Abstract
L’iposodiemia è l’alterazione idro-elettrolitica più frequentemente rilevabile in ambito ospedaliero. Nei casi più severi rappresenta una vera emergenza medica, potenzialmente fatale, ma anche nelle forme più lievi rimane di forte impatto su morbilità, costi e tempi di degenza. Il nefrologo è invariabilmente chiamato in causa, non solo nella gestione terapeutica delle forme acute e croniche ma anche e soprattutto nell’interpretazione patogenetica del disturbo che in contesti di emergenza è particolarmente difficile da formulare. Riportiamo il caso di una donna di 56 anni giunta all’osservazione in PS per instabilità della marcia con rilievo di iponatremia severa di 98 mmol/l a genesi multifattoriale e ad evoluzione favorevole.
Introduzione
L’iponatremia, ovvero una concentrazione di sodio sierico < a 136 mmol/l, costituisce la più frequente alterazione idro-elettrolitica in ambito ospedaliero. In uno studio multicentrico su oltre 5 mila soggetti ricoverati, la prevalenza rilevata di sodiemia < a 136 mmol/l era del 30%, nel 49% dei pazienti il disturbo si sviluppava durante la degenza [1] (full text) [2].
Anche nella popolazione generale la prevalenza del fenomeno non è trascurabile come evidenziato dallo studio americano NHANES che rilevava un’ iponatremia nell’1.7% circa dei casi, soprattutto a carico della fascia di età compresa tra gli 80 e gli 89 anni [3].
Il dato epidemiologico dell’incremento della prevalenza del fenomeno in età geriatrica [4] non è trascurabile poiché la disionia si accompagna sia ad importanti comorbidità come scompenso cardiaco [5], ipertensione, BPCO, diabete, cirrosi epatica, neoplasie maligne, patologie psichiatriche, patologie degenerative cerebrali, sia all’impiego di farmaci che aumentano il rischio iatrogeno di sviluppare iponatremia come i diuretici tiazidici, gli antidepressivi (soprattutto gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina) e gli antiepilettici [6].
Sul piano strettamente prognostico, l’iponatremia è un fattore di rischio di mortalità indipendente [7] (full text). Anche nei pazienti ospedalizzati vi è una correlazione tra iponatremia e mortalità anche per valori lievi e tale correlazione permane al follow-up a distanza [8]. La correlazione tra disionia e mortalità è un fenomeno complesso riassumibile in tre scenari potenziali: una correlazione diretta causata da quadri estremamente severi di edema cerebrale acuto e da sindromi da demielinizzazione osmotica nei casi di “overcorrection”; un secondo scenario in cui l’iponatremia concorre al deterioramento di altri apparati e infine un terzo scenario in cui l’iponatremia è semplice epifenomeno di altri severi contesti clinici sottostanti[9] (full text). Dal momento che il trattamento dell’iponatremia non può prescindere da un’adeguata conoscenza della fisiopatologia [10] e che la terapia, specialmente dei casi cronici, risulta spesso subottimale per l’eterogeneità-complessità dei quadri clinici, recentemente sono state messe a punto nuove linee guida su diagnosi e trattamento del disturbo al fine di migliorarne l’outcome [11] (full text) [12] [13]; anche in ambito sportivo, in relazione ai rari ma potenzialmente catastrofici casi di iponatremia “exercise-induced”, è stata redatta una “Consensus Guideline” al fine di prevenire la mortalità indotta [14].
La recente disponibilità di nuovi farmaci antagonisti dei recettori della vasopressina (vaptani), licenziati in Europa per la terapia della SIADH (1/3 di tutti i casi di iponatremia sono causati dalla sindrome da inappropriata secrezione di ADH) [15], giustifica il crescente interesse per la gestione di questa disionia. Infine, non infrequente è il riscontro di iponatremia in corso di insufficienza renale cronica da progressivo deficit dei meccanismi di concentrazione/diluizione urinaria.
Il caso qui descritto è esemplificativo di come, in un contesto d’urgenza, l’inquadramento fisiopatogenetico (raccolta dei dati anamnestici, stato della volemia, tempo di insorgenza della disionia, esecuzione di esami dirimenti, valutazione della sintomatologia ed approccio terapeutico) possa risultare estremamente complesso.
Caso
Paziente femmina di 56 anni con recente (due mesi prima dell’attuale ricovero) diagnosi bioptica renale di GN a depositi di IgA con importante proliferazione attiva extra-capillare, significativa positività per p-ANCA e rilievo di importante insufficienza renale con creatinina di 5 mg/dl (eGFR di 15 ml/min). La paziente veniva sottoposta a ciclo di terapia steroidea ev/os (3 boli da 1 grammo di metil-prednisolone e successivamente per os prednsione 60 mg die) e con ciclofosfamide per os alle dosi di 1.2 mg/kg die; veniva avviata dieta iposodica-ipoglicidica; in aggiunta alla terapia immunomodulante le veniva prescritto 1/2 cpr di trimethoprim-sulfametossazolo (960 mg) a giorni alterni, omeprazolo 20 mg die, allopurinolo 150 mg die, sali di calcio e 1 cpr di bicarbonato di sodio per corregere una modesta acidosi metabolica d’accompagnamento. L’andamento funzionale renale nei due mesi successivi era decisamente favorevole con progressiva riduzione della creatinina a valori di 2 mg/dl (GFR di 40 ml/min). Lo ionogramma eseguito un mese prima dell’attuale ricovero evidenziava una sodiemia di 133 mmol/l (vn 133-140 mol/l). La paziente giungeva in PS con sensorio integro, parzialmente orientata spazio-temporalmente, senza deficit neurologici focali ma con impossibilità nel deambulare correttamente per la presenza di latero-pulsione sx; la paziente stessa riferiva la comparsa progressiva del disturbo da alcuni giorni accompagnata da cefalea e da un isolato episodio di vomito, in aggiunta il marito riferiva che nei nei gg precedenti si erano verificati saltuari episodi di incoerenza del pensiero e del linguaggio. Sul piano emodinamico non vi erano anomalie di rilievo, saturazione periferica, FC e i valori pressori (PAO di 120/85 mmHg abitualmente più elevata) erano nella norma, il trofismo cutaneo e muscolare apparentemente nei limiti, peso corporeo di 60 Kg circa (stabile) Veniva eseguita un’EGA venosa che evidenziava sodiemia di 98 mmo/l (Tabella 1 tempo 0), K di 3.5 mmol/l, bicarbonati plasmatici di 26 mmol/l con pH di 7.48, creatinina di 1.75 mg/dl, cloremia di 67 mmol/l e calcemia ionizzata di 1 mmol/l e una TC cerebrale basale che non mostrava anomalie di rilievo.
In relazione ai dati clinico-laboratoristici, si avviava da subito un’infusione di soluzione ipertonica al 3% alla velocità di 50 ml/h per 2 ore circa con lo scopo di innalzare rapidamente la sodiemia poi sostituita da un’infusione di soluzione fisiologica alla velocità di 70 ml/h per l’assenza di sintomatologia neurologica maggiore (stato soporoso o quadro convulsivo); inoltre nell’ipotesi patogenetica di una iponatremia iatrogena indotta dalla ciclofosfamide si sospendeva l’immunodepressore e si somministrava una cpr di furosemide 25 mg. Le modifiche successive dell’andamento della sodiemia, dell’osmolarità e degli elettroliti urinari su campioni estemporanei e della raccolta urinaria delle 24 ore sono illustrati nella Tabella 1 (i valori di sodiemia riportati sono stati ottenuti da EGA venose seriate). Al tempo T°18 la sodiemia era di 115 mmol/l (delta di + 17) per cui veniva sospesa l’infusione di SF e si avviava della soluzione ipotonica per contrastare l’ulteriore imprevista salita della sodiemia legata alla comparsa di poliuria (3100 ml nelle 24 ore) inizialmente ipotonica come testimoniato dal basso rapporto tra elettroliti urinari e sodiemia.
Emergeva successivamente un dato anamnestico cruciale, ovvero che la paziente da due mesi circa aveva abolito rigorosamente l’assunzione di sodio con la dieta e nell’ottica di una generica nefroprotezione aveva incrementato l’introito idrico a circa 3 litri die. Sulla base di questi dati, si potenziava nettamente l’introito di sodio per os e si imponeva una restrizione idrica a 750 ml/die circa assistendo successivamente ad una progressiva normalizzazione dello ionogramma; dopo 96 ore l’osmolarità plasmatica si normalizzava (277 mOsm/Kg) e l’Osmolarità urinaria mostrava valori di 290 mOsm/Kg (Tabella 1). Le condizioni cliniche generali e il quadro neurologico nello specifico andavano progressivamente normalizzandosi; tuttavia in considerazione di una fase transitoria di depressione marcata (a detta dei familiari già presente al domicilio) con crisi di pianto e dalla comparsa di eloquio fatuo eseguivamo una RM cerebrale che escludeva lesioni compatibili con una demielinizzazione osmotica potenzialmente indotta dall’”over-correction” della natremia verificatasi nelle prime 24-48 ore.
Discussione
Abbiamo descritto un quadro di iponatremia severa a genesi multifattoriale. Diversi aspetti meritano di essere analizzati.
In primis, una fattiva collaborazione tra specialista e medico di emergenza è di basilare importanza poiché poter disporre anche in acuto di dati fondamentali come la sodiuria/potassiuria spot e l’osmolarità plasmatica e urinaria consentirebbe un primo inquadramento fisiopatogenetico e terapeutico. In assenza di terapia diuretica, di una obiettività dirimente o di altre comorbidità di rilievo condizionanti la volemia del paziente, la determinazione della sodiuria e della potassiuria rimangono infatti dei surrogati importanti del volume circolante e orientano la strategia terapeutica dall’inizio. L’ipotesi di una iponatremia iatrogena, indotta dalla terapia con ciclofosfamide (effetto del farmaco noto e potenzialmente mediato o da meccanismi ADH correlati o da una tossicità diretta sui dotti collettori) è stata presa in considerazione e il farmaco di fatto sospeso, sebbene il nesso temporale e la posologia assunta dalla paziente rendevano poco probabile un meccanismo causale diretto. Nel nostro caso l’approccio terapeutico iniziale, pur in assenza di sintomatologia neurologica maggiore e pur in presenza di una iposodiemia a lenta insorgenza, è consistito nell’infusione per qualche ora di ipertonica al 3%. L’incremento della sodiemia nelle prime 24-48 ore è stato di fatto eccessivo per una sommatoria di cause. L’evidenza di un’osmolarità urinaria di 150 mOsm/Kg, sicuramente indicativa di un’inadeguata diluizione urinaria in relazione alla grave iponatremia ma comunque inferiore a quella plasmatica, non deponeva per un meccanismo ADH mediato (del tipo SIADH che per definizione è caratterizzata da funzione renale normale), sebbene un potenziale incremento di ADH indotto dalla ciclofosfamide non si potesse escludere a priori; il rilievo poi di una sodiuria spot bassa di 31 mmol/l, nonostante l’infusione di sodio nelle ore precedenti era più indicativo della ripresa di una certa capacità di diluizione urinaria secondaria all’espansione volemica indotta dalle infusioni e pertanto deponeva per una pre-esistente relativa deplezione di volume circolante indotta a sua volta dalla ridotta assunzione di soluti con la dieta adottata dalla paziente nei due mesi precedenti.
Un diminuito apporto di soluti al segmento diluente distale del tubulo con ridotta formazione di acqua libera, anche intrinsecamente legato al grado di IRC concomitante, unitamente all’introduzione di elevati volumi di acqua per os, concorreva al mantenimento e al peggioramento dell’iponatremia. Più discutibile e teorico è il potenziale ruolo della terapia con trimethoprim-sulfametossazolo di cui è noto l’effetto amiloride-simile di inibizione di riassorbimento del sodio a livello del dotto collettore corticale per il blocco del canale epiteliale del sodio, nell’aver concorso alla deplezione di volume (la potassiemia si è mantenuta nei limiti. La successiva comparsa di poliuria (fino a 3 litri) è congrua con le ipotesi patogenetiche espresse. L’aumento progressivo dei soluti al nefrone distale, la soppressione dei livelli di ADH ottenuta con l’espansione dei volumi e la graduale cessazione del potenziale effetto farmacologico della ciclofosfamide e del trimethropin hanno consentito da un lato un ripristino delle capacità parziale di concentrazione/diluizione urinaria e dall’altra la risalita dei valori di natremia.
Conclusioni
Nella pratica clinica il riscontro di valori di sodiemia < a 100 mmol/l è raro. Nel nostro caso clinico, soprattutto lo scarso apporto di soluti e l’elevato input idrico unitamente alla concomitante IRC e al potenziale e teorico effetto iatrogeno dei farmaci, hanno concorso in vario modo al determinismo dell’entità di tale alterazione che poi di fatto si è agevolmente corretta con l’adozione di misure terapeutiche mirate soprattutto ad incrementare l’apporto di sodio dapprima ev, quindi per os e regolando l’introito idrico a valori fisiologici una volta che la volemia si era normalizzata. Un’attenta valutazione dello scenario clinico iniziale, unitamente all’adeguata raccolta dei dati anamnestici e alla possibilità di poter disporre rapidamente di parametri di laboratorio dirimenti, sono i migliori presupposti per poter offrire al paziente il migliore approccio terapeutico, tenendo conto che in ogni caso la terapia deve essere sempre personalizzata, come argutamente Hoorn e Zietse hanno sottolineato in un recente editoriale: “No cookbook medicine for hyponatremia” [9] (full text).
Bibliografia
[1] Hoorn EJ, Lindemans J, Zietse R et al. Development of severe hyponatraemia in hospitalized patients: treatment-related risk factors and inadequate management. Nephrology, dialysis, transplantation : official publication of the European Dialysis and Transplant Association – European Renal Association 2006 Jan;21(1):70-6 (full text)
[7] Corona G, Giuliani C, Parenti G et al. Moderate hyponatremia is associated with increased risk of mortality: evidence from a meta-analysis. PloS one 2013 Dec 18;8(12):e80451 (full text)
[9] Hoorn EJ, Zietse R Hyponatremia and mortality: how innocent is the bystander? Clinical journal of the American Society of Nephrology : CJASN 2011 May;6(5):951-3 (full text)
[11] Spasovski G, Vanholder R, Allolio B et al. Clinical practice guideline on diagnosis and treatment of hyponatraemia. Nephrology, dialysis, transplantation : official publication of the European Dialysis and Transplant Association – European Renal Association 2014 Apr;29 Suppl 2:i1-i39 (full text)
[13] Lameire N. The management of hyponatemia. Nephrology@Point of care 2015; 1(1): e2-e11