato, sembrano in grado di rimuovere le sostanze ad alto peso molecolare che stimolano i mastociti alla produzione di istamina. La costante rimozione di queste sostanze istaminizzanti riduce il prurito avvertito dal paziente nelle settimane e nei mesi successivi (12).

Negli ultimi anni, si è anche visto come, metodiche e membrane che nascono per essere dedicate alla HD, possono avere un ruolo anche in altre patologie come le discrasie plasmacellulari. In pazienti con mieloma ed insufficienza renale di recente insorgenza, l’utilizzo precoce di membrane ad alto cut-off, riesce ad abbattere i livelli di catene libere (sFLC) e cooperando con la chemioterapia specifica permette, in molti casi, di risolvere il danno acuto renale (13).

Tornando al paziente in dialisi cronica, va detto che, questi pazienti, loro malgrado, non hanno solo una serie di co-morbidità che li affliggono e ne accrescono mortalità e morbidità, ma subiscono anche un insieme di side-effects connessi al trattamento emodialitico stesso, come le ipotensioni ed ipertensioni intra-dialitiche, le aritmie, i crampi, i sintomi digestivi, la nausea ed il vomito (Figura 3). Molti di questi sintomi e primo fra tutti le ipotensioni intra-dialitiche sono in grado di influenzare in maniera negativa l’outcome e la sopravvivenza stessa dei pazienti (14). La genesi dell’ipotensione intra-dialitica è però multi fattoriale ed è quindi indispensabile per una prevenzione efficace, individuarne la causa ed i meccanismi patogenetici che la sostengono nel singolo paziente. Un’analisi efficace può permettere di risolvere il problema grazie ad una serie di accorgimenti e presidi che vanno valutati e sperimentati nella gestione del paziente con ipotensione intra-dialitica (Figura 4 e Figura 5).

Anche qui la tecnologia ci è venuta in aiuto. I sistemi di monitoraggio e di biofeedback che permettono di controllare ed influenzare l’andamento di variabili importanti nella genesi dei collassi intra-dialitici, come il volume ematico, la temperatura corporea e la stessa pressione arteriosa, sono in grado di prevenire e minimizzare le brusche cadute pressorie ed i sintomi ad esse correlati, nel corso della seduta di emodialisi (15). A volte però, anche l’ausilio di raffinati strumenti tecnologici e di metodiche dialitiche particolari, non risolve il problema delle complicanze pressorie e dei fastidiosi sintomi intra-dialitici. In questi casi, il cambio dei ritmi, della durata e delle frequenze delle sedute di dialisi può essere la soluzione. Ancor meglio se si riesce a portare la terapia dialitica a domicilio del paziente che può gestirla con ritmi a sé confacenti e nell’ambito delle proprie esigenze personali e familiari.

In conclusione, al giorno d’oggi, la tecnologia dialitica e dei materiali offre in dialisi extracorporea un’infinità di soluzioni che permettono di trattare al meglio i nostri pazienti. Si parla tanto in altri campi come il diabete, l’ipertensione arteriosa, lo scompenso cardiaco di personalizzazione terapeutica e di terapia ragionata e mirata. Allora perché non si può fare la stessa cosa in dialisi, che resta una indiscutibile terapia salva-vita, rivolta a pazienti che hanno in comune una severa disfunzione renale però con sfaccettature ed aspetti differenti? La terapia dialitica, come tutte le terapie rivolte ad un paziente cronico, deve assolutamente considerare le peculiarità del paziente e basarsi sui suoi bisogni metabolici, sulla sua tolleranza generale e cardiovascolare, sulla sua funzione renale residua e sulla sua compliance dietetica e generale.

Un trattamento dialitico non ben tollerato, può essere seguito da effetti collaterali che richiedono un intensificazione delle terapie, ripetuti ricoveri ospedalieri con disagio per il paziente, ma anche con un ovvio incremento dei costi. Così trattamenti dialitici gravati da importanti effetti collaterali, oltre a essere dannosi per il paziente, diventano economicamente svantaggiosi rispetto ad altri, apparentemente più costosi ma meglio tollerati.

Il nefrologo, in particolare chi segue espressamente i pazienti in dialisi, ha il precipuo dovere di accrescere la sua cultura dialitica sia per quel che riguarda la fisiopatologia che la tecnologia della dialisi. Questo gli permetterà di formulare la migliore prescrizione considerando la modalità di trattamento, il tipo di membrana, la definizione del “peso secco”, la frequenza e la durata delle sessioni settimanali, la tipologia e la posologia dei farmaci prescritti. Il tempo dedicato ai pazienti in dialisi non è affatto un tempo sprecato. Un recente studio DOPPS (16) ha dimostrato che il tempo dedicato ai pazienti in dialisi cronica influenza significativamente gli outcomes . Sia la mortalità per tutte le cause che la frequenza delle ospedalizzazioni sono inversamente proporzionali al tempo di contatto medico-paziente. Lo studio rileva come l’Italia sia il paese che assicura una maggiore frequenza di contatti medico-pazienti insieme anche ad  una maggiore durata dei contatti stessi.

Cerchiamo di mantenerci questo positivo primato!

Solo tenendo conto delle esigenze cliniche del singolo paziente e definendo, di volta in volta e, talora di dialisi in dialisi, le specifiche del trattamento, si può pensare di ottenere obiettivi di sicura efficacia clinica con metodi appropriati, pur senza trascurare gli aspetti di economicità.

 

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