Gennaio Febbraio 2024 - Articoli originali

L’attività dell’Ambulatorio Onconefrologico di Cremona nel primo semestre del 2023

Abstract

Nonostante la rapida espansione dell’onconefrologia durante gli ultimi 10 anni, i pazienti nefropatici vengono raramente arruolati negli studi registrativi dei farmaci oncologici, soprattutto se affetti da malattia renale cronica di stadio avanzato (stadio 4-5). L’ambulatorio onconefrologico e i gruppi multidisciplinari dedicati possono offrire a questo sottogruppo di pazienti migliori opportunità terapeutiche, garantendo lo stesso standard di cura dei pazienti con normale funzione renale. A 12 anni dalla fondazione del primo ambulatorio onconefrologico italiano, presentiamo retrospettivamente i dati relativi a una coorte di 174 pazienti, afferiti negli ultimi 6 mesi di attività (11/1/2023-12/7/2023). In un totale di 272 visite ambulatoriali, di cui 40 prime visite, si è evidenziata una prevalenza di pazienti affetti da insufficienza renale cronica moderata o avanzata, un dato non allineato all’epidemiologia degli studi sui pazienti affetti da tumore che è verosimilmente il risultato di una selezione multidisciplinare operata in un ambulatorio di II livello. Inoltre, nel sottogruppo di pazienti con follow-up prolungato, si è osservata la crescita progressiva di attenzione ai dati di funzione e agli eventi avversi renali da parte dei colleghi oncologi. Grazie alla gestione mutidisciplinare e basata sull’esperienza, in assenza di dati solidi in letteratura, abbiamo osservato una bassa incidenza di sospensione della terapia oncologica secondaria a tossicità renale. Si è d’altro canto osservato un ritardo nell’invio dei pazienti che sviluppavano insufficienza renale acuta (IRA), che ha spesso condizionato lo sviluppo di un danno renale cronico. Questo dato può essere ascritto alla difficoltà di identificare correttamente l’IRA nei pazienti affetti da tumore.

Parole chiave: onconefrologia, terapia oncologica, nefrectomia, funzionalità renale

Introduzione

L’onconefrologia, come testimoniato dal crescente numero di articoli pubblicati negli ultimi dieci anni e dal fiorire di congressi dedicati, nonché dalla nascita di ambulatori a impronta multidisciplinare in molte regioni italiane, è una branca super-specialistica che suscita sempre più interesse nel mondo nefrologico. La ricerca in ambito oncologico genera nuovi farmaci con una rapidità a cui il nefrologo non è uso: nell’ultimo decennio, dopo le terapie a bersaglio molecolare, sono stati introdotti nuovi antimetaboliti, gli inibitori dei chekpoint immunitari, i farmaci coniugati, nonché protocolli di combinazione spesso comprendenti platini e/o molecole a eliminazione o tossicità renale. Per il nefrologo che si accosta a questo ambito, l’aggiornamento continuo sul panorama farmacologico non è sufficiente. Infatti, più del 70% degli studi registrativi, a partire dalla fase II, non comprendono pazienti affetti da insufficienza renale cronica, specie se moderato-severa [1, 2] nonostante le linee guida dell’EMA [3] circa il disegno degli studi di farmacocinetica; inoltre, la letteratura offre pochi studi di farmacocinetica in fase di post marketing. A complicare le cose, non vi è uniformità negli strumenti usati negli studi registrativi né per quanto riguarda i criteri “renali” di esclusione, né per la valutazione della funzione renale. Per questi motivi, la mancanza di un nefrologo dedicato frequentemente preclude a questo gruppo di pazienti possibilità terapeutiche che non dovrebbero essergli negate, vista sia l’elevata incidenza di tumori nella popolazione con CKD che l’eccesso di mortalità per neoplasia dei pazienti nefropatici sia in terapia conservativa [4, 5] che in trattamento dialitico sostitutivo [6] rispetto alla popolazione generale.

Di pari passo con le nuove terapie oncologiche, il cambiamento è intervenuto finalmente anche nella sopravvivenza dei pazienti oncologici. Basti pensare alla sopravvivenza a 5 anni dei pazienti affetti da NSCLC (non-small-cell-lung-cancer ‒ tumore polmonare non a piccole cellule) non suscettibili di terapia a bersaglio molecolare: dall’approvazione di nivolumab da parte di AIFA nel 2016, l’immunoterapia ha quasi raddoppiato la percentuale di pazienti vivi a 5 anni. L’attività del nefrologo nell’ambulatorio onconefrologico ha diversi obiettivi [7]: offrire al paziente e al collega oncologo la gestione degli eventi avversi renali della terapia; fornire opzioni terapeutiche ai pazienti con insufficienza renale cronica negli stadi più avanzati; non ultimo, favorire la crescita culturale interdisciplinare attraverso la comunicazione del peso prognostico della nefropatia e dei suoi strumenti diagnostici principali: dal concetto di filtrato glomerulare alla microalbuminuria. Trascorsi 12 anni dall’inaugurazione, abbiamo voluto presentare una fotografia dell’attività attuale dell’ambulatorio.

 

Pazienti e metodi

L’attività dell’Ambulatorio Onconefrologico (ON) nell’ASST di Cremona è iniziata nel maggio 2011 per rispondere ai quesiti dei colleghi oncologi sulla profilassi della nefropatia associata a mezzo di contrasto organo iodato, sull’adeguamento del dosaggio dei chemioterapici per pazienti con insufficienza renale cronica (IRC), per la gestione del follow-up nefrologico dei pazienti con monorene chirurgico, e sugli effetti avversi renali dei farmaci oncologici. A distanza di 12 anni dall’inaugurazione, si è voluto fare una fotografia dell’attività attuale. A tale scopo sono stati valutati tutti i pazienti afferiti all’ambulatorio dal 11/01/2023 al 12/07/2023.

Sono stati raccolti retrospettivamente, a partire dalla prima visita nell’ambulatorio ON, i seguenti dati: età, sesso, creatinina sierica (mg/dl), filtrato glomerulare stimato (eGFR) (espresso in ml/min/1,73m2 e calcolato mediante equazione MDRD [8]: 175 × [[Crs]]-1,154× [[età]]-0,203 × [[0], [742 se F]] × [1, [212 se afroamericano]]), stadiazione secondo criteri KDIGO [8, 9] dell’IRC e dell’insufficienza renale acuta (IRA) (variazione percentuale rispetto al valore basale di creatinina sierica), esame urine, microalbuminuria (mg/g creatinina), tipo di tumore, terapia oncologica, motivo della visita, numero di visite effettuate, durata del follow-up in mesi. I dati sono stati elaborati con statistica descrittiva ed espressi come media e deviazione standard per variabili a distribuzione normale, come mediana e range interquartile nel caso di elevata dispersione dei valori (Coefficiente di Variazione  0,5).

 

Risultati

Nei 6 mesi considerati sono state effettuate 262 visite ambulatoriali, di cui 40 prime visite, in 174 pazienti. Le caratteristiche demografiche, la durata del follow-up e il tipo di neoplasia sono illustrate nella Tabella I.

N° pazienti (n) 174
Età (media ± DS) 69 ±10,7
Sesso M (%) 128 (73,6)
Tipo di neoplasia (%)

–  RCC*

 

80 (46,0)

– Uroteliale, di cui:

Alte vie

Vescica

27 (15,5)

12 (6,9)

15 (8,6)

–  Prostata 11 (6,3)
– Polmone e mesotelio 10 (5,7)
– Gastrointestinale e pancreas 21 (12,1)
–  HCC** 5 (2,9)
– Mammella 7 (4,0)
–  Ovaio 1 (0,6)
– Tiroide 1 (0,6)
–  Melanoma 3 (1,7)
–  Sarcoma 2 (1,1)
– Ematologica 4 (2,3)
– Altro*** 2 (1,1)
Visite totali (n) 262
Prime visite (%) 40 (15,3)
Mesi di follow-up mediana (IQR) 22,1 (7,7;61,8)
Tabella I. Casistica.
*RCC = renalcell carcinoma
** HCC = hepatocellular carcinoma
*** tumore a cellule di Merkel e oncocitoma

Poco meno della metà dei pazienti veniva indirizzata all’ambulatorio onconefrologico per insorgenza di insufficienza renale acuta post-nefrectomia (IRA-C) o, in caso di pazienti non a carico dei colleghi oncologi, per il follow-up biochimico e strumentale; circa un terzo dei pazienti ‒ affetti da IRC, oppure da IRA in corso di terapia oncologica ‒ è stato sottoposto a valutazione della funzione renale e del dosaggio dei farmaci prima dell’inizio di terapia oncologica. Tali dati sono coerenti con la preponderanza di tumori renali (61,5%, in maggioranza RCC, meno frequenti uroteliali delle alte vie urinarie, 2 sarcomi renali, un oncocitoma) nei pazienti inviati dai colleghi oncologi e, in misura minore, urologi. Questi ultimi hanno richiesto valutazioni nefrologiche per IRC oppure IRA anche per pazienti portatori di derivazione urinaria o di neoplasia prostatica. Ipertensione arteriosa, proteinuria ed edemi rendono conto complessivamente del 10% degli invii.

Il valore medio di creatinina sierica dell’intera coorte alla prima valutazione era 1,59 ± 0,35 mg/dl; la media del filtrato glomerulare stimato era 45,6 ± 11,9 ml/min/1.73m2.

Alla prima visita, 61 pazienti (34,5%) presentavano IRA (Tabella II), insorta su disfunzione renale cronica basale in poco più della metà dei casi. Il grado lieve (88,1%) era preponderante; 6 (10,2%) pazienti sono incorsi in un’IRA di grado 2, 2 pazienti sono stati ricoverati per IRA severa.

In circa metà dei casi (49,2%) era ascrivibile a perdita di massa nefronica secondaria a nefrectomia e/o a successiva enucleoresezione su rene superstite; in poco più di un terzo dei pazienti era attribuibile a effetti avversi della terapia oncologica (35,6%); nel 15% dei casi rimanenti l’eziopatogenesi era riconducibile a danno ipoperfusivo (6,8%; in un caso secondario anche a concomitante ipercalcemia), ostruttivo (3,4%), tossico jatrogeno (3,4%, IPP, FANS ed antibiotici). Infine, a un paziente con episodi subentranti di IRA veniva diagnosticata malattia ateroembolica, confermata con biopsia cutanea.

%
IRA 27 44,3
IRA/IRC 2 15 24,6
IRA/IRC 3A 11 18,0
IRA/IRC 3B 7 11,5
IRA/IRC 4 1 1,6
Tot 61 100
Tabella II. Distribuzione dell’insufficienza renale acuta in relazione al filtrato glomerulare iniziale.

Nei 113 pazienti affetti solo da IRC alla prima visita il terzo stadio risultava preponderante (76,7%, Tabella III). La proporzione non subiva sostanziali modificazioni (71%) aggiungendo i pazienti con IRA sovrapposta a IRC.

Stadio IRC %
1 0 0,0
2 20 17,7
3A 37 32,7
3B 49 43,4
4 7 6,2
5 0 0,0
Totale 113 100
Tabella III. Stadio di insufficienza renale cronica alla prima visita.

Alla prima visita, meno del 20% (19%) aveva effettuato una determinazione della microalbuminuria (espressa come albumin/creatinine ratio, ACR), mentre l’esame urine era stato effettuato in 2/3 dei pazienti. In particolare, nei 33 pazienti in cui era disponibile la determinazione dell’ACR, il 3,5% mostrava una macroalbuminuria, il 5,7% una microalbuminuria e il 9,7% una normoalbuminuria.

All’ultima visita di controllo, la determinazione dell’ACR era disponibile per il 72% dei 156 pazienti con follow-up; nel 17% dei casi era < 300 mg/g, nell’8% si trattava di macroalbuminuria.

Al termine del periodo di osservazione, 156 pazienti risultavano in follow-up; dei 18 pazienti senza controllo entro i 6 mesi considerati, 11 risultano schedulati in date successive; 2 pazienti sono stati affidati ai colleghi oncologi, una paziente è stata dismessa per risoluzione della problematica acuta, un paziente ha espresso la volontà di sospendere le visite dopo 9 anni, 3 risultano persi al follow-up.

All’ultima visita di controllo 3 pazienti presentavano insufficienza renale acuta; in una paziente è stata posta diagnosi di IRA da alterazione del microcircolo renale secondaria a uso di FANS, con successivo completo recupero; in due casi il danno renale era secondario a terapia oncologica (pemetrexed e gemcitabina/nab-paclitaxel) in pazienti con preesistente IRC (rispettivamente stadio 3A e 3B).

All’ultima visita di controllo, la creatinina media era 1,6 ± 0,7 ml/min/1,73m2; il filtrato glomerulare medio era pari a 48,3 ± 19,6 ml/min/1,73m2; il valore mediano (CV 0,4) 46 ml/min/1,73m2 (IQR 34;58). Il delta (Δ) annuo mediano di eGFR era pari a zero (IQR -2,5;4,7).

La distribuzione dei pazienti con decurtazione cronica della filtrazione glomerulare era variata, con un aumento dei pazienti in stadio 4 (Tabella IV).

Stadio IRC %
1 1 0,6
2 25 16,3
3A 62 40,6
3B 34 22,2
4 30 19,6
5 1 0,6
Totale 153 100
Tabella IV. Stadio di insufficienza renale cronica all’ultima visita.

 

Terapia oncologica attiva

Su 174 pazienti, 58 (37 M e 21 F, con età media di 71 ± 10,3 anni) erano in terapia oncologica alla prima visita.

La distribuzione delle neoplasie nel sottogruppo in esame ricalca quella dell’intera coorte: tumori renali, prevalentemente RCC (26,7%), tumori gastro-intestinali e del pancreas (24,1%), polmonari e mesoteliomi (13,8%), mammari (10,3%).

In questo sottogruppo, le prime visite erano motivate principalmente da effetti avversi renali, più specificamente IRA nel 32,8% dei casi, proteinuria e/o ipertensione nel 25,8% (Tabella V); i pazienti inviati per valutazione dell’IRC prima dell’inizio e durante la terapia oncologica erano candidati o trattati con regimi terapeutici potenzialmente nefrotossici o con dati ridotti di farmacocinetica nella popolazione nefropatica, specie nel setting di un protocollo adiuvante. I casi di IRA non relati alla terapia oncologica rendevano conto di poco meno del 7% dei casi, così come l’insufficienza renale post-chirurgica, in cui erano compresi pazienti in terapia per altra neoplasia e pazienti inseriti in protocolli adiuvanti dopo nefrectomia. 

  %
IRA da tossicità renale 19 32,8
Proteinuria 6 10,3
Ipertensione arteriosa 5 8,6
Proteinuria e ipertensione arteriosa 4 6,9
IRC prima o durante terapia oncologica 12 20,8
IRA da altra causa 4 6,9
IRA-C 4 6,9
Edemi 2 3,4
Disionie 1 1,7
IRA ostruttiva 1 1,7
Totale 58 100
Tabella V. Indicazioni alla visita nei pazienti in terapia oncologica attiva.

I farmaci oncologici in atto alla prima visita sono illustrati nella Tabella VI.

Classe Molecola
TKI (inibitori delle tirosin chinasi) sunitinib, sorafenib, pazopanib, cabozantinib, imatinib, lorlatinib, lenvatinib, alectinib, axitinib 13
VEGF-I (Anticorpi monoclonali bloccanti VEGF) bevacizumab, aflibercept 9
ICI (inibitori di checkpoint immunitari: anticorpi anti PD-1; anticorpi anti PD-L1; anticorpi anti CDLA-4) nivolumab, pembrolizumab; atezolizumab; ipilimumab 14
Antimetaboliti

pemetrexed, metotrexato

5-Fluoruracile o capecitabina

7

6

Taxani (polimerizzazione della tubulina) nab-paclitael e docetaxel 2
Analoghi nucleosidici Gemcitabina 4
Platini (alchilanti) cisplatino, carboplatino, oxaliplatino 10
Anti-topoisomerasi Irinotecan 1
HER2-I (anticorpi anti-fattore di crescita epiteliale umano) trastuzumab, pertuzumab 1
CDK-I (inibitori delle chinasi ciclino-dipendenti 4 e 6) Abemaciclib 1
Ormonali (LHRH analoghi, antiandrogeni; inibitori aromatasi ed altri anti-estrogeni) triptorelina, enantone, bicalutamide; letrozolo, fulvestrant, tamoxifene 11
BRAF/MEK-I (inibitori della serina-treonina chinasi/chinasi mitogeno-attivata) dabrafenib, encorafenib; binimetinib, trametinib 2
Altro somatostatina, belzutifan; vinblastina doxorubicina 4
Politerapia

Monoterapia

25

33

Tabella VI. Farmaci oncologici in atto alla prima visita.

Per i pazienti in terapia di combinazione (43,1%) la classe di farmaci prescritta più frequentemente era quella dei TKI o degli antiVEGF (12 pazienti); a seguire gli antimetaboliti (9 pazienti, 5-FU o capecitabina, pemetrexed, metotrexato) variamente associati (platini, taxani, TKI o antiVEGF, anti-PD-1). Frequenti anche i regimi di combinazione basati su immunoterapia (7 pazienti in anti PD-1/PD-L1) prevalentemente in associazione a TKI, oppure anti CDLA-4 o ad inibitore dell’HIF2. L’analogo nucleosidico gemcitabina era stato prescritto a 4 pazienti, associato a platini o taxani.  I rimanenti 4 pazienti erano in trattamento con BRAF/MEK inibitori (n°2), HER2 inibitori associati a taxano (n°1) e antiCKD 4-6 associato ad antiestrogeno.

Nel corso di un follow-up mediano di 7,7 mesi (IQR 1,1;29,7), più di un terzo dei pazienti (36,2%) ha proseguito il farmaco, nel 10% dei casi con una riduzione di dose. La progressione di malattia ha portato alla sospensione della terapia in circa il 20% dei casi, con passaggio a linea terapeutica successiva nella quasi totalità dei pazienti. La sospensione del farmaco per effetti collaterali è stata temporanea per il 25,9% dei pazienti, definitiva per il 17,2%. La metà dei pazienti che hanno dovuto sospendere la terapia per eventi avversi non era in trattamento all’ultimo controllo ambulatoriale, alcuni perché liberi da malattia e seguiti in follow-up oncologico, altri per mancanza di alternative terapeutiche.

Fra gli eventi avversi, di particolare interesse sono stati gli episodi di IRA da tossicità renale: sono stati osservati due casi di grado moderato e due di grado severo, entrambi studiati in regime di ricovero. La prima paziente, affetta da carcinoma mammario, è stata indagata mediante biopsia renale con conferma del ruolo eziologico dell’immunoterapia e recupero parziale della funzione renale dopo terapia steroidea. Nel secondo paziente ricoverato non è stata effettuata indagine istologica per rapporto rischio-beneficio sfavorevole (IRC-3A basale in età avanzata, recente trombosi venosa profonda in terapia con anticoagulante, moderata piastrinopenia secondaria a terapia); con terapia di supporto si è assistito a discreto recupero della funzione renale e successiva ripresa del trattamento senza ulteriori eventi avversi renali. In 12/19 pazienti (63%) che hanno esperito un episodio di IRA era stata prescritta una terapia di combinazione; 5/19 pazienti (26,3%) erano in trattamento con pemetrexed.

In un’altra paziente affetta da NSCLC che ha presentato un’IRA di grado 1, l’indagine bioptica si è resa necessaria per diagnosi differenziale tra nefrite tubulointerstiziale acuta (NTIA) da inibitori di checkpoint immunitari (ICI) e danno da pemetrexed con conferma di quest’ultimo; i colleghi oncologi hanno in seguito posto indicazione a terapia con anticorpo farmaco-coniugato (sacituzumab-govitan) per progressione di malattia (PD), che la paziente prosegue senza effetti avversi renali.

Un paziente affetto da carcinoma squamoso gastrico metastatico con IRA di grado 2 ha rifiutato la biopsia renale, indicata per conferma diagnostica in corso di terapia off-label con ICI, ed è stato trattato con terapia steroidea con parziale recupero della funzione renale.

Proteinuria e/o ipertensione sono stati motivi di sospensione della terapia con TKI o antiVEGF in 14 pazienti; in 6 pazienti, l’evento avverso era di grado severo (G3-G4). Le sospensioni sono state temporanee, o per risoluzione dell’ipertensione arteriosa con la terapia del caso, o per assenso del nefrologo alla prosecuzione del farmaco anche in caso di persistenza di proteinuria, essendo i pazienti in fase di risposta oncologica e/o non avendo alternative terapeutiche altrettanto efficaci. In alcuni casi è stato proposto aumento dell’interciclo terapeutico per ridurre l’impatto della proteinuria sull’outcome renale. Le riduzioni di dose sono state prescritte dai colleghi oncologi, più frequentemente nel caso di eventi avversi a carico di più distretti oppure sistemici, con scarsa tolleranza da parte del paziente.

Al termine del follow-up, di 9 pazienti non era disponibile un controllo, principalmente per una prima visita effettuata nell’ultimo mese di osservazione. Dei rimanenti 49 pazienti, 11 non risultavano più in terapia oncologica attiva; il sottogruppo si era arricchito nel frattempo di 8 nuovi pazienti in trattamento, 7 dei quali affetti da RCC con secondarismi in terapia con TKI in monoterapia o associati ad anti PD-1.

 

Monorene chirurgico

La metà dell’intera coorte (91 pazienti, 52%) era monorene in seguito a nefrectomia per neoplasia renale. Prevalentemente si trattava di RCC (76), in misura minore carcinomi uroteliali (12), sarcomi (2), un carcinoma dei dotti collettori del Bellini, un oncocitoma. L’età media alla prima visita era 64,2 ± 10,3 anni.

Il filtrato glomerulare stimato medio alla prima visita era 48,3 ± 13,8ml/min/1.73m2. Il 44% presentava un’IRA, sovrapposta a disfunzione renale basale di vario grado (dallo stadio 2 allo stadio 4) nel 21% dei casi.

Nei 67 pazienti con follow-up superiore a 12 mesi (follow-up medio di 57,3 ± 28,3 mesi, mediano di 47,6 mesi, IQR 31;84,1), con età media di 69 ± 10,6 anni, si è evidenziata una variazione annua del filtrato glomerulare (D mediano annuo) pari a 0,22 ml/min/1.73 m2, (IQR -1,2;2,63).

 

Discussione

Il motivo più frequente di invio all’ambulatorio onconefrologico è stata l’IRA post-nefrectomia o in corso di terapia oncologica, in più del 50% dei casi in pazienti con pre-esistente IRC. Considerata la preponderanza di pazienti affetti da IRC nell’intera coorte, abbiamo stadiato gli episodi di IRA in base all’aumento percentuale della creatinina sierica e non in base alla variazione del valore assoluto [9]. Ciò ha consentito di escludere dallo stadio 1 pazienti con fluttuazioni del dato non clinicamente significative.

Nella casistica vi è un’elevata prevalenza di pazienti con IRC (stadio 3-4). L’elevata prevalenza di individui con IRC stadio 3 (71%) e 4 (7,8%) è compatibile con la selezione operata dagli oncologi nell’invio dei pazienti all’ambulatorio, che giustifica la marcata differenza rispetto a studi retrospettivi sui pazienti oncologici, ove la prevalenza dell’insufficienza renale stadio 3 e 4 si attestava rispettivamente sull’11-15% e sullo 0,9% [10, 11].

Data la mancanza della determinazione di ACR (81%) alla prima visita, non è stato possibile fornire una stadiazione accurata del rischio di progressione dell’IRC. Il ribaltamento del dato (72%) all’ultimo controllo ambulatoriale ha consentito di identificare un 25% di pazienti con rischio aumentato di progressione della nefropatia. L’aumento della prescrizione di ACR al controllo è verosimilmente frutto della presa in carico dei pazienti da parte dei nefrologi, che comprende la prescrizione degli esami emato-urinari per il controllo ambulatoriale successivo; questa pratica non viene costantemente effettuata per non gravare il paziente di ulteriori prelievi, già frequenti nei pazienti in follow-up oncologico e ancor di più nel caso di terapia oncologica attiva o inserimento in protocollo terapeutico. Considerando che il follow-up è superiore ai 5 anni in un quarto della coorte, possiamo ipotizzare inoltre un’acquisizione di automatismo nell’includere l’ACR negli esami richiesti dai colleghi oncologi, per lo meno per i pazienti in terapia attiva con farmaci a bersaglio molecolare.

Analizzando il dato di migrazione in classi più avanzate di IRC al termine del follow-up, abbiamo considerato una serie di fattori che potessero fornire una spiegazione al di là della fisiologica perdita annua di filtrato renale. Fra i pazienti monorene, 6 sono andati incontro a ulteriore perdita di massa nefronica per enucleoresezioni o tecniche ablative alternative (crioablazione, radio frequenza) in seguito a recidiva di neoplasia renale dopo la nefrectomia. Considerando i pazienti con episodi di IRA non secondari a nefrectomia, solo il 19% ha sperimentato un recupero pressoché totale della funzione renale basale; nei rimanenti il recupero è stato solo parziale o, in alcuni casi (5 pazienti) nullo, gravando in maniera sensibile sulla progressione dell’IRC. I pazienti neoplastici hanno non solo un’incidenza di IRA nettamente superiore alla popolazione generale [12] ma un rischio maggiore di sviluppare un danno cronico dopo un episodio acuto, come sottolineato da un recente e ampio studio di popolazione [13]; nello stesso studio, si conferma l’importanza di un recupero rapido della disfunzione acuta renale, che presuppone un invio estemporaneo al nefrologo per una diagnosi tempestiva. Nella nostra coorte gli invii sono stati talora tardivi, nonostante l’ambulatorio preveda slot per le urgenze, probabilmente perché le forme lievi di insufficienza renale acuta sono ancora oggi percepite come eventi risolvibili con l’espansione volemica, consuetudine sostenuta dalla frequenza di eventi avversi gastrointestinali e di iporessia nei pazienti oncologici, specie se in trattamento con chemioterapici.

Un’altra strategia consiste nella sospensione temporanea del farmaco e/o una riduzione della dose. Il concetto di dose-density in campo oncologico è cruciale, non solo per la Progression Free Survival (PFS), ma anche per la sopravvivenza globale del paziente.  Ad esempio, per farmaci ad eliminazione prevalentemente o esclusivamente renale, come i platini, questo concetto è stato ben illustrato già nel 2011 in pazienti affetti da seminoma in stadio I [14], ponendo sotto i riflettori l’importanza della corretta determinazione del filtrato glomerulare; nell’era delle terapie a bersaglio molecolare, uno studio multicentrico europeo [15] ha mostrato quanto stretta sia la relazione fra sopravvivenza dei pazienti oncologici, riduzione della dose o discontinuazione temporanea della terapia ed eventi avversi.

Nella nostra coorte la presa in carico e la sorveglianza nefrologica hanno permesso di continuare la terapia in 6 pazienti con eventi avversi renali di grado severo (G4) e moderato ricorrente (G3) secondo i CTCAE versione 5 (Common TerminologyCriteria for Adverse Event) nonostante l’indicazione alla sospensione definitiva da parte del produttore, che sarebbe stata messa in atto dai colleghi oncologi. Nella nostra esperienza, neppure le forme severe di insufficienza renale acuta sono necessariamente un’indicazione assoluta alla sospensione definitiva di un farmaco efficace, come illustrato dal rechallenge con BRAF/MEK inibitori a esito favorevole, dopo sospensione temporanea e risoluzione dell’IRA in un paziente affetto da melanoma. In questi casi è mandatoria la pronta ospedalizzazione del paziente e la diagnosi differenziale fra le diverse eziologie possibili. L’attribuzione del ruolo causale di un farmaco è fondamentale anche nei frequenti casi di IRA in pazienti in terapia di combinazione, nell’ottica di sospendere solo l’agente incriminato, permettendo la prosecuzione della terapia con altre molecole già in corso. È il caso dei pazienti affetti da NSCLC in terapia con antimetaboliti e ICI, in cui si è registrata una incidenza suggestiva (dato il numero esiguo, non sono state effettuate analisi statistiche di associazione) di insufficienza renale acuta, con esame urine non significativo per proteinuria e microematuria, verosimilmente attribuibili a danno da pemetrexed. Questo antifolico, a prevalente (70-90%) eliminazione renale, è stato segnalato come causa di IRA lieve e reversibile negli studi di fase I [16]; il meccanismo è ancora oggetto di studio, ma negli ultimi anni sono state crescenti le segnalazioni di tossicità progressiva e non reversibile, dose cumulativa dipendente [17, 18] su base apoptotica e di tubulonecrosi. Molti dei pazienti con danno da pemetrexed sono giunti alla nostra osservazione dopo mesi dall’inizio del danno renale; ciò è dovuto a un duplice meccanismo: da un lato, l’aumento della creatinina entro i limiti di norma (ad esempio, da 0,7 a 1,3 mg/dl) non è percepito come IRA, dall’altro, aumenti progressivi di creatinina di 0,2-0,3 mg/dl non vengono notati perché si confronta spesso il dato con quello immediatamente precedente, per poter confermare la prescrizione della terapia che generalmente viene somministrata il giorno successivo agli esami ematici. Questo dato ci suggerisce la necessità di implementare la gestione congiunta dei pazienti seguiti al Day Hospital oncologico, migliorando la comunicazione fra specialisti e ampliando il know-how specialistico condiviso.

L’ultimo risultato da commentare è lo scollamento fra andamento degli stadi di IRC nel tempo e l’assenza di variazioni significative sia della creatinina media al termine del periodo di osservazione che del delta mediano annuo di eGFR, calcolato con equazione MDRD, fornita dal Laboratorio Analisi dell’ASST di Cremona. La performance della creatinina come marker di filtrazione glomerulare nei pazienti affetti da tumore è stata sottoposta a revisione critica in numerosi lavori nell’ultimo decennio, che indicano la necessità di inserire nella routine di laboratorio marker alternativi, come la cistatina C [19, 20], che risente meno dell’effetto della sarcopenia come determinante eGFR-indipendente, rispetto alla creatinina. Nei pazienti oncologici è infatti nota un’elevata incidenza di sarcopenia [21] specie nei tumori polmonari, dell’alto tratto digestivo, del pancreas e testa-collo e nei pazienti metastatici e anziani. È possibile che la mancata variazione della creatinina in alcuni pazienti con follow-up prolungato ed elevato carico di malattia sia da ascrivere alla riduzione delle masse muscolari e al burden infiammatorio citochinico che caratterizza questo sottogruppo. Il fattore che influenza maggiormente la stabilità della creatinina sierica nel tempo e di conseguenza il filtrato glomerulare è l’elevata prevalenza di tumori renali nella nostra popolazione. Il sottogruppo dei monoreni ha infatti mostrato, durante un follow-up mediano di circa 4 anni, una tendenza positiva nell’andamento del filtrato glomerulare, verosimilmente in parte per effetto dell’ipertrofia vicariante post-nefrectomia, che è stata osservata non solo nei donatori nel setting del trapianto da vivente [22] ma anche, seppur con magnitudo minore, nei pazienti nefrectomizzati per neoplasia renale [23]. Non avendo effettuato un’analisi dei fattori di rischio per la progressione dell’IRC [24], non ci è possibile affermare se il sottogruppo avesse pochi fattori di rischio, o piuttosto concludere che l’intervento nefrologico abbia effettivamente consentito di avere un buon controllo dell’ipertensione, dell’obesità, del diabete e della proteinuria, condizionando un miglior outcome renale nel tempo.

 

Conclusioni

L’analisi dell’attività dell’ambulatorio ON ci ha permesso di focalizzare l’attenzione su quali siano gli ambiti che necessitano di miglioramento nella pratica clinica: stadiazione di tutti i pazienti comprensiva di determinazione dell’ACR e dell’esame urine alla prima visita; introduzione della cistatina C negli esami di laboratorio dell’ASST e, nell’attesa, elaborazione di un sistema di warning per le variazioni della creatinina all’interno dei valori normali per i colleghi oncologi. Fra gli obiettivi dovrebbe essere compresa anche una maggior attenzione allo stato nutrizionale con creazione di vie preferenziali per la valutazione all’ambulatorio dedicato, nella nostra ASST condotto da due colleghe nefrologhe, già attivo per questi pazienti. I dati raccolti negli ultimi sei mesi di attività dell’ambulatorio costituiscono una base di riflessione per la conduzione di studi prospettici, focalizzati sulla determinazione della funzione renale nei pazienti oncologici affetti da IRC e disegnati per sostenere con dati robusti l’impatto di un ambulatorio di secondo livello sugli outcome “hard” e renali, come già dimostrato nella popolazione nefropatica non selezionata dalla malattia tumorale.

 

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