Luglio Agosto 2022 - Case reports

Calcinosi pseudotumorale iperfosfatemica da mutazione di FGF23 con amiloidosi secondaria

Abstract

Paziente maschio di 44 anni veniva ricoverato per sindrome nefrosica e insufficienza renale rapidamente progressiva. Erano apprezzabili due masse dure di notevoli dimensioni a livello dell’articolazione della spalla sinistra e dell’anca destra. Fin dall’età di 8 anni il paziente riferiva la comparsa di lesioni calcifiche a livello dei tessuti molli per cui era stata ipotizzata calcinosi pseudotumorale iperfosfatemica. Era stato sottoposto a plurimi interventi chirurgici di asportazione delle masse ed era stata impostata terapia con chelanti del fosforo. Il paziente riferiva inoltre episodi febbrili ricorrenti associati a dolore nelle sedi delle lesioni trattati con terapia antibiotica. Agli esami ematochimici effettuati all’ingresso si confermava sindrome nefrosica. La creatinina era 2.8 mg/dl. La calcemia era 8.4 mg/dl, la fosforemia 8.2 mg/dl, il PTHi 80 pg/ml, la 25 (OH) Vitamina D 8 ng/ml. Vi era un lieve incremento dei valori di Serum amiloide A. Alla biopsia renale si riscontrava amiloide AA a livello mesangiale e tubulare. Alla biopsia osteomidollare era presente amiloide a livello vascolare. Nei due mesi successivi l’insufficienza renale progrediva e il paziente veniva avviato a trattamento dialitico. Eseguivamo test genetico che confermava mutazione in omozigosi di FGF23. A 14 mesi dall’inizio della dialisi abbiamo osservato una netta e significativa riduzione delle masse a livello delle articolazioni. Il paziente è in terapia con sevelamer e carbonato lantanio. La serum amiloide A è lievemente aumentata così come la Proteina C reattiva. È presente proteinuria in range nefrosico in assenza di sindrome nefrosica.

Parole chiave: calcinosi pseudotumorale, calcinosi tumorale, FGF23, amiloide AA, insufficienza renale, dialisi

Introduzione

La calcinosi pseudotumorale iperfosfatemica è una rara condizione dovuta a deficit o resistenza all’azione del fibroblast growth factor 23 (FGF23). Dal punto di vista genetico, essa è associata a varianti patogenetiche a trasmissione autosomica recessiva, nei geni codificanti per FGF23 [21] e GALNT3. Quest’ultimo, a sua volta, codifica per una proteina responsabile della glicosilazione di FGF 23 [2123] e KL, regolatrici di KLOTHO, noto co-recettore fondamentale per la trasmissione intracellulare di FGF23 [3]. Ricordiamo che l’azione di FGF23 (Klotho-dipendente) si manifesta in modo simile a quella del paratormone (PTH) a livello del tubulo prossimale, dove inibisce i cotrasportatori sodio-fosforo IIa e IIc, con conseguente effetto fosfaturico. Sull’attivazione della Vit D3, invece, l’azione è opposta a quella del PTH, infatti FGF23 inibisce l’attività della 1-alfa idrossilasi e, quindi, causa una riduzione della 1-25 (OH) Vit D con conseguente inibizione, regolata dal cotrasportatore sodio-fosforo IIb, dell’assorbimento intestinale sia di calcio che di fosforo. In corso di calcinosi pesudotumorale iperfosfatemica, dunque, le mutazioni portano alla perdita della funzione fosfaturica dell’FGF23 con incremento del riassorbimento tubulare del fosforo e dell’1,25 diidrossi Vitamina D; il calcio di solito è normale-elevato e i livelli di PTH sono di solito normali o bassi.

Da un punto di vista clinico, l’iperfosforemia è responsabile dello sviluppo di calcificazioni ectopiche della cute e del tessuto sottocutaneo. Le lesioni sono costituite da idrossiapatite e/o carbonato di calcio e tipicamente si localizzano in prossimità delle articolazioni, in particolare a livello coxofemorale ma anche a livello di gomiti, spalle, mani e tendine Achilleo [14]. La calcinosi pseudotumorale iperfosfatemica familiare insorge nelle prime decadi di vita, tuttavia sono stati descritti casi già a partire dalle 6 settimane di età [5]. Una volta manifestatesi, le lesioni crescono lentamente e possono diventare di dimensioni considerevoli e comportano dolore intenso con compromissione debilitante della mobilità e della funzione dell’arto coinvolto [4, 6]. In casi severi si può verificare una lesione della cute sovrastante la massa con drenaggio di liquido contenente idrossiapatite; l’ulcerazione si può anche infettare. Dal punto di vista radiologico le calcificazioni appaiono come masse eterogenee, amorfe e multilobate, in genere a distribuzione periarticolare [4]; la tomografia computerizzata permette di ottenere informazioni anatomiche dettagliate e di monitorarne della progressione. In alcuni casi si può manifestare la cosiddetta “iperostosi” caratterizzata da dolore e tumefazione a livello delle regioni diafisarie delle ossa lunghe, spesso accompagnata da edema, arrossamento e calore [4, 6, 7]. Le tibie sono le sedi più di frequente interessate.

Alla radiografia è possibile osservare un’importante reazione periostale con osso corticale ipermineralizzato e aree sclerotiche coinvolgenti il canale midollare; la biopsia rivela tipicamente osso reattivo con stroma fibroblastico che mostra un infiltrato polimorfonucleato e linfocitario. I pazienti affetti da calcinosi pseudotumorale possono mostrare segni clinici di infiammazione sistemica quali febbri ricorrenti, astenia, anemia e poliartriti spesso accompagnati da incremento dei valori ematici di proteina C reattiva e VES; si ritiene che questa manifestazione correli con un “intasamento” da parte di macrofagi a livello dei cristalli di idrossiapatite presenti nelle lesioni calcifiche [4, 810]. Le calcificazioni possono coinvolgere anche palpebre e/o congiuntiva causando prurito e irritazione; si può arrivare alla cosiddetta cheratopatia “a bandelletta” e alla formazione di striature angioidi retiniche [1116]. Anche i piccoli e i grandi vasi arteriosi possono essere interessati, con conseguente significativa riduzione del flusso ematico periferico con dolore e, in rari casi, ischemia tale da richiedere amputazione dell’arto [14, 17, 18]. Le coronarie possono essere interessate così come i vasi della dura madre [6], della lingua [15], del tratto gastrointestinale [4] e quelli testicolari [19]. Infine il coinvolgimento dentario è uno dei più caratteristici con accorciamento delle radici e parziale obliterazione della polpa dentaria [20].

 

Caso clinico

Il nostro paziente, maschio di 44 anni, veniva ricoverato per sindrome nefrosica e insufficienza renale rapidamente progressiva. All’ingresso si presentava in buone condizioni generali. Era presente edema improntabile agli arti inferiori ed erano apprezzabili due masse di notevoli dimensioni a livello dell’articolazione della spalla sinistra e dell’anca destra (Fig. 1a e 1b).

Fig. 1a-1b: calcificazioni metastatiche al momento dell’avvio del trattamento dialitico.
Fig. 1a-1b: calcificazioni metastatiche al momento dell’avvio del trattamento dialitico.

La storia del paziente era caratterizzata, sin dall’infanzia, da persistente iperfosforemia con riscontro di lesioni calcifiche a livello dei tessuti molli (gomiti e spalla destra) per cui era stato sottoposto a plurimi interventi chirurgici di asportazione delle stesse con successive recidive. Era stata ipotizzata calcinosi pseudotumorale iperfosfatemica con probabile ipoproduzione di FGF23 (all’epoca non erano state effettuate indagini genetiche) ed era stata impostata terapia con chelanti del fosforo: al momento del ricovero il paziente era in terapia con idrossido di alluminio (400/400 mg 2 volte al dì) e sevelamer (800 mg 3 volte al dì). Il paziente riferiva inoltre episodi febbrili ricorrenti associati a dolore nelle sedi delle lesioni trattati con terapia antibiotica dal medico di medicina generale. Agli esami ematochimici effettuati all’ingresso nel nostro reparto si confermava la sindrome nefrosica (proteinuria 9.7 g/die, albumina 20 g/l, colesterolo 171 mg/dl, trigliceridi 213 mg/dl). La funzione renale, normale l’anno precedente, era rapidamente peggiorata (s-creatinina 2.8 mg/dl). Era presente iperfosforemia (8.2 mg/dl) con PTH solo lievemente incrementato (82 pg/ml) e bassi livelli di vitamina D3 (8 ng/ml); gli indici di flogosi erano elevati (PCR 99 mg/l, VES 68 mm/h).

Gli esami immunologici erano negativi (C3 e C4 nella norma, immunoglobuline nella norma, ANA e ANCA negativi), il quadro elettroforetico proteico e il rapporto tra le catene leggere libere sieriche erano normali, la proteinuria di Bence Jones era assente. Vi era un lieve incremento dei valori di amiloide A sierica (44.4 mg/l, v.n. 0-10 mg/l). Sottoponevamo il paziente ad agobiopsia renale. L’esame istologico mostrava amiloide a livello mesangiale e tubulare con immunoistochimica tipica per amiloide AA; l’interstizio era inoltre caratterizzato da importante atrofia tubulare e fibrosi interstiziale con discreto infiltrato infiammatorio aspecifico costituito da polimorfonucleati e linfociti (Fig. 2a e 2b).

Fig. 2a: depositi nodulari amorfi, PAS negativi a livello mesangiale e tubulare (Acido Periodico di Schiff, x100).
Fig. 2a: depositi nodulari amorfi, PAS negativi a livello mesangiale e tubulare (Acido Periodico di Schiff, x100).
Fig. 2b: positività per il Rosso Congo, confermata al microscopio a luce polarizzata (Rosso congo, x100).
Fig. 2b: positività per il Rosso Congo, confermata al microscopio a luce polarizzata (Rosso congo, x100).

Veniva inoltre eseguita biopsia osteomidollare che mostrava la presenza di amiloide nelle pareti dei vasi (Fig. 3).

Fig. 3: amiloide nelle pareti dei vasi midollari (Acido periodico di Schiff, x100).
Fig. 3: amiloide nelle pareti dei vasi midollari (Acido periodico di Schiff, x100).

Il paziente effettuava valutazione presso il Centro Amiloidosi di Pavia dove veniva confermata la diagnosi di amiloidosi AA senza indicazione a terapia specifica. A completamento diagnostico il paziente effettuava prelievo per test genetico che, successivamente, confermava la presenza di mutazione in omozigosi di FGF23 (c.221A>G; p.Ser71Gly). Alla dimissione veniva incrementata la terapia con i chelanti del fosforo e si otteneva un discreto miglioramento dei valori di fosforemia; alla dimissione era in atto terapia con idrossido di alluminio (460/400 mg 2 volte al dì), sevelamer (1600 mg 3 volte al dì), carbonato di lantanio (1000 mg al dì). Nei due mesi successivi, però, si osservava rapida progressione dell’insufficienza renale. Pur in assenza di urgenze dialitiche, con valori di azoto discretamente controllati e con diuresi valida e sindrome nefrosica non scompensata, si decideva di confezionare fistola arterovenosa per emodialisi. Circa 2 mesi dopo, maturato l’accesso vascolare, si avviava il paziente a trattamento dialitico extracorporeo a cadenza trisettimanale con metodica HDF online mediante filtro in polisulfone di 2 m2 di superficie. Già dopo il primo mese di trattamento dialitico i valori di fosforo si attestavano a livelli inferiori a 6 mg/dl (con i soli chelanti raramente si otteneva una fosforemia inferiore a 7 mg/dl). A 14 mesi dall’inizio della dialisi le condizioni generali del paziente erano obiettivamente e soggettivamente molto migliorate. Si osservava netta e significativa riduzione delle masse a livello delle articolazioni (Fig. 4a e 4b, immagini radiologiche peraltro ottenute a 9 mesi dall’avvio del trattamento). I valori di fosforo permanevano accettabili seppur non ottimali, la serum amiloide A rimaneva lievemente aumentata (17.4 mg/l) così come la Proteina C reattiva (22 mg/l). Era ancora presente proteinuria in range nefrosico (5.4 g/die) in assenza di ipoalbuminemia e di edemi con conservata diuresi residua di circa 800-1000 ml nelle 24 ore.

Fig. 4a-4b: calcificazioni metastatiche a 9 mesi dall’avvio del trattamento dialitico.
Fig. 4a-4b: calcificazioni metastatiche a 9 mesi dall’avvio del trattamento dialitico.

Discussione

Il controllo della fosforemia è cruciale nella gestione della calcinosi pseudotumorale.  Purtroppo il solo utilizzo di chelanti spesso non è sufficiente [24]. In letteratura ci sono poche segnalazioni sul trattamento di questa patologia. Oltre ad una dieta povera di fosforo e ai chelanti non calcici, evitando l’utilizzo di vitamina D, sono stati effettuati tentativi con l’acetazolamide, inibitore dell’anidrasi carbonica che, abbassando il pH urinario, limita il riassorbimento tubulare di fosforo e migliora la solubilità del prodotto calcio-fosforo [25, 26]. L’utilizzo anche di FANS e cortisonici sembrerebbe migliorare i sintomi legati all’iperostosi e i bloccanti dell’interleuchina 1 ridurrebbero infiammazione e dolore [25, 27]. Come terapia topica, è stato utilizzato anche il sodio tiosolfato con miglioramento delle lesioni calcifiche in 3 pazienti [28]. La rimozione chirurgica delle lesioni ha dato risultati variabili, infatti in alcuni casi le lesioni sono recidivate e la guarigione della ferita è stata difficoltosa [25, 29]. Vi è un unico report del 2018 in cui è stato effettuato trattamento dialitico in paziente con normofunzione renale a scopo ipofosforemizzante: si è avuta notevole riduzione delle lesioni metastatiche [30]; il ritmo dialitico era quotidiano e i risultati sono stati analizzati dopo 24 mesi.

Nel nostro caso, la calcinosi pseudotumorale manifestatasi con la comparsa di enormi masse calcifiche metastatiche, ha comportato lo sviluppo di uno stato infiammatorio cronico causa di amiloidosi secondaria con interessamento renale e midollare. A livello cardiaco non è stata rilevata presenza di reperti compatibili con depositi di amiloide mentre l’apparato gastrointestinale non è stato ancora indagato in assenza di sintomi specifici. Inoltre, a causa dell’elevato rischio infettivo, il nostro paziente purtroppo non ha potuto essere candidato a terapia con farmaci biologici diretti a ridurre l’attività delle citochine proinfiammatorie (TNF-alfa, IL-6, IL-1) per arrestare il processo amiloidotico. La compromissione della funzione renale e la sindrome nefrosica non perfettamente controllata hanno giustificato l’avvio del trattamento emodialitico. I risultati raggiunti con la terapia dialitica, grazie al miglior controllo del metabolismo calcio-fosforico con sorprendente e relativamente rapida riduzione delle masse calcifiche, hanno permesso la ripresa della mobilità articolare e delle consuete attività quotidiane, garantendo un significativo miglioramento della qualità di vita. Purtroppo anche il percorso per il trapianto di rene non sarà verosimilmente un’opzione praticabile sia per il rischio di sovrainfezione delle lesioni, sia per la mancata volontà da parte del paziente. L’eventuale utilizzo di dialisi al solo scopo di controllare i valori di fosforemia potrebbe essere preso in considerazione anche in altri soggetti giovani con masse metastatiche significative al fine di prevenire lo sviluppo di infiammazione cronica con conseguente amiloidosi e compromissione di organi quali cuore e apparato gastrointestinale per i quali, al momento, non vi è possibilità di intervento terapeutico.

 

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