Novembre Dicembre 2020 - In depth review

La proteomica e la metabolomica nello studio delle malattie genetiche del rene: dai big data alla medicina di precisione

Abstract

La recente applicazione della proteomica e della metabolomica in campo medico ha dimostrato le potenzialità di queste tecnologie di integrare la genomica nel miglioramento della comprensione degli aspetti eziopatogenetici di malattia. Inoltre, queste tecnologie offrono l’indubbia opportunità di identificare fattori di rischio e biomarcatori di malattia, nonché fattori predittivi di risposta terapeutica. Questo articolo è una panoramica delle recenti intuizioni ottenute dagli studi di proteomica e metabolomica sui disordini renali ereditari. Gli studi di proteomica hanno permesso di caratterizzare il pattern proteico, le modifiche post-traduzionali e le relative interazioni di campioni biologici di derivazione renale, migliorando la nostra comprensione della fisiologia renale, come il trasporto tubulare e le funzioni correlate al ciglio primario. La proteomica urinaria ha integrato questi studi, contribuendo all’individuazione di potenziali biomarcatori di malattia, come nel rene policistico autosomico dominante (ADPKD). Gli studi di metabolomica hanno permesso di individuare alterazioni metaboliche causate da specifiche mutazioni genetiche risultanti in nefropatie ereditarie. Tra queste ultime, l’ADPKD e la malattia di Fabry rappresentano gli ambiti clinici di maggiore applicazione e di miglior successo, per le quali la metabolomica ha fornito un importante supporto alla definizione di alterazioni biochimiche suscettibili di terapie mirate.

 

Parole chiave: proteomica, metabolomica, malattie renali ereditarie, ciliopatie, tubulopatie, malattia di Fabry

Introduzione: le scienze “omiche”

Le scienze “omiche” sono discipline che permettono di indagare le diverse classi di componenti biologiche (geni, trascritti, proteine e metaboliti) di un organismo, di un tessuto, di un campione biologico, nella loro globalità (Figura 1). Esse comprendono: la genomica, lo studio dell’intero set di geni; la trascrittomica, lo studio dei livelli di mRNA; la proteomica, lo studio della traduzione proteica, inteso come l’intero set di proteine (proteoma); la metabolomica, lo studio del metaboloma, definito come l’insieme di metaboliti (piccole molecole con peso molecolare <1,5 kDa) [1,2]. I diversi livelli funzionali analizzati dalle scienze “omiche” sono integrati tra loro nel contesto della systems biology, un innovativo approccio allo studio dei sistemi biologici che si affianca all’approccio ‘’riduzionistico” della biologia tradizionale. La consapevolezza che un sistema biologico sia maggiore della somma delle sue parti e che il suo funzionamento non possa essere rispecchiato dalla funzione di un singolo componente ha promosso l’avvento di strategie di studio di tipo “olistico”. Questo nuovo approccio non sostituisce ma integra la biologia tradizionale, fornendo una visione globale di un sistema biologico o di un organismo.

Figura 1: Le scienze omiche: dalla genetica al fenotipo

La proteomica e la metabolomica, le discipline più “a valle” tra tutte le scienze “omiche”, sono da considerarsi quelle più vicine all’espressione fenotipica di un organismo, poiché rispecchiano sia l’informazione contenuta nel codice genetico sia le influenze derivate dall’interazione con l’ambiente [3].

Queste metodologie di studio sono state applicate in campo clinico con tre finalità: 1) la caratterizzazione dei fenotipi patologici, attraverso l’identificazione di pattern di espressione che discriminano il malato dal sano; 2) la determinazione di profili predittivi di patologia; 3) l’identificazione delle caratteristiche metaboliche individuali che possono indirizzare il clinico a prevedere l’efficacia o la tossicità di un trattamento farmacologico (“farmaco-proteomica/metabolomica’’).

Negli ultimi decenni la proteomica, e più recentemente la metabolomica, sono state applicate allo studio delle malattie renali, comprese le malattie ereditarie. Come tutti gli studi “omici”, basati sull’analisi molecolare su ampia scala, sono indispensabili appropriate strumentazioni bioinformatiche al fine di massimizzare le capacità analitiche. Pertanto, un accurato disegno sperimentale dovrà includere: un discreto numero di soggetti, una raccolta riproducibile di campioni, piattaforme tecnologiche solide ed appropriate strumentazioni analitiche. Un valido esempio di utilizzo degli studi “omici” in campioni ottenuti dai pazienti è rappresentato dagli studi sulle urine. Queste ultime rappresentano il campione ideale per gli studi “omici”: si raccolgono in maniera non invasiva, nelle quantità desiderate, nelle condizioni dietetiche volute [4,5]. Negli ultimi anni la purificazione e l’analisi di esosomi urinari hanno migliorato la ricerca nel campo della proteomica, favorendo l’interpretazione dei meccanismi patogenetici delle malattie renali e l’identificazione di marcatori di malattia, di prognosi e di efficacia terapeutica. Lo sviluppo della peptidomica, inoltre, ha aperto nuove prospettive per la diagnosi precoce di malattie renali e per lo studio di malattie genetiche rare. La peptidomica urinaria offre vantaggi rispetto alla proteomica in quanto: 1) i peptidi sono più stabili; 2) l’analisi degli stessi è maggiormente riproducibile per il fatto che non necessitano della digestione triptica; 3) si possono riscontrare nelle urine prima della perdita della funzione renale [4,68]. La metabolomica utilizza metodologie potenzialmente complementari tra loro: la targeted analysis è un approccio specifico che si focalizza sull’analisi qualitativa e quantitativa di specifici gruppi di molecole; l’untargeted metabolomics, invece, studia tutti i metaboliti presenti in un campione biologico, compatibilmente con i limiti della tecnica utilizzata. La quantificazione dei metaboliti avviene mediante sofisticate strumentazioni, basati sulla spettrometria di massa (MS) o la spettroscopia con risonanza magnetica (NMR). La loro applicazione nelle malattie rare del rene si sta recentemente sviluppando.

 

Applicazione della proteomica e della metabolomica alle ciliopatie

Le ciliopatie: caratteristiche generali

Il ciglio primario (CP) è un organello cellulare presente nella maggior parte delle cellule dei mammiferi ed è stato considerato a lungo un organo vestigiale privo di significato funzionale. Studi recenti hanno invece dimostrato che rappresenta una sorta di “antenna” o sensore che permette alla cellula di rilevare segnali extracellulari di varia natura (meccanica, chimica, osmotica ed elettromagnetica) e di orientarne la risposta. Da questo “sensing” deriva il controllo di importanti funzioni biologiche, come la proliferazione, la differenziazione e la polarità cellulare. Strutturalmente si presenta come una estroflessione della membrana plasmatica che protrude dalla cellula per alcuni micron ed è sostenuto da un assonema centrale, composto da 9 coppie di microtubuli disposti in maniera circolare (Figura 2).

Figura 2: Struttura del ciglio primario: corpo basale ed assonema

L’assonema prende origine dal cosiddetto corpo basale, una struttura multiproteica cilindrica che contiene nove triplette di microtubuli. Il sistema microtubulare dell’assonema è di tipo 9+0 e differisce dalle ciglia mobili, che si caratterizzano, invece, per una coppia di microtubuli centrale (9+2) [9,10]. Il CP è una struttura dinamica presente solo nelle cellule quiescenti, in stato non proliferativo, mentre scompare nelle cellule in fase di proliferazione. In quest’ultima condizione, il corpo basale viene liberato dalla sua posizione (base del CP) per andare a formare il centriolo madre, il quale servirà come organizzazione del fuso mitotico, necessario all’orientamento spaziale della divisione mitotica. Il suo corretto funzionamento è garantito dalla funzione sinergica di un ampio spettro di proteine. Poiché esso non possiede un sistema di “traduzione” interno, le proteine che lo costituiscono sono trasportate dalla cellula al ciglio e viceversa attraverso sistemi di trafficking specifici[9,11]. Le mutazioni di geni che codificano per proteine del CP sono alla base di patologie definite ciliopatie. Queste ultime rappresentano un eterogeneo gruppo di disordini che interessano molteplici organi, compreso il rene. La malattia del rene policistico autosomico dominante (ADPKD) rappresenta la ciliopatia più comune, e si presenta con caratteristiche cliniche uniche, specifiche. Ad essa si aggiungono la malattia del rene policistico autosomica recessiva (ARPKD), la nefronoftisi (NPHP), ed un gruppo di ciliopatie sindromiche caratterizzate da difetti renali ed extra-renali, come la distrofia retinica, il situs inversus, disturbi cognitivi e obesità. Tra queste ultime si annoverano la sindrome di Bardet-Biedl (BBS), la sindrome di Senior-Löken (SNLS), la sindrome di Alström (ALMS), la sindrome di Meckel (MKS), la sindrome di Joubert (JBTS), la sindrome oro-facio-digitale di tipo 1 (OFD1), la distrofia toracica asfissiante di Jeune (JATD) [12]. ADPKD e ARPKD sono le più comuni ciliopatie: la prima è legata a mutazioni a carico di due geni prevalenti, PKD1 e PKD2; la seconda deriva dalla mutazione di PKHD1. Recentemente sono stati descritti ulteriori loci associati a questi disordini, soprattutto nel caso di forme cliniche atipiche. In queste condizioni cliniche i reni tipicamente aumentano di dimensioni per lo sviluppo progressivo di cisti; nella forma dominante, le cisti si formano in età adulta mentre, nella forma recessiva, si formano già in età prenatale. Conseguenza di questo è la perdita di funzionalità renale. Oltre alle manifestazioni renali, questi pazienti possono presentare alterazioni extra-renali: cisti epatiche e pancreatiche ed aneurismi cerebrali nell’ADPKD, fibrosi epatica nell’ARPKD. Le ciliopatie sindromiche sono quasi tutti disordini recessivi e si presentano con un fenotipo uro-genitale estremamente variabile, da formazioni cistiche del parenchima renale, all’ipoplasia/displasia, dilatazione della pelvi, reflusso vescico-ureterale, valvola ureterale posteriore. Anche le alterazioni funzionali sono variabili e vanno dal difetto di concentrazione urinaria, in parte dovuti alla resistenza alla vasopressina, riscontrata in ADPKD, BBS e JBTS, alla malattia renale terminale [5,13,14].

 

Proteomica e metabolomica delle ciliopatie

Gli studi di proteomica condotti su modelli cellulari e su modelli murini hanno contribuito a definire la composizione del proteoma del CP ed a caratterizzare diversi pathways metabolici ad esso correlati [15,16].

Recentemente, sono stati riportati in letteratura studi di proteomica urinaria in pazienti affetti da varie forme di ciliopatie, soprattutto l’ADPKD.

Kistler et al. hanno analizzato il proteoma urinario in soggetti affetti da ADPKD con funzione renale conservata. Lo studio ha dimostrato che i pazienti presentavano un’aumentata escrezione di frammenti del collagene di tipo I e II rispetto a pazienti sani o con IRC secondaria ad altra patologia. Uno studio successivo di peptidomica ha confermato questi dati ed ha dimostrato che i livelli urinari dei frammenti del collagene correlavano negativamente con il volume renale, costituendo un segno di progressione di malattia nell’ADPKD. Uno studio indipendente ha individuato 20 peptidi urinari deregolati e che consentono di predire la progressione della malattia renale cronica in giovani adulti affetti da ADPKD. Si tratta di proteine coinvolte nei meccanismi di proteolisi, metalloproteasi e proteine implicate nel turn-over della matrice extracellulare [17,18]. Recentemente, Bruschi e collaboratori hanno applicato la spettrometria di massa agli esosomi urinari di pazienti con malattia cistica della midollare e con ADPKD. Lo studio ha confermato l’aumentata escrezione di proteine del rimodellamento extracellulare nelle urine di pazienti con ADPKD; invece nei pazienti con malattia cistica della midollare è stata individuata la de-regolazione dell’osteopontina e di altre proteine coinvolte nella nefrolitiasi, condizione strettamente associata alla malattia stessa [19,20]. Stokman et al. hanno applicato l’analisi proteomica sugli esosomi urinari di 12 pazienti affetti da NPHP. Gli autori hanno riscontrato anche in questa ciliopatia un aumento delle proteine della matrice extracellulare rispetto ai controlli sani [19]. Analogamente, un nostro recente studio ha definito il proteoma urinario di pazienti affetti da BBS con un filtrato superiore a 60 ml/min/1.73m2, rispetto ai soggetti sani. Lo studio ha dimostrato un’aumentata escrezione urinaria di fibronectina, CD44 e alfa glucosidasi. La fibronectina è una componente della matrice extracellulare e un’aumentata espressione tissutale è indice di fibrosi [21]. Nonostante le differenze funzionali e strutturali nella patologia renale in ADPKD rispetto alle ciliopatie sindromiche, gli studi di proteomica urinaria evidenziano un comune denominatore, rappresentato da una deregolazione delle proteine coinvolte nell’organizzazione della matrice extracellulare.

Saito et al. hanno analizzato la proteomica del tessuto renale di un modello sperimentale murino di tipo cistico, ottenuto dalla delezione del gene che codifica per l’Aquaporina-11 (AQP11-/-). Questo studio ha evidenziato la riduzione della caderina e l’incremento della fibronectina, markers di transizione epitelio-mesenchimale. Altre due molecole, la prosaposina, indispensabile nel processo di idrolisi degli sfingolipidi a livello cerebrale e di inibizione dell’apoptosi, e l’angiotensinogeno, sono maggiormente rappresentate nel rene policistico [22]. Questi studi hanno dimostrato: 1) la presenza di un fingerprint urinario distinto rispetto ai soggetti sani; 2) la deregolazione di classi di proteine che esplicano specifiche funzioni biologiche, come l’organizzazione della matrice extra-cellulare e la fibrosi.

Gli studi di metabolomica in letteratura sono molto meno numerosi rispetto a quelli di proteomica, in questo campo. Tuttavia, alcuni di questi studi hanno avuto un notevole impatto nella comprensione dei meccanismi patogenetici di malattia e nell’individuazione di possibili target terapeutici. Nel 2013, Rowe et al., hanno utilizzato un approccio metabolomico attraverso il quale hanno dimostrato un’iperattivazione della glicolisi anerobica (effetto Warburg) nell’ADPKD. In un sistema in vitro, in cui è stato inattivato il gene PKD1, è stata dimostrata una ridotta quantità di glucosio ed un’aumentata concentrazione di lattato nel mezzo di coltura, segni indiretti di un aumento del consumo di glucosio attraverso la glicolisi anaerobica. Ulteriori analisi hanno dimostrato che la deprivazione di glucosio riduce il livello di proliferazione e le rende più prone all’apoptosi. Contestualmente, la somministrazione di 2-deossi-glucosio, un analogo del glucosio che non viene metabolizzato per via glicolitica, in modelli murini di ADPKD si è dimostrato protettivo rispetto all’incremento di volume dei reni e la formazione delle cisti [23]. Questo studio dimostra l’importanza che riveste l’applicazione della metabolomica nella definizione di meccanismi patogenetici rivelatisi utili alla individuazione di possibili bersagli terapeutici. Studi successivi hanno correlato l’incremento della glicolisi anaerobica con la riduzione dell’attività del sensore metabolico AMPK. Da qui il razionale per l’uso dell’attivatore dell’AMPK metformina per la terapia dell’ADPKD oltre che il 2-deossi-glucosio (2DG) [2325].

 

Applicazione della proteomica e delle metabolomica alle tubulopatie ereditarie

Le tubulopatie ereditarie: caratteristiche generali

Le tubulopatie ereditarie sono patologie genetiche caratterizzate dall’alterata funzione di specifici segmenti tubulari. In base alla sede del difetto di funzione, si distinguono patologie del tubulo prossimale (PT), del tratto spesso ascendente dell’ansa di Henle (TAL), del tubulo distale (DT) e del dotto collettore (CD) (Figura 3). Il PT è deputato al riassorbimento della maggior parte delle sostanze filtrate dal glomerulo. Le patologie del PT possono essere di tipo generalizzato e presentarsi clinicamente come forme Fanconi-like, oppure specifiche, cioè causate dall’alterata funzione di un sistema di trasporto, come la cistinuria, la glicosuria isolata, l’acidosi tubulare prossimale.

Figura 3: Rappresentazione schematica del nefrone e dei suoi segmenti. Abbreviazioni: PT=tubulo prossimale; TAL=tratto ascendente dell’ansa di Henle; DT=tubulo distale; CD=dotto collettore

Il TAL riassorbe circa il 25% del sodio filtrato e svolge un ruolo importante nell’omeostasi idro-elettrolitica. Il riassorbimento di sodio avviene per via transcellulare attraverso la mediazione del cotrasportatore luminale furosemide-sensibile, NKCC2, codificato dal gene SLC12A1. NKCC2 media l’uptake elettroneutro dal lume al citoplasma del Na+ insieme al potassio ed al cloro. Questo trasporto avviene secondo il gradiente elettrochimico prodotto dall’attività della pompa ATP-dipendente Na+/K+, espressa sulla membrana basolaterale. Un deficit di riassorbimento sodico lungo il TAL è causa della sindrome di Bartter (BS), un disordine ereditario caratterizzato da alcalosi metabolica ipokaliemica, con iper-reninemia secondaria e normo/ipo-tensione. La classificazione genotipica della BS distingue cinque forme: la BS di tipo 1, causata dalla mutazione del gene SLC12A1, che codifica per l’NKCC2; la BS di tipo 2, causata dalla mutazione del gene KCNJ1, che codifica per il canale del potassio luminale ROMK, utile al ricircolo del potassio nel lume; la forma di tipo 3, causata dalle mutazioni di CLCNKB, codifica per la sub unità CLC-Kb del canale basolaterale al cloro, che consente il ricircolo del cloro dalla cellula all’interstizio; la forma di tipo 4, causata dalle mutazioni di BSDN, che codifica per la subunità Bartina del canale del cloro; infine, la forma di tipo 5, causata dalle mutazioni a guadagno di funzione del CASR, che codifica per il calcium sensing receptor. Recentemente sono state descritte forme di BS causate da mutazioni del gene MAGE-D2, caratterizzate da ipokaliemia post-natale che si auto risolve nel tempo [26]. Più rare alterazioni funzionali di questo segmento del nefrone sono le ipomagnesemie familiari. Questi disordini sono causati dal deficit della claudina-16 e della claudina-19, proteine espresse lungo il TAL, che hanno un ruolo nel riassorbimento paracellulare di calcio e magnesio [27,28].

Il DT riassorbe circa il 10% del Na+ filtrato. Un difetto di riassorbimento di sali a questo livello causa la sindrome di Gitelman, una malattia autosomica recessiva che come la BS si presenta con alcalosi metabolica ipokaliemica e dalla quale si distingue per l’omeostasi del calcio e del magnesio. La GS è causata dalle mutazioni del gene SLC12A3, che codifica per il cotrasporto Na-Cl tiazide sensibile.

Il dotto collettore è deputato all’acidificazione delle urine e alla definizione dell’osmolalità finale delle stesse, attraverso il controllo ormonale, mediato prevalentemente dall’ormone antidiuretico (ADH). Difetti di funzione di questo segmento determinano l’acidosi tubulare distale ed il diabete insipido nefrogenico.

Più rare sono le forme di ipertensione monogeniche causate da un aumento dell’avidità del riassorbimento di cloruro di sodio da parte del rene. Appartengono a questa categoria la sindrome di Gordon, conosciuta anche come pseudo-ipoaldosteronismo di tipo 2, e la sindrome di Liddle.

 

La proteomica e la metabolomica delle tubulopatie

a. Tubulo prossimale

Diversi studi di proteomica sono stati condotti in disordini ereditari che causano un’alterazione di funzioni specifiche o generalizzate del PT.

Nello studio di Bourderioux et al. è descritto il proteoma degli esosomi urinari di pazienti affetti da cistinuria attraverso un’analisi di spettrometria di massa. Questo studio ha identificato un pannello di 165 proteine, 38 delle quali maggiormente rappresentate rispetto ai controlli. Tra queste proteine, la lipocalina-2 è risultata particolarmente abbondante: si tratta di una proteina identificata inizialmente a livello dei neutrofili e rappresenta un marker di danno renale acuto. La lipocalina, quando è iperespressa, si lega ad una metalloproteasi aumentandone l’attività. Questo meccanismo sembrerebbe favorire la progressione del danno renale attraverso la degradazione delle membrane basali e della matrice extracellulare ed il rilascio di VEGF. Molte delle proteine urinarie più rappresentate sono proteine che derivano dai neutrofili, come le proteine dei granuli azzurrofili (elastasi, catepsina, MPO) o terziari (lipocalina-2 ed MMP9) [29]. Risultati analoghi sono stati ottenuti dallo studio di Kovacevic et al., nel quale è stato confrontato il proteoma urinario di 10 pazienti con cistinuria con 10 soggetti sani. Sebbene l’indagine sia stata eseguita su un numero limitato di pazienti e si basi sul confronto con soggetti sani, lo studio dimostra la presenza di un’aumentata escrezione di proteine legate allo stress ossidativo, all’attivazione del complemento e all’immunità cellulo-mediata, dati che suggeriscono il ruolo dell’infiammazione in questa nefropatia [30].

La malattia di Dent è una patologia tubulare ereditaria causata da mutazioni del gene CLCN5, situato sul braccio corto del cromosoma X e che codifica per lo scambiatore ClC-5 (Cl/H+). La perdita di funzionalità del ClC-5 provoca una tubulopatia Fanconi-like, caratterizzata da proteinuria di basso peso molecolare, nefrolitiasi, ipercalciuria e nefrocalcinosi. Cutillas et al. hanno utilizzato tre diversi approcci di proteomica per l’analisi del proteoma urinario di pazienti con malattia di Dent. Lo studio ha rivelato che il proteoma urinario differisce da quello di soggetti-controllo senza storia di malattia renale, con un aumento dell’escrezione urinaria di diverse proteine trasportatrici di vitamine e gruppi protesici. In aggiunta, i pazienti presentavano un aumento di proteine del complemento, apolipoproteine e alcune citochine, tutti marcatori di infiammazione e possibili mediatori del danno renale [31]. Più recentemente Santucci et al. hanno studiato il proteoma urinario della malattia di Dent applicando un approccio proteomico combinato (spettrometria di massa LC, Western Blot e zimogrammi per proteasi e inibitori) allo scopo di caratterizzare le proteine delle urine in una grande famiglia di 18 componenti (6 pazienti omozigoti, 6 femmine portatrici e 6 soggetti normali). Studi di clusterizzazione hanno dimostrato una de-regolazione delle proteine di controllo della composizione della matrice extracellulare, della migrazione leucocitaria e dell’attivazione piastrinica. Questo studio suggerisce il ruolo dell’alterata regolazione della matrice extracellulare, con perdita di proteasi e di inibitori specifici, nella patogenesi della patologia renale nella malattia di Dent, attraverso la riorganizzazione della matrice e l’induzione di fibrosi interstiziale [32].

Gli studi di metabolomica applicati alle tubulopatie ereditarie prossimali sono poco numerosi. Peretz et al. hanno caratterizzato il pattern dei metaboliti urinari utilizzando la cromatografia liquida e la spettrometria di massa in pazienti affetti da xantinuria ereditaria. Quest’ultima è un disordine ereditario causato dal difetto del metabolismo delle purine, che si caratterizza per ipouricemia e concentrazioni molto elevate di xantina nelle urine, che provocano urolitiasi. Questo studio ha evidenziato una riduzione urinaria di molecole prodotte dall’attività dell’enzima aldeide ossidasi [33].

 

b. Tratto ascendente dell’ansa di Henle (TAL) e tubulo distale (DT)

Studi di proteomica hanno il merito di aver contribuito a migliorare la comprensione dei meccanismi di regolazione dei processi di riassorbimento sodico lungo il TAL ed il DT. Gunaratne et al. hanno caratterizzato il fosfo-proteoma di segmenti di TAL isolati e sottoposti alla stimolazione ormonale da parte di PTH, calcitonina, glucagone e vasopressina. Lo studio ha dimostrato che questi ormoni regolano per via cAMP-dipendente diverse proteine di membrane, tra cui l’NKCC2 [34]. Un altro studio ha confermato il ruolo della fosforilazione di NKCC2 nella regolazione dell’attività della proteina, dimostrando che la fosforilazione in diversi siti localizzati a livello N-terminale è indotta da condizioni di ipotonia ipocloremica [35]. Analogamente, studi di proteomica hanno permesso di caratterizzare il pattern proteico di colture cellulari del TD, sia in termini di proteine che di fosfo-proteine [36] ed hanno contribuito all’identificazione dei signalling pathways che mediano il controllo ormonale del NCC, come vasopressina ed aldosterone. Gonzales et al. hanno dimostrato l’utilità della targeted proteomics degli esosomi urinari a scopo diagnostico. Gli autori hanno effettuato l’immunoblotting di esosomi ottenuti dalle urine di pazienti con diagnosi clinica di sindrome di Bartter, dimostrando l’assenza del co-trasportatore di NKCC-sensibile alla furosemide, e principale forma di sindrome di Bartter [37]. Successivamente Corbetta et al. hanno dimostrato che l’analisi comparativa degli esosomi urinari fornisce un approccio alternativo per riconoscere e discriminare la BS dalla GS. L’applicazione di questo metodo nella pratica clinica può essere rappresentata dallo sviluppo di testi enzimatici di tipo diagnostico [38].

 

c. Dotto collettore (CD)

Studi di proteomica hanno caratterizzato i meccanismi molecolari secondari all’interazione vasopressina- recettore, lungo il CD. Nel 2010, Tchapyjnikov et al. hanno analizzato il proteoma dei nuclei di cellule di CD, individuando potenziali fattori di trascrizione di regolazione del canale all’acqua regolato dall’ormone ADH, Aquaporina-2 (AQP2) [39]. Successivamente, lo stesso gruppo di ricerca ha studiato i fattori di trascrizione indotti dall’ADH nel CD, individuando molti fattori di trascrizione i cui studi di predizione hanno identificato binding site per i promotori dei geni che codificano per l’AQP2, le catene del canale al sodio ENaCβ ed ENaC-γ, target noti dell’ADH [40]. Un’altra comune conseguenza del difetto di funzione del CD è l’acidosi tubulare (dRTA), come descritto in precedenza. Pathare et al. hanno utilizzato due studi di targeted proteomica in soggetti affetti da dRTA. Nel primo studio, gli autori hanno studiato i livelli di espressione della proteina pendrina. Quest’ultima è uno scambiatore apicale Cl/HCO3 espresso in cellule intercalate di tipo B del collettore, svolgendo un importante ruolo nell’equilibrio acido-base. L’espressione della pendrina appare aumentata in condizioni di alcalosi metabolica e, al contrario, risulta notevolmente ridotta in caso di acidosi metabolica. Lo studio dimostra che l’abbondanza della pendrina negli esosomi urinari è altamente regolata dal carico di acidi e alcali, nei soggetti sani. Gli autori hanno osservato che, in seguito a carico con NH4Cl gli esosomi urinari dei pazienti affetti da dRTA, non presentavano, invece, differenze significative di pendrina. I risultati ottenuti evidenziano come la pendrina esosomiale possa essere un biomarcatore urinario per le alterazioni dell’equilibrio acido-base [41]. Nel secondo studio sono stati misurati i livelli delle subunità B1 e B2 della V-ATPase, pompa protonica necessaria per la massima acidificazione urinaria. Gli autori hanno confrontato l’effetto di un carico acido ed alcalino acuto sulla concentrazione di B1 e B2 negli esosomi urinari dei soggetti normali e nei soggetti con dRTA congenita o acquisita. In questo studio, i livelli della subunità B1, ma non B2, negli esosomi urinari risultavano estremamente bassi nei pazienti con dRTA, ed erano indipendenti rispetto alle variazioni acute del pH sistemico ed urinario [42].

 

Applicazione della proteomica e metabolomica alle nefropatie metaboliche ereditarie

Nefropatie metaboliche e malattia di Fabry

Il rene è un organo bersaglio in corso di diversi disordini ereditari del metabolismo. L’esempio più emblematico è rappresentato dalla malattia di Fabry. Quest’ultima è un disordine X-linked, causato dal difetto di funzione dell’enzima lisosomiale α-galattosidasi (α-gal). Questo difetto enzimatico causa l’accumulo cellulare di globotriaosylceramide (Gb3) e di altri glicosfingolipidi in diversi organi, come il rene ed il cuore [43,44].

La malattia di Fabry presenta un ampio spettro di manifestazioni cliniche, che vanno dal fenotipo grave classico al fenotipo atipico. Il primo presenta l’esordio durante l’infanzia e l’attività dell’α-galattosidasi risulta assente o gravemente ridotta, mentre il secondo presenta l’esordio tardivo e i livelli di attività residua dell’enzima risultano più elevati. Oltre a questi due fenotipi vi sono forme intermedie e forme asintomatiche nel sesso femminile. Questa patologia è pan-etnica e l’incidenza annuale riportata è di 1 su 100.000 [44]. La prevalenza della malattia classica di Fabry è stimata variare da 1:8454 a 1:117.000 maschi. Questa prevalenza risulta verosimilmente sottostimata in quanto si tratta di una patologia che, oltre ad essere rara, non presenta sempre manifestazioni specifiche [45,46].

La forma classica è il fenotipo clinico più grave; si verifica prevalentemente nei maschi, anche se talvolta alcune femmine eterozigoti presentano un fenotipo più grave che è simile alla forma tipica. Le manifestazioni cliniche esordiscono nell’infanzia o nell’adolescenza e includono dolore neuropatico, disturbi gastro-intestinali, angiocheratomi, teleangectasie e disordini autonomici: intolleranza al calore, dolore urente e ipo/anidrosi.

Nell’età adulta vi può essere un interessamento renale, cardiaco e cerebrovascolare progressivo. Le manifestazioni renali si verificano in circa il 50% dei pazienti maschi affetti dalla variante classica di Fabry nella terza decade di vita e la prevalenza aumenta in modo significativo con l’età. Inizialmente si osserva proteinuria, successivamente alcuni di questi pazienti sviluppano una malattia renale cronica che può evolvere in malattia renale terminale [47,48]. Per quanto riguarda l’apparato cardiovascolare questi pazienti possono presentare ipertrofia ventricolare sinistra, insufficienza cardiaca, anomalie della conduzione e aritmie [49]. A livello del sistema nervoso centrale si possono verificare attacchi ischemici transitori ed ictus ischemici, oltre ad alterazioni del circolo posteriore [50,51]. Il fenotipo atipico non mostra le caratteristiche classiche della malattia di Fabry ed è dominato dall’interessamento di un particolare organo, più comunemente il cuore, a volte il rene [5254].

Questo disordine rappresenta una tra le poche patologie ereditarie del rene per le quali è stata sviluppata una terapia specifica. Dal 2001 è disponibile la terapia enzimatica ricombinante (ERT), che si è dimostrata capace di stabilizzare la funzione renale e di rallentare il declino del GFR. Recentemente, l’uso del migalastat, primo farmaco orale per la Fabry, è stato approvato per pazienti con specifiche mutazioni genetiche [55].

 

Studi di proteomica e metabolomica della malattia di Fabry

Matafora et al. hanno applicato la spettrometria alle urine di pazienti affetti da malattia di Fabry allo scopo di individuarne il pattern proteomico. Pazienti naive presentavano una deregolazione di proteine infiammatorie e dell’immunità innata, oltre che del metabolismo energetico, rispetto ai soggetti sani. Queste stesse proteine mostravano un pattern più simile ai controlli sani nei pazienti trattati con la terapia enzimatica ricombinante, un dato a supporto dell’efficacia della terapia farmacologica [56]. Moore et al. hanno, invece, studiato il fingerprinting proteomico plasmatico di pazienti con malattia di Fabry. In questo studio 30 pazienti pediatrici sono stati studiati prima e dopo sei mesi dall’inizio del trattamento enzimatico. Lo studio ha dimostrato la presenza di un’alterazione dell’angiogenesi e della fibrinolisi nei pazienti non trattati, ed un’inversione di queste alterazioni dopo terapia [57]. Analogamente, un altro gruppo di ricerca ha studiato il proteoma plasmatico in pazienti con malattia di Fabry prima e dopo 4-12 mesi dall’inizio della terapia: questo studio ha dimostrato il consumo di componenti del complemento, indicando una possibile implicazione dell’attivazione del complemento nella patogenesi di malattia [58].

Neto et al. hanno studiato il pattern proteico di una linea cellulare podocitaria umana, modello di malattia di Fabry grazie alla delezione del gene dell’a-gal mediante tecnologia CRISPR/CAS9. Questo studio ha dimostrato differenze nei livelli di proteine connesse a processi biologici quali autofagia e fibrosi tubulo-interstiziale [59]. Slaats et al. hanno applicato la proteomica a cellule epiteliali isolate dalle urine dei pazienti. Questi studi hanno evidenziato una deregolazione di proteine endosomiali e lisosomiali, dimostrando un coinvolgimento della disregolazione delle attività lisosomiali nella malattia di Fabry, attraverso uno studio in vivo, su campioni ottenuti dal paziente [60]. Recentemente Goicov et al. hanno validato un saggio basato su cromatografia liquida e spettrometria di massa utile ad individuare e quantificare un set di 40 proteine urinarie, dimostrandone la validità nell’identificazione di proteine-markers di danno renale precoce e tardivo [61].

Gli studi di metabolomica si sono rivelati di estrema utilità nell’individuazione di biomarcatori di malattia in questo contesto. I livelli di globotriosilsfingosina (lyso-Gb3) nei liquidi biologici sono considerati diagnostici di malattia di Fabry. Diversi studi di metabolomica condotti da gruppi di ricerca indipendenti hanno, negli ultimi anni, dimostrato l’aumentata escrezione urinaria di ulteriori metaboliti nei pazienti con malattia di Fabry, specialmente derivati del Gb3. Auray-Blais et al., nel 2012, hanno studiato il metaboloma urinario di 63 pazienti non sottoposti a trattamento farmacologico rispetto ai soggetti sani: i pazienti presentavano un aumentata escrezione urinaria di lyso-Gb3 analoghi; sia il lyso-Gb3 che gli analoghi risultavano più abbondanti nei soggetti di sesso maschile rispetto alle femmine [62]. Lo stesso gruppo di ricerca ha studiato i livelli di lyso-Gb3 e analoghi nel plasma di pazienti durante il trattamento farmacologico: queste molecole hanno mostrato una significativa riduzione all’inizio del trattamento, restando a un plateau per 30 mesi di trattamento [63]. Beneduci et al., invece, hanno studiato il metaboloma urinario dei pazienti Fabry mediante H1-NMR, individuando possibili marcatori precoci e tardivi di malattia [64].

 

Conclusioni

Il presente lavoro rappresenta una revisione della letteratura finalizzata a dimostrare il ruolo di tecniche innovative quali la proteomica e la metabolomica nella caratterizzazione della fisiopatologia renale, nell’ identificazione di meccanismi fisiopatologici e potenziali target terapeutici di malattie genetiche come le ciliopatie, le tubulopatie e le malattie metaboliche. I biofluidi sono preziose fonti di proteine e metaboliti, in particolar modo il campione urinario presenta una valenza maggiore rispetto ad altri campioni per la facilità e scarsa invasività di raccolta, per la riproducibilità e per l’alta specificità.

Attraverso i diversi studi condotti sul proteoma urinario, si è evidenziato come i principali pathways alterati siano legati alla costituzione della matrice extracellulare, al complesso meccanismo della flogosi e all’angiogenesi nelle ciliopatie come l’ADPKD. Si è osservato, inoltre, come alcune proteine siano correlate ad una maggiore progressione di malattia rispetto ad altre.

A differenza della proteomica, gli studi di metabolomica sono più recenti e pertanto risultano meno numerosi; tuttavia, questi studi hanno dimostrato la potenzialità di questa tecnica nella comprensione della fisiopatologia delle malattie genetiche e nello sviluppo di nuove strategie terapeutiche mirate, come nel caso della malattia di Fabry.

L’approccio delle scienze omiche apre la strada ad una medicina più personalizzata grazie alla possibilità di predire il decorso della malattia, di determinare la terapia specifica e la risposta al trattamento sulla base del profilo individuale.

 

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