Abstract
Intervenire con una terapia marziale nel paziente nefropatico permette di ottimizzare il trattamento con eritropoietina umana ricombinante (EPO), individuando la dose minima efficace in grado di migliorare la qualità di vita del paziente. Gli studi più recenti sul metabolismo marziale e sull’interferenza della sindrome sideropenica sulla funzionalità di alcuni organi, in particolare il miocardio, suggeriscono la necessità di intervenire molto precocemente soprattutto nel paziente con cardiomiopatia e deficit sistolico.
Impostare una terapia marziale nel nefropatico richiede prima di tutto una diagnosi corretta, diagnosi che risulta particolarmente difficile nel paziente comorbido ed infiammato. Data la scarsa affidabilità diagnostica in questi pazienti dei principali biomarcatori (ferritina e saturazione della transferrina), diventa importante ampliare utilizzare marker non influenzati dallo stato infiammatorio, non costosi e facilmente accessibili: l’emoglobina reticolocitaria potrebbe rispondere a tali requisiti.
Lo studio Pivotal, randomizzato su più di 2000 pazienti emodializzati incidenti in terapia con EPO, ha evidenziato che la somministrazione mensile di 400 mg di ferro per via endovenosa utilizzando come target superiore livelli di ferritina di 700 mg/l e saturazione della transferrina del 40%, permette di ridurre la dose di EPO e il rischio composito di morte per tutte le cause, per infarto miocardico e ictus non fatali e insufficienza cardiaca.
È ancora da determinare, però, sei i risultati del Pivotal siano riproducibili in pazienti più comorbidi, considerando, inoltre, i nuovi e diversi scenari terapeutici che l’impiego della prolil-idrossilasi del fattore inducibile da ipossia verranno a determinare.