Maggio Giugno 2018 - Editoriali

Update 2017 delle linee guida KDIGO sulla Chronic Kidney Disease–Mineral and Bone Disorder (CKD-MBD). Quali i reali cambiamenti?

Abstract

Linee guida per la valutazione, diagnosi e terapia delle alterazioni che caratterizzano la CKD-MBD sono un importante supporto nella pratica clinica dello specialista nefrologo. Rispetto alle linee guida KDIGO pubblicate nel 2009, l’aggiornamento del 2017 ha apportato delle modifiche su alcuni argomenti sui quali non vi era in precedenza una forte evidenza sia per quanto riguarda la diagnosi che la terapia. Le raccomandazioni includono la diagnosi delle anomalie ossee nella CKD-MBD e la terapia delle alterazioni del metabolismo minerale con particolare riguardo all’iperfosforemia, i livelli di calcemia, l’iperparatiroidismo secondario e alle terapie antiriassorbitive. Il Gruppo di Studio Italiano sul metabolismo minerale, nel riesaminare le raccomandazioni 2017, ha inteso valutare il peso delle evidenze che hanno portato a questo aggiornamento. In realtà su alcuni argomenti non vi è stata una sostanziale differenza sul grado di evidenza rispetto alle precedenti linee guida. Il Gruppo di Studio Italiano sottolinea i punti che possono ancora riservare criticità, anche di interpretazione, ed invita ad una valutazione che sia articolata e personalizzata per ciascun paziente.

Parole chiave: CKD-MBD, BMD, Biopsia Ossea, Calcemia, Fosforemia, Iperparatiroidismo Secondario

Introduzione

L’alterazione del metabolismo minerale è una condizione estremamente prevalente e complessa dal punto di vista fisiopatologico nel paziente con malattia renale cronica nei diversi stadi e dopo il trapianto.
Tale condizione si associa ad un elevato rischio di mortalità e morbilità cardiovascolare in questa popolazione di pazienti. L’individuazione di mezzi diagnostici (bioumorali e strumentali) che possono consentire di identificare lo specifico quadro clinico e la conseguente terapia rappresenta uno degli obiettivi più importanti per noi Nefrologi.
A tal fine già nel 2009 venivano prodotte le linee guida Kidney Disease Improving Global Outcomes (KDIGO) per la valutazione, diagnosi, prevenzione e trattamento della CKD-MBD (1).
La recente pubblicazione di un Update 2017 delle linee guida KDIGO sulla CKD-MBD (2) è nata dalla necessità di aggiornare, in base agli studi randomizzati controllati e prospettici di coorte prodotti dopo la pubblicazione delle linee guida KDIGO 2009 (1), le raccomandazioni precedenti che mancavano in molti casi di evidenze di elevata qualità.
L’Update 2017 ha riguardato solo alcuni argomenti quali: la diagnosi delle anormalità nella CKD-MBD; il trattamento della CKD-MBD in termini di riduzione a target del fosfato e mantenimento della calcemia, trattamento delle anormalità del PTH, trattamento delle anormalità ossee con anti riassorbitivi ed altre terapie per l’osteoporosi; la valutazione e trattamento della malattia ossea nel trapianto renale (Tabella 1).

Il Gruppo di Studio Italiano sul metabolismo minerale ha inteso presentare un breve sunto delle recenti linee guida KDIGO sottolineando alcuni punti che possono riservare ancora criticità anche di interpretazione.

 

Capitolo 3.2: Diagnosi di CKD-MBD: Osso

 

La valutazione della Bone Mineral Density (BMD) con Dual-energy X-ray Absorptiometry (DXA) nella malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease – CKD).

Rispetto alle linee guida KDIGO per la CKD-MBD del 2009 l’Update del 2017 rivaluta, nei pazienti con CKD stadio G3a-G5D e nel trapianto renale, l’utilità della misurazione della BMD con la DXA. In particolare ne consiglia l’esecuzione al fine di valutare il rischio di frattura se il suo risultato impatterà sulle decisioni terapeutiche. Il grado di evidenza di questo suggerimento è di tipo 2 B, quindi moderato ed invariato rispetto alle precedenti linee guida del 2009.

La revisione di questo punto nasce dalla pubblicazione, successivamente al 2009, di alcuni studi prospettici di coorte e retrospettivi che dimostrano, così come nella popolazione generale, che una bassa BMD è in grado di predire il rischio di frattura nella CKD con un unico studio riguardante i pazienti in dialisi (36). Questo aspetto è estremamente importante poiché il rischio di frattura nel paziente con CKD è in continua crescita, grazie al progressivo invecchiamento della nostra popolazione, e si associa ad una maggiore morbilità e mortalità rispetto a quanto avviene nella popolazione generale. Un altro importante aspetto affrontato nella revisione di questo punto è quello relativo all’impiego dei farmaci antiosteoporotici nella CKD. Successivamente al 2009 sono state pubblicate delle analisi post hoc che hanno mostrato, al pari di quanto avviene nella popolazione generale, l’efficacia di alcuni farmaci antiosteoporotici nel migliorare la BMD e nel ridurre il rischio di fratture anche nei pazienti con CKD di grado moderato (7). Tuttavia questi studi hanno il limite di essere stati condotti su pazienti senza evidenti alterazioni della CKD-MBD e soprattutto non hanno riguardato pazienti nelle fasi più avanzate della CKD (G5-G5D).

Il gruppo di studio condivide l’utilità della misurazione della BMD nella valutazione del rischio di frattura. Tuttavia sottolinea che la BMD esprime soltanto la quantità di minerale per area ossea (gr/cm2), ma non la qualità (componente fondamentale della resistenza scheletrica) né il turnover dell’osso e quindi il tipo di osteodistrofia renale. Infatti, una ridotta BMD può essere espressione tanto di una patologia ossea a basso quanto ad alto turnover. Di conseguenza la valutazione della sola BMD non può rappresentare uno strumento valido per decidere l’approccio terapeutico alla CKD-MBD. La maggior parte degli studi condotti su pazienti con CKD sono stati eseguiti impiegando farmaci antiosteoporotici di tipo antiriassorbitivo, quali bifosfonati e denosumab. Questa classe di farmaci può condizionare negativamente il turnover osseo che in oltre il 50% dei pazienti con CKD e con trapianto renale è già di per sé ridotto. Purtroppo anche la determinazione dei livelli di PTH non sempre ci aiuta nel differenziare una patologia ossea a basso turnover da quella ad alto turnover. Infatti, una discreta percentuale di pazienti con patologia ossea a basso turnover presenta livelli di PTH in ambiti ritenuti ottimali. Pertanto lì dove c’è il ragionevole dubbio che vi sia una patologia ossea a basso turnover, prima ancora di eseguire una DXA al fine di prendere un’eventuale decisione terapeutica, andrebbe praticata una biopsia ossea. Il solo dato della BMD non può e non deve indirizzare eventuali scelte terapeutiche, soprattutto nei pazienti con CKD nelle fasi più avanzate in cui il reale costo-beneficio dell’impiego di questi farmaci non è stato testato in modo esaustivo. A tal proposito una recente meta-analisi (8) ha valutato rischi e benefici dell’impiego di farmaci per l’osteoporosi (bifosfonati, teriparatide, raloxifene e denosumab) in soggetti con CKD o trapianto renale rispetto ad un gruppo in trattamento con placebo. Il risultato di questa meta-analisi, seppur con qualche limitazione, non consente di stabilire con chiarezza gli effetti dei farmaci antiosteoporotici sulla BMD e sul rischio di frattura, né tanto meno la loro sicurezza nella CKD (5). D’altra parte solo analisi post hoc, provenienti da studi di registrazione di efficacia di alcuni bifosfonati, hanno evidenziato un miglioramento della BMD e riduzione del rischio di frattura, in pazienti in stadio G3 e G4, ma senza evidenti alterazioni della CKD-MBD (4).

E’ quindi evidente la necessità di disporre di ulteriori trials che valutino l’impatto della terapia farmacologica sulla prevenzione delle fratture nei pazienti con CKD, soprattutto negli stadi avanzati G5 e G5D.
A nostro avviso, lì dove non fosse possibile ottenere una diagnosi istologica, la scelta terapeutica dovrebbe essere guidata dall’integrazione della valutazione della BMD con l’andamento dei biomarcatori del turnover osseo.

 

Biopsia Ossea

 L’Update delle linee guida KDIGO 2017 per la CKD-MBD ribadisce l’importanza della biopsia ossea per la diagnosi di osteodistrofia renale e per l’eventuale scelta terapeutica nei pazienti con malattia renale cronica (CKD). Tuttavia il livello di questo suggerimento risulta non valutabile (Not Graded- NG). Nelle precedenti linee guida del 2009 si suggeriva di eseguire la biopsia ossea, oltre che in situazioni di incerto inquadramento diagnostico, anche prima di intraprendere terapie con bifosfonati. Il Gruppo di Lavoro della CKD-MBD tuttavia prende atto del fatto che la biopsia ossea non è praticabile da parte di tutti i centri, un fatto questo che avrebbe potuto precludere ai pazienti con CKD ed elevato rischio fratturativo o con fratture il ricorso ai farmaci antiosteoporotici. Pertanto il Gruppo di Lavoro delle linee guida si è limitato a suggerire l’esecuzione della biopsia ossea soltanto in quei casi in cui il suo risultato avesse dovuto condizionare le scelte terapeutiche. Sebbene l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci antiosteoporotici nella CKD, soprattutto nelle sue fasi più avanzate, non siano state ancora completamente provate, il numero crescente di esperienze con questi farmaci nella CKD, non renderebbero più giustificabile il loro mancato impiego in presenza di una bassa BMD ed un elevato rischio di frattura o storia di fratture da fragilità. Analogamente a quanto già riportato nel punto dedicato alla DXA, l’impiego dei farmaci antiriassorbitivi (bifosfonati e denosumab), nel paziente con CKD deve essere sempre attentamente ponderato, soprattutto negli stadi G5-G5D, e dove possibile sarebbe opportuno prendere in considerazione la biopsia ossea. Questi farmaci sono noti interferire con il turnover dell’osso riducendolo, un aspetto questo di cui si deve tener conto in modo particolare. Infatti, la patologia adinamica dell’osso (Adinamic Bone Disease – ABD), caratterizzata da un basso turnover osseo, è frequente sia nei pazienti in dialisi (circa il 60% dei pazienti) (9, 10) che nei pazienti con CKD non in dialisi e nei pazienti trapiantati (11, 12). Considerando che la determinazione della BMD tramite DXA non distingue i vari tipi di osteodistrofia renale (9) e che i biomarcatori del turnover osseo hanno capacità limitata nel predire il tipo di patologia ossea (10), è evidente che la biopsia ossea rimane l’esame ‘gold standard’ per diagnosticare il tipo di osteodistrofia renale e per individualizzare la terapia. Per tale motivo l’impiego dei farmaci antiriassorbitivi nella CKD non può essere effettuato con gli stessi criteri impiegati della popolazione generale. Lì dove non vi fosse la possibilità di eseguire la biopsia ossea, come già detto nel punto dedicato alla DXA, l’associazione della determinazione del BMD con l’andamento, e non la singola determinazione dei biomarcatori del turnover osseo potrebbe essere utile nell’orientarci verso una ipotesi di turnover osseo e quindi nella scelta terapeutica più appropriata. Infine la possibilità di definire un algoritmo, simile a quello in uso nella popolazione generale (FRAX risk), specifico per il nefropatico potrebbe essere di ulteriore aiuto diagnostico.

L’orientamento del Gruppo di Studio Italiano è senza dubbio quello di stimolare il nefrologo quanto più è possibile all’utilizzo della biopsia ossea per la diagnosi della patologia ossea del paziente affetto da CKD.

 

Capitolo 4.1: Trattamento della CKD-MBD volto a ridurre i livelli sierici elevati di fosforemia e mantenere i livelli di calcemia

 

Fosforemia

L’Update 2017 delle linee guida KDIGO per la CKD-MBD relativa al trattamento dell’iperfosforemia e più in generale sul management del fosforo rappresenta la revisione probabilmente più rilevante rispetto alla precedente versione. I suggerimenti sono orientati da evidenze di grado C (4.1.2), not graded (4.1.5) e di grado 2 B (4.1.6).
In particolare nelle KDIGO 2017 viene abbandonato il precedente suggerimento di mantenere la fosforemia nei range di normalità nei pazienti con CKD, siano essi in fase conservativa che in trattamento sostitutivo artificiale (4.1.2). Anzi, a questo proposito, il Gruppo di Lavoro delle KDIGO adombra qualche perplessità sulla adeguatezza degli attuali range di normalità.
Se da un lato viene suggerito (4.1.5) il trattamento ipofosforemizzante (dietetico e/o farmacologico) nei pazienti con iperfosforemia progressiva o persistente, dall’altro non ci sarebbero evidenze per suggerire un trattamento mirato (riduzione dell’apporto dietetico di fosforo e l’impiego di chelanti del fosforo) nei pazienti con CKD e fosforemia nella norma per i possibili rischi connessi a tali approcci terapeutici. Viene sottolineata la mancanza di studi prospettici che dimostrino l’efficacia della normalizzazione della fosforemia nel proteggere i pazienti con CKD 3a-5D da hard outcomes e la possibilità che diete con restrizione dell’apporto di fosforo possano favorire, attraverso la riduzione dell’apporto calorico, condizioni di malnutrizione in una popolazione particolarmente a rischio.
Il Gruppo di Studio Italiano ritiene che, quantomeno nel paziente con CKD in fase conservativa, aver rimosso dallo statement il target di mantenere/riportare la fosforemia nei range di normalità si presti al rischio di una pericolosa “elasticità” terapeutica, oltre a rappresentare una contraddizione rispetto agli stessi studi epidemiologici, citati dalle KDIGO stesse, nei quali si evidenzia una significativa associazione tra iperfosforemia e rischio di morte.
Il Gruppo di Studio Italiano, in ciò condividendo la posizione del Gruppo di lavoro KDIGO (13), ritiene che tale suggerimento possa alla fine scoraggiare il nefrologo dal prescrivere una dieta a ridotto contenuto di fosforo anche in quei pazienti con un trend incrementale della fosforemia pur nell’ambito di valori nel range di normalità. Deve altresì essere sottolineato che un corretto approccio nutrizionale rappresenta il presupposto irrinunciabile per un controllo della fosforemia in presenza di un quadro di iperparatiroidismo secondario (12). Un intervento dietetico bilanciato può impedire o ritardare l’insorgenza dell’iperparatiroidismo secondario riducendo al contempo il potenziale rischio d’iperfosforemia legato all’impiego di vitamina D attiva.
L’Update 2017 delle KDIGO sulla base dei risultati di 2 trials mette in discussione l’efficacia e la sicurezza della terapia con chelanti del fosforo nei pazienti normofosforemici con CKD in fase conservativa. Il Gruppo di studio Italiano osserva che il primo dei due studi (15) non era strutturato per individuare le differenze tra i leganti di fosfato (chelanti contenenti Ca vs chelanti Ca-free) e che l’aumento osservato nella calcificazione coronarica era riconducibile al gruppo trattato con chelanti contenenti calcio (16), nel secondo era stato valutato solo il Calcio Carbonato. Inoltre rileva che, anche per quanto attiene la terapia chelante, l’Update 2017 non fornisce indicazioni in merito all’eventuale trattamento in quei pazienti con un trend incrementale della fosforemia pur nell’ambito dei range di normalità ed eventualmente non responders alla terapia dietetica.
Il Gruppo di Studio Italiano è invece allineato all’Update 2017 quando evidenzia 2 elementi di rilievo, che riconoscono una comune chiave di lettura, ovvero la non intercambiabilità dei chelanti del fosforo, e un suggerimento (4.1.6) di grado 2B che, sulla base di 2 trials (17, 18), indica di limitare la dose di chelanti a base di calcio nei pazienti con CKD in terapia conservativa e trattamento sostitutivo.

 

Livelli circolanti di calcio

L’Update 2017 delle linee guida KDIGO per la CKD-MBD fornisce su quest’argomento un suggerimento orientato da evidenze di grado C, cioè di bassa qualità. Infatti, continuano a mancare studi prospettici controllati, sebbene siano stati pubblicati dopo il 2009 studi osservazionali che associano l’elevata calcemia ad aumentato rischio di morte e di eventi cardiovascolari non fatali (1925). Per questo motivo il suggerimento, che è transitato dal grado D al grado C, è stato focalizzato sull’opportunità di evitare l’ipercalcemia (4.1.3) nei pazienti in stadio 3a-5D, piuttosto che di porsi l’obiettivo del mantenimento della calcemia entro un intervallo di normalità laboratoristica, com’era nelle linee guida del 2009. Ciò anche in considerazione del fatto che non sono emerse sufficienti evidenze a supportare la correzione dell’ipocalcemia lieve ed asintomatica, specie in contesti indotti da terapia con calcimimetici, mentre sono ritenute più corpose le evidenze a supporto di un’allerta circa le condizioni di bilancio di positivo del calcio, per tutte le conseguenze che esse possono provocare in termini di calcificazione e rischio cardiovascolare. Pur concordando con tale assunto, il Gruppo di Studio Italiano ritiene prudente che i pazienti in cui tollerare l’ipocalcemia lieve ed asintomatica siano comunque vagliati per condizioni potenzialmente a rischio di severi eventi cardiovascolari, come ad esempio l’allungamento del QT all’esame elettrocardiografico. Inoltre ritiene che non vi debbano essere esitazioni a trattare la ipocalcemia sintomatica attraverso una riduzione posologica del calcimimetico o, in condizioni di iperparatiroidismo non sufficientemente controllato, anche con la partecipazione terapeutica di vitamina D attiva. Vi è invece piena concordanza sulla necessità di evitare un bilancio calcico positivo agendo con la massima cautela nelle scelte terapeutiche, specie quelle riguardanti le terapie fosforo-chelanti, in cui viene suggerito di contenere le dosi di sali di calcio (4.1.6), e le concentrazioni di calcio nei liquidi di dialisi (4.1.4).

 

Concentrazione di calcio nel dialisato

 L’Update 2017 non modifica il suggerimento delle linee guida 2009 di mantenere nei pazienti in stadio 5D il calcio nel dialisato tra 1.25 ed 1.5 mmol/L (4.1.4), evitando soluzioni con concentrazioni di calcio di 1.75 mmol/l. Il livello di evidenza a supporto di tale evidenza resta di bassa qualità (2C), soprattutto per carenza di studi che trattino di bilanci di calcio in dialisi. Il Gruppo di Studio Italiano auspica che, nell’ambito dell’intervallo suggerito dalle linee guida, sia implementata nella pratica clinica la personalizzazione del contenuto calcico nel bagno di dialisi, basandosi sui livelli di paratormone, sul metabolismo minerale e su eventuali anomalie elettrocardiografiche presenti. Infatti, avendo come riferimento questi parametri è possibile superare possibili fattori di disorientamento connessi con la mancanza di un singolo e definito valore di concentrazione di calcio nel liquido di dialisi suggerito dalle linee guida.

 

Vitamina D nativa

Resta immodificata nell’Update 2017 la raccomandazione 3.1.3, già presente nelle KDIGO 2009, di supplementare la vitamina D nativa in pazienti in stadio 3a-5D con bassi livelli circolanti di 25(OH)D, come nella popolazione generale. Il dosaggio della 25(OH)D è quindi consigliato e va ripetuto tenendo presente i livelli basali riscontrati e degli interventi attuati per la correzione dei bassi livelli di 25(OH)D. Il Gruppo di Studio Italiano, malgrado il basso livello di evidenza del suggerimento (2C) dovuto alla mancanza di studi randomizzati controllati che indaghino gli effetti della supplementazione su esiti cardiovascolari maggiori e mortalità, ritiene che necessiti di essere implementata, laddove carente, la consuetudine a tener conto anche dei livelli di 25(OH)D nella gestione clinica dei pazienti con malattia renale cronica nell’ambito della CKD-MBD. Il dosaggio della 25(OH)D e trattamento dei bassi livelli dovrebbero tener conto della stagionalità, del metabolismo minerale e delle terapie concomitanti.

 

Capitolo 4.2: Terapia dei livelli anormali di PTH nella CKD-MBD

In generale l’aggiornamento delle linee guida KDIGO (1) sulla gestione dell’iperparatiroidismo secondario (SHPT) ha apportato delle modifiche modeste alle precedenti linee guida del 2009 (2). I capisaldi della gestione del SHPT possono essere riassunti nei seguenti punti:

Valutazione dei parametri di laboratorio (4.1.1): viene rinforzato il suggerimento di valutare in modo seriato nel tempo i livelli di calcemia, fosforemia e di paratormone (PTH) e di considerare congiuntamente questi parametri prima di iniziare o modificare un trattamento per la CKD-MBD;

Valori ottimali di PTH (4.2.1): viene ribadito che non vi sono attualmente evidenze scientifiche conclusive su quale sia il range ottimale di PTH da perseguire nei vari stadi della CKD. Si suggerisce, tuttavia, di valutare ed eventualmente correggere quadri di iperfosforemia, ipocalcemia e deficienza di vitamina D in soggetti con valori di PTH al sopra del range di normalità riportato dal laboratorio e CKD stadio 3-5 non in dialisi;

Valori di PTH in continuo incremento e persistentemente elevati in soggetti con CKD stadio 3-5 non in dialisi, è indicato il trattamento con calcitriolo o analoghi della vitamina D (4.2.2);

Nei soggetti in trattamento dialitico cronico, è consigliabile il mantenimento di valori di PTH compresi tra le 2-9 volte il valore superiore del range di normalità per il PTH fornito dal laboratorio (4.2.3). Tuttavia, variazioni significative dei valori di PTH anche nel range consigliato devono comportare delle variazioni nella gestione del paziente per evitare sia quadri di ipercorrezione che di controllo subottimale del PTH;

Nei soggetti in trattamento dialitico cronico necessitanti di terapia per ridurre i valori sierici di PTH, è suggerito l’utilizzo di calcimimetici, calcitriolo o analoghi della vitamina D in monoterapia o in combinazione (calcimimetico + vitamina D) (4.2.4).

Le modifiche nelle raccomandazioni delle nuove line guida sono in generale modeste (26). Negli ultimi anni non vi sono stati studi clinici che abbiano rivoluzionato le conoscenze fisiopatologiche e terapeutiche del SHPT. Gli aggiornamenti delle linee guida appena licenziati ribadiscono che l’approccio alla CKD-MBD deve essere quanto più omnicomprensivo possibile e non deve essere focalizzato su un singolo parametro biochimico ma sull’assetto biochimico generale del paziente e considerare anche i livelli sierici di calcio, fosforo e, se disponibile, vitamina D (1). Questa raccomandazione nasce dall’osservazione che il rischio associato all’incremento dei livelli sierici di PTH è modulato e varia significativamente in presenza di iperfosforemia o ipercalcemia (27). Inoltre, nella nuova stesura delle linee guida viene ulteriormente enfatizzato il concetto dei “trends” temporali del PTH e degli altri parametri biochimici. Nonostante questo concetto fosse già presente nella stesura della linee guida del 2009 (2), i recenti dati dello studio Dialysis Examinations and Practice Patterns Study (DOPPS), suggeriscono una tendenza preoccupante verso l’incremento dei valori medi di PTH nei paesi oggetto della rilevazione (28, 29). E’ plausibile ipotizzare che questo sia l’effetto dell’ “allargamento” del range ottimale di PTH operato dalle linee guida KDIGO del 2009 (2), rispetto alle linee guida sulla gestione della CKD-MBD redatte dalla National Kidney Foundation Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (NKF KDOQI) (30). Se poteva essere plausibile una ridotta percentuale di pazienti a target rispetto alle precedenti linee guida KDOQI, come segnalato da una survey italiana su circa 2500 pazienti in dialisi (35), la successiva estensione delle KDIGO non deve lasciare spazio ad una minore sorveglianza del paziente. Il pannello di esperti delle KDIGO ha ritenuto pertanto di ribadire nel punto 4.2.2 di considerare con grande attenzione le variazioni persistenti e significative dei valori di PTH anche all’interno del range consigliato e di considerare variazioni della strategia terapeutica in atto. Anche l’aggiornamento delle linee guida non chiarisce se vi sia una terapia da considerare di prima scelta nella gestione del PTH (4.2.4) (1). Nonostante una lunga discussione, il pannello di esperti non ha trovato l’accordo su cosa raccomandare come terapia di prima scelta e si è limitato ad elencare i farmaci disponibili in commercio in elenco alfabetico (4.2.4) (1). La scelta appare ragionevole per tre motivi: 1°) sebbene lo studio Evaluation of Cinacalcet HCl Therapy to Lower Cardiovascular Events (EVOLVE) (31), il più grande studio clinico condotto in dialisi, abbia evidenziato dei segnali positivi nelle analisi secondarie e post hoc (32), ha fallito l’endpoint primario (Riduzione del 7% del rischio di sviluppare l’endpoint composito di morte per ogni causa, infarto miocardico, ospedalizzazione per angina instabile, scompenso cardiocircolatorio ed evento vascolare periferico; Hazard ratio: 0.93; intervallo di confidenza al 95%: 0.85-1.02; p=0.11), lasciando irrisolti i quesiti clinici per cui era stato disegnato; 2°) Due studi clinici randomizzati e controllati, studio OPERA e studio PRIMO, non sono riusciti a dimostrare un impatto positivo dell’utilizzo della vitamina D (paracalcitolo) su outcome CV che, in taluni casi, può determinare un incremento dei livelli sierici di calcio (33, 34); 3°) in assenza di migliori evidenze scientifiche la scelta terapeutica è funzione del profilo biochimico del paziente, dei farmaci a disposizione e dell’esperienza del clinico nella gestione della CKD-MBD (3538).

 

Capitolo 5: Valutazione e trattamento della malattia ossea nel trapianto renale

La valutazione della patologia ossea nel trapianto è stata, in quest’ultima revisione KDIGO 2017, unificata per i vari stadi di funzione renale e nel periodo di determinazione (non si limita ai primi 3 mesi dal trapianto).

L’elevata percentuale di fratture nei pazienti trapiantati (39) deve considerarsi sicuramente una condizione di allarme per il nefrologo. Recenti studi di coorte hanno mostrano una minima riduzione della BMD nei primi mesi post trapianto (38), ciò è da ritenersi imputabile ad una più ampia strategia terapeutica steroido-free o comunque di precoce minimizzazione della terapia steroidea (4143). Per la valutazione del rischio di fratture, le precedenti linee guida raccomandavano di testare la BMD nei primi 3 mesi post trapianto e nei pazienti con filtrato stimato > 30 ml/min. L’Update 2017 suggerisce un più ampio uso della determinazione della BMD per la valutazione del rischio di frattura lì dove si ritenga che una strategia terapeutica ne modifichi l’andamento. L’estensione è fatta anche a pazienti trapiantati renali con uno stadio più avanzato di insufficienza renale (G4T-G5T), traslando dati rilevati nella popolazione CKD (3.2.1) e con un solo studio retrospettivo nel trapianto (4).

E’ opinione del Gruppo di Studio Italiano che si debba tenere in considerazione la complessità della patologia ossea del paziente trapiantato. Essa comprende le alterazioni insorte nella precedente fase di CKD ed il nuovo stato metabolico post trapianto che, seppur in grado di modificare alcune alterazioni, non è sempre in grado di risolverle. Inoltre vi è da considerare l’influenza della terapia immunosoppressiva (non solo steroidea) e dell’eventuale insorgenza di un alterato quadro metabolico che si sviluppa ‘de novo’ per l’insorgere di una insufficienza renale (44).

Sarebbe quindi opportuno avere una più ampia valutazione diagnostica che comprenda, oltre la stima della BMD, anche un approfondito quadro biochimico (con particolare attenzione al trend nel tempo) e non ultimo l’eventuale valutazione istologica dell’osso prima di intraprendere una strategia terapeutica.

Rimane, come indicato anche nell’Update 2017, la necessità di futuri studi randomizzati controllati per la valutazione e confronto dell’armamentario terapeutico a disposizione anche alla luce dei più o meno recenti farmaci introdotti per la terapia dell’osteoporosi e delle alterazioni della CKD-MBD ancora tuttavia non sufficientemente validati nel trapianto.

 

Conclusioni

Dopo 8 anni dalle precedenti linee guida KDIGO, anche in questo Update 2017 alcune delle raccomandazioni sono ancora “opinion based” per la mancanza di evidenze. Rimane di fondamentale importanza quindi la valutazione del paziente nella sua complessità. Il Gruppo di Studio Italiano sottolinea l’importanza della biopsia ossea quale esame ‘gold standard’ e suggerisce, lì dove questa non fosse praticabile, di considerare l’insieme dei parametri e non un solo parametro per la diagnosi e soprattutto per la terapia che deve essere necessariamente personalizzata.

 

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