Malattie Metaboliche e Rene 2016 - Articoli originali

Iperuricemia e gotta

Abstract

Già nota al tempo degli antichi Egizi, la gotta è una delle prime malattie ad essere stata descritta come entità clinica, ed oggi rappresenta la forma più frequente di artrite infiammatoria. La gotta è definita dalla deposizione di cristalli di urato monosodico nei tessuti, determinanti attacchi artritici, sviluppo di tofi, nefrolitiasi e nefropatia da urati. L’iperuricemia, ossia livelli di acido urico sierico superiori a 6.8 mg/dL (404μmol/L), è condizione necessaria, ma non sufficiente, per lo sviluppo di gotta. L’aumento di incidenza di alcuni fattori di rischio quali ipertensione, obesità ed insufficienza renale, associato all’allungamento della vita media, ha portato, negli ultimi decenni, ad un netto incremento di prevalenza della gotta, più che raddoppiata rispetto ai dati degli relativi agli anni ’60. In questo articolo affrontiamo il tema della gotta sottolineando il ruolo del rene nell’omeostasi dell’acido urico; la ricaduta clinica della deposizione di cristalli di urato nei tessuti, incluso il rene; le recenti linee guide in merito al percorso diagnostico da seguire nel sospetto di patologia gottosa; le evidenze relative agli strumenti farmacologici a disposizione per il trattamento, ponendo particolare attenzione al loro utilizzo nel paziente nefropatico.

 

Cenni storici

La gotta fu una delle prime malattie scoperte e minuziosamente descritte in letteratura, non solo in quella scientifica. La prima documentazione di malattia, suggestiva per podagra, risale all’antico Egitto (2640 A.C.); successivamente fu il padre della medicina, Ippocrate, a descriverla nel quinto secolo A.C. [1] (full text). Il termine deriva dal latino gutta, goccia, probabilmente a significare, in accordo con la cosiddetta teoria umorale, che uno dei quattro umori dell’organismo (la bile gialla, la bile nera, il flegma e il sangue), in determinate circostanze, precipitava in una articolazione provocando dolore e infiammazione. La gotta era nota anche come “malattia dei re”, e deve questa denominazione all’associazione con una alimentazione ricca di proteine animali e ad un forte consumo di bevande alcoliche, privilegi che si potevano permettere solo i più abbienti.

Le scoperte scientifiche in merito alla gotta passano attraverso la prima identificazione dei cristalli di acido urico al microscopio grazie allo scienziato olandese Leeuwenhoek (1679)[2] (full text), la successiva intuizione del medico inglese Alfred Garrod sulla relazione causale tra iperuricemia e gotta [3] (full text), fino alle più moderne scoperte relative al metabolismo dell’acido urico.

Epidemiologia e fattori di rischio

Nell’ambito delle artropatie infiammatorie la gotta è la più comune. Negli USA la prevalenza di gotta nella popolazione adulta è più che raddoppiata dagli anni ’60 agli anni ’90 [4] (full text)[5] (full text), e si attesta ora al 3.9% [6]. Nel 2005, la principale indagine epidemiologica condotta sulla gotta in Italia riscontrò una prevalenza di circa lo 0.5% [7]. Tuttavia, secondo uno studio successivo pubblicato nel 2013, la prevalenza di gotta sarebbe aumentata sino allo 0.9%, essendo più elevata con l’aumentare dell’età e 4 volte più elevata negli uomini [8].

Gli estrogeni hanno una notevole azione uricosurica, quindi nelle donne i livelli di uricemia sono più bassi

rispetto agli uomini [9] (full text); dopo i 65 anni, la differenza tra i due sessi si riduce. L’incremento di prevalenza della gotta negli ultimi anni è attribuibile alle modificazioni delle abitudini dietetiche e dello stile di vita, ed in parte ad altri fattori di rischio, non modificabili, come l’aumento dell’aspettativa di vita.

L’iperuricemia costituisce il principale fattore di rischio per la gotta e il rischio è direttamente proporzionale alla concentrazione di urati [10]. L’iperuricemia può essere dovuta ad aumentata produzione o a ridotta escrezione dell’acido urico, o alla combinazione di questi. In più del 90% dei casi, la causa risiede in alterazioni dell’escrezione renale di acido urico. Oltre alla riduzione della filtrazione glomerulare o della secrezione tubulare, una aumentata stimolazione al riassorbimento tubulare è spesso responsabile della comparsa di iperuricemia. Molte sostanze, tra cui la pirazinamide, la niacina e gli acidi organici determinano una riduzione della secrezione di urato; essendo anioni monovalenti, fungono da substrati del trasportatore URAT1. In presenza di deplezione di volume o in corso di terapia diuretica, l’aumento del riassorbimento prossimale di sodio dovuto all’antiporto Na-H crea un gradiente elettrochimico favorevole per il riassorbimento di urato in scambio con OH. Anche gli inibitori delle calcineurine e l’acido acetil-salicilico a basse dosi (<1g/die) riducono la clearance dell’acido urico. Molti dei pazienti che assumono questi farmaci (CNI e diuretici) presentano un certo grado di insufficienza renale, altro fattore di rischio per lo sviluppo di iperuricemia.

Esistono, inoltre, alcune patologie genetiche che determinano una ridotta escrezione di acido urico. Mutazioni del gene codificante per uromodulina (UMOD), meglio nota come proteina di Tamm-Horsfall, sono responsabili di una forma ereditaria di nefrite tubulo-interstiziale. Prima della caratterizzazione genica, questa tubulo-interstiziopatia cronica ereditaria era conosciuta come nefropatia iperuricemica familiare giovanile (FJHN) o malattia cistica della midollare di tipo 2 (MCKD2); attualmente, secondo la terminologia suggerita dalle recenti linee-guida KDIGO, viene definita come ADTKD-UMOD (Autosomal Dominant Tubulointerstitial Kidney Disease-UMOD associated) [11]. Nei pazienti affetti da ADTKD-UMOD, l’uromodulina mutata si accumula nel reticolo endoplasmatico delle cellule del tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle. Ciò determina il mancato rilascio di uromodulina nel lume tubulare, cui si associa un alterato trafficking intracellulare dei co-trasportatori normalmente espressi sulle membrane cellulari[12] (full text) [13] (full text). In questi casi l’iperuricemia può manifestarsi già durante l’infanzia e la gotta sin dall’adolescenza, sebbene l’età di insorgenza sia variabile e non tutti i membri della famiglia la manifestino. Anche polimorfismi che coinvolgono direttamente i geni codificanti per i trasportatori dell’acido urico (GCKR, SLC22A12, SLC17A1) sono responsabili di iperuricemia e gotta [14] (full text).
L’abuso di alcol, in particolare di birra, una smodata assunzione di carne e frutti di mare o bevande ricche di fruttosio con la dieta, possono determinare un eccessivo apporto di purine. Un aumento del turnover degli acidi nucleici, con conseguente iperuricemia, può essere causato, inoltre, da disordini mielo e linfoproliferativi, neoplasie solide, nonché dalle terapie cito-riduttive intraprese in questi pazienti, o dalla presenza di emolisi. La sindrome di Lesch-Nyhan, causata da un difetto dell’enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi (HGPRT) e la malattia da iperattività della fosforibosilpirofosfato sintetasi (PRPP), sono patologie X-linked in cui tali alterazioni enzimatiche provocano un accumulo di nucleotidi purinici e dei prodotti del loro catabolismo, tra cui acido urico. In questi casi, l’iperuricemia e la gotta, spesso precoci, si accompagnano a deficit neurologici gravi (Tabella 1).

Fisiopatologia

L’acido urico, sintetizzato a livello principalmente epatico ad opera dell’enzima xantina deidrogenasi (XDH), rappresenta il prodotto finale del metabolismo delle purine endogene, derivanti dal metabolismo degli acidi nucleici, e di quelle di origine alimentare. Nella maggior parte degli esseri viventi l’acido urico viene convertito dall’enzima uricasi in allantoina, una molecola idrofila, liberamente eliminata con le urine. Tale attività enzimatica è assente nell’uomo così come nelle scimmie antropomorfe a causa di mutazioni genetiche avvenute nel corso dell’evoluzione dei primati che hanno reso il gene dell’uricasi non codificante [15] (full text). L’acido urico è un acido debole, con un pKA di 5.8; quindi, al pH fisiologico, nel compartimento extracellulare il 98% dell’acido urico si trova nella forma ionizzata di urato, complessato con il sodio. Nella forma ionizzata l’urato viene filtrato dal glomerulo e quasi completamente riassorbito nel segmento S1 del tubulo prossimale dal trasportatore URAT1 [16]. GLUT9, sulla membrana basolaterale, media il riassorbimento di urato dalle cellule tubulari al circolo. Nel segmento S2 avviene la secrezione attraverso i trasportatori dei cationi organici OAT1 e OAT3 e il trasportatore URAT. Solo il 10% dell’urato filtrato viene eliminato con le urine. Oltre alla quota di eliminazione renale, che riveste i 2/3 del totale, l’acido urico viene eliminato anche attraverso il tratto gastrointestinale (Figura 1). Quando la concentrazione di urato nel sangue supera il limite di solubilità, pari a 6.8 mg/dL a 37°C, si creano le condizioni per la formazione di cristalli di acido urico e la precipitazione degli stessi nei tessuti. I cristalli di monourato di sodio possono sostenere un’intensa risposta infiammatoria. La fagocitosi da parte dei monociti innesca l’attivazione del complemento, con degranulazione delle mast-cellule e sintesi di interleuchine pro-infiammatorie. Inoltre, i cristalli sono in grado di scatenare l’immunità innata interagendo con i toll-like receptors (TLRs), attivando molteplici segnali intracellulari, tra cui l’inflammosoma NALP3 che induce la maturazione del precursore dell’IL-1, che a sua volta innesca la via di segnale IL-1R/MyD88 [9] (full text). Ciò determina la produzione di chemochine e mediatori proinfiammatori che si accumulano a livello dell’articolazione coinvolta.

Clinica

La storia naturale della gotta si suddivide classicamente in tre stadi: l’artrite gottosa acuta, il periodo intercritico e l’artrite gottosa cronica.

Artrite gottosa acuta

L’attacco acuto di gotta interessa tipicamente un’unica articolazione, più spesso degli arti inferiori (85-90% dei casi), classicamente la prima articolazione metatarso-falangea; tale manifestazione prende il nome di podagra. Le articolazioni del tarso, caviglia, ginocchio, collo del piede, polso e borsa olecranica sono altre sedi frequentemente coinvolte. Raro è il coinvolgimento delle articolazioni dello scheletro assile [17] (full text). L’esordio è rapido; l’articolazione interessata si presenta arrossata, tumefatta, calda, intensamente dolente. Oltre ai segni locali, sintomi sistemici quali febbre, astenia e irrequietezza possono manifestarsi complicando il riconoscimento diagnostico. Da sottolineare che in circa un terzo dei pazienti l’uricemia durante gli attacchi acuti risulta nella norma [18]. L’attacco si estrinseca più frequentemente durante la notte; la sua intensità raggiunge il picco tra le 12 e le 24 ore e si risolve nella maggior parte dei casi entro 5-7 giorni. Gli attacchi successivi hanno solitamente durata maggiore, colpiscono più articolazioni e si accompagnano più spesso a sintomi sistemici. La risoluzione può avvenire in maniera spontanea. La risoluzione spontanea dell’attacco acuto è verosimilmente docuta all’intensa vasodilatazione provocata dalla flogosi, la quale permette da un lato il riequilibrio della concentrazione dell’urato tra tessuti e plasma, e dall’altro favorisce, grazie all’aumento della temperatura locale, l’azione delle mieloperossidadi dei leucociti che degradano i cristalli. La gotta acuta poliarticolare è meno frequente (20% dei casi), ma più spesso associata a iperuricemia secondaria a disordini ematopoietici [19] o a terapia con inibitori delle calcineurine [20].

Periodo intercritico

Il lasso temporale tra la risoluzione di un attacco acuto di gotta e il presentarsi di un secondo attacco viene comunemente definito periodo intercritico. Generalmente in questo periodo, soprattutto dopo i primi attacchi acuti, il paziente si presenta completamente asintomatico e ciò è d’aiuto nel distinguere la gotta da altre forme artritiche. La distanza temporale tra il primo attacco acuto e il successivo è variabile, solitamente inferiore ai due anni, ma il periodo intercritico si accorcia progressivamente con il susseguirsi degli attacchi acuti, fino all’instaurarsi delle alterazioni tipiche della gotta cronica.

Gotta cronica

La gotta cronica tofacea si caratterizza per la deposizione di cristalli di urato monosodico a livello dei tessuti molli. Il processo infiammatorio che circonda i cristalli, composto da mononucleati e cellule giganti, può comportare erosioni e deformità articolari e si caratterizza istologicamente come un infiltrato infiammatorio cronico granulomatoso[21] (full text). I tofi si localizzano frequentemente a livello dell’elice auricolare, del processo olecranico, del tendine d’Achille e delle articolazioni interfalangee; in queste sedi i tofi sono spesso visibili e palpabili (Figura 2, Figura 3). Le borsiti, in particolare del gomito, sono spesso causate da processi gottosi. Altre strutture più raramente coinvolte sono le articolazioni del rachide, così come sedi extra articolari come l’occhio, il cuore, le mammelle e il colon. I tofi misurano generalmente da pochi millimetri a diversi centimetri, sono duri e non dolorosi. La cute sovrastante il tofo può assottigliarsi sino ad andare incontro all’ulcerazione, causando la fuoriuscita di materiale biancastro, simile al gesso.

Nei pazienti anziani, l’insorgenza della gotta è spesso insidiosa, poliarticolare, e solo nel 50% dei casi caratterizzata da un esordio gottoso acuto. Tra questi, soprattutto le donne con insufficienza renale, in terapia con farmaci anti-infiammatori o diuretici, presentano un rischio elevato di sviluppare depositi tofacei, anche in assenza di una storia di artrite acuta[22]. I tofi, in questi casi, si sviluppano spesso in sedi già interessate da processi artrosici, tipicamente a livello dei noduli di Heberden o di Bouchard, nella articolazioni interfalangee distali e prossimali. La poliartrite è talvolta indistinguibile dall’artrite reumatoide, non solo per il numero di articolazioni colpite, ma anche per il carattere di persistente attività flogistica.

Coinvolgimento renale nell’iperuricemia e gotta

La calcolosi e la nefropatia uratica costituiscono i due aspetti più importanti del coinvolgimento renale secondario all’iperuricemia cronica.

Calcolosi uratica

La calcolosi renale ha una prevalenza stimata nella popolazione italiana pari a circa l’8%[23]. Il 5-10% circa dei calcoli renali è costituito da acido urico [24]. Due condizioni giocano un ruolo chiave nella patogenesi della malattia: l’eccessiva escrezione urinaria di acido urico, dovuta ad elevati livelli plasmatici o a difetti tubulari, ed il pH urinario. A pH urinario basso, infatti, l’acido urico è presente prevalentemente nella sua forma non ionizzata, quindi insolubile. La prevalenza della calcolosi da acido urico varia in base ad alcuni fattori di rischio che incidono sui meccanismi sopracitati: può rappresentare fino al 60% di tutte le forme di calcolosi nei soggetti affetti da obesità, diabete mellito e sindrome metabolica[25]; l’età superiore ai 65 anni e il sesso maschile rappresentano altri due fattori di rischio per lo sviluppo di calcolosi uratica; inoltre esiste una componente genetica alla base di tale condizione, ciò è stato suggerito dalla netta prevalenza di calcolosi uratica rispetto alla calcica (60%) in alcune etnie, come quella asiatica degli Hmong [26]. La frequenza di calcolosi uratica aumenta, infine, in presenza di patologie caratterizzate da elevati livelli circolanti di acido urico, come disordini mieloproliferativi, così come in soggetti affetti da ADPKD. È verosimile che l’acido urico rivesta un ruolo anche nella formazione di calcoli “misti”, fungendo da core, su cui ossalato o fosfato di calcio precipitano. Critico nella diagnosi differenziale tra calcolosi uratica e calcica è il fatto che i calcoli di acido urico risultino radiotrasparenti alla radiografia diretta dell’addome; inoltre essi sono caratterizzati da bassa attenuazione alla tomografia computerizzata [27].

Nefropatia acuta da acido urico

La nefropatia acuta da acido urico è caratterizzata da insufficienza renale acuta oligo-anurica, dovuta a precipitazione di acido urico nei tubuli renali [28]. Questa condizione si verifica per iperproduzione di acido urico in corso di linfoma, leucemia o malattia mieloproliferativa, soprattutto dopo chemioterapia o trattamento radioterapico, che inducono una rapida lisi cellulare (sindrome da lisi tumorale). Più raramente, la nefropatia acuta può verificarsi in corso di sindrome di Lesch-Nyhan (caratterizzata da overproduzione di acido urico) o in seguito ad elevata uricosuria da ridotto riassorbimento tubulare prossimale. Questa seconda condizione si può verificare in corso di tubulopatia Fanconi-like e, specie dopo esercizio fisico, in corso di ipouricemia familiare renale di tipo 1 e 2, secondarie a mutazioni del gene (causante un deficit dell’attività di URAT1) e del gene[29].

La nefropatia acuta da acido urico è spesso asintomatica; vi può essere sintomatologia dolorosa in presenza di ostruzione pelvica o ureterale. In caso di massiva lisi tissutale (neoplasie), frequente è il concomitante riscontro di iperkaliemia, iperfosfatemia ed ipocalcemia. Di ausilio diagnostico può essere il riscontro di esame urine negativo per proteinuria ed ematuria ma con un sedimento caratterizzato dalla presenza di molti cristalli di acido urico.

La prevenzione è la miglior terapia della nefropatia da acuta da acido urico. Nei pazienti ad alto rischio, affetti da neoplasie ematologiche, è raccomandato garantire adeguata idratazione ed impiego di rasburicasi, in grado di convertire l’urato in allantoina, o di inibitori della xantina ossidasi (allopurinolo, febuxostat). Questi provvedimenti farmacologici restano indicati anche in presenza di un danno renale già instaurato. Infine, l’emodialisi può rendersi necessaria nei pazienti con persistente oligo-anuria, sia per controllare uremia e ipervolemia che per rimuovere l’urato circolante.

Nefropatia cronica da acido urico

Una malattia renale cronica nei soggetti affetti da gotta è relativamente frequente, benché tardiva, e si presenta generalmente in soggetti affetti, oltre che da gotta, da ipertensione, diabete, obesità e/o aterosclerosi [30] [31] [31], tutti fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di malattia renale cronica. Il quadro istologico che permette di definire la “gouty nephropathy”, documentato in vecchi studi in circa l’80% delle autopsie eseguite nei pazienti con gotta, è caratterizzato da focale deposizione intratubulare di cristalli di monourato di sodio; da significativa reazione infiammatoria che evolve verso atrofia tubulare e fibrosi interstiziale; da variabile glomerulosclerosi e arteriolosclerosi. L’estrinsecazione clinica è una graduale perdita della capacità di concentrazione urinaria dovuta a danno tubulo-interstiziale, con scarse o nulle alterazioni del sedimento ed insufficienza renale. Sebbene la nefropatia cronica da acido urico sia stata descritta come entità clinica sin dal secolo XIX, il dibattito sul ruolo eziologico dell’acido urico nel determinare una malattia renale cronica è ancora oggetto di controversia. In passato, la gotta era considerata essere causa nota di malattia renale cronica. L’autonomia di questa condizione clinica è stata messa successivamente in discussione perchè i cristalli di urato erano documentabili anche in soggetti senza malattia renale cronica; inoltre, la focale distribuzione dei cristalli non sembrava giustificare la diffusa fibrosi tubulointersiziale renale. Inoltre, come già accennato, molti soggetti con gotta mostravano patologie concomitanti, quali ipertensione e malattie vascolari e/o esposizione al piombo, suggerendo che il danno renale in corso di gotta potesse essere secondario a queste patologie piuttosto che alla iperuricemia [4] (full text). Per queste ragioni, dopo gli anni 70, la gotta è stata rimossa dai libri di testo come causa di malattia renale cronica, e l’associazione fra iperuricemia e malattia renale cronica è stato attribuito prevalentemente alla ritenzione di acido urico conseguente alla progressiva riduzione della filtrazione glomerulare. Un famoso editoriale dal titolo “Requiem for Gouty Nephropathy” comparso su Kidney International nel 1986 riassumeva in modo molto efficace questi concetti [32] (full text). Recentemente, l’acido urico è tornato all’attenzione come potenziale fattore di rischio di sviluppo e progressione di malattia renale cronica, perchè numerosi studi hanno documentato che livelli elevati di acido urico predicono in modo indipendente lo sviluppo di malattia renale cronica [33] [34] [35] (full text). Inoltre, recenti evidenze ottenute in modelli animali hanno mostrato che ratti con malattia renale cronica da riduzione di massa nefronica (nefrectomia 5/6) resi iperuricemici mostravano una più rapida progressione della malattia renale cronica nonostante l’assenza di cristalli di urato nel rene, meccanismo operante invece nel determinare l’innesco dell’artrite acuta e cronica gottosa; il danno renale indotto dalla iperuricemia era imputabile ad attivazione del sistema renina-angiotensina e della pathway COX-2 dipendente, in grado di determinare ipertensione arteriosa ed alterazioni vascolari renali [36] (full text) [37] (full text). Questi studi hanno innescato un rinnovato interesse per il ruolo potenziale dell’acido urico nel determinare malattia renale cronica, ulteriormente rafforzato da studi successivi che hanno suggerito che la riduzione delle concentrazioni plasmatiche di acido urico era associata a rallentamento della progressione della malattia renale cronica. Questi studi, benchè non conclusivi, suggeriscono che l’acido urico debba essere considerato un fattore di rischio indipendente, potenzialmente modificabile, di malattia renale cronica.

Diagnosi

Sebbene dal punto di vista diagnostico sia strettamente necessario effettuare una accurata anamnesi, nonché obiettivare segni clinici, laboratoristici e radiologici indicativi di gotta, la ricerca dei cristalli nel liquido sinoviale, anche in soggetti asintomatici, rimane il gold standard[38].

Analisi del liquido sinoviale

L’artrocentesi risulta di fondamentale aiuto per la conferma diagnostica di gotta, sia nell’ambito dell’attacco gottoso acuto, che durante il periodo intercritico, identificando nel liquido sinoviale i cristalli di urato monosodico. L’analisi al microscopio a luce polarizzata permette di visualizzare i cristalli di urato come strutture sottili, aghiformi, a margini netti, sia intra che extracellulari, negativamente birifrangenti (a differenza dei cristalli di pirofosfato di calcio, tipici della pseudogotta, che appaiono positivamente birifrangenti). La sensibilità e la specificità della microscopia a luce polarizzata nell’identificare cristalli negativamente birifrangenti durante un attacco acuto di gotta è rispettivamente dell’85% e del 100% [39]. Se il prelievo del liquido sinoviale viene effettuato durante il periodo intercritico, la sensibilità si riduce e i cristalli si localizzano tipicamente a livello extra-cellulare. Oltre ad evidenziare la presenza di cristalli, l’analisi del liquido deve includere la conta cellulare, la colorazione di Gram e l’analisi colturale. Alla luce del ruolo dell’infiammazione nella patogenesi della malattia, la presenza di globuli bianchi è generalmente elevata (10.000-70.000/μL), con predominanza di leucociti polimorfonucleati. I livelli di glucosio nel range di normalità e la negatività dell’esame colturale, permettono di distinguere l’artrite gottosa da un fenomeno infettivo.

L’artrite infettiva può coesistere con l’artrite da cristalli poiché si sviluppa più comunemente nelle articolazioni precedentemente danneggiate.

Esami ematici

Leucocitosi neutrofila e indici infiammatori elevati sono ritrovamenti comuni nell’attacco acuto di gotta, così come in molti altri casi di artrite acuta e non risultano quindi utili per la formulazione diagnostica. La determinazione dei livelli sierici di acido urico può essere fuorviante per due motivi: da un lato circa il 5-8% della popolazione ha elevati livelli sierici di acido urico, la maggior parte dei quali non presenterà mai gotta; dall’altro, tali livelli possono essere normali o addirittura ridotti durante l’attacco gottoso acuto [18]. Sembra essere più accurato ricontrollare il valore di acido urico a 2- 3 settimane di distanza dall’attacco acuto. La raccolta delle urine nelle 24 ore, per la determinazione dell’escrezione di acido urico, non viene condotta di routine; tuttavia se il paziente presenta un’escrezione maggiore di 1100 mg in 24 ore è più esposto al rischio di nefrolitiasi e nefropatia da urati.

Diagnostica per immagini

Se negli stadi più precoci della malattia la radiografia diretta non risulta dirimente, può essere d’aiuto nelle fasi successive. Caratteristiche del coinvolgimento articolare da gotta sono il risparmio dello spazio intra- articolare, l’assenza di osteopenia periarticolare, la presenza di erosioni al di fuori della capsula articolare, di cisti ossee subcorticali e la distribuzione in modo asimmetrico tra le articolazioni, con forte predilezione per articolazioni distali, specialmente le estremità inferiori [40]. Elementi ecografici suggestivi per coinvolgimento gottoso sono: il segno del “doppio contorno”, ossia un’iperecogenicità lineare al di sopra della superficie della cartilagine articolare, e la dimostrazione di depositi tofacei che appaiono come aree iperecogene nebulose circondate da materiale ipoecogeno [41] (full text). La tomografia computerizzata dual energy consente di stabilire la composizione chimica dei depositi, distinguendo i cristalli di urato da quelli di pirofosfato di calcio [42]. La risonanza magnetica viene riservata ai casi in cui la valutazione sia volta a stabilire l’entità di un eventuale coinvolgimento tendineo o per escludere un quadro osteomielitico [43].

Criteri classificativi

Il riscontro di cristalli di urato monosodico nel liquido sinoviale costituisce il gold standard per la diagnosi di gotta, ma l’esame del liquido sinoviale non è sempre possibile. La diagnosi di gotta si basa frequentemente su dati clinici e il trattamento viene intrapreso in maniera empirica. Dai criteri di Roma del 1963 numerosi studi sono stati condotti per migliorarne sensibilità e specificità; tuttavia, persino i criteri EULAR (European League Against Rheumatism) pubblicati nel 2006 non riuscivano a soddisfare tale esigenza. I progressi conseguiti nelle tecniche di imaging hanno contribuito a rendere manifesta la necessità di rivedere i criteri classificativi. A ottobre del 2015 sono stati pubblicati i nuovi criteri ACR/EULAR (Tabella 2). Criterio sufficiente per la diagnosi è il rilievo di cristalli di monourato di sodio nel liquido sinoviale o in un tofo. In tutti i pazienti che hanno avuto nella loro storia clinica almeno un episodio di gonfiore, dolore o indolenzimento in una articolazione distale o borsa (criterio di entrata), devono essere assegnati dei punteggi in base alla presenza o meno di criteri clinici, laboratoristici e di diagnostica strumentale. Un punteggio complessivo ≥ 8 permette di porre diagnosi di gotta. Sensibilità e specificità di tali criteri è del 92 e 89%, rispettivamente [38].

Diagnosi differenziale

La presentazione clinica di un attacco gottoso acuto può essere sovrapponibile a quella di un artrite settica, di un trauma, della pseudogotta, così come a quella di altre artriti infiammatorie. L’osteomielite, la dattilite e l’artrite reumatoide entrano invece in diagnosi differenziale con la gotta cronica tofacea. Gli strumenti diagnostici sopracitati sono essenziali per distinguere tra le varie patologie.

Trattamento

Gli obiettivi terapeutici per i pazienti affetti da gotta consistono nel 1) controllo sintomatologico dell’attacco acuto e sua pronta risoluzione; 2) prevenzione delle recidive agendo sul controllo dei fattori di rischio; 3) gestione delle sequele croniche.

Trattamento degli attacchi acuti

Le linee guida EULAR e ACR [38] includono i farmaci anti-infiammatori non-steroidei (FANS), i corticosteroidi e la colchicina nelle opzioni di trattamento degli attacchi acuti di gotta. La scelta di una classe di farmaci piuttosto che un’altra è guidata da un’attenta analisi delle comorbidità del paziente. Nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica (CKD stadio III-IV-V), nei trapiantati di rene, nei soggetti affetti da patologia cardiovascolare, così come in tutti i pazienti in terapia con diuretici e/o ACE-I l’utilizzo dei FANS andrebbe evitato. Non ci sono studi che abbiamo dimostrato la maggior efficacia di un FANS rispetto ad un altro [44] [45]; tuttavia, gli inibitori selettivi delle COX-2, sebbene più costosi, sarebbero preferibili per la minor incidenza di complicanze gastrointestinali [46] (full text).

Il trattamento andrebbe intrapreso entro poche ore dalla comparsa dei sintomi e sospeso dopo 2-3 giorni dalla risoluzione dell’attacco. Il trattamento con colchicina è sconsigliato nei pazienti affetti da severa insufficienza renale o epatica che assumano contemporaneamente farmaci che inibiscono la funzione del CYP3A4 (inibitori delle proteasi, imidazoli, macrolidi) e/o gli inibitori di della glicoproteina P (P-gp) (inibitori delle calcineurine, amiodarone, verapamil, macrolidi, alcaloidi della vinca). Questo perché la colchicina viene metabolizzata sia a livello epatico che renale, in larga parte grazie al coinvolgimento di P-gp e del CYP3A4. In questi pazienti il trattamento con colchicina potrebbe causare complicanze gravi quali citopenia, rabdomiolisi o insufficienza d’organo[44] [47]. Effetti collaterali più comuni, ma meno gravi, di cui la colchicina è responsabile sono sintomi gastrointestinali e una neuropatia periferica assonale reversibile. La dose standard di colchicina raccomandata nell’attacco acuto dalla Food and Drug Administration è di 1.2 mg al primo segno di attacco acuto, seguita da 0.6 mg dopo un’ora, per il primo giorno, mentre è di 0.6-1.2 mg/die nei giorni successivi (dose modulabile sulla base della tolleranza) fino a 2-3 giorni dopo la risoluzione della sintomatologia. Nei pazienti affetti da insufficienza renale, tale dosaggio va modulato in base al filtrato glomerulare.
L’utilizzo di corticosteroidi rappresenta una valida opzione terapeutica in quei pazienti per cui l’utilizzo di FANS e/o colchicina è sconsigliato, tra cui i pazienti con severa insufficienza renale. Prednisone al dosaggio di 30-50 mg/die può essere utilizzato nella fase acuta, e progressivamente ridotto nell’arco di 7-10 giorni dalla risoluzione dell’attacco acuto. Uno studio randomizzato del 2008 ha dimostrato come 35 mg/die di prednisone avessero la stessa efficacia sul controllo dell’attacco acuto di 500 mgx2/die di naprossene [48]. In mani esperte, l’artrocentesi con iniezione intra-articolare di corticosteroidi costituisce valida alternativa nei pazienti con coinvolgimento mono o, al massimo, bi-articolare, quando una eventuale eziologia infettiva sia stata esclusa [49].

Una ulteriore opzione è rappresentata dai recenti farmaci biologi antagonisti dell’IL-1, quali anakinra e canakinumab [50] (full text). In considerazione del costo elevato di tali farmaci, nonché del ridotto numero di studi che ne valutano l’impiego, rimangono quindi da considerare solo nei casi in cui trattamenti sopra-indicati siano controindicati o inefficaci.

Trattamento della gotta cronica

Gli interventi non farmacologici, volti a controllare alcuni dei fattori di rischio modificabili citati nel corso della trattazione, andrebbero intrapresi in tutti i pazienti dopo un primo attacco di gotta. Tuttavia, in molti pazienti, la correzione di alcuni fattori di rischio, uno stile di vita adeguato, una dieta a basso contenuto di purine non sono sufficienti a ridurre in maniera efficace i livelli di acido urico plasmatici, quindi è necessario ricorrere a interventi farmacologici [51] (full text). I farmaci utilizzati a questo scopo agiscono a 3 diversi livelli: inibiscono la sintesi dell’acido urico, aumentano l’escrezione urinaria di acido urico, convertono l’acido urico in metaboliti più solubili. È importante sottolineare come i trattamenti volti a ridurre i livelli di urati vadano intrapresi a distanza da un evento acuto, poiché fluttuazioni dei livelli sierici di acido urico possono riesacerbare un attacco. Il target terapeutico consiste nel raggiungimento di livelli di acido urico inferiori a 6 mg/dL (335 mmol/L).

Gli inibitori della xantina-ossidasi (XOIs) sono i farmaci di prima scelta per ottenere una diminuzione dei livelli di urati. Il trattamento con allopurinolo prevede 100 mg/die come dosaggio iniziale, da incrementare di 100 mg ogni 2-4 settimane fino al raggiungimento dell’obiettivo terapeutico [52]. Il dosaggio giornaliero massimo consigliato è di 800 mg. Per quanto riguarda i pazienti affetti da insufficienza renale, le opinioni in merito alla posologia da utilizzare sono discordanti. Uno studio in particolare ha evidenziato un maggior rischio di effetti collaterali gravi in pazienti trattati con dosi di allopurinolo > 300 mg/die ed insufficienza renale. Il più grave effetto collaterale legato all’utilizzo di allopurinolo è la comparsa di una sindrome da ipersensibilità, che si può manifestare con febbre, eosinofilia, epatite, necrolisi epidermica tossica e può evolvere fino al decesso nel 20% dei casi [53]. Alcuni studi genetici hanno evidenziato un’associazione tra aplotipo HLA e rischio di sviluppare sindrome da ipersensibilità. Alcune etnie, quali la coreana, la cinese Han e la popolazione Thai, che presentano più frequentemente l’allele HLA-B*5801, sembrano a maggior rischio per lo sviluppo di tale complicanza [54].
Il febuxostat è un inibitore selettivo non purinico dell’enzima xantino-ossidasi. Il suo metabolismo, prevalentemente epatico, fa sì che non sia richiesto alcun aggiustamento posologico nei pazienti affetti da insufficienza renale. Due studi randomizzati controllati (RCTs) ne hanno dimostrato l’efficacia rispetto al placebo [55] (full text) [56] (full text), mentre altri due RCTs hanno dimostrato la maggiore efficacia di 80 mg di febuxostat rispetto a 300 mg di allopurinolo nel raggiungere il target terapeutico [57] (full text) [58] (full text), seppur con alcune riserve relative al mancato aggiustamento di dosaggio dell’allopurinolo. Gli svantaggi relativi all’utilizzo di febuxostat risiedono nell’impossibilità di aumentarne gradualmente la dose, con il rischio di scatenare attacchi acuti gottosi al dosaggio di partenza di 80 mg, le segnalazioni rispetto a possibili eventi avversi cardiovascolari, e i costi[55] (full text) [56] (full text) [57] (full text) [58] (full text).
Gli uricosurici sono farmaci che agiscono preferenzialmente su URAT1 e impediscono il re-uptake di acido urico da parte del tubulo prossimale, aumentandone l’escrezione. Capostipite della famiglia dei farmaci uricosurici è il Probenecid Per questo particolare meccanismo d’azione tali farmaci sono sconsigliati nei pazienti affetti da insufficienza renale (peraltro sono inefficaci per valori di e-GFR<30 ml/min) e nefrolitiasi. Anche il losartan e i fenofibrati possiedono proprietà uricosuriche e possono essere preferiti rispetto ad altri farmaci delle stesse categorie in pazienti affetti da gotta, ipertensione e iperlipidemia [59].
Per i pazienti affetti da gotta tofacea refrattaria è stato approvato un trattamento con una forma peghilata dell’uricasi (pegloticasi), enzima che converte l’acido urico in 5-idrossiurato, prodotto instabile che si trasforma spontaneamente in allantoina, metabolita solubile. Sebbene i risultano sembrino promettenti, non sono ancora disponibili dati relativi a pazienti affetti da insufficienza renale cronica [60] (full text).

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Tabella 1
Fattori di rischio
Ridotta escrezione di acido urico

Insufficienza renale cronica;

Ipertensione;

Acidosi/ipovolemia;

Intossicazione da piombo;

Farmaci: diuretici, CNI, salicilati (<1g/die), pirazinamide, niacina;

ADPKD, ADTKD-UMOD, polimorfismi GCKR -SLC22A12-SLC17A1.

Aumentata produzione di urati

Dieta ricca in purine (carni, frutti di mare, alcol);

Disordini mielo e linfoproliferativi, malattie emolitiche;

Farmaci citotossici;

Sindrome di Leisch-Nyhan, iperattività della PRPP sintetasi, glicogenosi III-V,VII.

Meccanismi combinati

Alcol;

Shock;

Deficit di glucosio-6-fosfatasi, deficit di fruttosio-1-fosfato aldolasi.

Tabella 2
Criteri classificativi per la gotta ACR/EULAR 2015*
Categorie Pt.
Step 1: Criterio di entrata
(applicare i criteri sottostanti solo se verificato il criterio di entrata)
Almeno 1 episodio di gonfiore, dolore o tensione in una articolazione periferica o in una borsa sinoviale
Step 2: Criterio sufficiente (se soddisfatto si può classificare come gotta, senza applicare i criteri sottostanti) Presenza di cristalli di urato monosodico in una articolazione o in borsa sinoviale sintomatica (per es. nel liquido sinoviale) o in un tofo
Step 3: Criteri (da utilizzare se il criterio sufficiente non è soddisfatto)
Criteri clinici
Modalità di coinvolgimento articolare/borsa sinoviale durante uno o più episodi sintomatici † Caviglia o metatarso (evento monoarticolare o oligoarticolare senza il coinvolgimento della prima articolazione metatarso-falangea 1
Coinvolgimento della prima articolazione metatarso-falangea (come parte di evento monoarticolare o oligoarticolare) 2
Caratteristiche dell’episodio Una caratteristica 1
• Eritema sovrastante l’articolazione interessata (riferito dal paziente e/o osservato dal medico Due caratteristiche 2
• Il paziente non tollera il tocco o la pressione sull’articolazione interessata Tre caratteristiche 3
• Deficit della deambulazione o dell’uso dell’articolazione interessata
Decorso dell’episodio: Un episodio tipico 1
Almeno 2 delle seguenti caratteristiche, a prescindere dal trattamento antinfiammatorio usato: 2
• Acme del dolore entro 24 ore dall’insorgenza dei sintomi Episodi ricorrenti tipici
• Risoluzione dei sintomi entro 14 giorni
• Completa risoluzione (o ritorno al baseline) tra gli episodi
Evidenza clinica di tofi Presenti 4
Noduli sottocutanei similgesso al di sotto della cute assottigliata, spesso con vascolarizzazione sovrastante, localizzati in sedi tipiche: articolazioni, orecchie, processo dell’olecrano, polpastrelli, tendini (es. t. di Achille)
Criteri Laboratoristici
Uricemia: misurata mediante il metodo uricasi.
La valutazione dovrebbe essere fatta quando il paziente non sta assumendo terapia ipouricemizzante e sono passate almeno 4 settimane dall’inizio di un episodio (durante il periodo intercritico); se possibile utile ritestare sotto queste condizioni. Considerare il valore di uricemia più elevato a prescindere dalla tempistica.
<4 mg/dl (<0.24 mmol/l)‡ −4234
6–8 mg/dl (0.36–<0.48 mmol/l)
8–<10 mg/dl (0.48–<0.60 mmol/l)
≥10 mg/dl (≥0.60 mmol/l)
Analisi del liquido sinoviale eseguita da un operatore esperto§ Ricerca di cristalli di urato monosodico negativa −2
Imaging ¶
Individuazione di depositi di urato in un’articolazione: riscontro ecografico del segno del doppio contorno# o dimostrazione di depositi di urato con DECT ** Presenti 4
Individuazione di danno articolare correlato alla gotta: radiografia convezionale di mani e/o piedi con evidenza di almeno una erosione †† Presenti 4

* Calcolatore disponibile in rete: http://goutclassificationcalculator.auckland.ac.nz, e mediante il sito internet dell’ American College of Rheumatology (ACR) e dell’ European League Against Rheumatism (EULAR).

† Gli episodi sintomatici sono caratterizzati da gonfiore, dolore e/o tensione a livello delle articolazioni o delle borse sinoviali.

‡ Se uricemia <4 mg/dl (<0.24 mmol/l) sottrarre 4 pt; se compresa tra 4 e 6 mg/dl (tra 0.24 e 0.36 mmol/l) assegnare 0 pt.

§ Se la ricerca dei cristalli di urato monosodico nel liquido sinoviale di un’articolazione interessata eseguita da un operatore esperto ha dato esito negativo, sottrarre 2 pt. Se la ricerca non è stata eseguita assegnare 0 pt.

¶ Se l’imaging non è disponibile assegnare 0 pt.

# Immagine irregolare iperecogena sulla superficie della cartilagine ialina che è indipendente dall’angolo di insonazione del fascio degli ultrasuoni. (NB: sono possibili falsi positivi (artefatti) del segno del doppio contorno che possono apparire sulla superficie cartilaginea, ma dovrebbero scomparire con un cambiamento dell’angolo di insonazione.

** La presenza di urato in siti articolari o periarticolari identificati mediante viraggio cromatico. Le immagini devono essere acquisite mediante una tomografia computerizzata dual-energy (DECT), con i dati acquisiti a 80 kV e 140 kV e analizzati utilizzando un software specifico per la gotta con un algoritmo di decomposizione che mostra un viraggio cromatico in presenza di urato. Possibili falsi positivi individuati come artefatti a livello del letto ungueale, della cute, dei fasci vascolari o dovuti al movimento.

†† Erosione definita come interruzione corticale con margine sclerotico e bordo sporgente, ad esclusione delle articolazioni distali interfalangee e quelle ad aspetto ad ala di gabbiano.

* tradotto e modificato da [38].