Novembre Dicembre 2024 - In depth review

Diagnosi e gestione terapeutica della patologia ossea nel paziente con malattia renale cronica o portatore di trapianto di rene

Abstract

L’osteoporosi è una malattia scheletrica cronica caratterizzata dalla riduzione della densità minerale ossea e dal deterioramento della microarchitettura ossea, che aumenta il rischio di fratture. Nei pazienti con malattia renale cronica (CKD), la gestione dell’osteoporosi è complicata dalla presenza di alterazioni del metabolismo minerale (CKD-MBD) che influenzano negativamente la salute ossea. La diagnosi richiede un’approfondita valutazione clinica, che include la misurazione della densità minerale ossea tramite DEXA, la valutazione della microarchitettura ossea con TBS e l’analisi dei biomarcatori del turnover osseo. La gestione terapeutica deve essere personalizzata e può includere terapie con farmaci ad azione anti-riassorbitiva o osteoanabolica; infatti, è necessario tener conto dello stadio di CKD e del tipo di turnover osseo. Il Policlinico Sant’Orsola adotta un modello integrato di cura, che prevede il coinvolgimento di diversi specialisti (nefrologi, endocrinologi, radiologi, ecc..) nella gestione ottimale dell’osteoporosi del paziente nefropatico. Questo approccio multidisciplinare consente di affrontare in modo completo le complessità della CKD-MBD, migliorando la diagnosi e la terapia e, di conseguenza, la qualità della vita dei pazienti attraverso un piano di trattamento coordinato e personalizzato.

Parole chiave: CKD-MBD, malattia ossea, osteoporosi, malattia renale cronica, trapianto di rene

Introduzione

La prevalenza della malattia renale cronica (CKD) è aumentata considerevolmente negli ultimi decenni, di fatto trasformando questa patologia in un grave e crescente problema per la salute pubblica globale.  Nel 2017 l’incidenza era pari al 10% della popolazione generale con 800 milioni di individui affetti [1] e 3,9 milioni in terapia sostitutiva renale (KRT) nei pazienti con CKD in stadio terminale (ESRD) [2]. Inoltre, è stato stimato che entro il 2040 la CKD diventerà la quinta causa di mortalità nel mondo [1].

Come è ben noto, la CKD è caratterizzata da una serie di alterazioni del metabolismo minerale, incluse nella denominazione di Chronic Kidney Disease-Mineral and Bone Disorder (CKD-MBD) coniata, nel 2005, dalle linee guida Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) [3]. Le alterazioni del metabolismo minerale iniziano nelle fasi precoci della CKD; sebbene non sia noto quale sia il primum movens, si instaura una progressiva alterazione degli ormoni coinvolti nella regolazione del metabolismo minerale, ovvero la vitamina D 1-25(OH) il paratormone (PTH), il fattore di crescita dei fibroblasti-23 (FGF-23) e il suo recettore solubile Khloto [4, 5]. L’alterata omeostasi di tali ormoni rappresenta inizialmente una risposta adattativa dell’organismo, finalizzata al mantenimento nei range di normalità del calcio e del fosforo. Tuttavia, tale processo adattativo, se non corretto adeguatamente, parallelamente al declino della funzione renale, diventa maladattativo e con caratteristiche di irreversibilità [4, 5].

Il termine Osteodistrofia Renale viene utilizzato per indicare l’intero spettro della patologia ossea associata alla CKD-MBD e comprende anomalie della morfologia, dell’istologia e del metabolismo osseo. Gli studi sulle biopsie ossee, effettuati nei primi anni 2000, hanno permesso di identificare quattro principali fenotipi istopatologici causati da differenti processi fisiopatologici: l’osteite fibrosa cistica, l’osso adinamico, l’osteomalacia e l’osteodistrofia uremica mista [6]. Questi quattro fenotipi sono poi stati raggruppati dalla classificazione TMV, creata dalle linee guida KDIGO del 2006, che si basa sulla valutazione del turnover, della mineralizzazione e del volume osseo [3].  A questi fenotipi istopatologici corrispondono distinti fenotipi clinici, che possono essere classificati in due grandi categorie: le patologie ad alto e a basso turnover osseo. L’osteite fibrosa, caratterizzata da un elevato turnover osseo, è associata ai quadri di iperparatiroidismo secondario. Il PTH elevato, infatti, determina un notevole aumento delle aree di riassorbimento e porta a un bilancio osseo negativo; inoltre, induce un aumento dell’attività osteoblastica con un conseguente aumento della produzione di tessuto osteoide che però non assume una disposizione ordinata e laminare. L’osso adinamico è invece caratterizzato da un basso turnover osseo, una soppressione della formazione ossea associata a bassa cellularità caratterizzata da una riduzione sia degli osteoblasti che degli osteoclasti. In entrambi i fenotipi precedentemente descritti, la mineralizzazione ossea risulta normale a differenza di quanto osservato nell’osteomalacia [7].

Nei pazienti trapiantati di rene il quadro osseo risulta ancora più complicato. Infatti, alle alterazioni del metabolismo minerale osseo, tipiche della CKD, come la persistenza dell’iperparatiroidismo o del basso turnover, si possono associare gli effetti sul turnover osseo e sui processi di mineralizzazione di ulteriori fattori quali la terapia immunosoppressiva (soprattutto quella steroidea), il deficit di vitamina D e l’aumento di peso. Questi fattori rendono ancora più complesso l’inquadramento diagnostico nonché l’approccio terapeutico alla patologia ossea nei pazienti portatori di trapianto di rene che viene definita come Post-Transplantation Bone Disease (PTBD) [8].

L’impatto delle alterazioni del metabolismo minerale presenti nella CKD-MBD sull’aumento del rischio fratturativo e sulla mortalità cardiovascolare nella CKD e nel trapianto renale è ormai universalmente noto [9, 10]. L’aumento del rischio di frattura nella CKD non è riconducibile solo a una riduzione del contenuto minerale dell’osso, ma anche alla scarsa qualità del tessuto osseo. La qualità dell’osso (bone quality) potrebbe essere definita come l’insieme degli aspetti che contribuiscono alla resistenza ossea (bone strenght) ma non sono rilevati alla misurazione dalla densità ossea. Pertanto, la bone quality comprende la struttura dell’osso, sia a livello microscopico che organico, e le proprietà materiali dell’osso, come la dimensione dei cristalli, l’orientamento e il collegamento delle fibrille di collagene, la composizione dei minerali ossei e la presenza di microfratture. La qualità ossea in ultima analisi è condizionata dalla regolare alternanza dei processi di formazione e riassorbimento osseo, nonché da una adeguata mineralizzazione del tessuto osteoide [11, 13].

L’inquadramento diagnostico della patologia ossea nella CKD è quindi estremamente complesso. In questi pazienti è dirimente la definizione del tipo di alterazione del turnover osseo e del deficit di mineralizzazione presenti [14]. Attualmente, nella comune pratica clinica, la valutazione della densità ossea e del rischio fratturativo viene effettuata attraverso la densitometria ossea (DEXA) analogamente a quanto avviene nella popolazione generale e attraverso dosaggio dei marker di turnover osseo. La DEXA presenta però limiti sostanziali, ad esempio l’impossibilità di valutare la densità minerale volumetrica e la microstruttura ossea (bone quality) e non distingue tra la componente corticale e trabecolare [15].

In questo articolo presentiamo una review dell’approccio diagnostico e terapeutico della patologia ossea nella CKD e nel trapianto di rene, presentando il protocollo utilizzato presso l’ambulatorio integrato di Nefrologia ed Endocrinologia dell’IRCCS Policlinico Sant’Orsola di Bologna per la gestione dei pazienti ad elevato rischio fratturativo.

 

Diagnosi

Valutazione del turnover osseo

La definizione del turnover osseo è di fondamentale importanza, poiché, oltre a indirizzare la diagnosi verso uno specifico fenotipo di patologia ossea, è dirimente nella scelta terapeutica.

La molecola più largamente utilizzata nella pratica clinica per definire il bone turnover è il PTH. Tuttavia, il PTH è principalmente un driver del metabolismo osseo e pertanto dovrebbe essere considerato un biomarcatore più che un bone turnover marker puro [11]. Le linee guida KDIGO del 2017 consigliano il monitoraggio del PTH a partire dallo stadio G3a di CKD a cadenza semestrale o annuale. Il range ottimale dei valori di PTH non è ancora stato chiarito soprattutto nei pazienti con CKD avanzata (stadi G4-5 o in KRT), infatti viene suggerito di mantenere i valori di PTH tra 2 e 9 volte il limite di normalità dell’assay di laboratorio di riferimento [16].

Inoltre, è importante considerare alcune problematiche ​​inerenti alla misurazione del PTH, che sono riconducibili sia alla molecola stessa che alla metodica di misurazione. È necessario prestare attenzione alla variabilità preanalitica considerando l’influenza delle caratteristiche del paziente (sesso, età, etnia, BMI e assunzione di calcio nella dieta), del sito di campionamento (in pazienti sottoposti a dialisi, fistola artero-venosa o catetere venoso centrale) e delle variazioni circadiane e stagionali del PTH. Inoltre, esistono tre generazioni di test per il dosaggio del PTH, attualmente nella pratica clinica vengono utilizzati i kit di II e III generazione. Gli assay di II generazione misurano la molecola del PTH nella sua intera lunghezza (intact PTH), quelli di III generazione utilizzano un anticorpo specifico per i primi quattro aminoacidi della molecola (biointact PTH), eliminando così i bias relati agli assay di II generazione [17, 19].

Negli ultimi anni una serie di studi hanno ampliato le conoscenze relative alla valutazione del turnover osseo grazie all’identificazione di nuovi biomarcatori sierici derivanti dai processi di rimodellamento osseo che sono ora noti come Bone Turnover Markers (BTMs). Nel loro insieme, essi riflettono sia i processi di riassorbimento osseo che quelli di neoformazione. I più studiati e utilizzati al momento sono il Propeptide Aminoterminale Procollagene Tipo 1 (P1NP) e la Fosfatasi Alcalina Ossea (Bone-specific Alkaline Phosphatase [[BAP]]), l’Osteocalcina (OC), per quanto riguarda i processi di osteoformazione, mentre per quanto riguarda il riassorbimento osseo sono la Fosfatasi Acida Tartrato-Resistente (TRAP5b) e il Telopeptide C-Terminale (CTX) [18]. Al fine di evitare bias legati all’escrezione renale, i BTM che non hanno una clearence renale, come BAP, P1NP e TRAP5b, dovrebbero essere presi in considerazione nel contesto della CKD [20].

Recentemente, due importanti studi, condotti da Salam et al. e Jørgensen et al., hanno analizzato le correlazioni dei BTMs con i pattern di turnover osseo identificati con la biopsia ossea, uno in una popolazione dei malati renali in stadio G4-5 e un altro in una coorte mista di pazienti con malattia renale avanzate e trapiantati di rene [21, 22]. Entrambi gli studi hanno confermato come i BTMs siano sensibili e specifici nel discriminare il pattern di turnover della malattia ossea, in particolare per quanto riguarda l’alto turnover. Inoltre, la sensibilità e la specificità aumentano se tali biomarcatori vengono utilizzati nel loro insieme e non presi singolarmente [21, 22].

I BTMs consentono dunque non solo di diagnosticare il fenotipo, in termini di turnover della patologia ossea nei pazienti con CKD, ma anche di guidare l’approccio terapeutico; infatti, il monitoraggio nel tempo del loro trend consente di valutare l’efficacia terapeutica nonché la compliance del paziente.

Sia Salam et al. che Jørgensen et al., nei loro studi, hanno analizzato il valore predittivo del PTH nella discriminazione del turnover osseo, rispettivamente con assay di seconda e terza generazione. Entrambi gli studi hanno rilevato che il PTH possa essere utile nella diagnosi della patologia ossea a elevato turnover, seppur risulti meno sensibile e specifico rispetto ai BTMs [21, 22]. Invece, per quanto riguarda la determinazione del basso turnover, il PTH non risulta altrettanto efficace se comparato con i BTMs. In entrambi i casi, l’utilizzo del PTH insieme ai BTMs migliora la sensibilità e la specificità dei modelli di predizione [21, 22] (Tabella 1).

Attualmente, le linee guida KDIGO del 2017 suggeriscono l’utilizzo del PTH e BALP come indicatori del turnover osseo nei pazienti con CKD in stadi 3-5 [16]. Un più recente statement dell’European Renal Osteodystrophy (EUROD) group suggerisce l’utilizzo dei BTMs non escreti a livello renale per la diagnosi della malattia ossea negli stadi di CKD 4 e 5 [20].

Biomarker Ruolo Associazione

con il turnover

Clearance renale
PTH

Regolatore del metabolismo minerale.

Limitazioni: elevata variabilità biologica e standardizzazione dei test

Discrimina l’alto turnover con un’accuratezza (90% valore predittivo positivo) simile agli altri biomarker.
Fosfatasi alcalina ossea (BALP)

Enzima espresso negli osteoblasti. Idrolizza il pirofosfato inorganico che è un inibitore della mineralizzazione.

Marker della formazione ossea.

Valori elevati o bassi sono associati rispettivamente ad un turnover alto e basso.

No

 

Osteocalcina

È la principale proteina Gla non collagenica dell’osso, influenza la mineralizzazione degli osteoidi legandosi all’idrossiapatite.

Marker della formazione ossea

Bassi valori possono essere indicativi di basso turnover e osso adinamico.
Procollagen 1 N-terminale propeptide-Intatto (P1NPi)

Frammento rilasciato quando il collagene di tipo 1 viene depositato nella matrice ossea durante il processo di formazione ossea.

Marker della formazione ossea.

Valori elevati o bassi sono associati rispettivamente ad un turnover alto e basso. No
Telopeptice C terminale del collagene di tipo 1 (CTX)

Frammenti scissi dal collagene di tipo 1 dalla catepsina-K durante il riassorbimento osseo.

Marker di riassorbimento osseo.

Valori elevati o bassi sono associati rispettivamente ad un turnover alto e basso.
Fosfatasi acida tartrate resistente-isoforma 5b (TRAP-5b) Isoform of acid phosphatase isoform. It is found in osteoclasts and cuts type 1 collagen into fragments.

 

Marker di riassorbimento osseo.

Valori elevati o bassi sono associati rispettivamente ad un turnover alto e basso. No
Tabella 1. Biomarker utilizzati nella valutazione del metabolismo osseo [21, 22].

DEXA, Trabecular Bone Score (TBS) and Vertebral Fracture Assesment

La DEXA, una tecnica di imaging che utilizza due fasci di raggi X con differenti livelli di energia per distinguere tra il tessuto osseo e i tessuti molli del corpo, permette di misurare la densità minerale ossea (BMD) areale (aBMD), che corrisponde alla quantità di minerali contenuti in un’area specifica di osso. Questa è una procedura indolore e non invasiva, richiede solo pochi minuti per essere eseguita, espone a una bassa quantità di radiazioni e garantisce un’ampia accessibilità [23].

Oltre alla aBMD, che è una misura quantitativa, la DEXA restituisce un valore noto come T-score, che rappresenta un valore standardizzato che confronta la BMD del soggetto in esame con quella di un giovane adulto sano al picco della densità ossea. Tale valore, espresso in numero assoluto, indica quante deviazioni standard la BMD del paziente è al di sopra o al di sotto della media giovanile. Si definisce normale un T-score di -1.0 o superiore, osteopenia un T-score tra -1.0 e -2.5 e osteoporosi un T-score di -2.5 o inferiore.

La DEXA è lo strumento routinariamente utilizzato per diagnosticare l’osteoporosi nella popolazione generale: il rischio di frattura aumenta da 1,5 a 3 volte per ogni diminuzione di 1 deviazione standard di BMD [24]. Studi relativi a pazienti con CKD hanno confermato come valori inferiori di BMD siano predittivi di frattura anche in questa coorte [25]. Pertanto, le linee guida raccomandano l’utilizzo della DEXA nello screening dei pazienti con CKD a rischio di frattura [16].

Tuttavia, anche la DEXA presenta alcune limitazioni. Infatti, essa esamina l’osso bidimensionalmente, non può differenziare tra osso corticale e trabecolare e non può valutare la qualità dell’osso.

Per poter sopperire a queste ultime limitazioni, la tecnologia DEXA è stata recentemente implementata con il Trabecular Bone Score (TBS), un software specializzato per valutare l’architettura ossea senza ulteriore aggiunta di radiazioni, costi o tempo. Questo software utilizza un indice strutturale derivato da un algoritmo che analizza l’intensità dei pixel dalle immagini delle scansioni DEXA della colonna lombare per valutare la microarchitettura dell’osso trabecolare [26]. Rispetto alla BMD, il TBS correla meglio con l’incidenza di fratture nei pazienti con funzione renale ridotta e la sua aggiunta può aiutare a una migliore discriminazione del rischio fratturativo in questi pazienti [27]. I cutoff di classificazione proposti dall’International working group of TBS users sono i seguenti: normale con TBS superiore a 1.350, parzialmente degradato con TBS tra 1.200 e 1.350 e degradato con TBS inferiore a 1.200 [28].

Inoltre, alcuni dispositivi DEXA sono dotati anche di uno strumento chiamato Vertebral Fracture Assessment (VFA) che ha la capacità di rilevare le fratture vertebrali durante la regolare misurazione della BMD [29]. Nonostante ciò, le radiografie antero-posteriori e latero-laterali della colonna toracica e lombosacrale (morfometria vertebrale) sono ancora il gold standard per lo screening delle fratture vertebrali [30].

Biopsia ossea

La biopsia della cresta iliaca rimane ad oggi il gold standard nella diagnostica della malattia ossea nella CKD. Essa permette di comprendere il meccanismo fisiopatologico alla base della perdita ossea mediante l’analisi di parametri statici e dinamici relativi a turnover, mineralizzazione e volume. È una procedura mininvasiva e gli effetti collaterali sono molto rari [31].

Tuttavia, essa attualmente è disponibile solo presso alcuni Centri selezionati, per cui il suo impiego routinario è di fatto ancora limitato. Un update del 2017 delle linee guida KDIGO indica che l’impossibilità di eseguire una biopsia ossea non giustifica il nichilismo terapeutico nell’approccio al paziente ad alto rischio di frattura [16]. Pertanto, l’impossibilità di eseguire la biopsia ossea in maniera routinaria non esime il clinico dal trattamento del paziente ad elevato rischio fratturativo, avvalendosi in tal caso di altre metodiche diagnostiche.

Inoltre, la biopsia ossea è rappresentativa di un unico sito osseo e specificamente dell’osso trabecolare, non caratterizzando parametri come lo spessore e la porosità dell’osso corticale che sono altrettanto importanti per determinare il rischio fratturativo soprattutto nei pazienti con CKD. Inoltre, rappresenta una “istantanea” del quadro osseo ma di fatto non consente un monitoraggio longitudinale delle variazioni nel turnover osseo o nella morfologia, poiché l’esecuzione di biopsie seriali su singoli pazienti non è clinicamente praticabile [32].

Altre metodiche diagnostiche

L’High Resolution Peripheral Quantitative Computed Tomography (HR-pQCT) è una tecnologia di imaging avanzata utilizzata per la valutazione della densità minerale e della microarchitettura ossea. Questa tecnologia fornisce una visione molto dettagliata della microarchitettura ossea che non è possibile ottenere con altre tecniche di imaging come la DEXA. Infatti, essa permette di analizzare la microarchitettura ossea in modo non invasivo e fornendo informazioni dettagliate sulla densità volumetrica e sulla geometria dell’osso. Inoltre, è in grado di distinguere tra l’osso corticale e l’osso trabecolare, offrendo una valutazione dettagliata di entrambe le componenti. Generalmente, le scansioni HR-pQCT sono effettuate a livello delle estremità, come il polso (radio distale) e la caviglia (tibia distale) [33].

La Radiofrequency Echographic Multi-Spectrometry (REMS) è una tecnica innovativa non invasiva utilizzata per valutare la BMD con relativo T-score e il rischio di fratture. Fornisce informazioni analoghe alla DEXA e viene eseguita sugli stessi siti (colonna lombare e femore prossimale), ma, a differenza di quest’ultima, la REMS non utilizza radiazioni ionizzanti. Infatti, la sua tecnologia si basa sulla analisi del segnale ultrasonico riflesso dall’osso attraverso una serie di frequenze multiple, permettendo un’analisi dettagliata della struttura ossea. La REMS è dotata di un software altamente sofisticato che è in grado di eliminare dall’analisi spettrale le frequenze relative ad artefatti come le calcificazioni aortiche, osteofiti, crolli vertebrali, i quali sono molto frequenti nella CKD e possono influenzare il risultato della DEXA [34]. Attualmente c’è un solo studio nei pazienti in dialisi peritoneale che ha mostrato un’ottima concordanza dei valori di BMD calcolati con la REMS e quelli calcolati con la DEXA [35]. Gli strumenti REMS sono di dimensioni ridotte e sono portatili, rendono il loro utilizzo agevole ai clinici in contesti ambulatoriali.

Recentemente è stata introdotta la 3D DEXA che permette l’elaborazione delle immagini densitometriche fornendo una visione tridimensionale delle strutture ossee [36].

Diagnostica strumentale della ghiandola paratiroide

Un ulteriore aspetto da considerare nei pazienti affetti da CKD è sicuramente la diagnostica relata all’inquadramento dell’iperparatiroidismo che si basa sulla valutazione laboratoristica dei valori di calcio, fosforo, PTH e dei BTMs oltre che dell’imaging della ghiandola paratiroidea.

L’ecografia delle ghiandole paratiroidi è utilizzata per definire la localizzazione e la dimensione delle paratiroidi. L’ecografia è altamente sensibile se eseguita da operatori esperti, ed è economica, non invasiva e riproducibile. Inoltre, risulta di fondamentale importanza la valutazione delle dimensioni di tali lesioni. Dati di letteratura hanno messo in luce come un volume ghiandolare ≥500 mm3 o un diametro ≥8-10 mm siano fortemente indicativi della presenza di lesioni iperplastiche nodulari che sono scarsamente responsive al trattamento con gli attivatori del recettore della vitamina D (VDRA) o calciomimetici e che difficilmente regrediranno dopo il trapianto di rene [37, 40]. L’utilizzo di mezzo di contrasto (CEUS, Contrast-Enhanced Ultrasound) può aumentare la sensibilità e la specificità dell’ecografia tradizionale, rendendola una tecnica complementare molto utile e particolarmente vantaggiosa in pazienti con risultati ecografici ambigui o non conclusivi. La CEUS fornisce informazioni dettagliate che possono essere utili per la pianificazione chirurgica, specialmente in casi di difficile localizzazione. I limiti comprendono la presenza di adenomi di piccole dimensioni o ghiandole mediastiniche sottoclaveari [41].

La scintigrafia delle paratiroidi si basa sull’utilizzo del 99mTc-sestamibi, un radiotracciante che viene assorbito dai mitocondri sia nei tessuti tiroidei che paratiroidei. Tuttavia, esso permane più a lungo nelle cellule ossifile ricche di mitocondri delle ghiandole paratiroidi, rendendolo utile per distinguere il tessuto paratiroideo iperfunzionante. Tuttavia, la scintigrafia, da sola, fornisce dettagli anatomici limitati, il che può a volte rendere difficile una localizzazione precisa. La scintigrafia può essere migliorata combinandola con la tomografia computerizzata in modo da ottenere immagini tridimensionali (SPECT). Tale diagnostica è caratterizzata da un’ottima sensibilità per gli adenomi paratiroidei singoli o doppi, ma non si è dimostrata efficace per la diagnosi di iperplasia paratiroidea multifocale [42].

Le scansioni tomografiche computerizzate a quattro dimensioni (TC-4D) sfruttano il rapido assorbimento e washout del contrasto, caratteristici degli adenomi paratiroidei, per una precisa localizzazione anatomica. La TC-4D ha dimostrato una sensibilità e specificità migliore sia della CEUS che della SPECT [43]. Il principale svantaggio è l’elevata esposizione alla radiazione e la necessità di mezzo di contrasto iodato.

La Tomografia a Emissione di Positroni associata Tomografia Computerizzata (PET-TC) con l’utilizzo di particolari traccianti, come l’11C-metionina o la 18F-fluorocolina è una diagnostica altamente sofisticata da riservare come diagnostica nei pazienti con elevato sospetto clinico ma imaging dubbio. In particolare, l’utilizzo della PET-TC con 18F-fluorocolina si è dimostrata efficacie nella diagnosi di adenomi paratiroidei con una sensibilità e specificità estremamente elevate [44].

 

Terapia

Terapia anti-fratturativa

La terapia anti-fratturativa comprende i farmaci anti-riassorbitivi (bisfosfonati e denosumab), osteoanabolici (teriparatide e abaloparatide) e i dual agents (romosozumab) (Tabella 2).

L’indicazione e la scelta della terapia anti-fratturativa in Italia è regolamentata dalla nota AIFA 79, la quale non contempla al suo interno indicazioni specifiche per i pazienti con CKD. Inoltre, la maggior parte delle evidenze riguardanti il possibile impiego di questi farmaci nei pazienti con CKD derivano principalmente da analisi post-hoc degli studi registrativi o da studi monocentrici.

Nel trattamento dei pazienti con CKD, come già stato esposto, è di fondamentale importanza la definizione del turnover osseo, poiché è dirimente nella scelta del farmaco più appropriato. Nei pazienti con CKD, prima di iniziare una qualsiasi terapia anti-fratturativa, è importante correggere le anomalie della CKD-MBD, ovvero calcio, fosforo, vitamina D 25(OH), e PTH. Come precedentemente detto, il PTH è uno dei principali driver del metabolismo osseo; pertanto, un controllo non ottimale con un conseguente rialzo del PTH, si riflette in un aumento del turnover osseo; al contrario, a un’eccessiva soppressione del PTH consegue una riduzione del turnover osseo. Risulta dunque fondamentale ottimizzare il controllo del PTH e delle altre alterazioni del metabolismo minerale, procedendo inoltre con una valutazione longitudinale dei BTMs, per poter dirimere in maniera definitiva i pazienti da candidare alla terapia anti-fratturativa in sicurezza.

I bisfosfonati sono una classe di farmaci utilizzati nel trattamento dell’osteoporosi. Legandosi al tessuto osseo, in particolare nelle aree ad elevato riassorbimento, agiscono inibendo l’azione degli osteoclasti maturi inducendone l’apoptosi, rallentando così il processo di riassorbimento osseo e favorendo il mantenimento o l’aumento della densità minerale. La presenza di un gruppo azotato aumenta l‘effetto anti-riassorbitivo dei bisfosfonati da 10 a 10.000 volte rispetto ai bisfosfonati non contenenti azoto (Figura 1).

Le analisi post hoc degli studi clinici principali che hanno valutano i bifosfonati nei soggetti con GFR lievemente o moderatamente ridotto (fino a CKD G3b) hanno rilevato un’efficacia simile, con un miglioramento della BMD e una riduzione del rischio di fratture [45, 47]. Gli studi che hanno indagato i pazienti con CKD G4-5, inclusi quelli in dialisi, sono scarsi, limitati da campioni molto piccoli e hanno fornito risultati incoerenti [48, 52]. I bisfosfonati sono escreti per via renale, per cui, nei pazienti con CKD in stadio avanzato (eGFR <30 ml/min/1.73m2), la ridotta capacità di escrezione del farmaco può aumentare l’incidenza di effetti collaterali. L’accumulo del farmaco può aumentare il rischio di intolleranza gastrointestinale, osteonecrosi della mandibola, fratture atipiche e di danno renale acuto [53]. Pertanto, seppure siano stati proposti regimi a dosaggio ridotto o a intervalli di somministrazione aumentati, non sono attualmente indicati negli stadi G4-5 di CKD.

Il denosumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che inibisce l’attività degli osteoclasti. Questo agisce bloccando il ligando del recettore dell’attivatore del fattore nucleare kappa-B (RANKL), una proteina essenziale per la formazione, la funzione e la sopravvivenza degli osteoclasti. Impedendo al RANK-L di legarsi a RANK, si verifica una minore differenziazione dei precursori degli osteoclasti e dell’attività degli osteoclasti, riducendo così il riassorbimento osseo. Viene somministrato tramite iniezione sottocutanea. La dose e la frequenza, per l’osteoporosi, sono tipicamente di 60 mg ogni 6 mesi. Il denosumab è stato studiato in pazienti con CKD G4-G5D in un’analisi post hoc dello studio registrativo FREEDOM (Fracture Reduction Evaluation of denosumab in Osteoporosis Every 6 Months) e in piccoli studi pilota open-label dove si è dimostrato efficace nel migliorare la BMD e ridurre il rischio fratturativo [51, 54, 56]. A differenza dei bisfosfonati, non è escreto a livello renale, rendendone possibile l’impiego nei pazienti con CKD in stadio avanzato. Tuttavia, l’ipocalcemia e l’aumento reattivo del PTH sono una complicanza comune in questi pazienti, soprattutto se è presente un turnover osseo aumentato [57, 58]. In ogni caso, in considerazione di questa complicanza, il suo utilizzo nei pazienti con CKD, soprattutto in stadio avanzato (G4-5), deve essere adiuvato dall’impiego di misure preventive per gestire al meglio la terapia e le sue eventuali complicazioni. Inoltre, bisogna tenere conto che la terapia con denosumab dovrebbe essere adeguatamente pianificata, in quanto la sua sospensione può determinare un rapido declino della massa ossea secondaria a un rebound del turnover osseo [59]. Pertanto, l’inizio di tale terapia implica o che il paziente la prosegua per lungo termine o che effettui uno shift ad altra terapia anti-riassorbitiva (bisfosfonati), qualora la funzione renale lo consenta.

La teriparatide è un farmaco osteoanabolico costituito da un frammento sintetico del PTH (1-34) che simula sull’osso l’effetto del PTH, però, al contrario dell’esposizione continua al PTH che induce un effetto trofico sugli osteoclasti con l’induzione del turnover osseo, è stato verificato che l’esposizione intermittente al PTH o ai suoi analoghi come la teriparatide induce una proliferazione degli osteoblasti e conseguentemente la stimolazione dei processi di osteoformazione. Questa viene somministrata tramite iniezione sottocutanea giornaliera e la dose tipica è di 20 microgrammi (µg) al giorno. La durata del trattamento è generalmente limitata a 18-24 mesi a causa di preoccupazioni riguardanti la sicurezza a lungo termine. Infatti, negli studi clinici è emerso un aumentato rischio di osteosarcoma nei ratti dipendente dalla dose e dal tempo di utilizzo del farmaco [60]. Pertanto, attualmente la teriparatide è approvata dall’European Medical Agency (EMA) per un massimo di due anni.

Le analisi post hoc degli studi clinici registrativi hanno dimostrato un’efficacia comparabile della teriparatide nella riduzione del rischio di fratture e nell’aumento della BMD nei pazienti con CKD stadio G1-3 [61]. Negli stadi G4-5 esistono solo poche esperienze cliniche osservazionali, in particolare nei pazienti in emodialisi con dosaggio ridotto (56,5 µg) settimanale in cui il farmaco si è dimostrato efficacie nell’aumentare la BMD a livello lombare [62]. Tuttavia, data la scarsità di dati disponibili, il suo utilizzo in questa coorte di pazienti è off-label e andrebbe valutato attentamente sulla base delle caratteristiche cliniche e laboratoristiche [63].

L’abaloparatide è un farmaco osteoanabolico simile alla teriparatide ma con piccole ma importanti differenze. È un agonista sintetico del recettore 1 del PTH (PTH1R) con una omologia del 41% e del 76% con il PTH1-34 e il PTH related peptide (PTHrp) 1-34, rispettivamente. Si lega in maniera transitoria, ma ad elevata affinità, al recettore PTH1R sulla superficie degli osteoblasti e degli osteociti, provocando un aumento rapido ma temporaneo della formazione ossea e con incrementi meno pronunciati nel riassorbimento osseo rispetto alla teriparatide [64]. Viene somministrata tramite iniezione sottocutanea giornaliera. La dose tipica è di 80 µg al giorno. Il trattamento è generalmente limitato a un massimo di 18-24 mesi a causa di preoccupazioni sulla sicurezza a lungo termine, simili a quelle della teriparatide. Una post-hoc analisi dello studio Active ha dimostrato la sua efficacia e sicurezza negli stadi G1-3 della CKD [65]. Non vi sono invece attualmente dati disponibili riguardanti il suo utilizzo negli stadi G4-5 o in emodialisi. Seppure il farmaco sia approvato dall’EMA, non è stato ancora inserito nella nota AIFA 79 per la rimborsabilità della terapia anti-fratturativa.

Il romosozumab è un anticorpo monoclonale anti-sclerostina approvato per il trattamento dell’osteoporosi in donne in post-menopausa ad alto rischio di fratture. Si tratta di un farmaco relativamente nuovo con un meccanismo d’azione diverso rispetto ai trattamenti precedentemente descritti. La molecola agisce antagonizzando l’azione della sclerostina, una proteina che viene prodotta dagli osteociti inibendo la via di segnalazione di WNT e inducendo la riduzione dei processi di osteoformazione. Bloccando la sclerostina, il romosozumab stimola contemporaneamente l’attività degli osteoblasti e riduce l’attività degli osteoclasti. Questo doppio effetto lo identifica come un farmaco dual agent.

Il romosozumab viene somministrato tramite iniezione sottocutanea, la dose impiegata è di 210 mg una volta al mese, somministrata in due iniezioni separate (una in ciascuna coscia o addome) per un periodo di 12 mesi. Dopo un anno di trattamento, si effettua lo shift alla terapia di mantenimento con farmaci anti-riassorbitivi come i bisfosfonati o il denosumab. Le analisi dello studio FRAME ed ARCH hanno indicato un potenziale aumento del rischio di eventi cardiovascolari come infarto del miocardio e ictus [66]. Una post-hoc analisi degli studi registrativi ha dimostrato l’efficacia del farmaco nelle donne in post-menopausa con CKD lieve-moderata e pertanto il farmaco è approvato negli stadi G1-3 [67]. Solo piccoli studi osservazionali o case series sono disponibili in letteratura riguardo al suo utilizzo nella CKD avanzata e in emodialisi, laddove il farmaco sembrerebbe mantenere la sua efficacia in termini di guadagno di BMD [68, 69]. Tuttavia, i dati sono troppo limitati soprattutto in una classe di pazienti, come quelli in KRT, cha hanno di per sé un profilo di rischio cardiovascolare severamente aumentato.

Farmaco Vantaggi Svantaggi
Bisfosfonati

Possono migliorare la BMD nella CKD.

Non aumentano il rischio cardiovascolare.

Aumentato accumulo sistemico nella CKD stadi 4-5.

Rischio di danno renale acuto e deterioramento della funzione renale.

Non migliorano il TBS.

Denosumab

Migliora la BMD e il TBS nella CKD.

Non aumenta il rischio cardiovascolare.

Non escreto per via renale.

Rischio di ipocalcemia soprattutto negli stadi più avanzati di CKD.

Rapido deterioramento della BMD alla sospensione.

 

Teriparatide

Può migliorare la BMD nella CKD.

Può essere usato nei quadri di osso adinamico.

Scarse evidenze negli stadi 4-5 di CKD.

Dosaggio ottimale incerto.

Massimo utilizzo per due anni, poi necessario switch a terapia anti-riassorbitiva.

 

Abaloparatide

Può migliorare la BMD nella CKD.

Può essere usato nei quadri di osso adinamico.

Scarse evidenze negli stadi 4-5 di CKD.

Dosaggio ottimale incerto.

Massimo utilizzo per due anni, poi necessario switch a terapia anti-riassorbitiva.

Non ancora inclusa in nota AIFA 79.

 

Romosozumab

Può migliorare la BMD nella CKD.

Duplice effetto anti-riassorbitivo e osteoanabolico.

Non evidenze negli stadi 4-5 di CKD.

Sicurezza cardiovascolare non certa.

Utilizzo per un anno, poi switch a terapia anti-riassorbitiva.

 

Tabella 2. Vantaggi e svantaggi delle terapie anti-fratturative nella CKD.

Figura 1. Potenza relativa dei bisfosfonati [79].

Terapia sequenziale

Il trattamento sequenziale nell’osteoporosi implica un approccio strategico che prevede la somministrazione sequenziale di agenti terapeutici con meccanismi d’azione differenti. Questo approccio sequenziale mira a ottimizzare il trattamento della malattia ossea, mimando quanto più possibile la sequenza dei processi di osteoformazione e riassorbimento che avvengono fisiologicamente nell’osso. Utilizzando diversi farmaci in un ordine specifico preordinato, il trattamento sequenziale mira a massimizzare l’efficacia della terapia in termini di guadagno di BMD e di riduzione del rischio di fratture.

Come descritto in precedenza, alcune terapie, come gli osteoanabolici e il romosozumab, possono essere prescritte per un massimo di 24 o 12 mesi, rispettivamente. Pertanto, considerato che l’osteoporosi, soprattutto nei pazienti con CKD, è una patologia cronica, bisogna pensare a un trattamento long lasting.  L’approccio sequenziale è nato come la naturale evoluzione della terapia per i pazienti a elevato rischio fratturativo trattati con farmaci per i quali è previsto un termine temporale del trattamento (teriparatide, romosozumab). Dagli studi clinici è emerso che i pazienti che hanno ricevuto anti-riassorbitivi al termine dei cicli terapeutici con analoghi del PTH o con romosozumab, beneficiavano di un maggior guadagno in termini di BMD sia rispetto a chi terminava la terapia anti-fratturativa che ai gruppi di controllo che ricevevano la sola terapia anti-riassorbitiva [70, 73]. Inoltre, dai dati riguardanti il romosozumab, si è evidenziato come persista un guadagno di BMD anche quando questo veniva somministrato dopo una terapia anti-riassorbitiva con Alendronato e soprattutto con denosumab [74]. Tale guadagno di BMD, seppur minore rispetto alla sequenza da romosozumab ad anti-riassorbitivo, ha aperto a un nuovo scenario terapeutico nell’approccio alla terapia per l’osteoporosi, laddove fino a poco tempo si pensava alla sola terapia con anti-riassorbitivi, e in particolare con il denosumab, come al punto di arrivo definitivo.

Alla luce di questi dati, si può dedurre che l’integrità dell’osso richiede fisiologicamente una ciclica e regolare alternanza dei processi di formazione e riassorbimento e che la modalità sequenziale imiti in modo similare i processi di rimodellamento osseo. Infatti, l’osso si rigenera costantemente attraverso un delicato equilibrio tra osteoformazione e riassorbimento, e il trattamento sequenziale riflette questa dinamica naturale permettendo dunque ai clinici di gestire a lungo termine la terapia anti-fratturativa. Somministrando farmaci che stimolano alternativamente la formazione ossea e il riassorbimento, si riesce a promuovere un rimodellamento osseo più efficiente e armonico, permettendo così un migliore guadagno di BMD e di ridurre il rischio fratturativo nei pazienti con CKD.

 

L’ambulatorio osteometabolico dell’IRCCS Policlinico Sant’Orsola-Malpighi

L’ambulatorio osteometabolico è un ambulatorio specialistico di secondo livello dedicato alla diagnosi e al trattamento della malattia ossea nei pazienti con CKD o che hanno ricevuto un trapianto di rene. L’équipe multidisciplinare comprende nefrologi ed endocrinologi specializzati nell’osteoporosi e nelle patologie ossee.

I pazienti con iperparatiroidismo difficilmente controllato dalla terapia medica, ad alto rischio fratturativo con evidenza alla DEXA di T-score indicativo di osteoporosi o che effettuano terapie steroide a lungo termine accedono all’ambulatorio attraverso percorsi interni e provengono principalmente dagli ambulatori di primo o secondo livello (Divisionale, Malattia renale cronica avanzata, ambulatorio Post-trapianto) o dai reparti degenza (degenza nefrologica o degenza trapianti) dell’unità operativa di Nefrologia o dagli ambulatori di primo o secondo livello dell’unità operativi di Endocrinologia del Policlinico Sant’Orsola.

L’iter diagnostico

Tutti i pazienti che afferiscono all’ambulatorio eseguono uno studio dell’apparato scheletrico comprensivo di DEXA-TBS, morfometria vertebrale e BTMs al baseline (Figura 2).

La valutazione del turnover osseo viene effettuata attraverso la determinazione dei biomarcatori ossei attualmente disponibili presso il nostro laboratorio: P1NP, bALP, TRAP5b, CTX e osteocalcina. Inoltre, vengono determinati i normali indici del metabolismo minerale: calcio, fosforo, albumina, PTH e vitamina D 25-OH. La valutazione del turnover non si basa su una determinazione isolata, ma vengono eseguite misurazioni seriate atte a valutare il trend di tutti i BTMs. Seppur disponibile, il dosaggio di FGF-23, in forma intatta e/o C-terminale, viene riservato solo a casi selezionati.

I pazienti effettuano lo studio densitometrico in tre siti: colonna lombare, femore prossimale e radio ultradistale. Inoltre, dallo stesso esame otteniamo il valore del TBS a livello di L1-L4. Complessivamente, il BMD e il T-score forniscono indicazioni riguardo al grado di perdita di massa ossea (osteopenia o osteoporosi) a livello dei tre distretti studiati. In aggiunta, il TBS ci fornisce informazioni preziose riguardanti la microarchittetura dell’osso trabecolare.

L’esecuzione della morfometria vertebrale è fondamentale per lo studio dei metameri del rachide toracico e lombosacrale in modo da accertare la presenza eventuali fratture vertebrali clinicamente silenti. Inoltre, tale scansione laterale ci permette di valutare i livelli di calcificazione a carico dell’aorta. La determinazione delle fratture non solo è importante per identificare i pazienti ad alto rischio, ma la presenza di fratture è di per sé un criterio prescrittivo presente all’interno della nota AIFA 79.

Lo studio radiologico ci consente di identificare i pazienti ad alto rischio-fratturativo, ovvero quelli con pregresse fratture o quelli che, seppur in assenza di fratture, presentano valori di massa ossea severamente ridotti in presenza di fattori di rischio. Lo studio laboratoristico ci permette di caratterizzare la patologia ossea con particolare focus sul turnover osseo, il quale indirizza le scelte terapeutiche.

In caso di iperparatiroidismo associato o meno a ipercalcemia, al fine di definire il quadro nonché la severità dell’iperparatiroidismo, viene eseguita come indagine di primo livello l’eco-CEUS delle paratiroidi a cui si associa la scintigrafia in caso di non univocità dell’esito dell’indagine. Nel caso in cui vengano riscontrate delle paratiroidi ingrandite e il paziente effettui già una terapia adeguata al controllo dell’iperparatiroidismo viene valutata l’indicazione alla paratiroidectomia e l’eventuale esecuzione della TC 4D per il mapping preoperatorio.

low-chart di valutazione dell’ambulatorio osteometabolico
Figura 2. Flow-chart di valutazione dell’ambulatorio osteometabolico. Abbreviazioni: DXA – densitometria, TBS – Trabecular Bone Score, PTH – paratormone, sHPT – iperparatiroidismo secondario, tHPT – iperparatiroidismo terziario.  Si veda il testo per i dettagli.

L’approccio terapeutico

Come precedentemente detto, la terapia anti-fratturativa in Italia è regolamentata dalla nota AIFA 79 che al suo interno non ha indicazioni specifiche per quanto riguarda i pazienti con CKD. Pertanto, il nostro approccio terapeutico si basa principalmente sul seguire le indicazioni della nota 79, integrata con le attuali conoscenze scientifiche precedentemente esposte e sulle valutazioni strumentali e laboratoristiche. In particolare, la valutazione del turnover osseo, ci permette di poter selezionare in maniera adeguata i pazienti candidabili alla terapia anti-riassorbitiva o anabolizzante e personalizzare la stessa sulla base del fenotipo di malattia ossea che viene diagnosticato.

Nei pazienti in cui si presume la presenza di un elevato turnover osseo, prima di intraprendere la terapia anti-riassorbitiva, verifichiamo che il quadro di iperparatiroidismo sia adeguatamente trattato. In caso di riscontro di PTH non adeguatamente controllato, il primo step terapeutico è l’implementazione della terapia con calciomimetici, con VDRA e con integrazione di vitamina D nativa.

Nei pazienti a elevato turnover che hanno un buon controllo del PTH con la terapia medica e/o in cui sia stata esclusa la presenza di paratiroidi con verosimile quadro di iperplasia nodulare all’imaging (quadro di iperparatiroidismo persistente), è indicato l’utilizzo di agenti anti-riassorbitivi, come bisfosfonati e denosumab. Per quanto riguarda la scelta tra queste due terapie, uno spartiacque fondamentale è la funzionalità renale, essendo i bisfosfonati controindicati al di sotto dei 30 ml/min/1.73m2 di eGFR.  Il nostro approccio terapeutico prevede l’impiego dei bisfosfonati nei pazienti con funzione renale conservata, senza aspetti di declino rapido dell’eGFR. Inoltre, utilizziamo questa terapia nei pazienti con un quadro di patologia ossea non avanzato (T-score L1-L4 non inferiore a -3 e/o TBS non inferiore a 1.200). Per quanto riguarda la terapia con denosumab, essa viene riservata ai pazienti a elevato rischio con severa riduzione della massa ossea, in presenza di plurime fratture vertebrali e no, in caso di failure terapeutica dopo un ciclo di bisfosfonati, o in pazienti con eGFR<30 ml/min/1.73m2. Questo perché il denosumab permette un guadagno di massa ossea superiore rispetto ai bisfosfonati e permette un miglioramento anche a livello dell’osso trabecolare [75, 76].

Nei pazienti in cui si presume la presenza di un basso turnover osseo, prima di dare indicazione alla terapia con osteoanabolici, verifichiamo anche in questo caso il controllo del PTH. Infatti, un eccessivo controllo dell’iperaparatiroidismo, attraverso l’utilizzo di VDRA o calciomimetici, può causare una soppressione dei BTMs e a lungo termine portare a un quadro di osso adinamico. Pertanto, laddove sussista un’eccessiva soppressione del PTH, è necessario ridurre la terapia, per poi controllare longitudinalmente gli indici di turnover osseo dopo almeno un mese dal raggiungimento di valori di PTH adeguati alla funzione renale.

Nei pazienti in cui si presume la presenza di un basso turnover e in cui sia stata esclusa un’eccessiva soppressione del PTH, è allora indicata la terapia con osteoanabolici.

Nelle donne in post-menopausa, viene valutata anche la prescrizione della terapia con romosozumab secondo le indicazioni della nota AIFA e della carta cuore al fine di valutare il rischio cardiovascolare.

Il follow-up successivo alla prescrizione della terapia consiste nella misurazione di calcio, fosforo, PTH e BTMs a 1, 6 e 12 mesi dall’inizio della terapia. Nei pazienti che intraprendono la terapia con bifosfonati o denosumab, come consigliato dall’European Medicines Agency (EMA), viene effettuata una supplementazione giornaliera di 1000 mg di calcio e 400 UI di vitamina D 25-OH indipendentemente dalla funzione renale dei valori basali di calcio e vitamina D 25-Oh. Nei pazienti con funzione renale ridotta (eGFR<30 ml/min/1.73m2), viene valutata l’introduzione o il potenziamento della terapia con VDRA. I pazienti che effettuano terapia anti-riassorbitiva vengono inoltre sottoposti a un monitoraggio più stretto dei valori di calcemia e di PTH, al fine di rimodulare la terapia di supplementazione quando necessario.

Il controllo dell’efficacia terapeutica viene eseguito a un anno di distanza, ed è comprensivo di un nuovo studio con DEXA, morfometria e BTMs. Alla luce dei risultati viene valutata la risposta terapeutica e le modalità di prosecuzione del trattamento o l’eventuale rimodulazione della terapia.

Percorso Paratiroidectomia

Il ‘Percorso Paratiroidectomia’ è un programma diagnostico-terapeutico nel quale interviene un’équipe multidisciplinare comprendente nefrologi, endocrinologi, ecografisti, radiologi e otorinolaringoiatri all’interno dell’IRCCS Policlinico Sant’Orsola-Malpighi (Figura 3). Tale programma è stato strutturato al fine di indirizzare all’intervento di paratiroidectomia i pazienti con diagnosi di iperparatiroidismo resistente al trattamento farmacologico. Il programma riguarda in particolare i pazienti in studio per l’inserimento in Lista d’Attesa per Trapianto di Rene per ottimizzarne i tempi, così da effettuarlo prima del possibile trapianto renale. Attualmente il programma è dedicato a tutti i pazienti con CKD/ESRD che necessitano di essere valutati per iperparatiroidismo secondario resistente al trattamento o terziario, ed eventualmente indirizzati all’intervento di paratiroidectomia.

Nel nostro Centro viene proposto l’intervento di paratiroidectomia (preferibilmente sub-totale: 3/4 o 7/8) prima del trapianto al fine di prevenire l’iperparatiroidismo post-trapianto e le sue complicanze. I pazienti candidabili all’intervento sono coloro nei quali, nonostante la terapia farmacologica massimale, sia presente un quadro di iperparatiroidismo con livelli sierici di PTH >800 pg/ml per più di 6 mesi. In alternativa, nei pazienti candidati a trapianto con controllo non ottimale, si effettua la sospensione dei calciomimetici per 2-4 settimane prima della misurazione del PTH.  Se il PTH è >800 pg/ml, il rischio di iperparatiroidismo terziario risulta essere elevato [77]. Fra i criteri valutati per effettuare l’intervento di paratiroidectomia vengono considerati, oltre ai livelli di PTH > 800 pg/ml, la condizione specifica di quei pazienti che hanno già effettuato un trapianto e sono in attesa del secondo o i pazienti iperimmuni; infatti, in entrambi i casi i pazienti hanno spesso un’elevata età dialitica e in ogni caso a causa della maggiore presenza di anticorpi anti HLA pre-formati sono destinati a rimanere in dialisi per più tempo [77].

Tuttavia, oltre alla determinazione dei livelli di PTH, è dirimente accertare la sede e le dimensioni delle ghiandole paratiroidee ingrandite. Infatti, come precedentemente detto, la valutazione morfologica e dimensionale delle paratiroidi è di fondamentale importanza. Infatti, l’identificazione di paratiroidi ingrandite con volume ghiandolare ≥500 mm3 o diametro ≥8-10 mm è fortemente indicativo di una possibile resistenza alla terapia medica e di aumentato rischio di recidiva dopo trapianto.

Come studio di primo livello per la diagnosi di iperparatiroidismo ci avvaliamo dello studio eco-CEUS; nei pazienti in cui questa risulta negativa, ma con elevato sospetto clinico, si procede allo studio con Scintigrafia paratiroidea, che consente la diagnosi anche di ghiandole ectopiche sottoclavicolari. Lo studio con PET-TC con colina o TC-4D viene riservato in casi dubbi per conferma diagnostica o per un mapping preoperatorio più preciso.

Una volta istituita la diagnosi, il paziente viene valutato dal team multidisciplinare per il planning dell’intervento chirurgico. L’intervento chirurgico proposto nel nostro Policlinico è la paratiroidectomia sub totale (3/4 o 7/8) con o senza crioconservazione del tessuto paratiroideo, poiché, rispetto alla paratiroidectomia totale, è gravata da meno effetti collaterali garantendo comunque un ottimo risultato [78, 79].

Inoltre, il paziente viene tenuto in stretto monitoraggio nel post-operatorio tramite la collaborazione tra i vari specialisti per l’ottimizzazione della terapia e la gestione di eventuali complicazioni.

Flow-chart del percorso alla paratiroidectomia per il paziente
Figura 3. Flow-chart del percorso alla paratiroidectomia per il paziente in Lista d’Attesa per Trapianto di Rene. Abbreviazioni: CEUS – ecografia con mezzo di contrasto, SPECT – scintigrafia TC, PTH – paratormone. Vedi il testo per i dettagli.

 

Conclusione

L’osteoporosi è una malattia complessa con caratteristiche di cronicità, e questa complessità è ulteriormente esacerbata nei pazienti con CKD o portatori di trapianto renale. La CKD-MBD introduce variabili aggiuntive nel quadro della patologia ossea, rendendo la diagnosi e il trattamento una problematica complessa per il nefrologo Per la diagnosi e la gestione della CKD-MBD è necessario adottare un approccio multidisciplinare. Una valutazione accurata del rischio di frattura, un monitoraggio continuo dei marcatori biochimici e l’uso di tecniche avanzate di imaging sono fondamentali per una diagnosi circostanziata. La gestione ottimale della CKD-MBD richiede un’analisi approfondita di ogni paziente, considerando soprattutto le specifiche interazioni tra il metabolismo osseo e la funzionalità renale. L’approccio terapeutico nel paziente con CKD non può prescindere da una programmazione degli steps terapeutici successivi ed implichi il trattamento sequenziale, che sfrutta agenti terapeutici con meccanismi d’azione complementari, rappresenta un esempio di come possiamo mimare i processi fisiologici naturali dell’osso per migliorare i risultati clinici.

L’approccio multidisciplinare del nostro Policlinico, che coinvolge nefrologi, endocrinologi, radiologi ed otorinolaringoiatri, ci consente di affrontare queste problematiche per far fronte alle esigenze dei pazienti. Attraverso la collaborazione tra i vari specialisti coinvolti è possibile ottimizzare la diagnosi e il trattamento, migliorare la gestione complessiva della malattia e, soprattutto, ridurre il rischio di fratture e migliorare la qualità della vita dei pazienti.

Questo approccio integrato e personalizzato è fondamentale per affrontare efficacemente le sfide uniche poste dall’osteoporosi nei pazienti con nefrologici, garantendo che ogni aspetto della salute ossea sia considerato e trattato nel miglior modo possibile.

 

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