Supplemento S81 - In depth review

Classificazione e gestione clinica delle gammopatie monoclonali a significato renale

Abstract

Le gammopatie monoclonali di significato renale (MGRS) sono un gruppo complesso di patologie caratterizzate dalla produzione di proteine ​​monoclonali aberranti che interagiscono con le strutture renali, causando danni ai tessuti. A differenza delle forme neoplastiche, il danno renale nella MGRS non è correlato alla massa del clone o ai livelli circolanti di proteina monoclonale.

Questo manoscritto esplora l’eterogeneità delle proteine ​​monoclonali coinvolte, che variano dalle immunoglobuline complete alle catene leggere libere (FLC), e il modo in cui determinano uno spettro di lesioni renali con prognosi diverse. Approfondiremo inoltre le sfide diagnostiche, sottolineando il ruolo indispensabile della biopsia renale, comprese tecniche avanzate come la microdissezione laser e la spettrometria di massa (LMD/MS) per la caratterizzazione dei depositi, in particolare in casi ambigui o complessi. Vengono inoltre discusse considerazioni sulla gestione clinica e sul trattamento, inclusa la necessità dell’identificazione dei cloni.

Parole chiave: Discrasie plasmacellulari, Gammopatia monoclonale, Gammopatie monoclonali di significato renale, Biopsia renale

Classificazione delle MGRS

Le gammopatie monoclonali di significato renale (MGRS) sono definite dalla presenza di una proteina monoclonale che direttamente o indirettamente interagisce con le strutture renali, portando a danno tissutale. Il danno renale è esclusivamente espressione delle caratteristiche chimico-fisiche della proteina monoclonale. La massa del clone e la quantità di proteina monoclonale immessa nel circolo non influenzano il danno renale, contrariamente a quanto osservato nelle forme neoplastiche. Per tali motivi, i cloni responsabili delle MGRS hanno caratteristiche pre-neoplastiche o non neoplastiche. Infatti, le MGRS si caratterizzano per una sopravvivenza generale superiore alle forme neoplastiche (escluse alcune forme quali l’amiloidosi ad immunoglobuline), ma ciò che le contraddistingue è una sopravvivenza renale sensibilmente ridotta [1]. 

La produzione di proteine monoclonali aberranti è varia e può includere immunoglobuline complete (L+H chains), immunoglobuline con eccessiva produzione di catene leggere libere (free light chain (FLC)), esclusivamente FLC, oppure immunoglobuline incomplete (catene pesanti e leggere non integrate in una singola immunoglobulina, ma separate). Questa eterogeneità di proteine monoclonali è responsabile di un caleidoscopio di lesioni renali, la cui prevalenza è più o meno rara e talvolta unica.

Le caratteristiche chimico-fisiche della proteina monoclonale e la sede prevalente di danno renale sono responsabili di una prognosi renale che è differente tra i pattern istologici noti. Ad esempio, pazienti affetti da light chain deposition disease (LCDD) hanno una prognosi renale sensibilmente inferiore se paragonati agli affetti da glomerulonefrite proliferativa con depositi monoclonali di IgG (proliferative glomerulonephritis with monoclonal IgG deposits (PGNMID)), rispettivamente 57% e 17% di insufficienza renale terminale a 28 mesi di follow-up [1, 2].

Definite dall’International Kidney and Myeloma Group (IKMG) nel 2012, le MGRS possono essere classificate secondo criteri di danno diretto o indiretto della proteina monoclonale coinvolta e ulteriormente stratificate per caratteristiche dei depositi alla microscopia elettronica (Figura 1) [3].

Figura 1. Classificazione eziopatologica delle MGRS.
Figura 1. Classificazione eziopatologica delle MGRS.

Il danno diretto è dimostrabile documentando la restrizione monoclonale dei depositi all’immunofluorescenza (IF) /immunoistochimica (IHC) della biopsia renale; esempio più frequente è la positività all’IF esclusivamente per una catena leggera, anti-kappa o anti-lambda. L’assenza di restrizione monoclonale ed il sospetto clinico deve portare all’esecuzione dell’immunofluorescenza su tessuto paraffinato (non “a fresco”) con tecniche immunoenzimatiche, più efficaci nello smascherare gli epitopi delle catene leggere monoclonali.

I depositi possono essere suddivisi in organizzati o amorfi in relazione alla presenza o meno di una organizzazione quaternaria della proteina monoclonale in polimeri disfunzionali (e.g., fibrille, tubuli) o cristalli. Tale classificazione è possibile esclusivamente con l’osservazione dei depositi con il microscopio elettronico a trasmissione. 

Il danno indiretto è di più complessa definizione in quanto la proteina monoclonale non si osserva direttamente in sede tessutale.

Danno diretto: forme a depositi organizzati

  • Amiloidosi ad Immunoglobuline. Si definisce per la formazione di depositi di fibrille non orientate, di diametro compreso tra i 7 e i 13 nm, caratteristicamente positive alla colorazione Rosso Congo (con birifrangenza verde mela alla luce polarizzata) e alla Tioflavina T.  È una forma sistemica di amiloidosi, con maggiore interessamento renale, cardiaco e midollare. In sede renale, tutte le strutture possono essere interessate, con differenti presentazioni cliniche quali sindrome nefrosica (depositi in sede mesangiale e nell’ansa capillare in sede subendoteliale, intramembranosa e subepiteliale), insufficienza renale (interessamento interstiziale o vascolare), o entrambe. I depositi non causano reazione infiammatoria; differentemente da quanto osservato in altre patologie a depositi organizzati, la microscopia ottica non si caratterizza per un quadro di glomerulonefrite membranoproliferativa (MPGN). L’amiloidosi ad immunoglobuline rappresenta il 43% delle diagnosi di MGRS e tra queste è la condizione con la peggiore prognosi, specialmente quanto la presentazione sistemica è già clinicamente significativa (in tal caso, la sopravvivenza mediana è di 8,4 mesi) [4, 5]. I depositi di amiloide sono monotipici per l’immunoglobulina o per la sua porzione coinvolta. Distinguiamo tre sottotipi alla luce dello studio in immunofluorescenza o immunoistochimica: amiloidosi AL (singola catena leggera, kappa o lambda), AH (singola catena pesante) e ALH (immunoglobulina completa). Talvolta, la restrizione monoclonale dei depositi è di difficile interpretazione per il mascheramento degli epitopi; pertanto, le tecniche immunoenzimatiche (e.g., Pronase®) su paraffinato sono più sensibili.
  • Glomerulonefrite crioglobulinemica (tipo I). La forma di tipo I di crioglobulinemia si caratterizza per la presenza in circolo di una proteina monoclonale (IgG o IgM) che precipita nel siero e nel plasma a temperature inferiori ai 37 °C; le altre due forme descritte (tipo II e tipo III) presentano le medesime caratteristiche fisiche, ma contrariamente alla forma di tipo I precipitano con altre immunoglobuline non patologiche. Queste ultime sono note come crioglobulinemie “miste” in quanto i depositi presentano nel tipo II una IgM monoclonale con attività di fattore reumatoide diretta contro Ig policlonali (IgG, IgA), mentre nel tipo III depositi di IgG policlonali e IgM policlonali. Essendo una patologia dei piccoli vasi, essa assume una rilevanza sistemica con interessamento multiorgano (in primis cardiaco, neurologico, gastroenterico, cutaneo, articolare). Nei glomeruli, i depositi possono interessare tutte le sedi (mesangiale, subendoteliale, intramembranosa e subepiteliale) con aspetti talvolta grossolani in sede subendoteliale a formare “pseudotrombi” di immunoglobuline, monoclonali all’immunofluorescenza; i depositi sono flogogeni e cronicamente generano un pattern glomerulare tipo MPGN. Alla microscopia elettronica i depositi mostrano microtubuli di diametro superiore ai 40 nm, con o senza spazio vuoto centrale [6].
  • Glomerulonefrite fibrillare. È una patologia limitata al rene che si caratterizza per la presenza di depositi di fibrille con andamento non ordinato simile all’amiloidosi, ma con diametri superiori (16-25 nm). La negatività per il rosso congo e la positività della DnaJ heat shock protein family (Hsp40) member B9 (DNAJB9) sono le caratteristiche istologiche salienti; quest’ultima, descritta nel 2018, è altamente sensibile e specifica per la glomerulonefrite fibrillare, non essendo descritte altre forme ad esso positive di depositi organizzati o amorfi [7].
  • Glomerulonefrite da immunotattoidi. Questa rara forma di MPGN a depositi organizzati si caratterizza per fasci ordinati di microtubuli di diametro superiore ai 25 nanometri. I depositi sono caratteristicamente negativi per rosso congo, tioflavina T e DNAJB9. La patologia è limitata al rene e non sono dimostrabili crioprecipitati nel siero e nel plasma; pertanto l’assenza di manifestazioni cliniche sistemiche è il principale elemento di distinzione con le crioglobulinemie, essendo l’organizzazione dei depositi simile [6]. La forma monoclonale è infrequente se paragonata alla forma policlonale che si associa ad autoimmunità (e.g., lupus eritematoso sistemico) e infezioni croniche (e.g., epatiti virali). Tuttavia, la forma monoclonale si associa soventemente a forme pre-neoplastiche o neoplastiche linfoplasmocitoidi (e.g., leucemia linfatica cronica, CLL) [8].

Depositi cristallini

Seppur raro, ogni struttura renale coinvolta nel transito di catene leggere monoclonali (in particolare Kappa) può essere interessata dalla formazione di inclusi intracellulari (in particolare lisosomiali) con struttura cristallina. Essendo le strutture renali più esposte il tubulo prossimale, l’interstizio peritubulare (istiociti), e il glomerulo (podociti), queste possono sviluppare depositi intracitoplasmatici di cristalli con restrizione monoclonale rispettivamente note come tubulopatia prossimale da catene leggere, l’istiocitosi a depositi cristallini di catene leggere e la podocitopatia da cristalli. Le ultime due sono forme rare per cui, vista la similitudine del danno istologico alla microscopia ottica ed elettronica, si ipotizza una comune eziopatogenesi legata alla resistenza alla degradazione in sede lisosomiale del cristallo.

  • Tubulopatia prossimale da catene leggere (a depositi cristallini o amorfi). Il quadro renale più frequentemente osservato in questa categoria di lesioni istologiche consiste nella tubulopatia prossimale da catene leggere, variante cristallina. Essa si caratterizza per la presenza di inclusioni cristalline in sede lisosomiale a carico delle cellule tubulari prossimali, positive per kappa all’immunofluorescenza. Raramente, tali inclusioni non raggiungono un’organizzazione cristallina e permangono amorfe [9]. Ad oggi, il danno tubulare è chiarito da due meccanismi: 1) biochimico, secondario all’intrinseca resistenza delle mutazioni acquisite dal clone (sottogruppo VK1 della catena kappa monoclonale) [10]; 2) meccanico, secondario alla lisi delle membrane cellulari causato dai cristalli. L’elevato stress ossidativo intracitoplasmatico generato dalla persistenza dei cristalli in sede citoplasmatica porta ad apoptosi o necrosi della cellula tubulare prossimale [11]. Questo peculiare quadro istologico si caratterizza clinicamente per lo sviluppo di sindrome di Fanconi completa (glicosuria normoglicemica, acidosi tubulare prossimale, ipouricemia, aminoaciduria, ipofosfatemia), insufficienza renale e proteinuria di modesta entità.

Danno diretto: forme a depositi non organizzati

  • Malattie a deposizione di immunoglobuline monoclonali (MIDDs). Si definisce MIDDs un gruppo di patologie caratterizzate dalla precipitazione di una porzione o una immunoglobulina completa in sede di membrana basale glomerulare, tubulare e vascolare in depositi definiti di tipo “Randall” o “a grani di pepe”, che appaiono lineari all’immunofluorescenza e caratteristicamente granulari alla microscopia elettronica. Lo stimolo immunogeno si estrinseca in una espansione mesangiale (proliferazione + matrice) che determina un quadro glomerulopatia nodulare con aspetti di MPGN. In relazione alle caratteristiche dell’immunoglobulina monoclonale, possiamo distinguere tre tipi di MIDD: malattia da deposizione di catene leggere (LCDD), di catene pesanti (HCDD), di catene pesanti e leggere (LHCDD). La LCDD rappresenta circa l’80% di tutte le forme di MIDD, generalmente di tipo kappa (>70% di tutte le forme). È generalmente una forma limitata al rene.
  • Glomerulonefrite proliferativa a deposizione di immunoglobuline monoclonali (PGNMID). Tale condizione si caratterizza per la presenza di depositi granulari in sede esclusivamente glomerulare (preminentemente mesangiale e subendoteliale) con monoclonalità IgG3 kappa. La patologia è tipicamente limitata al rene. I depositi sono amorfi e non hanno caratteristiche peculiari. L’effetto pro-flogogeno dei depositi e la sede sono responsabili di un quadro di MPGN. Tuttavia, nonostante la floridità del quadro infiammatorio glomerulare, in >60% dei casi non si osserva una proteina monoclonale nel siero o nelle urine. Il riscontro di monoclonalità è sfavorevole in quanto associato con un maggiore rischio di evoluzione verso l’insufficienza renale terminale e “recurrence” su trapianto [12].
  • Forme similari ai pattern primitivi o secondari policlonali. Raramente le proteine monoclonali presentano affinità verso lo stesso epitopo degli anticorpi policlonali causa di alcune forme di nefropatia immuno-mediata. Alcuni esempi sono: 1) glomerulonefrite membranosa IgG3 Kappa positiva, descritta nel 2012, sovrapponibile ad una forma primitiva se non per la restrizione dei depositi verso una monoclonalità IgG3 Kappa e la recidiva su trapianto, atipica nelle forme policlonali [13]; 2) malattia da anticorpi anti-membrana basale glomerulare, monoclonale, IgA1 kappa, descritta nel 2005, caratterizzata da recidive nel tempo, diversamente dalle forme policlonali che si caratterizzano per una singola presentazione [14]; 3) nefropatia a depositi monotipici di IgA (IgA kappa), che nella più estesa esperienza pubblicata in letteratura può essere espressione di due pattern a depositi monoclonali di IgA, ovvero la alfa-HCDD o la IgA-PGNMID [15].

Danno indiretto

In questo gruppo rientrano i danni istologici renali in cui la proteina monoclonale non si osserva direttamente in sede tessutale ma, stabilizzando a monte la via alterna del complemento, essa è causa indiretta di: 1) consumo del C3 e cofattori per stabilizzazione della C3 convertasi in fase liquida, con deposizione di frammenti nelle strutture glomerulari (glomerulopatia da deposizione di C3, che include la glomerulonefrite a depositi di C3 (C3GN) e la malattia da depositi densi (DDD)), oppure 2) un danno citotossico secondario alla stabilizzazione della C3 convertasi in fase solida in sede endoteliale che si configura istologicamente e clinicamente con un danno microangiopatico (condizione nota a livello sistemico come sindrome emolitico-uremica complemento-mediata).

In letteratura sono riportati diversi epitopi cui le immunoglobuline monoclonali sono state descritte essere affini: 1) anticorpi anti-C3 convertasi della via alterna (APC3C) e anti-C5 convertasi, chiamati “fattori nefritogeni”; 2) anti fattore H, particolarmente interessanti dal punto di vista patogenetico in quanto in relazione al dominio coinvolto possono essere responsabili di forme patologiche differenti. Infatti, 1) se l’epitopo bersaglio è un dominio in sede carbossi-terminale (SCR 19-20), potremmo osservare una sindrome emolitico-uremico complemento mediata per stabilizzazione della APC3C in fase solida endoteliale mentre, 2) se diretti verso i domini amino-terminali (SCR1-4), si potrebbe osservare una stabilizzazione della APC3C della fase liquida con consumo massivo di C3 e fattori regolatori della via alterna; questi, depositandosi in sede glomerulare, originano delle forme proliferative glomerulari quali la C3GN e la DDD; 3) anti fattore B, che stabilizza la APC3C nella fase liquida, generando pattern tipo C3GN/DDD [16].

 

Management delle MGRS

Quando dovrebbe essere presa in considerazione la diagnosi di MGRS?

Le manifestazioni cliniche in corso di MGRS dipendono essenzialmente dal segmento del nefrone interessato dal processo patogenetico. L’interessamento glomerulare è caratterizzato da proteinuria di entità variabile (dalla proteinuria sub-nefrosica fino alla sindrome nefrosica conclamata) talora in associazione con microematuria (specialmente in presenza di lesioni glomerulari con aspetti proliferativi endocapillari o extracapillari). Il declino della funzione renale può essere osservato, con caratteristiche cliniche variabili dalla malattia renale cronica fino all’insufficienza renale rapidamente evolutiva. In presenza di una principale localizzazione tubulare del danno diretto o indiretto secondario alla proteina M, il quadro clinico è caratterizzato dal riscontro di elementi suggestivi di disfunzione tubulare: basso peso specifico urinario, glicosuria normoglicemica, iperfosfaturia con conseguente ipofosfatemia, proteinuria tubulare, aminoaciduria, iperuricosuria e perdita urinaria di bicarbonato. L’insieme di tali reperti identifica la sindrome di Fanconi: la presenza esclusivamente di alcuni di essi delinea una condizione di sindrome di Fanconi incompleta. Pertanto, una diagnosi di MGRS dovrebbe essere presa in considerazione in ogni paziente con manifestazioni cliniche indicative di malattia renale (comprendendo tutto lo spettro di sindrome cliniche nefrologiche) associate alla presenza di una proteina M. Il sospetto clinico di MGRS aumenta in assenza di altre condizioni cliniche potenzialmente responsabili di un danno renale (diabete mellito, ipertensione e aterosclerosi). Nella casistica della Mayo Clinic i principali fattori clinici associati ad un incremento della probabilità di porre diagnosi di MGRS in pazienti affetti da gammopatia monoclonale e sottoposti a biopsia renale sono risultati essere: presenza di proteinuria > 1,5 nelle 24 ore, presenza di microematuria e riscontro di un rapporto FLC kappa/FLC lambda alterato [4]. Una condizione di MGRS dovrebbe essere presa in considerazione anche nei pazienti con diagnosi istologica di C3 glomerulopathy o TMA, specie in soggetti di età superiore a 50 anni: i dati provenienti dalle casistiche della Mayo Clinic mostrano una prevalenza di gammopatia monoclonale nel 65% dei soggetti con età superiore a 50 anni e diagnosi istologica di C3G [17] e nel 21% dei soggetti di pari età con diagnosi istologica di TMA [18]. Manifestazioni extrarenali sono comuni nell’amiloidosi AL e nella MIDD, con il cuore e il fegato che rappresentano gli organi più frequentemente colpiti. Nella crioglobulinemia di tipo 1, la cute è l’organo più frequentemente colpito.

La diagnosi di MGRS si basa su due fasi di fondamentale importanza: 1) l’identificazione della proteina M circolante; 2) la dimostrazione di una correlazione causale tra la proteina M circolante e l’anomalia renale osservata, il cui strumento diagnostico fondamentale è la biopsia renale. 

Identificazione della componente monoclonale

Tipicamente, una condizione di MGRS è caratterizzata da bassi livelli di proteina M circolante che riflettono le piccole dimensioni del clone B-cellulare o plasmacellulare sottostante. Con un limite di rilevamento di 500-2000 mg/l, l’elettroforesi delle proteine ​​sieriche (SPE) ha una sensibilità insufficiente per rilevare livelli bassi di proteina M circolante, in particolare nel caso in cui questa sia costituita da catene leggere libere (FLC) in considerazione della loro emivita inferiore rispetto alle Ig intatte: in oltre il 50% dei casi di amiloidosi AL l’elettroforesi delle proteine sieriche non è in grado di rilevare la presenza di una componente monoclonale [19]. L’immunofissazione sierica (IFE) presenta una sensibilità circa 10 volte maggiore rispetto a quella della SPE, tuttavia in una proporzione elevata di casi il rilevamento della proteina M richiede l’esecuzione di immunofissazione urinaria e/o la determinazione delle catene leggere libere nel siero.

Il principio su cui si basano i test per la determinazione delle sFLC utilizza anticorpi diretti contro epitopi esposti nelle catene leggere “libere” ma nascosti nelle immunoglobuline intatte. Questo test fornisce una misurazione quantitativa delle FLC sia κ che λ con una sensibilità < 5 mg/l e il calcolo del rapporto κ/λ può dimostrare una sintesi di catene leggere sbilanciata, suggerendo la presenza di una gammopatia monoclonale. Gli studi che valutano le prestazioni diagnostiche di questo test hanno documentato il rilevamento di rapporti κ/λ anormali nel 76-98% dei pazienti con amiloidosi AL e nel 92-100% dei pazienti con LCDD [19, 20]. Da più di 10 anni, la quantificazione delle sFLC viene eseguita mediante un test immunonefelometrico basato su anticorpi policlonali (Freelite®, The Binding Site, Birmingham, UK). Negli ultimi anni, nuovi test basati su anticorpi monoclonali sono entrati nella pratica clinica. Il test Freelite FLC e uno dei nuovi test (N Latex FLC assay®, Siemens Healthcare Diagnostic Products GmbH, Marburg, Germania) sembrano avere prestazioni diagnostiche simili, sebbene i dati attuali indichino che non sono intercambiabili, soprattutto nel monitoraggio della risposta alla terapia. Gli intervalli di riferimento per le FLC sieriche di Freelite sono stati definiti da Katzmann et al. (intervallo normale κ: 3,3-19,4 mg/l; λ: 5,7-26,3 mg/l; rapporto κ/λ: 0,26-1,65) [21]. Poiché le FLC vengono filtrate dal glomerulo e metabolizzate nei tubuli prossimali, è necessaria cautela nell’interpretare questo test nel contesto dell’insufficienza renale. Quando la velocità di filtrazione glomerulare (GFR) diminuisce significativamente, la rimozione delle FLC mediante pinocitosi reticoloendoteliale diventa più importante, con conseguente prolungamento dell’emivita delle FLC e aumento policlonale delle FLC sia κ che λ. Nei pazienti con GFR normale, l’aumentata produzione fisiologica di LC policlonali κ (peso molecolare (MW) 22,5 kDa) è mascherata dalla più rapida eliminazione di queste LC monomeriche rispetto alle LC λ dimeriche e quindi di maggior dimensioni (MW 45-50 kDa). Poiché la capacità differenziale di eliminare le LC κ e λ da parte del rene viene persa con il deterioramento della funzione renale, il rapporto κ/λ può aumentare leggermente e, per questo motivo, l’adattamento dell’intervallo normale a 0,37-3,17 aumenta l’affidabilità del test FLC Freelite nei pazienti con insufficienza renale [22]. Al contrario, quando si utilizza il test N Latex FLC, non è necessario un intervallo di riferimento renale separato poiché il rapporto κ/λ nei pazienti con malattia renale non differisce dai valori normali nei controlli sani.

Biopsia renale

La biopsia renale è fondamentale per la diagnosi di MGRS al fine di determinare se la proteina M è uno spettatore innocente o la causa della sindrome clinica nefrologica. L’esame del campione bioptico non può prescindere da studi di immunofluorescenza (IF), immunoistochimici (IHC) e microscopia elettronica (EM) per identificare la composizione del deposito e il modello di organizzazione ultrastrutturale. A questo proposito, è importante sottolineare il ruolo dell’EM, che dovrebbe far parte del work-up standard, in quanto unico strumento in grado di porre diagnosi di FGN, ITG, CG di tipo 1 e LCPT. In casi selezionati, può rendersi necessario il ricorso a tecniche più sofisticate come microscopia elettronica in immunogold o analisi proteomica tramite microdissezione laser e spettrometria di massa (LMD/MS) per caratterizzare le proteine ​​componenti di depositi densi. LMD/MS non è solo considerato il gold standard per tipizzazione accurata dell’amiloidosi, ma si è rivelata estremamente utile anche per la corretta diagnosi e comprensione di altre MGRS. L’utilizzo di queste tecniche avanzate può richiedere l’invio del campione bioptico a un centro specializzato ed è quindi solitamente riservato a risultati equivoci o casi difficili.

Work-up ematologico

In un contesto di MGRS definita o sospetta, il ruolo dell’ematologo e degli ematopatologi è volto all’identificazione clonale, aspetto fondamentale per la gestione terapeutica dei pazienti con MGRS. L’identificazione clonale è essenziale poiché uno stesso quadro istologico renale può essere espressione di condizioni ematologiche differenti, con diverso trattamento e diversa prognosi.  Da notare che, sebbene un clone patologico possa essere identificato praticamente in ogni paziente con amiloidosi AL o MIDD, tali cloni sono spesso difficili da rilevare in altre forme di MGRS. Ad esempio, la possibilità di identificare il clone patologico scende al di sotto del 17% per i pazienti che non hanno un’immunoglobulina monoclonale rilevabile negli studi di immunofissazione, e solo il 20-30% dei pazienti con PGNMID ha un’immunoglobulina monoclonale rilevabile in circolo [23].

Poiché il trattamento varia a seconda del fatto che il clone abbia una natura plasmocitaria o linfocitaria, scegliere l’agente giusto è difficile se non è possibile identificare un clone. La valutazione ematologica richiede nella maggior parte dei pazienti l’esecuzione di aspirato e biopsia del midollo osseo, sebbene nei pazienti con cloni di leucemia linfatica cronica (CLL) la diagnosi potrebbe essere posta con l’utilizzo della citometria a flusso su sangue periferico. La valutazione morfologica dovrebbe includere la quantificazione della percentuale di plasmacellule (in presenza di plasmacellulari) e la valutazione della presenza di aggregati linfoidi o linfoplasmocitici atipici (in presenza di cloni linfocitari) nonché di depositi di amiloide. Inoltre, studi ausiliari – in particolare la immunofenotipizzazione con citometria a flusso, il rilevamento della malattia minima residua e la valutazione citogenetica e genetica dei cloni – sono utili per l’identificazione di piccoli cloni e per ricavare raccomandazioni terapeutiche.

Il pannello FISH (ibridazione fluorescente in situ) del mieloma ha dimostrato una crescente importanza nel guidare il trattamento dei pazienti con discrasie plasmacellulari. Ad esempio, i pazienti con amiloidosi AL con traslocazione t(11;14) hanno risposte inferiori alla terapia a base di bortezomib, mentre quelli con guadagno del cromosoma 1q21 mostrano risposte meno soddisfacenti al trattamento con melfalan più desametasone (rispetto ai pazienti senza queste varianti genetiche) [24]. Questi risultati evidenziano l’importanza di eseguire il pannello FISH per il mieloma su tutti i campioni bioptici del midollo osseo di pazienti con discrasia plasmacellulare. Se la valutazione del midollo osseo non rivela una malattia ematologica clonale, il passo successivo potrebbe essere quello di eseguire studi di imaging (come TC-total body, PET-CT) per cercare un plasmocitoma localizzato o una linfoadenopatia in linfoma di basso stadio e di basso grado [25]. Per i pazienti con sospetto di mieloma multiplo, è opportuno eseguire una TC total-body con specifiche scansioni per la ricerca di interessamento scheletrico [26]. Qualsiasi lesione sospetta dovrebbe essere sottoposta a biopsia e dovrebbe essere ottenuto materiale sufficiente per consentire studi diagnostici e prognostici. Nella misurazione della malattia residua minima è stata utilizzata la citometria a flusso di nuova generazione: questa tecnica potrebbe essere utile nei pazienti con sospetta MGRS che hanno risultati negativi alla citologia tradizionale o agli studi di citometria a flusso di campioni di midollo osseo.

Principi di terapia

Lo scopo del trattamento nella MGRS è preservare o migliorare la funzione renale con l’utilizzo di un approccio terapeutico mirato al clone di cellule B o plasmacellule responsabile della produzione della proteina M e del danno d’organo. Le evidenze attuali supportano fortemente la strategia della terapia diretta al clone, con il raggiungimento di una risposta ematologica completa quale obiettivo terapeutico finalizzato a ottenere un’adeguata risposta renale e prevenire la progressione del danno d’organo. I dati pubblicati da Sayed et al provenienti da una coorte di 53 pazienti affetti da LCDD mostrano come il raggiungimento una risposta ematologica (risposta completa o very good partial response) fosse associata ad una sopravvivenza renale nettamente superiore rispetto a quanto osservato in presenza di una risposta parziale o in assenza di risposta ematologica [27]. La scelta del protocollo terapeutico è espressione della natura del clone (plasamacellulare vs linfocitario), del metabolismo renale dei farmaci, della potenziale tossicità renale della terapia e della presenza di neuropatia nel paziente.

Discrasia plasmacellulare

In presenza di un clone di plasmacellule che producono IgG, IgA o LC (MGUS non IgM), deve essere presa in considerazione una terapia diretta all’eradicazione del clone di plasmacellule con agenti anti-mieloma. Il farmaco più importante nel trattamento della MGRS associata a un clone di plasmacellule è l’inibitore del proteasoma bortezomib. Bortezomib ha un metabolismo non renale e viene solitamente somministrato in combinazione con desametasone. Sono attualmente disponibili altri inibitori del proteasoma, ma bortezomib dispone dei dati più affidabili nel trattamento della MGRS. Cohen et al nel 2015 hanno pubblicato risultati relativi a 49 pazienti affetti da MIDD e trattati con regimi basati sull’utilizzo di bortezomib, mostrando il raggiungimento di una risposta renale in 26 casi: l’analisi multivariata identificava il raggiungimento di una risposta ematologica quale principale fattore associato all’ottenimento di una risposta renale [28]. Risultati analoghi sono stati riportati con l’utilizzo di bortezomib nel contesto di altre forme di MGRS, quali LCPT [29], PGNMID [12], C3 glomerulopathy [30]. Daratumumab è un anticorpo monoclonale umano IgGk anti-CD38 che ha dimostrato efficacia come agente singolo, o in combinazione con altri agenti, nel trattamento di pazienti con MM recidivante e di nuova diagnosi: negli ultimi anni un numero crescente di evidenze ha supportato l’utilizzo di tale molecola nel trattamento delle forme di MGRS associate alla presenza di un clone plasmacellulare. L’esperienza retrospettiva pubblicata dal gruppo di Kastritis nel 2020 ha analizzato i dati relativi a 25 pazienti trattati con daratumumab (20 casi di LCDD, 2 casi di HCDD, 2 casi di C3G e 1 caso di PGNMID): il 77% dei pazienti otteneva una risposta ematologica (48% dei casi risposta completa/very good partial remission) e il 55% dei pazienti mostrava a 6 mesi dall’inizio della terapia una riduzione della proteinuria > 30% con eGFR stabile [31]. Nel 2021 il gruppo della Mayo Clinic ha pubblicato i risultati di uno studio di fase II condotto su 11 pazienti affetti da PGNMID: il trattamento con daratumumab determinava una risposta renale, parziale o completa, in 10 pazienti dopo 12 mesi di follow-up [32].

Clone di cellule B con proteina M IgM

Poiché la MGUS IgM è rara, vi sono in letteratura poche evidenze che possano guidare la scelta del trattamento nella MGRS correlata alla proteina M di tipo IgM. Quando il clone midollare sottostante è un clone B-linfocitario o linfoplasmocitario IgM positivo che produce proteine ​​M ed esprime CD20, la terapia a base di rituximab (eventualmente in associazione con desametasone e ciclofosfoamide o bendamustina) è la prima scelta di trattamento. Il rituximab può essere somministrato in sicurezza senza modifiche della dose nei pazienti con funzionalità renale ridotta. Circa il 60% della ciclofosfamide viene eliminato attraverso i reni: gli studi descrivono un aumento dell’esposizione alla ciclofosfamide nei pazienti con malattia renale, tuttavia, gli aggiustamenti della dose in questi pazienti rimangono variabili in letteratura. La bendamustina non sembra alterare la farmacocinetica nell’insufficienza renale moderata, ma dati limitati suggeriscono aumenti di tossicità nei pazienti con GFR < 40 ml/min.

Risposta alla terapia

Nella MGRS, la valutazione della risposta ematologica al trattamento è cruciale perché la risposta renale dipende dalla risposta ematologica. Il tasso di risposta renale nell’amiloidosi AL è significativamente più alto nei pazienti con una soppressione > 90% della proteina M nefrotossica [33] e anche in corso di MIDD, il raggiungimento di una risposta ematologica completa ha mostrato benefici simili [34]. Nell’amiloidosi AL, la misurazione della sFLC è uno strumento essenziale per la valutazione di una risposta ematologica. I criteri di risposta utilizzati nell’amiloidosi AL sono riportati in Tabella 1; sembra logico utilizzare questi stessi criteri di risposta negli altri disturbi MGRS. L’uso del test sFLC per la risposta è stato suggerito per tutte le MGRS che coinvolgono solo LC. Nei casi di una proteina M non rilevabile o difficile da misurare, la risposta ematologica può essere valutata con esami ripetuti del midollo osseo utilizzando una citometria a flusso. In assenza di una componente monoclonale circolante e senza identificazione del clone cellulare, la GFR e la proteinuria possono essere gli unici parametri utilizzati per valutare l’attività della malattia.  È importante notare che la risposta renale è solitamente ritardata: nel lavoro pubblicato da Leung et al è stata necessaria una durata minima di 12 mesi di risposta ematologica prima che si osservasse l’insorgenza della risposta renale in pazienti con amiloidosi AL [35].

Risposta Criteri
Completa Normalizzazione dei livelli sierici di FLC e della ratio, immunofissazione sierica e urinaria negativa
Very good partial response Riduzione del dFLC < 40 mg/l
Paziale Riduzione del dFLC > 50%
Nessuna risposta Riduzione del dFLC < 50%
Progressione

In caso di CR, ricomparsa di proteine monoclonali su siero o urine o FLR ratio alterato In caso di PR, incremento della proteina M sierica del 50% (0,5 g/dl) o incremento della proteina

M urinaria del 50% (> 200 mg/die)

Incremento delle FLC > 50% (>100 mg/l)

Tabella 1. Valutazione della risposta ematologica in corso di MGRS (sulla base dei criteri IMWG per amiloidosi AL).

 

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